La mattinata è appena iniziata. Saranno le otto del mattino o poco meno. Karitama starà dormendo ancora tranquillo o, quantomeno, la giovane Ishiba non l'ha visto girare per casa o compiere alcun rumore all'interno dell'abitazione che condividono. Non v'è rumore di pioggia, né se ne sente l'odore dell'aria. Ma tu, Kaime, tu stai semplicemente dormendo beata. Non un incubo a turbare il tuo sonno, non un fastidio a giungere alle tue orecchie in quegli ultimi istanti che ti separano dalla veglia. Ciò che di notte hai potuto vedere è solo il caratteristico paesaggio di Ame, bella come te la ricordavi, se non addirittura di più. Viva, concreta e vicina a te in ogni sua sfaccettatura. Così vivida da poter quasi pensare che, al tuo risveglio, potrai uscire e ritrovarti ad inalare l'odore della pioggerellina leggera, priva dell'olezzo della ruggine che tanto odi. Ma è solo un sogno, null'altro che una vana illusione. Non c'è sveglia a destarti, ma il rombo di un tuono che, secco e deciso, squarcia il cielo del Villaggio dell'Erba. Entra nelle tue orecchie come se provenisse da pochi centimetri di distanza dal tuo viso. E, riaprendo gli occhi, non vedrai altro che il soffitto di camera tua, così come te la ricordavi. La tempesta a battere violentemente sul tetto della casa. La camera è bianca, ampia, tutto sarà al proprio canonico posto, senza privazioni o spostamenti di mobilio. V'è, però, un'aggionta. Una figura in nero, il lungo vestito che avvolge un corpo esile, slanciato, le gambe sottili nude a terminare in un paio di tacchi verniciati di viola scuro. Una treccia rosata scende lungo la spalla destra di quella figura posta in perfetto equilibrio sulla sbarra che tutti i giorni utilizzi per gli esercizi di danza. Le iridi grandi, tondi quegli occhi puntati sulla tua figura forse ancora dormiente, forse appena ridestatasi per il fortissimo rumore del tuono che ha anticipato l'apparizione di quella figura. Anaka, che ormai sembra seguirti ovunque, in qualunque istante, si trova lì. In piedi a far da contrasto con la parete bianca, l'incarnato diafano non esprime alcuna emozione superficialmente individuabile. Si tiene sulle punte in piedi sulla sbarra, ma pare non vi stia nemmeno realmente pesando. < Buongiorno. > Pronuncia, le labbra piene che sono di poco più scure del viso pallido, ma che rilasciano un vociare tranquillo, pacato e sottile, non di troppo dissimile da un dolce saluto di una madre o di un amante, addirittura. E permane lì, ferma, ad aspettare solo una reazione, un gesto, nel silenzio di quella casa che pare quasi non essere vissuta da altre figure oltre quella della neo genin. [ Ambient per Kaime ]
E ti svegli, cerchi di coprirti come meglio puoi nel caldo abbraccio delle coperte, ma a lei - ad Anaka - sebra non importare nessun altro dettaglio che non sia sul tuo viso. Ti scruta, le iridi rosa non viaggiano in nessun altro punto che le possa allontanare dal tuo sguardo. Non ha parole per commentare quella tua reazione, nemmeno di fronte all'iniziale irrispetto mostratole, poi immediatamente corretto. Allunga la gamba sinistra e si lascia cadere al suolo, sul parquet, in un gesto elegante e sinuoso che non emana nessun suono se non un singolo ticchettio delle scarpe sul legno. Si volta, dandoti le spalle per poggiare le mani alla sbarra, entrambe poggiate sul ferro freddo. Le gambe vanno a giungersi, i piedi posti in parallelo con le punte dei piedi rivolte verso l'esterno. Si mette in quarta, classica posa da ballerina. La mancina s'alza dalla sbarra per accarezzare l'aria con dolcezza in un semiarco che va a tracciare dal capo fino al fianco, le gambe si flettono accompagnando quel movimento. Poi torna dritta, silente in principio. Ancora ti da le spalle, ma la voce calda e melliflua ti arriva come se le di lei labbra ti fossero poggiate a pochi millimetri dall'orecchio. < Sono qui per parlare. Solo io e te. Nessun altro può sentirci. > Precisa, conscia del fatto che nonsarai pienamente sincera con lei se avessi il timore che le tue parole potrebbero arrivare alle orecchie di Karitama, destandolo dal sonno profondo o, peggio, rendendolo partecipe dei tuoi pensieri più scabrosi ed intimi. < Cosa fai qui? Perché ti alzi al mattino? Perché ti addormenti la sera? Perché sei divenuta una kunoichi? > Una serie di domande poste con lentezza, la grazia che ha nei movimenti si riflette perfettamente nella sua voce che scandisce quel verbiare sottile, cadenzato, degno del più esperto ipnotista. < Voglio che tu mi parli di cosa provi, di cosa senti. Senza filtri, senza timori.Come ti ho già detto, credo di sapere quel che provi. > Non puoi vederla, ma puoi comprendere dal tono di voce che scema di intensità che il suo viso si corruccia in un'espressione di malinconia e profondo dolore. un dolore quasi fisico, non di troppo dissimile da quello che tu stessa provi ogni mattina, guardandoti allo specchio, disgustata da ciò che vedi, impotente dinanzi alla consapevolezza di non essere abbastanza, non capendo quanto puoi fare per piacergli, per trovare un rimando in quell'ammirazione che tu provi per lui, per Karitama. < Temo > Prosegue, si corregge, dichiarando quanto quel pensiero le faccia - a tutti le effetti - paura. < -di sapere quello che provi. Ogni giorno, ogni notte, ogni volta che lo guardi, che ti guardi. > Termina così, compiendo l'esercizio che aveva accennato prima di proferir verbo, con l'ennesimo movimento, stavolta speculare al primo. [ Ambient per Kaime ]
Riportare gli Ishiba alla gloria, risollevare Kusa dalla ciminalità. risposte generiche che suonano dalle tue stesse labbra come inconsistenti, prive di reali intenzioni. Non che siano farlse, ma sono solo- la facciata. La superficie che mostri per evitare che gli altri vedano il reale motivo per cui ti muovi, per cui respiri, per cui il tuo cuore batte, persino. Ed Anaka sorride, amara in quell'espressione, ma felice di udire quelle successive parole, la voce bloccarsi nel singulto di un pianto sommesso, singhiozzato. Si volta e si avvicina con passi piccoli e leggeri. Giunge nei pressi del letto per poggiare la mano sul tuo viso in un contatto gentile. Il palmo disteso sulla gota inumidita dalla frustrazuone, dalla tristezza. Ed è allora che potrai notare, se alzerai gli occhi sul suo viso, una scintilla trasparente che le scivola giù da quegli occhi sicuri, grandi, ma ora velati delle stesse sensazioni che provi tu, che ti si bloccano in gola impedendoti persino di pronunciare il suo nome. < Lo so, lo so... > Sussurra, la voce non rotta dal pianto, ma che si piega alla lacerante sensazione che lo ha scaturito. Il pollice ti asciuga debolmente lo zigomo, privandolo da quelle stille di dispiacere incontrollato. < E' triste. Avvilente. > Prosegue, mentre vedrai la stannza attorno a te cambiare. Il colore delle pareti mutare da bianco a nero, la finestra sparire assieme alla sbarra, all'armadio, persino al letto. Il pavimento ed il soffitto a riprendere il nuovo colore delle pareti, mentre tu sarai semplicemente adagiata al suolo con cura, senza che tu possa effettivamente comprendere cos'è che ti sta cullando in quel moto così aggraziato verso un pavimento che non riconoscerai più come il familiare parquet di camera tua. Un'altra stanza, completamente buia, ma di cui riuscirai ugualmente a scorgere gli unici due, semplici, pezzi d'arredamento. Una sedia al centro, due pesanti bracciali in ferro aperti in corrispondenza di polsi e caviglie di chi ha la sfortuna di sedervisi. Lo schienale rivolto verso di voi e, lì davanti, uno specchio. Alto, che si estende in verticale e che prenderebbe facilmente la tua figura, se ti mettessi in piedi dinanzi ad esso. Non sembra poggiato a nulla, pare quasi fluttuare nell'aria, benché non si muova come se fosse ancorato realmente ad una parete. Anaka è lì in piedi, di fronte a te, che ti tende la mancina per aiutarti a rialzarti. < Rifletterti nei suoi occhi e notare con orrore che non ti trova abbastanza- > Le parole le muoiono in gola, nessun aggettivo viene aggiunto, perché non serve. Abbastanza blla, abbastanza perfetta, abbastanza intelligente o capace. Non sei abbastanza, quando ti vedi coi suoi occhi. E, di conseguenza, con i tuoi. < Non sono qui per dirti che non è per lui che devi vivere. Non sono qui per sciorinare parole inutili su quanto devi voler bene a te stessa in funzione solo ed unicamente di quel che pensi tu e non lui. Sono qui per mostrarti a cosa questo ti porterà. A cosa ha portato anche me. > Si ferma nel proprio dire così come s'arrestano le sue lacrime silenti. < Sono qui per mostrarti la realtà delle cose. Cruda e diretta. Per evitare che tutto questo non ti uccida come ha fatto più e più volte con me. > [ Ambient per Kaime ]
Una sala che Anaka conosce bene, fin troppo bene. Una sala delle torture, in cui ha vissuto per molto, troppo tempo. Da ambo le parti, torturatrice e torturata. E tu-- tu non capisci bene il perché di quanto stia accadendo, il perché di quelle azioni, di quelle lacrime, di quel luogo che vi accoglie e vi spaventa entrambe. Ciò che si scorge negli occhi di quella che è stata la tua sensei è umanità, timore, preoccupazione. Così innaturale, su di un volto così candido e gelido. Le tue domande le arrivano, giustificate dalle sensazioni che l'oppressione di quella sala buia ti fa scaturire nell'animo. < Questa è stata, per tanto tempo- casa mia. > Risponde, senza chiarir bene i tuoi dubbi. Ma è finito il tempo per idee appena accennate, parole complesse ed enigmi che nascondono il vero significato di quella preoccupazione quasi materna. < Soo originaria di Konoha, una criminale fin dall'iniio della mia vita. Poi- poi ho visto riflesso negli occhi di un uomo la mia immagine e... ho smesso d'essere io. > Chiarisce, lasciando la tua mano ed andando a compiere ampie falcate verso la sedia che rivolge a voi lo schienale ed il fronte allo specchio < Occhi grandi, profondi, neri... > Nella voce la stessa ammirazione e malinconia che ha potuto vedere in te, nel rimirare le iridi indaco del tuo amato fratello. Amato e basta, a dirla tutta. < Mi ha punita come meritavo, ma vide qualcosa in me, qualcosa che lo portò ad interessarsi a me. E mi ha portato a cambiare vita. Me ne sono innamorata, perdutamente. Lo seguivo ovunque e, anche quando non lo facevo, vedevo in ogni volto i suoi folti capelli corvini, sentivo ovunque andassi il familiare odore di nicotina, quell'accenno di barba perfettamente curata, la sua costante ricerca dell'arte nel mondo. > Si ferma, lo specchio non riflette la sua immagine, benché si metta dinanzi ad esso e lo guardi intensamente, come se stesse scrutando all'interno di se stessa. < Ma non ero abbastanza, per lui. Non mi ricambiava, non poteva. Ed io non volevo darmi pace. Così ho tentato di rassomigliare a quel che pensavo lui volesse vedere in me. Annullandomi, distruggendomi. > Un po' la storia della tua vita, no? La vera ragione per cui ti alzi al mattino, per cui vai nel bagno, ti orepari, per cui la tua immagine ti disgusta e quell'insano gesto che compi nel tentativo di piacergli. Karitama, il tuo più grande amore e la tua rovina al tempo stesso. < Vieni qui. Siediti e ti mostrerò come andrà a finire, se non capirai che inseguire un ideale impossibile porterà solo alla rovina, alla morte, alla distruzione. > E si volta verso di te, a guardarti dandoti l'impressione che non stia parlando neanche più con te, ma con se stessa. < Io l'ho capito troppo tardi, ma tu puoi ancora essere salvata. > Termina così, portando il proprio esile corpo a sostare accanto la macabra sedia, ripercorrendone lo schienale con le sottili dita. [ Ambient per Kaime ]
Non c'è molto da dire, nemmeno Anaka lo fa, nemmeno lei osa proferir verbo, chiosar parola che possa interrompere quanto sta per mostrarle. Ti siedi su quella lugubre postazione e gli anelli posti in corrispondenza di polsi e caviglie si chiudono in un tonfo sordo, metallico. Prigioniera, gli anelli sembrano adattati perfetamente alle esili giunture di te che ci sei seduta adesso. Sono rigidi, freddi, ti tengono bloccata senza possibilità di fuggire. E lo specchio non riflette né la tua immagine, né quella di Anaka, in piedi accanto a te. Ti poggia la mano sulla spalla, per non farti sentir sola in quella tortura in cui lei stessa è stata sola. La superficie riflettente prende a trasmettere immagini. Immagini a te familiari, piccola Kaime. La tua immagine. Ti alzi, vai in bagno, ti prepari e ti chini su quell'inserto in ceramica in cui riversi la tua anima ogni mattina. Lo fai, compi quell'insano gesto per la prima volta. Poi ancora, le immagini tornano indietro e si ripetono, ma tu cambi. La tua figura si assottiglia, sputi sangue, le ossa si scontrano con la pelle che si assottiglia sempre di più. Non hai più carni, altro non sei che ossa tenute insieme da tessuti fin troppo deboli per reggerti in piedi. I denti ingialliscono, cadono non ben retti dalle gengive che cessano di far presa su ogni osso ad esse collegate. Ti sembra quasi di avvertirne l'odore, l'odore della marcescenza, della putrefazione. I capelli ti si assottigliano mentre le immagini si ripetono ancora ed ancora, mentre l'infausto atto viene ripetuto per la centesima, millesima volta. Cadono, non fuoriesce altro che sangue dalle tue labbra quasi scarnificate. Le poche forme che ancora hai svaniscono, si annullano, si appiattiscono contro le ossa che diventano sempre più visibili, facendoti rassomigliare ad uno scheletro. Non come l'arte impone, come canonica figura di bellezza, tutt'altro. Un informe ammasso di figure discordanti. E ancora vomiti, ancora ed ancora, mai soddisfatta da quel che vedi nello specchio. L'ossessione diviene tale da farti dimenticare persino la ragione per cui sei al mondo. Mangi, per evitare le preoccupazioni di Karitama, ma lo stomaco non regge più, non assimila più ed inizi a deperire, finché, stanca, non ti accasci al suolo. Le labbra, praticamente inesistenti, riportano solo le insegne del sangue raggrumato, le iridi ambrate spente e vuote, il corpo ridotto a poco più che polvere. L'immagine cambia, adesso, portandoti a vedere una lapide, una toba che riporta il tuo nome. Kaime Ishiba. E tuo fratello, il tuo amato Karitama, impazzito per il dolore di averti persa, che piange disperatamente su ciò che resta della sorella, su quella giovane che nel tempo ha distrutto il proprio corpo nel vao tentativo di piacergli. Poi, tutto si spegne. Nello specchio vi siete solo tu, seduta ed imprigionata su quella sedia, e lei, Anaka. Ti accarezza debolmente la spalla, assicurandosi che tu abbia potuto capire, almeno in parte, quel che lei ha bisogno di farti comprendere. < Devi amarti. Non è una scelta che puoi o non puoi fare. Devi e basta. O morrai, lasciando solo vuoto nelle vite delle persone che ti vogliono bene, ma che tu sei troppo cieca ed ingorda per notare. Quello sguardo che ti rivolge, sebbene non sia quello che vorresti tu, è qualcosa che devi apprezzare. No ci sarebbe mancanza di rispetto più grande, se non lo facessi. > E tali sono le parole che ti rivolge, dopo aver assistito con te, in pochi minuti, allo scenario più probabile del tuo continuare a vivere la tua stessa vita in quel modo. [ Ambient per Kaime ]
Quelle immagini ti feriscono, feriscono entrambe, ma altro non sono che la più cruda delle verità. E la verità, come fosse una legge del mondo stesso, può fare molto molto male. Lo specchi svanisce davanti ai tuoi occhi ed altro non resta che Anaka e tu, piccola Kaaime, ancora bloccata a quella scomoda seduta. Le parole che pronunci non trovano una risposta verbale sin da subito, ma la mano della sensei si stringe attorno la tua spalla, le unghie lunghe ti graffiano debolmente la pelle per qualche istante, prima che venga rilasciata ed il braccio ricade molle lungo il suo fianco. < Sì. > Risponde semplicemente. Si scosta, poi, per mettersi di fronte a te ed abbassarsi, china sulle proprie ginocchia a guardarti egli occhi. Occhi velati di lacrime che trovano quelli rosati gemelli della stessa emozione a sfuggile dalle pallide palpebre. < Non si tratta di distaccarti totalmente da lui, prima di muoverti, se senti l'esigenza di avvisarlo fallo pure. Lasciagli una lettera, un oggetto o quel che è. Ma salvati, tu che sei ancora in tempo. > Parole pronunciate a voce bassa, sottile e dolce. Un premuroso monito, prima di poter, poi, proseguire. < Andrò io da lui, gli farò disporre quanto ti ha offerto. > Un posto a Kooha, lontano da tutt e da tutti, per riprenderti un po' di quella vita che stavi lentamente distruggendo in nome di qualcosa di profondamente ingiusto. < Io sarò qui fuori, ti accompagnerò alla Magione del tuo clan, così che tu possa soddisfare anche quelle generiche aspirazioni che, così, potranno prendere forma e corpo. > Solo questo dice, prima di allungarsi a poggiare un bacio sulla tua fronte, nascosta parzialmente dai capelli disordinati. Poi, senza il canonico rombo di tuono, scompare. E tutto si dissolve. Kaime è ancora nel proprio letto, nascosta e protetta da lenzuola e coperte. La pioggia non batte sulla casa, l'orologio segna le otto del mattino. Eppure, che lei pensi si sia trattato solo di un macabro incubo oppure no, ci sarà qualcuno ad attenderla fuori casa propria, pronta a prendere atto della decisione della Ishiba. Uscire e ribellarsi a quell'infausto destino di cui ha avuto solo un timido assaggio o proseguire e constatare se, quanto ha appena visto, si avvererà. [ end ]