Amor proprio

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La mattinata è appena iniziata. Saranno le otto del mattino o poco meno. Karitama starà dormendo ancora tranquillo o, quantomeno, la giovane Ishiba non l'ha visto girare per casa o compiere alcun rumore all'interno dell'abitazione che condividono. Non v'è rumore di pioggia, né se ne sente l'odore dell'aria. Ma tu, Kaime, tu stai semplicemente dormendo beata. Non un incubo a turbare il tuo sonno, non un fastidio a giungere alle tue orecchie in quegli ultimi istanti che ti separano dalla veglia. Ciò che di notte hai potuto vedere è solo il caratteristico paesaggio di Ame, bella come te la ricordavi, se non addirittura di più. Viva, concreta e vicina a te in ogni sua sfaccettatura. Così vivida da poter quasi pensare che, al tuo risveglio, potrai uscire e ritrovarti ad inalare l'odore della pioggerellina leggera, priva dell'olezzo della ruggine che tanto odi. Ma è solo un sogno, null'altro che una vana illusione. Non c'è sveglia a destarti, ma il rombo di un tuono che, secco e deciso, squarcia il cielo del Villaggio dell'Erba. Entra nelle tue orecchie come se provenisse da pochi centimetri di distanza dal tuo viso. E, riaprendo gli occhi, non vedrai altro che il soffitto di camera tua, così come te la ricordavi. La tempesta a battere violentemente sul tetto della casa. La camera è bianca, ampia, tutto sarà al proprio canonico posto, senza privazioni o spostamenti di mobilio. V'è, però, un'aggionta. Una figura in nero, il lungo vestito che avvolge un corpo esile, slanciato, le gambe sottili nude a terminare in un paio di tacchi verniciati di viola scuro. Una treccia rosata scende lungo la spalla destra di quella figura posta in perfetto equilibrio sulla sbarra che tutti i giorni utilizzi per gli esercizi di danza. Le iridi grandi, tondi quegli occhi puntati sulla tua figura forse ancora dormiente, forse appena ridestatasi per il fortissimo rumore del tuono che ha anticipato l'apparizione di quella figura. Anaka, che ormai sembra seguirti ovunque, in qualunque istante, si trova lì. In piedi a far da contrasto con la parete bianca, l'incarnato diafano non esprime alcuna emozione superficialmente individuabile. Si tiene sulle punte in piedi sulla sbarra, ma pare non vi stia nemmeno realmente pesando. < Buongiorno. > Pronuncia, le labbra piene che sono di poco più scure del viso pallido, ma che rilasciano un vociare tranquillo, pacato e sottile, non di troppo dissimile da un dolce saluto di una madre o di un amante, addirittura. E permane lì, ferma, ad aspettare solo una reazione, un gesto, nel silenzio di quella casa che pare quasi non essere vissuta da altre figure oltre quella della neo genin. [ Ambient per Kaime ]

11:19 Kaime:
 Ame, la sua Ame che le riempie il cuore, che la riporta ad un passato felice, ad un passato da bambina...quando giocava sotto la pioggia, ritrovandosi puntualmente raffreddata il giorno dopo, quando restava ferma avanti la finestra quando sapeva che il padre avrebbe fatto ritorno dopo giorni di assenza, la cui figura impediva alla pioggia di battere al suolo. La vegetazione che, perennemente idratata, aveva un colore così chiaro, così caratteristico, o ancora le tazze di cioccolata calda che beveva con il fratello, mentre la madre si improvvisava marionettista, creando delle storie che origami umanoidi andavano a recitare, con l'ausilio della femminea voce. La sua Ame, ma in questo scenario un tuono...un rombo la fa sussultare, un tuono che la fa spalancare gli occhi, i quali potranno vedere il suo solito soffitto, bianco. Un'espressione di delusione nasce su quel viso, una delusione che quasi la porta al pianto. Il corpo andrebbe a ergersi, assumendo una posizione seduta su quel talamo, fuoriuscendo il busto da sotto le lenzuola e le coperte. Il busto è coperto da solo un reggiseno bianco, poco più grande della sua taglia, essendo un indumento della madre, in quanto i suoi vestiti sono ad asciugare. I capelli, lunghi e smeraldini, cadono disordinati su entranbe le spalle. Una mattina, mediocre, come tante, se non fosse per quel saluto. Quel 'buongiorno' la portan ad esser conscia del fatto che vi fosse un'altra figura. Gli occhi schizzerebbero in quella direzione, mettendo a fuoco quella figura, la sua sensei. Gli occhi si spalancerebbero e di impulso le coperte verrebbero tirate sul, misero, décolleté, mantendendo quel manto di stoffa sopra le sue forme con entrambe le mani. Rosee disidratate vengon schiuse, andando a bofonchiare un timido..<s-salve...lei che ci fa qui?> andando in seguito, ricordandosi i vari gradi che le differenziano, ad aggiungere, quasi a mo' di scuse <...sensei>, attendendo quindi il dire dell'altra, che non si sarebbe mai aspettata di ritrovare nella sua stanza.

E ti svegli, cerchi di coprirti come meglio puoi nel caldo abbraccio delle coperte, ma a lei - ad Anaka - sebra non importare nessun altro dettaglio che non sia sul tuo viso. Ti scruta, le iridi rosa non viaggiano in nessun altro punto che le possa allontanare dal tuo sguardo. Non ha parole per commentare quella tua reazione, nemmeno di fronte all'iniziale irrispetto mostratole, poi immediatamente corretto. Allunga la gamba sinistra e si lascia cadere al suolo, sul parquet, in un gesto elegante e sinuoso che non emana nessun suono se non un singolo ticchettio delle scarpe sul legno. Si volta, dandoti le spalle per poggiare le mani alla sbarra, entrambe poggiate sul ferro freddo. Le gambe vanno a giungersi, i piedi posti in parallelo con le punte dei piedi rivolte verso l'esterno. Si mette in quarta, classica posa da ballerina. La mancina s'alza dalla sbarra per accarezzare l'aria con dolcezza in un semiarco che va a tracciare dal capo fino al fianco, le gambe si flettono accompagnando quel movimento. Poi torna dritta, silente in principio. Ancora ti da le spalle, ma la voce calda e melliflua ti arriva come se le di lei labbra ti fossero poggiate a pochi millimetri dall'orecchio. < Sono qui per parlare. Solo io e te. Nessun altro può sentirci. > Precisa, conscia del fatto che nonsarai pienamente sincera con lei se avessi il timore che le tue parole potrebbero arrivare alle orecchie di Karitama, destandolo dal sonno profondo o, peggio, rendendolo partecipe dei tuoi pensieri più scabrosi ed intimi. < Cosa fai qui? Perché ti alzi al mattino? Perché ti addormenti la sera? Perché sei divenuta una kunoichi? > Una serie di domande poste con lentezza, la grazia che ha nei movimenti si riflette perfettamente nella sua voce che scandisce quel verbiare sottile, cadenzato, degno del più esperto ipnotista. < Voglio che tu mi parli di cosa provi, di cosa senti. Senza filtri, senza timori.Come ti ho già detto, credo di sapere quel che provi. > Non puoi vederla, ma puoi comprendere dal tono di voce che scema di intensità che il suo viso si corruccia in un'espressione di malinconia e profondo dolore. un dolore quasi fisico, non di troppo dissimile da quello che tu stessa provi ogni mattina, guardandoti allo specchio, disgustata da ciò che vedi, impotente dinanzi alla consapevolezza di non essere abbastanza, non capendo quanto puoi fare per piacergli, per trovare un rimando in quell'ammirazione che tu provi per lui, per Karitama. < Temo > Prosegue, si corregge, dichiarando quanto quel pensiero le faccia - a tutti le effetti - paura. < -di sapere quello che provi. Ogni giorno, ogni notte, ogni volta che lo guardi, che ti guardi. > Termina così, compiendo l'esercizio che aveva accennato prima di proferir verbo, con l'ennesimo movimento, stavolta speculare al primo. [ Ambient per Kaime ]

12:09 Kaime:
 Gli occhi seguono la sensei, la seguono nel suo incedere, la seguono nel suo avvicinarsi alla sua amata sbarra e la osservando, straniti ma ammirati, nell'eseguire quei passi di danza, semplici, ma la complessità sta nel non mostrar fatica nell'eseguirli. Poi arriva quel dire, quella rassicurqzione riguardante il non poter esser udita da terzi, quelle domande riguardandi la routine e le aspirazioni e, come già successo, quell'ammissione, quella dichiarazione di esser nella morsa di un amore impronunciabile ed da tener celato. Gli occhi non riescono più a tener lo sguardo fisso sulla genjutser, cadono, stanchi, osservando le proprie mani che perdon la forza di coprirla. Osserverebbe quelle dita, che andrebbero a stringere le coperte con forza, tanto da stirare la pelle, metter in evidenza le vene presenti sul dorso della mano. Le coperte, a loro volta, vittime di questa stretta, andrebbero a creare tante pieghe, quasi fossero onde di una tempesta in mare aperto...mare aperto, dove si sente ora Kaime. Le rosee si schiudono, ma la voce si ferma in gola, non riuscendo a pronunciare quelle parole così dure, così segrete. L'unica cosa che può aiutarla è cominciare dalle risposte più banali...<voglio essere Kunoichi per riportare in alto il mio clan, dove deve essere. Da quando gli Ishiba si sono trasferiti a Kusagakure non sono mai stati valorizzati. Abbiamo un esponente così importante...figlia stessa di Konan, ma gli Ishiba sono solo un nessuno in questa società. Altra ragione per cui voglio diventare Ishiba è cambiare le cose. Sa meglio di me quanto questa città sia vittima di criminalità di ogni sorta...> Direbbe, prima di riprendere fiato, idratandosi le labbra con un leggero tocco di lingua, in un gesto aggraziato e mai volgare. Ecco che la prima risposta è stata riferita, ma ora...<la mattina mi alzo per...> E null'altro, la voce scompare, quasi vi fosse un sistema di difesa, un allarme che le pietrifica le corde vocale. Non riesce a dire che si sveglia per lui, che vive per lui, non riesce neanche a dire 'per mio fratello' perché non è vero...lei lo fa per l'uomo che ama più di quanto possa amare la vita stessa. Incapace di muoversi, incapace di parlare e, come gesto di sfogo per tutto quello stress, di colpo i singhiozzi si presentano, gli occhi cominciano a rilasciare lacrime, lacrime che le scendono copiose lungo le gote, la bocca che si corruccia, gli occhi che si chiudono e quel orribile suono continuo che il pianto porta con sè. Non riuscirebbe neanche più a vedere quel passo di danza, speculare al primo, portato a compimento con tanta grazia ed eleganza, oltre che bravura. Resterebbe lì di sasso, con solo una voglia di sparire dal pianeta.

Riportare gli Ishiba alla gloria, risollevare Kusa dalla ciminalità. risposte generiche che suonano dalle tue stesse labbra come inconsistenti, prive di reali intenzioni. Non che siano farlse, ma sono solo- la facciata. La superficie che mostri per evitare che gli altri vedano il reale motivo per cui ti muovi, per cui respiri, per cui il tuo cuore batte, persino. Ed Anaka sorride, amara in quell'espressione, ma felice di udire quelle successive parole, la voce bloccarsi nel singulto di un pianto sommesso, singhiozzato. Si volta e si avvicina con passi piccoli e leggeri. Giunge nei pressi del letto per poggiare la mano sul tuo viso in un contatto gentile. Il palmo disteso sulla gota inumidita dalla frustrazuone, dalla tristezza. Ed è allora che potrai notare, se alzerai gli occhi sul suo viso, una scintilla trasparente che le scivola giù da quegli occhi sicuri, grandi, ma ora velati delle stesse sensazioni che provi tu, che ti si bloccano in gola impedendoti persino di pronunciare il suo nome. < Lo so, lo so... > Sussurra, la voce non rotta dal pianto, ma che si piega alla lacerante sensazione che lo ha scaturito. Il pollice ti asciuga debolmente lo zigomo, privandolo da quelle stille di dispiacere incontrollato. < E' triste. Avvilente. > Prosegue, mentre vedrai la stannza attorno a te cambiare. Il colore delle pareti mutare da bianco a nero, la finestra sparire assieme alla sbarra, all'armadio, persino al letto. Il pavimento ed il soffitto a riprendere il nuovo colore delle pareti, mentre tu sarai semplicemente adagiata al suolo con cura, senza che tu possa effettivamente comprendere cos'è che ti sta cullando in quel moto così aggraziato verso un pavimento che non riconoscerai più come il familiare parquet di camera tua. Un'altra stanza, completamente buia, ma di cui riuscirai ugualmente a scorgere gli unici due, semplici, pezzi d'arredamento. Una sedia al centro, due pesanti bracciali in ferro aperti in corrispondenza di polsi e caviglie di chi ha la sfortuna di sedervisi. Lo schienale rivolto verso di voi e, lì davanti, uno specchio. Alto, che si estende in verticale e che prenderebbe facilmente la tua figura, se ti mettessi in piedi dinanzi ad esso. Non sembra poggiato a nulla, pare quasi fluttuare nell'aria, benché non si muova come se fosse ancorato realmente ad una parete. Anaka è lì in piedi, di fronte a te, che ti tende la mancina per aiutarti a rialzarti. < Rifletterti nei suoi occhi e notare con orrore che non ti trova abbastanza- > Le parole le muoiono in gola, nessun aggettivo viene aggiunto, perché non serve. Abbastanza blla, abbastanza perfetta, abbastanza intelligente o capace. Non sei abbastanza, quando ti vedi coi suoi occhi. E, di conseguenza, con i tuoi. < Non sono qui per dirti che non è per lui che devi vivere. Non sono qui per sciorinare parole inutili su quanto devi voler bene a te stessa in funzione solo ed unicamente di quel che pensi tu e non lui. Sono qui per mostrarti a cosa questo ti porterà. A cosa ha portato anche me. > Si ferma nel proprio dire così come s'arrestano le sue lacrime silenti. < Sono qui per mostrarti la realtà delle cose. Cruda e diretta. Per evitare che tutto questo non ti uccida come ha fatto più e più volte con me. > [ Ambient per Kaime ]

12:55 Kaime:
 Lacrime che cadono come rugiada su petalo di ciliegio, questo è quello che accomuna le due donne, le due 'non troppo...' per l'uomo che amano. E poi nulla...nessun muro bianco, alcuna sbarra, perfino i mobili scompaiono, lasciando la genin cadere al suolo, ma accompagnata nella discesa da un qualcosa di non definito, di non definibile. La sua figura prenderebbe, per la prima volta oggi, una posizione retta, facendo forza sulle leve inferiori e, aiutandosi con la propria mancina, tenuta al suolo schiusa, a dar spinta al movimento, la destra andrebbe a stringer quella della sensei, che si è prestata ad aiutarla, ma comunque, grazie a quella spinta autoindotta, la Ishiba andrebbe, in ogni caso, a richiedere il minimo sforzo alla donna. Le lacrime, anche dopo l'intervento della genjutser, continuerebbero a scendere, pesanti ed amare, fino a quella visione di assoluto nero. Le lacrime cesserebbero quasi intimorite, mentre gli occhi andrebbero a scrutare gli unici due oggetti in tan loco: una sedia fissata al suolo, dove presenta, ai piedi della seduta e sui braccioli degni anneriti e metallici anelli, aperti a metà, così da esser pronti per immobilizzare gli arti corrispondenti; il secondo elemento, invece, è uno specchio, grande e...levitante. Uno specchio, una mera superficie che raccoglie in sé un universo fatto di dolore, imperfezione, azioni autolesioniste...fatto di morte. La giovane non compirebbe un passo, non muoverebbe un muscolo, se non quelli del collo che le permetton, così, di girarsi verso Anaka, verso la quale chioserebbe irrequieta..<dove siamo? Che ci facciamo qui?>. La voce è satura di ansia, di irrequietezza, di paura. Non è la prima volta che un'eventuale illusione della kunoichi dal roseo manto la porterebbe ad aver paura, ma questa volta non vi è la sua figura che si scioglie, non vi è un finto Karitama che la fronteggia...vi è la sua vita...lo specchio e la tortura, elementi di un singolo e tetro spettacolo...l'epitaffio riportante Kaime Ishiba.

Una sala che Anaka conosce bene, fin troppo bene. Una sala delle torture, in cui ha vissuto per molto, troppo tempo. Da ambo le parti, torturatrice e torturata. E tu-- tu non capisci bene il perché di quanto stia accadendo, il perché di quelle azioni, di quelle lacrime, di quel luogo che vi accoglie e vi spaventa entrambe. Ciò che si scorge negli occhi di quella che è stata la tua sensei è umanità, timore, preoccupazione. Così innaturale, su di un volto così candido e gelido. Le tue domande le arrivano, giustificate dalle sensazioni che l'oppressione di quella sala buia ti fa scaturire nell'animo. < Questa è stata, per tanto tempo- casa mia. > Risponde, senza chiarir bene i tuoi dubbi. Ma è finito il tempo per idee appena accennate, parole complesse ed enigmi che nascondono il vero significato di quella preoccupazione quasi materna. < Soo originaria di Konoha, una criminale fin dall'iniio della mia vita. Poi- poi ho visto riflesso negli occhi di un uomo la mia immagine e... ho smesso d'essere io. > Chiarisce, lasciando la tua mano ed andando a compiere ampie falcate verso la sedia che rivolge a voi lo schienale ed il fronte allo specchio < Occhi grandi, profondi, neri... > Nella voce la stessa ammirazione e malinconia che ha potuto vedere in te, nel rimirare le iridi indaco del tuo amato fratello. Amato e basta, a dirla tutta. < Mi ha punita come meritavo, ma vide qualcosa in me, qualcosa che lo portò ad interessarsi a me. E mi ha portato a cambiare vita. Me ne sono innamorata, perdutamente. Lo seguivo ovunque e, anche quando non lo facevo, vedevo in ogni volto i suoi folti capelli corvini, sentivo ovunque andassi il familiare odore di nicotina, quell'accenno di barba perfettamente curata, la sua costante ricerca dell'arte nel mondo. > Si ferma, lo specchio non riflette la sua immagine, benché si metta dinanzi ad esso e lo guardi intensamente, come se stesse scrutando all'interno di se stessa. < Ma non ero abbastanza, per lui. Non mi ricambiava, non poteva. Ed io non volevo darmi pace. Così ho tentato di rassomigliare a quel che pensavo lui volesse vedere in me. Annullandomi, distruggendomi. > Un po' la storia della tua vita, no? La vera ragione per cui ti alzi al mattino, per cui vai nel bagno, ti orepari, per cui la tua immagine ti disgusta e quell'insano gesto che compi nel tentativo di piacergli. Karitama, il tuo più grande amore e la tua rovina al tempo stesso. < Vieni qui. Siediti e ti mostrerò come andrà a finire, se non capirai che inseguire un ideale impossibile porterà solo alla rovina, alla morte, alla distruzione. > E si volta verso di te, a guardarti dandoti l'impressione che non stia parlando neanche più con te, ma con se stessa. < Io l'ho capito troppo tardi, ma tu puoi ancora essere salvata. > Termina così, portando il proprio esile corpo a sostare accanto la macabra sedia, ripercorrendone lo schienale con le sottili dita. [ Ambient per Kaime ]

11:50 Kaime:
 Quelle parole, quelle melliflue parole che nascondono amarezza e putrefazione, non delle carni ma di quell'animo femminile, che come il suo, sta piegandosi e frammentandosi per una sola persona da milioni. Quell'accenno sulla biografia della genjutser, in più le ricordano quello strano shinobi konohano, presentatosi durante una missione con il fratello, che come lui, condivide il vizio odioso del fumo. La richiesta successiva della genjutser andrebbe ad essere quella di far accomodare la neo-genin su quella poltrona, che le fa paura quasi quanto lo specchio, semplicemente per il non sapere cosa le potrebbe accadere. Le leve inferiori ai alternano, dando, democatricamente, il ruolo principale all'una ed in seguito alla gemella, in un incedere, svolto su mezzapunta di piedi, in un movimento ancheggiato e lento. Il corpo, ormai completanente scoperto dalle lenzuola, andrebbe a dimostrarsi per quello che è, sodo, tonico, per quanto troppo magro, ricoperto solo da quel reggiseno bianco, dalle coppe troppo grandi per lei, e da delle bretelle evidentemente strette per permetterle una concezione più comoda dell'indumento, e da una culotte dello stesso colore, che andrebbe aderentemente a ricoprire le intimità inferiori di quel femmineo corpo. Capelli ondeggianti alle sue spalle caratterizzano quel movimento, fino a giungere a quella sedia. Si volterebbe, andandosi a sedere lentamente, aderendo la schiena allo schienale e portando ogni arto nell'anello corrispondente. Inutile scappare a quei vincoli...se Anaka ha deciso di rinchiuderla in quelle morse lo farebbe comunque, quindi inutile scappare. Il capo si alzerebbe, così che la kunoichi possa ri-incontrare le ambrate iridi della Ishiba, iridi curiose ma preoccupate allo stesso tempo, intimorite da quello che potrebbe accadere.

Non c'è molto da dire, nemmeno Anaka lo fa, nemmeno lei osa proferir verbo, chiosar parola che possa interrompere quanto sta per mostrarle. Ti siedi su quella lugubre postazione e gli anelli posti in corrispondenza di polsi e caviglie si chiudono in un tonfo sordo, metallico. Prigioniera, gli anelli sembrano adattati perfetamente alle esili giunture di te che ci sei seduta adesso. Sono rigidi, freddi, ti tengono bloccata senza possibilità di fuggire. E lo specchio non riflette né la tua immagine, né quella di Anaka, in piedi accanto a te. Ti poggia la mano sulla spalla, per non farti sentir sola in quella tortura in cui lei stessa è stata sola. La superficie riflettente prende a trasmettere immagini. Immagini a te familiari, piccola Kaime. La tua immagine. Ti alzi, vai in bagno, ti prepari e ti chini su quell'inserto in ceramica in cui riversi la tua anima ogni mattina. Lo fai, compi quell'insano gesto per la prima volta. Poi ancora, le immagini tornano indietro e si ripetono, ma tu cambi. La tua figura si assottiglia, sputi sangue, le ossa si scontrano con la pelle che si assottiglia sempre di più. Non hai più carni, altro non sei che ossa tenute insieme da tessuti fin troppo deboli per reggerti in piedi. I denti ingialliscono, cadono non ben retti dalle gengive che cessano di far presa su ogni osso ad esse collegate. Ti sembra quasi di avvertirne l'odore, l'odore della marcescenza, della putrefazione. I capelli ti si assottigliano mentre le immagini si ripetono ancora ed ancora, mentre l'infausto atto viene ripetuto per la centesima, millesima volta. Cadono, non fuoriesce altro che sangue dalle tue labbra quasi scarnificate. Le poche forme che ancora hai svaniscono, si annullano, si appiattiscono contro le ossa che diventano sempre più visibili, facendoti rassomigliare ad uno scheletro. Non come l'arte impone, come canonica figura di bellezza, tutt'altro. Un informe ammasso di figure discordanti. E ancora vomiti, ancora ed ancora, mai soddisfatta da quel che vedi nello specchio. L'ossessione diviene tale da farti dimenticare persino la ragione per cui sei al mondo. Mangi, per evitare le preoccupazioni di Karitama, ma lo stomaco non regge più, non assimila più ed inizi a deperire, finché, stanca, non ti accasci al suolo. Le labbra, praticamente inesistenti, riportano solo le insegne del sangue raggrumato, le iridi ambrate spente e vuote, il corpo ridotto a poco più che polvere. L'immagine cambia, adesso, portandoti a vedere una lapide, una toba che riporta il tuo nome. Kaime Ishiba. E tuo fratello, il tuo amato Karitama, impazzito per il dolore di averti persa, che piange disperatamente su ciò che resta della sorella, su quella giovane che nel tempo ha distrutto il proprio corpo nel vao tentativo di piacergli. Poi, tutto si spegne. Nello specchio vi siete solo tu, seduta ed imprigionata su quella sedia, e lei, Anaka. Ti accarezza debolmente la spalla, assicurandosi che tu abbia potuto capire, almeno in parte, quel che lei ha bisogno di farti comprendere. < Devi amarti. Non è una scelta che puoi o non puoi fare. Devi e basta. O morrai, lasciando solo vuoto nelle vite delle persone che ti vogliono bene, ma che tu sei troppo cieca ed ingorda per notare. Quello sguardo che ti rivolge, sebbene non sia quello che vorresti tu, è qualcosa che devi apprezzare. No ci sarebbe mancanza di rispetto più grande, se non lo facessi. > E tali sono le parole che ti rivolge, dopo aver assistito con te, in pochi minuti, allo scenario più probabile del tuo continuare a vivere la tua stessa vita in quel modo. [ Ambient per Kaime ]

12:33 Kaime:
 Un rumore sordo è quello che ode la giovane, con un conseguente freddo ai polsi e alle caviglie, un freddo che ne penetra le carni, che le fa avere un brivido che corre lungo la schiena, un brivido che quasi fa male, ma un dolore istantaneo, un dolore che permane il tempo necessario affinché il corpo si abitui, trovando un equilibrio termico tra il metallico oggetto e la sua epidermide. Non è impaurita, se lo aspettava, soprattutto per la presenza, al fianco della sua figura, della sensei Anaka. Lo specchio non riflette nulla, né al genin ne la genjutser. I secondi passano, le iridi cercano, confuse, qualcosa da notare, forse il tutto è solo basato sul vincolo che a stringe per darle il tempo di pensare sulla sua vita, ma non è così, o meglio...lo specchio prende a riflettere, o meglio, diviene uno schermo che palesa le immagini di Kaime. Il giorno del suo primo gesto, non potrebbe mai dimenticarlo, quando ebbe problemi a svolgere quell'atto, ma che con il tempo ha preso 'abilità' nel commettere, poi susseguono altre immagini, immagini che le fanno spalancare gli occhi, immagini di lei sempre più magra, sempre più ossuta, sempre più spenta, immagini di una Kaime che non conosce, e continuano, continuano, fino a giungere all'ultimo di quella innumerevole serie di insani gesti, ma questa volta non vi è il solito repertorio, vi è una Kaime che si accascia a terra, esalante del suo ultimo respiro. Nel frattempo gli occhi di idratano, diventan rossi, ma di colpo si spalancano...Karitama che piange sulla propria tomba, Karitama che venera quelle spoglie, che accarezza quell'epitaffio, inginocchiato al freddo suolo funereo. La testa cala, i capelli si portano avanti la suq faccia in una cascata di smeraldo, che va a far da scudo a quel viso ancora angelico, non corrotto da quel demonio. Le parole della genjutser giungono alle sue orecchie come pugnalate incandescenti mirate al di lei cuore. Le ascolta e le ripete in mente ancora ed ancora, fino a quando, dopo poco più di un minuto, andrebbe a replicare con una voce fredda, insensibile, come se avesse voluto spegnere il cervello perché questo le avrebbe impedito di pronunciarle...<Anaka...la persona di cui parlavi prima per caso è Azrael Nara?...> Direbbe, riprendendo fiato, per poi dire con assenza di pause, rimanendo alla fine senza fiato e dovendone riprendere una dose massiccia in maniera sonora...<ci ha detto che quando fossimo diventati genin ci avrebbe portato a Konoha, potresti contattarlo per me?> Le ultime parole andrebbero ad essere flebili, andrebbero a esser interrotte da un pianto, pianto nato per la decisione di allontanarsi dal fratello per avvicinarsi a se stessa, sperando che questo la perdonasse in un modo o nell'altro.

Quelle immagini ti feriscono, feriscono entrambe, ma altro non sono che la più cruda delle verità. E la verità, come fosse una legge del mondo stesso, può fare molto molto male. Lo specchi svanisce davanti ai tuoi occhi ed altro non resta che Anaka e tu, piccola Kaaime, ancora bloccata a quella scomoda seduta. Le parole che pronunci non trovano una risposta verbale sin da subito, ma la mano della sensei si stringe attorno la tua spalla, le unghie lunghe ti graffiano debolmente la pelle per qualche istante, prima che venga rilasciata ed il braccio ricade molle lungo il suo fianco. < Sì. > Risponde semplicemente. Si scosta, poi, per mettersi di fronte a te ed abbassarsi, china sulle proprie ginocchia a guardarti egli occhi. Occhi velati di lacrime che trovano quelli rosati gemelli della stessa emozione a sfuggile dalle pallide palpebre. < Non si tratta di distaccarti totalmente da lui, prima di muoverti, se senti l'esigenza di avvisarlo fallo pure. Lasciagli una lettera, un oggetto o quel che è. Ma salvati, tu che sei ancora in tempo. > Parole pronunciate a voce bassa, sottile e dolce. Un premuroso monito, prima di poter, poi, proseguire. < Andrò io da lui, gli farò disporre quanto ti ha offerto. > Un posto a Kooha, lontano da tutt e da tutti, per riprenderti un po' di quella vita che stavi lentamente distruggendo in nome di qualcosa di profondamente ingiusto. < Io sarò qui fuori, ti accompagnerò alla Magione del tuo clan, così che tu possa soddisfare anche quelle generiche aspirazioni che, così, potranno prendere forma e corpo. > Solo questo dice, prima di allungarsi a poggiare un bacio sulla tua fronte, nascosta parzialmente dai capelli disordinati. Poi, senza il canonico rombo di tuono, scompare. E tutto si dissolve. Kaime è ancora nel proprio letto, nascosta e protetta da lenzuola e coperte. La pioggia non batte sulla casa, l'orologio segna le otto del mattino. Eppure, che lei pensi si sia trattato solo di un macabro incubo oppure no, ci sarà qualcuno ad attenderla fuori casa propria, pronta a prendere atto della decisione della Ishiba. Uscire e ribellarsi a quell'infausto destino di cui ha avuto solo un timido assaggio o proseguire e constatare se, quanto ha appena visto, si avvererà. [ end ]

Ambient per la progressione personale di Kaime. Nel sonno le viene in soccorso Anaka, sua sensei e responsabile del suo esame per diventare Genin, preoccupata per le sue condizioni fisiche e psicologiche. Ne consegue uno scambio di confidenze tra le due e la finale proposta di Anaka di aiutare Kaime a ritrovare se stessa, allontanandosi da Kusa.