Legame
Free
Giocata del 12/06/2022 dalle 14:25 alle 20:51 nella chat "Piazza [Suna]"
14:30
Utente anonimo:
[Panchine] Per la Fennec è un giorno di sole, qualcosa di ideale per la Sabaku ed è sotto quei raggi che i corti chiari capelli, quasi bianchi, mostrano sfumature d’oro del colore delle sabbie così come gli occhi, tondeggianti e grandi che spiccano incastonati nel viso magro la cui carnagione non pare risentire del sole per natura propria. Le braccia ossute sono scoperte oltre le maniche assenti della casacca color sabbia, larga al punto da sembrare più una maglia da uomo sotto la quale i seni fasciati sono una linea invisibile di una femminilità che sembrerebbe altrimenti assenti. Pantaloni neri e comodi di tessuto terminano in scarponcini alti fino alle caviglie, fuori stagione e fin troppo caldi ma impolverati, l’aria usata che ha anche l’enorme zaino nero, il suo solito, alla sinistra di una delle panchine circolari su cui siede a gambe incrociate mangiando dal cartone con il simbolo di Ichiraku della soba. Non pare donare particolare attenzione a nessun passante se non che delle varie panchine sembra aver scelto una delle poche sotto il sole cocente, cosa in conflitto visibile con il suo pallore. Non ha un aspetto mendicante, salvo lo zaino, ma non presenta nemmeno alcun effetto addosso o segni di un qualsiasi benessere economico o di affetto ereditato, dalle braccia scomparsi mai i lividi e graffi che sono andati diradandosi insieme al pensiero di quell'incontro, ormai lasciato alle sue spalle [Panchine] In una panchina all'ombra, in quel di Suna, il genin sosta irrequieto ed al contrario della Fennec, l'incontro con ella non l'ha mai abbandonato, ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo la mente ha sostato in quel preciso attimo di vita rivivendo un inferno, lasciando emergere dolori, paure e tutti quei sentimenti contrastanti in grado di irrompere come fulmini a ciel sereno. Seduto sulla panca trattiene il braccio destro tramite l'uso della mano sinistra, le dita sono avvolte intorno all'avambraccio mentre il bruciore logora il corpo, sudore cola lungo le tempie impregnando l'intero viso. Occhi verdi ridotti a due fessure con pupille abbastanza piccole da esser quasi scomparse, denti digrignati lasciando emergere mugugni doloranti e sofferti. Il suo outfit rasenta il minimo indispensabile per non dar nell'occhio con una t-shirt bianca a maniche corte a ricoprire il busto lasciando intravedere un petto ustionato con carne viva esposta, pantalone in pelle nera con cinta intorno alla vita ricolma di borchie sulla fibbia e scarponcini neri lucidati a dovere; a ridosso di tutto un cappotto leggero dal nero colore con maniche lunghe ricoprendo l'ennesima ustione, esso discende lungo tutta la figura del mostro fino a metà polpaccio ed un cappuccio è sollevato sul capo evitando, in tal modo, sguardi di puro disgusto ed impedendo ad esterni di notare troppo nel dettaglio quel viso martoriato. Il viso, ne vogliamo parlare? Tutta la mascella è ustionata, così come il contorno degli occhi mentre i capelli risultano corti, brizzolati e spettinati con cappuccio adagiato sulla schiena ma una novità quest'oggi, al fianco della panca, incastonata nella sabbia, una Yari, ovvero una lancia per affrontare battaglie <Odio, la odio> parla, sbiascia con quelle poche forze concesse dal dolore inveendo contro la ragazza di cui non conosce neanche il nome. [Yari]14:56
Utente anonimo:
[Panchine] Il suo soba sembra esser l'unico pasto non solo di quel giorno, un po' per la sua palese magrezza eccessiva, un po' per l'ingordigia con cui vi si dedica. Viene ultimato il contenuto del cartone in pochi minuti e senza che altro distragga la Sabaku, come se non vi fosse altro di importante al mondo e tutto il resto non fosse che un miserevole strascico, quando risolleva gli occhi dalle note sabbiose le narici si stanno dilatando in un sospiro pieno ed appagato, il petto scarno viene rigonfiato e le labbra sottili e scure si schiudono per espirare sonoramente quella soddisfazione fattasi evidente. Satolla nei movimenti distende le gambe che erano incrociate posando il cartone vuoto per rialzarsi e riprendere l'enorme zaino nero, ci si chiede come faccia a non cadere di schiena finendo come una tartaruga visto lo spessore ma quando riprende quella scatola la missione di ricerca di un cestino non pare turbata dal suo carico. In quella ricerca visiva della zona la panchina di Akainu è una tra le tante ma la figura no: diversi tradizionalisti portano i bianchi drappi al capo in quel di Suna, gente dalla pelle mulatta principalmente, una strpe che non le appartiene, pochi invece con quel sole e quel caldo sono incappucciati come se stessero per irrompere armati in una banca, è solo per quel frangente dettaglio che la sua attenzione si fa più mirata e che riesce a cogliere solo un pezzo di quel profilo ustionato, un minuscolo brandello che affiorando oltre il tessuto diviene ricordo ed un ricordo che diviene teso, che stringe nervosamente il cartone tra le dita con il fare distratto di chi si attende un dolore lancinante che...però non arriva. Aveva ormai compreso che il pensiero di quell'incontro rendeva le sue vene un corpo lavico, ed è stato terribile imporsi di non pensare a qualcosa, ovviamente finendo a pensarci, obbligandosi a cercare distrazioni persino ludiche, eppure ora quel pensiero, con il dubbio iniziale, è ovvio ed è chiaro eppure i suoi polsi non sembrano risentirne mentre lei non sembra poter fare a meno di osservarli con stupore ignorando il cartone stritolato tra le mani. Forse non è lui? Ma comunque ci stava pensando, però la curiosità è padrona nella fennec, se non fosse l stesso individuo avrebbe un dubbio in meno ed il passo s'agita verso la panchina all'ombra come se quel cappuccio fosse foriero di dettaglio maggiore e celato, non vi gira intorno, ha un passo deciso e dritto nella direzione di Akainu [Panchine] La mente sta viaggiando come un treno in corsa, l'incendio divampa nel suo passato avvolgendo il futuro, il dolore del fuoco riemerge, l'odio emerge dalle ceneri verso coloro che l'hanno sempre tacciato, scacciato solo per un aspetto del tutto diverso dai normali canoni di bellezza, un mostro, un incubo fatto uomo in un mondo dove l'apparenza regna sovrana. Tremolante l'arto sinistro, impone a se stesso di restare fermo, di non pensarci ma l'impresa è ardua, impossibile, troppi i ricordi che affiorano, troppe le domande verso la ragazza dai capelli bianchi il cui odio ha fatto rinascere una simile sofferenza. Chiede a se stesso cos'abbia ella di speciale, cosa può avere una simile creatura e se quell'incontro deve essere visto come qualcosa di positivo od estremamente negativo. E' segno di un'eterna sofferenza? Nato per soffrire ogni qual volta ne incrocia lo sguardo o la figura? Non ne ha minima idea, l'unica cosa certa è il suo essergli rimasta impressa in mente ed animo per i motivi sbagliati. Sta impazzendo, il dolore lo sta lentamente facendo scivolare nella pazzia senza la minima idea di quando esso sarebbe finito <Smettila, smettila> uniche parole rivolte a se stesso in quel mare di solitudine sabbiosa in cui si è diretto con un sole tanto cocente quanto insignificante se paragonato al calore delle fiamme ardenti, vive e presenti nella di lui vita fin dagli albori. Affannato quel respiro, labbra or schiuse inglobando aria ed ossigeno ricercando un respiro più equilibrato mentre solleva il capo, sguardo sconnesso guardandosi intorno, una fonte d'acqua potrebbe aiutarlo eppure le verdi iridi vanno a focalizzarsi su una figura in particolare. In avvicinamento la nota, Kore sta camminando, lo sta raggiungendo ed in brevi attimi le pupille, se possibile, si restringono ulteriormente, il battito del cuore accelera considerevolmente divenendo quasi del tutto insopportabile e di scatto solleva il corpo dalla panca. In procinto di parlare, di esporre il verbo quando, il bruciore svanisce, la sola vista di lei lascia svanire ogni singola sofferenza. Inghiotte, deglutisce abbassando lo sguardo sull'arto sinistro, cosa è successo? Cosa sta succedendo? Non riesce a capire ne comprendere nulla. Attonito, stupito, sorpreso, senza parole mentre lo sguardo assottigliato torna su Kore quasi in cerca di risposte, che sia davvero lei la causa di tutto ciò? <Chi sei?> va a chiedere una volta che la distanza si abbastanza irrisoria da poterlo sentire. [Yari]15:18
Utente anonimo:
[Piazza] Un passo avanti all'altro, una vicinanza che si accorcia con della spazzatura dimentica tra le dita ma che le consente di vedere il tremolio di quella figura incappucciata, una vicinanza, ormai a meno di tre metri, che le consente di riconoscere il volto dell'altro a circondare lo sguardo pieno di livore quando nella ricerca d'acqua e fissandola è l'uchiha ad alzarsi di scatto. Nessun dolore, solo le nocche sbiancate contro il cartone e le bacchette che conteneva tale è l'impiego di sforzo e nervosismo che ne blocca il passo. Il fiato si interrompe nella gola, gorgheggia come se il polmone avesse ceduto ad un battito mancato -bum- una echo così silenziosa e leziosa che quell'incontro torna ad investirla con una violenza maggiore del tanto sforzo impiegato ad accantonare quella figura ustionata dalla sua mente. <Perchè mi hai fatto del male?> La risposta a quella richiesta di identità muove ambigua. <Il tuo Genjutsu mi sta tormentando da giorni, devi togliere il sigillo io...> Lo sguardo fuga, da lui al piazzale, brevemente si guarda intorno. Lei...Cosa farà? Si metterà ad urlare chiedendone l'arresto? Improbabile che attiri così tanto l'attenzione quella figura che seppur non si ammanti sembra voler essere anonima in ogni brandello della sua semplicità vagante. L'unica cosa che ha tra le mani è una scatola vuota, stropicciata e con due bacchette dentro, la mano sinistra ne abbandona mentre gli occhi sabbiosi tornano sull'altro, prendendo la mira nelle sfumature in via palese, le pupille che si dilatano mentre il braccio destro si solleva quando CERCA di lanciargli addosso la sua spazzatura, ovviamente il grado offensivo di un pezzo di cartone vuoto è come quello di un jiglypuff che sfida un leggendario. <Toglilo e basta.> La voce profusa, matura e raschiata, move conflitto ed astio verso una fiscità infantile e minuta, così come gli occhi tra i pochi tratti in grado di determinarne un'età superiore alla sfera adolescenziale [Panchine] Ennesima volta in cui la colpa gli vien addossata senza ricevere risposta alcuna, accusato di qualcosa seppur sia completamente incapace di provocare un simile dolore. Le proprie doti nell'uso del chakra rasentano l'imperfezione, il minimo sindacale per poter dire di essere un ninja e niente di più, un'Uchiha sbagliato, rotto e corrotto, privo di tutte quelle doti innate di cui dovrebbe essere fiero portatore. Ella non lo so e l'accusa, non lo conosce e l'aggredisce. Labbra socchiuse provando astio a propria volta, odio nei di lei confronti, convinto fino al midollo che ella sia la causa della rinata sofferenza interiore del moro <Io non ho fatto nulla> nuovamente ribadisce quel concetto forse fin troppo difficile da far entrare nella minutezza del corpo altrui, in una testa troppo piccola per poter comprendere la verità dei fatti. Sopracciglio destro sollevato appena in uno straniamento improvviso, la voce roca arsa dalle fiamme del passato <Non sono in grado di usare Genjutsu ne fare sigilli> altra ammissione di quanto non sia in grado di fare, a pensarci bene, è impossibile donargli qualche colpa se ciò dipende dalla magia o dalle illusioni. Tanto rotto da non poter neanche controllare come si dovrebbe il chakra, consapevole della debolezza nella maggior parte delle arti ninja riuscendo a primeggiare su una e una soltanto con un chiaro obiettivo nella mente del quale, per ora, non viene fatta menzione. Neanche si difende dal cartone lanciatogli contro, totalmente passivo, limitatosi solamente ad un blando socchiudere degli occhi lasciandosi colpire. Un lancio scarno, per nulla forte ed una cartone vuoto fa male quanto una foglia di pino scagliata dal vento <Io non ho fatto nulla> ... <Tu sei la causa, il tuo odio ha scatenato questo e soffro da quel giorno a causa tua, ho sofferto fino ad oggi ma quando ho posato lo sguardo su di te, il dolore è svanito> chinando lo sguardo sugli arti superiori, smuovendo le dita della mano destra <Chi sei?> richiede, imperterrito. [Yari]15:47
Utente anonimo:
[Panchine] La voce arrochita dell'altro sembra negare un coinvolgimento con quel bruciore che l'ha attanagliata in modo sempre più raro ma che in quel momento non sembra minimamente accarezzare le carni della Sabaku. L'altro afferma di non avere le abilità per un Genjutsu e solo in quel momento forse per la prima volta la bionda attenzione dell'allieva ssembra vedere e cercare, negli occhi dell'altro, un sintomo di verità o quantomeno di considerazione delle parole altrui. Il braccio che aveva lanciato il cartone si ammorbidisce lungo il fianco quasi vedere come l'altro si lasci colpire dalla spazzatura ne avesse annichilito l'animosità del tentativo stesso. <Sei bipolare? Prima mi dici che è colpa mia e poi che sono la cura? Io non ho fatto niente...Ti odio pure adesso se è per questo.> Sancisce e ribadisce quel concetto, ricorda quella costrizione al centro commerciale, quello stare nella confusione e quell'insofferenza degli spazi chiusi ed affollati, ricorda la luminosità accesa del suo astio e quanto ne comprima temendo che non sia che l'alba di un richiamo suicida che ne maledice la stirpe. Gli occhi si asciano catturare dal gesto dell'altro ma ancora non risponde, ne osserva il movimento delle mani. <Se di solito è così che ci provi con le ragazze non è divertente.> Schiocca come se quella cattiveria fosse dovuta, assottigliando le palpebre prima di muoversi nuovamente, quel gesto inconvulso sembra non esser sopportabile a lungo, quasi stesse insozzando la sua zona, cosa che è, ma non sopportasse di farlo si avvicina al cartone e le bacchette a terra per raccogliere tutto, è solo quando chinandosi sembra cercare un diversivo per non posare lo sguardo sull'altro che la voce, appena percettibile, torna udibile a labbra nascoste. <Kore. Curioso che nessuno sappia chi sei tu, ho chiesto in giro, uno così non passa inosservato.> Punto primo: delicatissima. Punto secondo: così come non lo dice ma sembra voler muovere un'osservazione eloquente al suo aspetto quando si rialza con il cartone nuovamente tra le mani in quella prossimità quasi nulla. <Non sei di Suna> Una deduzione che sembra una domanda, ora che lo sguardo torna sull'Uchiha [Panchine] In quegli occhi verdi c'è la verità, non mente su qualcosa di tanto palese alla vista, al tatto, alla mente. Non recita una parte, non ha motivo di indottrinare qualcuno senza un fine secondario e solamente la verità può permettergli di tornare allo status quo di solitudine in cui ha vissuto per anni ma il destino sta scegliendo per lui impedendogli di riaver la tranquillità necessaria per una sanità mentale adeguata. Deglutisce inghiottendo grumi interi di saliva, li butta giù con forza <Tu sei la causa, l'effetto e, come conseguenza, anche la cura però..> inspira distogliendo lo sguardo qualche attimo, focalizzando le verdi iridi altrove, in un loco al di fuori del campo visivo della ragazza <...da come parli, non hai idea di come tu abbia fatto> e l'affermazione successiva, riesce, incredibilmente, ad irrompere in quel viso portando le labbra ad esporsi in un flebile sorriso, forse è divertimento ciò che emerge? Non è dato saperlo momentaneamente ma Kore ci riesce <Odiami pure. L'odio proveniente dal niente, resta niente> sancisce a sua volta, d'altronde ella non è nulla per lui se non uno scricciolo bianco in un mare di oscurità che, per puro caso, ha incrociato il di lui cammino in quel maledetto centro commerciale. Un posto da evitare nel prossimo futuro, tacciato come zona vietata evitando futuri ed indesiderati incontri con persone non volute nella propria vita. Quel sorriso viene espanse un granello di più riportando le verdi iridi sulla Sabaku, ne incrocia lo sguardo prima di osservare alle di lei spalle sulla destra e, successivamente, sulla sinistra <Non vedo ragazze qui> provarci? Non è il tipo, non la conosce e sicuramente non è la prima cosa che uno come lui farebbe, nonostante ciò inizia a comprendere il tipo con una lentezza disarmante andando a rispondere a tono, per quanto possibile. La lascia avvicinare senza muoversi di un singolo millimetro, ne osserva le movenze in quel fare ambientalista intenta nel raccogliere il cartone lanciato pochi attimi prima <Curioso come una perfettina, invece, attiri tanto l'attenzione, Kore> due opposti in tutto e per tutto, non le manda a dire, non le tiene ma rilancia a modo proprio <Akainu> pronunzia il nome donatogli alla nascita, si presenta come è giusto che sia per poi incrociarne nuovamente lo sguardo incastonando le iridi nelle altrui <Perspicace> all'affermazione su Suna <Devi essere la più intelligente della classe> lasciando svanire il sorriso emerso poc'anzi. [Yari]16:20
Utente anonimo:
[Panchine] Risollevandosi in piedi la muscolatura torna a farsi tesa, difficile dire se sia per l'ineluttabile ignoranza che l'altro le imputa sul come essere malattia e cura, o per la provocazione che segue, ritrova semplicemente con lo sguardo il sorriso sul volto deturpato altrui mentre le labbra sottili e scure mantengono una piatta linea seriosa, fissandolo fastidiosamente quanto apertamente, gli occhi brillanti di quelle sfumature di miele sembrano richiamare i granelli di sabbia tanto quanto le note appena dorate tra i corti capelli platino sparati in ogni direzione. Sbatacchia tuttavia le ciglia a quella definizione di "perfettina" come se non comprendesse il legame con il suo gesto ma lo legasse meramente al proprio aspetto, al punto che si guarda perplessamente gli abiti verso il basso distogliendolo l'attenzione da lui per qualche frangente interrompendosi quando l’altro parla di non vedere ragazze.<Strano ne ho una davanti, sei bellissschima.>Chioccia scuotendo il capo brevemente in ampiezza ma abbastanza febbrilmente da far tremare i corti capelli prima di cedere quella battaglia infantile ad anfratti distanti della pazienza, non ha dieci anni e non vi si prolunga a dimostrarne tali. <Infatti lo sono.> Si limita a mormorare di ritorno sugli occhi verdi dell'altro con una freddezza che sembra volergli destinare un insulto. Crederlo è pressochè impossibile, non ha un coprifronte quindi è chiaro che non abbia superato l'esame, tuttavia cerca di evitarne gli occhi insistenti muovendosi verso il cestino. <E di dove sei?> Chiede spostandosi il tanto che basterà per liberarsi di quel cartonato avanzato dal suo pasto. [Panchine] In confronto a lui, ella rasenta quasi la perfezione, in maniera del tutto superficiale ovviamente ma lo è, perfetta nei lineamenti, non una singola sbavatura sulla pelle, capelli in ordine, outfit quanto meno decente, tutto ciò che il genin non è, si denota ad una semplice occhiata. Al contrario di lei, però, cerca costantemente di passare inosservato, non visto, non giudicato, un'ombra agli occhi di tutti mentre ella attira l'attenzione solamente aprendo bocca, alla vista di lui. Non gioca ne, dal canto proprio, usa modi infantili, solo metodi per allontanarla, mandarla via con velati insulti seppur nessuno di essi sia esplicativo nel vero senso della parola. Umetta le labbra strofinandole tra se, un unico gesto quando viene additato come donna dall'albina, ora si che riconosce l'infantilità del gesto, non sorride, non si ritrova ad esser divertito mostrando una certa apatia <Trattengo a stento le risate> chiara inflessione ironica nel tono di voce, non sta ridendo, neanche ci prova ad avere un minimo di divertimento in quella conversazione quasi a senso unico. Scuote il capo donandole le spalle ora che non prova più alcun tipo di dolore mentre torna alla panca, in particolare verso la Yari incastrata sul terreno sulla quale adagia il palmo della mano intorno al bastone di legno, le dita si stringono <Lo sei? Vai all'accademia ancora?> non ha idea dell'età, non si esprime su quello, la sua è solamente una mera deduzione eppure deve averci preso, incredibile come un intuito basico come il suo sia riuscito a far qualcosa del genere, se ne compiace ma cessa di guardarla lasciando solamente la schiena. Una persona morta o quasi dinanzi agli occhi di Kore <Sono un genin del distretto di Oto> ammettendo la propria provenienza pur non portando con se il coprifronte del villaggio, oramai sono oggetti futili, inutili per qualunque tipo di occasione. Inspira ed espira stringendo maggiormente la presa sull'asta mettendo fine allo scherzo, il tempo è passato <Perchè odi tutti, Kore?> il fattore scatenante del dolore, il punto cruciale del loro incontro. [Yari]16:56
Utente anonimo:
[Panchine] Si libera le mani al cestino, sicchè mentre Akainu torna alla sua Yari dandole la schiena lei gli sta proponendo il fianco destro senza guardarlo. Più che in altezza prende spazio in larghezza per via dello zaino spesso che fa da carapace alla sua schiena quasi interamente. <La cosa ti stupisce?> Sfregando i palmi l'uno contro l'altro solleva gli occhi verso le verdi fronde che adombravano la figura di Akainu come se ne stesse cercando il sole che ha lasciato invece alle sue spalle. <Oto.> Tre lettere solo ripetute, come se avesse accolto quella consapevolezza ma senza aggiungere altro se non per quella domanda improvvisa che l'altro le propina, come se avesse scoverchiato un manto di sabbia intimo gli occhi tornano alla sua direzione quasi dardeggiando contro le spalle altrui, intercettandone il gesto all'arma come se si fosse fatta improvvisamente guardinga. <Nemmeno ti conosco. A te cosa è successo?> è che non è definibile come Gesuita, ma lo sarebbe visto che risponde a domanda con domande ormai arrivando ad un numero di volte tali da far intuire dell'abitudine in quella ferina diffidenza. <Sei un Doku?> Veleno, acido, implicate ustioni, quale ovvietà che potrebbero offendere l'Uchiha nel suo orgoglio più intimo, eppure non l'avvicina, torna a guardare il Komorebi, l'effetto del sole che filtra attraverso il fogliame come se volesse accodarsi al terribile sforzo del trovare ostracismo di ogni raggio. <Non odio tutti, comunque.> Concede dopo un discretamente lungo silenzio come se fosse in realtà consapevole della sua scontrosità. <Tu ci credi davvero a quello che hai detto prima, quindi.> Deduce cercando di motivare la domanda dell'altro ad un contesto legato che sembra esulare la residua conoscenza. <Se così fosse, perchè avrei dovuto patire a mia volta? Sembrava che le mie vene prendessero fuoco, che mi bruciassero dall'interno, magari sei tu, non credi?> Commenta continuando però a fissare intensamente il Komorebi come se si lasciasse ipnotizzare evitando lo sguardo altrui in modo tanto vistoso quanto chiaro [Panchine] Un allievo non è solitamente in grado di sfruttare a pieno le arti ninja, non a livelli tali da far perdurare gli effetti per giorni e giorni senza un minimo calo di potenza. Logica fatta e finita. Se le cose stanno davvero in questo modo, allora non è necessariamente causa sua, forse un potere incontrollato manifestatosi all'improvviso, forse un semplice caso del destino ma possono essere davvero tanti i fattori eppure la mente del moro viaggia verso un'unica e consapevole direzione, qualcosa di celato fino a quel giorno. Non fornisce alcuna risposta alla domanda, il silenzio è di per se abbastanza eloquente da suggerire il tutto mentre il villaggio del suono è nominato ancora una volta, ben attento a non rivelare particolare troppo personali come il clan. Non osa immaginare le conseguenze nel rivelare l'appartenenza al più grande clan di Oto senza avere nessuna delle loro capacità, sia innate che non ma sa che, con il proprio quesito ha toccato dei nervi scoperti. Chiunque professi odio verso tutti possiede un passato tumultuoso, ricco di avvenimenti dall'infinita tristezza <Un'incidente> se così vogliamo definirlo. Un'incidente costatogli l'intera vita ma è ben consapevole di come le abitazioni non esplodono di punto bianco e quello può essere definito un vero e proprio attentato alla sua vita, un modo per toglierlo di mezzo una volta per tutte. Cosa porta la ragazza a ricondurlo ai Doku? Difficile da dirsi, non conosce i poteri dei velenosi, non ne ha mai visto uno per poter affermare o smentire una simile affermazione <Cosa te lo fa pensare?> non ci arriva, non da solo, probabilmente gli interessa davvero poco. Assottiglia lo sguardo, finalmente qualcosa in più viene aggiunto, risposte brevi ed ambigue fornite ed in quei piccoli dettagli può scorgere una minima verità, un leggero tassello in grado di dargli la necessaria spinta a staccarsi dalla Yari voltandosi alla volta di lei. Verdi iridi ricercano l'altrui sguardo, piccoli passi fatti per accorciare la distanza udendo il di lei dire. Solo quando la distanza diviene irrisoria, se concesso, ne guarderebbe il viso con maggiore intensità <Io credo...che abbiamo una cosa in comune> verità, pura e semplice <Un triste passato che ci ha portati ad odiare tutti, chi o cosa ti fa soffrire, Kore?> insiste su quel nome, lo ripete a sfinimento come un piccolo mantra. [Yari]17:27
Utente anonimo:
[Panchine] è difficile inizialmente intuire se abbia colto qualcosa nel silenzio dell'altro alla sua domanda, ogni deduzione è rilasciata ad una apparente conta dello foglie, il temporeggiare di Akainu si accoda ad una domanda che richiama l'attenzione della fennec su di lui, il volto discende lentamente mentre le braccia magre si restringono, come le spalle, muovendo i passi verso la panchina. <Il migliore amico di mio fratello, un Doku, usava dell'acido...> Lascia cadere lo zaino presso la panchina con la scarsa cura di chi non ha dentro nulla di fragile o di particolar valore eppure sembra volersi disfare del peso tenendolo comunque sott'occhio mentre scivola sulla pietra grezza della panca di profilo sollevando gli occhi verso Akainu, quasi tornasse improvvisamente ad essere presente anche l'altro nel mondo. <Gli aveva preso per sbaglio il braccio, qui.> Solleva il braccio destro, smuovendo il gomito verso di lui, verso l'alto, prima di allungare la mano sinistra ad una pacca leggera contro l'avambraccio. <Non un danno enorme ma...Simile.> -Alla tua faccia- inteso palese che non pronuncia esplicitamente lasciando modo all'altro di avvicinarsi ad una distanza che il suo ritorno alla panchina aveva già reso esigua. L'altro insiste con quella domanda strettamente personale, così come il suo nome, seppur quel concetto sia introdotto dall'aver qualcosa in comune le sue difese mentali vacillano, calano delle orecchie inesistenti. <Tu non hai risposto.> Sentenzia cercandone lo sguardo prima di sollevarlo nuovamente alle fronde. <Gli alberi, sono troppo verdi. Il nostro campo di addestramento somiglia ad un deserto, i nostri abiti per le missioni sono fatti per vivere nel deserto e poi ci sono questi alberi così verdi. Questo, per esempio, mi fa soffrire.Avrebbero potuto piantare delle palme, avrebbero potuto piantare dei cactus, ma rendendoci tutti uguali alle ombre di un ciliegio potresti essere a Suna, come a Oto...Cambia qualcosa Akainu?>Domanda ribollendo nello sguardo che torna verso l'altro, come se il dover rendere a voce palese il suo silenzioso pensiero ozioso di poco prima l'avesse resa astiosa, la voce acidula di chi è improvvisamente risentito senza motivo, come se solo ricordare tutte le cose che si possono odiare renda di fondo arrabbiati a prescindere. [Panchine] Acido, una sostanza corrosiva in grado di sciogliere la pelle, mostra la carne viva al mondo esterno. Si, una deduzione efficace, questo è vero, ci si potrebbe confondere. Ne segue il moto verso la panca, il disfarsi del grosso carico per riposare o mostrare il suo essere più minuta. Rivelare o non rivelare un dettaglio tanto personale quanto doloroso, rivelare o meno le proprie deduzioni verso il dolore da entrambi provato? Quel bruciore così intenso da portare una persona a scarnificarsi la pelle, eliminare la propria sanità mentale per non soffrire più. Socchiusi sono gli occhi, veloci secondi di oscurità dove niente viene veduto lasciando al solo udito il compito di tracciare l'ambiente circostante <Le fiamme mi hanno avvolto da bambino, un'incidente che mi è costato tutto> tutto e niente vien detto in tal frase ma almeno fornisce un minimo di contesto eliminando l'opzione Doku, relegandola ad una mera speculazione <Il tuo odio deve aver fatto scattare qualcosa, un ricordo lontano di quelle sensazioni portandomi a provare lo stesso dolore di allora, lo stesso bruciore...un bruciore tanto forte da coinvolgere anche te> si prende una breve pausa <Un'accademica non ha in se la forza necessaria per un'illusione così potente da farla perdurare per giorni e giorni con la medesima intensità> dichiarando apertamente che, forse, non è lei la colpevole ma solamente gli eventi, il loro incontro ha scatenato tutto ciò. La vicinanza diviene irrisoria, ella seduta, lui in piedi ad osservarne il viso dall'alto verso il basso mostrando emozioni pari a zero, quasi apatico seppur noti la di lei reazione. L'esser colpita, quasi affondata, parole sbiascicate e quella sequela di parole accompagnate da una domanda ben specifica lo portano ad alzare lo sguardo, osservare con attenzione maggiore il distretto di Suna, comprendere la reale natura di tale sofferenza <Come vive e pensa uno di Oto?> replica ad un quesito come un altro, una replica che non accetta risposta <Non puoi saperlo perchè non sei nata ad Oto, non appartieni al suono> implicitamente le fornisce la risposta seppur riprenda a parlare poco dopo <L'identità del tuo villaggio cambia, non quella visiva ma quella contenuta qui> indice destro sollevatosi volge alla volta dell'altrui capo indicandolo <E qui> finendo per abbassarsi andando ad indicarne il petto, in particolare il cuore. [Yari]18:01
Utente anonimo:
[Panchine] Nessun acido, quindi, nessun legame visibile con il clan Doku alla sua conoscenza e questo fatto le viene presto presentato, il fuoco invece e la sensazione che le carni ne siano vittima è qualcosa che riconosce, che istintivamente portano gli occhi brillanti verso i propri polsi voltandoli come se fosse più semplice, guardando la percorrenza venosa, ricordare quanto avrebbe quasi desiderato staccarsi le mani per soffocarne il bruciore. La rivelazione dell'altro sembra qualcosa di intimo, troppo intimo, toccarlo con delicatezza potrebbe persino esser peggio quando gli occhi si sollevano al termine di quella storia ha uno sguardo strano, come se non avesse voluto conoscere realmente dettagli che ha chiesto ora che le vengono palesati. Prendere in mano il dolore di qualcuno è un concetto assai delicato, un sinonimo di confidenza che lei non condivide con nessuno ed ora che le viene sbattuto in faccia da un perfetto estraneo senza poterlo rifiutare è una patata bollente che le sta ustionando i palmi, se di ustioni rimaniamo nel tema di quel loro incontro. <Sembri troppo giovane anche tu per essere nato ad Oto.> Quella vera, sembra voler intendere eppure non lo fa tanto espressamente seguendo il movimento della mano dell'altro, portando indietro il capo di un lento istinto quando ne vede la vicinanza con il viso quasi se stesse mostrando le fauci quando invece le scure labbra sono serrate. Spiegare quanto le parole di Akainu possano peggiorare la sua condizione è un pensiero che le fa tendere rigidamente la mascella, il livore negli occhi si palesa più netto, lui le ha messo in mano un dolore e questo l'ha resa debitrice. Maledetto. Quel silenzio vorrebbe tingersi di quella maledizione, ma non lo fa, perchè non è solo debitrice ma ha una calda patata in mano da dover continuare a tenere dal momento che le parole -costato tutto- sono state pronunciate. <I fennec non sanno vivere lontani da un deserto vero, una condizione dolorosa quando di discendenza si è un Sabaku. Quando la stirpe di mia mamma controllava i fennec le sabbie ancora stavano emergendo dalle acque, ma il dolore è rimasto...Un giorno potrei fare meno schifo come allieva, ed anche come Sabaku, così...L'identità del mio villaggio non servirà a nulla finchè non ci andrò a morire personalmente come tutti gli altri.> Niente coprifronte, imparare una tecnica, figurasi una in grado da comporre il dolore delle ustioni per giorni, potrebbe essere più un danno che un piacere. Ne cerca gli occhi verdi ma è un momento breve, le parole si interrompono, aver una patata in mano non sembra renderla tanto debitrice da sfornare apertamente la propria così improvvisamente. <Immagino che non sia solo la faccia, quindi.> Una domanda senza tono interrogativo, nuova, facendo accenno ai segni sul viso altrui visto che del resto è così coperto da non aver granchè visibile, solo ora cercandone le mani o guardandone gli abiti con attenzione maggiore, e si muore di caldo per star così vestiti anche se quella è una Suna finta. [Panchine] Conoscere il passato di qualcuno, pur in minima parte, può essere, a volte, peggio dell'ignoranza e questo il genin lo sa, consapevole di come non sia facile comprendere ed assimilare una simile tristezza senza restarne coinvolti fisicamente ed emotivamente. Purtroppo ella insiste, chiede ed ottiene una piccolissima parte di quel dolore, un singolo accenno che basta ed avanza a scuoterla completamente cambiandone la visione intera della figura del genin. Adesso può ben comprendere come egli cerchi di passare inosservato, essere più silenzioso del silenzio stesso, un nessuno, un'ombra in un mondo di sole. Non la conosce è vero ma quella patata bollente è stata richiesta direttamente dalla deshi, adesso non può più tirarsi indietro ne dimenticare la giornata di oggi. La frase di lei non passa inosservata, vengono utilizzati termini precisi aggiungendo dettagli a quel non detto, ella è giovane, molto giovane, probabilmente non ha mai visto il reale villaggio di origine ma solo quell'imitazione creata per proteggere tutti i sopravvissuti all'apocalisse <Sono nato ad Otogakure, quella vera eppure la mia memoria è offuscata, se ripenso al passato vedo solo quell'incidente, nient'altro> un trauma tanto esteso da impedire ai ricordi di sostituirsi agli incubi. La mente umana riesce a compiere disastri, riesce nel rendere la vita un inferno anche quando si cerca un miglioramento, esattamente quanto accaduto al genin in questione. Poco gli importa di peggiore la situazione altrui, non la tocca ovviamente, non ci prova neanche, si limita solamente ad indicare due punti precisi del corpo mantenendo la distanza tra le proprie carni e quelle di Kore mentre la di lei storia, in piccole parti, emerge dall'oscurità aggiungendo dettagli su dettagli, rivelazioni sulle discendenze, un qualcosa di strano ed allo stesso tempo in grado di accumunarli. Capo chinato a scrutare la sabbia sottostante, silenzio smuove qualche passo lasciandole libero il campo visivo, cercando di trovare posto sulla panca al di lei fianco, precisamente al lato sinistro della ragazza. Si siede con lentezza adagiando le braccia al di sopra delle ginocchia, affannato il respiro, pesante, possiedono davvero molto in comune e comincia a credere che quell'incontro non è nato del tutto per mano del caso <Io discendo da uno dei clan più forti e potenti eppure sono nato sbagliato, privo della loro forza, non degno di portare il loro nome> almeno per adesso quella è la di lui condizione fin quando il leggendario sharingan non deciderà di manifestarsi. Scuote il capo a quell'affermazione sollevando il capo, mostrando come anche la l'intera gola e parte del petto siano bruciati, allo stesso modo il dorso delle mani e, nel sollevare parte della manica anche il braccio risulta arso dal fuoco senza scendere più a fondo <E adesso, cosa provi nel sapere tutto questo?> della sua condizione, di quelle bruciature. [Yari]18:40
Utente anonimo:
[Panchine] Ascolta la questione della nascita dell'altro serrando le labbra scure, appiattendole sulla falsa riga di un silenzio meditabondo. <Quindi ricordi poco di Oto...A prescindere.> Commenta accogliendo che l'altro sia probabilmente meno giovane di quanto al di sotto delle ustioni gli avrebbe imputato, comunque abbastanza da ricordare ma non abbastanza da ricordare realmente pare. La lingua spinge contro la guancia sinistra seguendo con lo sguardo il sedersi dell'altro, solo dopo si abbandona ad uno schiocco contro il palato. <La mia memoria è buona, ma non ho mai pensato che avrei dovuto far qualcosa per tenermi stretti i ricordi.> Sentenzia distogliendo gli occhi da lui, solo qualche momento però, lo vedrà subito Akainu come il viso saetta, per la prima volta un gesto realmente rapido, a cercare i suoi occhi quando fa menzione ad un clan forte e potente, quasi non li avesse visti verdi fino a poc'anzi, quasi non potesse esistere nessun altro clan capace di autodefinirsi a quel modo. <Sei un Uchiha?> Più per mitologia che per reale conoscenza di quel clan pare porre quella domanda. <è chiaro allora che puoi averlo fatto tu il Genjutsu, non lo sarebbe? Magari nemmeno lo sai...> Che l'altro si sia definito poco degno giusto tre secondi prima non sembra eclissare quella possibilità in una consapevolezza improvvisamente più vispa, solo la sua perplessità temporeggia a quella domanda. <Cosa dovrei provare?> Come se non fosse chiara quella questione il capo si inclina, corre appena verso la spalla, quasi non riuscisse a capire in che modo l'altro possa attendersi qualcosa che la mancanza di empatia non sembra cogliere, quella vicinanza alla sua sinistra ora sembra avere una prospettiva diversa, le narici si dilatano come se si stesse sforzando di cogliere un odore nell'altro o se stesse tirando un sospiro profondo e sonoro gonfiando il petto scarno. <Deve averti offeso molto che io ti abbia dato del Doku...Si dice che gli Uchiha ci tengano molto, tu sembri non tenerci più di tanto.>Commenta come se stesse ancora tastando qualcosa di strano nell'altro, la materia duttile di quell'incontro non ha assunto parametri precisi, si sta impastando divenendo morbida eppure sembra accrescere il suo astio. [Panchine] Annuisce solamente, poco e nulla di quel villaggio originale gli torna alla mente, le fiamme avvolgono una mente debilitata fino al midollo, tanto da rendere il passato al quanto confuso se non per i traumi e di quelli ne possiede da vendere, così tanti che una vita intera non basta per viverli tutti quanti dal primo all'ultimo, senza considerare quelli postumi all'incidente. Poco importa l'età affibbiatagli, tanto essa è solo un numero, l'importanza è irrilevante. Cessa di guardarla, le verdi iridi scrutano avanti a se il panorama sunese come fosse la prima volta che lo vede, il sole continua ad ergersi sulle loro teste emettendo un calore profondo e benevolo, l'estate sta arrivando, piena, pregna di belle giornata rendendo più difficile nascondersi di giorno, non farsi vedere <A volte, è meglio dimenticare> ricordare è doloroso, ne sa qualcosa, vorrebbe dimenticare tutto, ogni espediente, avere una nuova memoria per affrontare una realtà diversi ma, purtroppo, è un'impresa impossibile anche per il più potente genjutser di quel mondo o per il migliore scienziato di quell'epoca. Ha dato un indizio ben preciso, un clan potente e forte, forse il più forte di tutta quanta Oto ed è naturale il diretto collegamento con la discendenza di Madara Uchiha in persone eppure non conferma tale deduzione, così come non la smentisce, le lascia il dubbio, ancora non può definirsi membro di tale clan, sarebbe un'eresia <Non sono in grado di utilizzare genjutsu, neanche inconsapevolmente> replica per l'ennesima volta riaffermando la propria mancanza inevitabile, pensa se si sapesse altro. La parola sbagliato non è un caso ma l'unico modo per definire uno come lui il quale non ha ancora avuto la possibilità di esprimersi e dimostrare qualcosa ma un giorno gli Uchiha avrebbero notato la di lui forza, come anche senza poteri sia possibile eccellere <Nulla> non deve provare nulla la Sabaku. Neanche lui sa cosa risponderle lanciandole una veloce occhiata con la coda dell'occhio, solo ed esclusivamente per notarne la reazione, totalmente assente. Non comprende, non riesce a penetrare nel di lei animo, decisamente poco empatico. Il dire di lei lo colpisce più nel profondo del previsto, una frase capace di fargli male, un male non mostrato sul viso, trattenuto dentro di se <Perchè vuoi sapere tanto di me? Desideri conoscere a tal punto qualcuno che odi?> verdi iridi ricercano l'altrui sguardo in una domanda ben specifica e, stavolta, non vuole farsi sfuggire la reazione. [Yari]19:08
Utente anonimo:
[Panchine] Le iniziali parole del Genin non sembrano aver risposta, su quanto dimenticare sia meglio, se ne sta semplicemente lì il silenzio, di tanto in tanto continuando a carezzare quella patata che ormai sta diventando tiepida, mossa da una curiosità più lampante della diffidenza iniziale, ora concentrandosi persino su quelle risposte prive di conferma e di negazione dell'altro come se dovesse rivedere delle note invisibili tra le righe del suo spartito. -Nulla- Le viene consentito di provare quel sentimento senza staccare gli occhi dall'altro, conscia di dover intravedere quelle poche reazioni del corpo dove la parola si impregna del non detto, così che non sarà difficile ad Akainu ritrovare i suoi occhi quando torna a cercarli. <L'hai detto tu, che sono stata il tuo male e la tua cura, anch'io ho smesso di bruciare. Sono andata in una sala giochi, per evitare di pensarci, non ho dormito per tre giorni.> Ha giocato, evidentemente, fino a sfinirsi di una dipendenza obbligata. <Ma si narra che Gaara non abbia dormito per tre mesi, noi Sabaku siamo immuni alla pazzia, di Uchiha invece ogni sano ce ne sono matti in tre.>Forse la diceria è un po' pesante, ma non c'è traccia di velleità nè di scherno nel suo tono, sa relegare una leggenda per bambini, uno sparlereccio per rivalità, a quello che è seppur ne riveli il contenuto con una spontaneità beffarda. <Visto che a quanto hai detto siamo accomunati da un dolore credo di dover capire.> Raccoglie le gambe incrociandole, rannicchiandole come se fosse per lei posa più comoda mentre le mani vanno ad afferrare i polpacci rispettivi. <Quale dei quattro sei.> [Panchine] L'odio iniziale sta svanendo oppure non è mai esistito? Chi può dirlo con certezza ma ha parlato tanto, davvero troppo per continuare a rivelare ulteriori informazioni su di se. Non la conosce, non sa quasi nulla di lei ma d'altro canto non ha rivelato moltissimo lasciando svariati non detti, consentendo alla di lei immaginazione ed intelligenza di carpire la verità nel suo senso più stretto. Silente lascia trascorrere il tempo mantenendo la vicinanza con la ragazza, una dodicenne ai di lui occhi, forse qualcosina di più non dandoci poi chissà quanto peso. Inspira ed espira seguendone i movimenti con la coda dell'occhio, ricercando lo sguardo, da come parla probabilmente ha qualche anno in più di 12 ma tutto è relativo a come vengono percepite le cose <Io non ho smesso di pensare un singolo momento, il bruciore era insostenibile> deglutisce inghiottendo grumi interi di saliva, buttandoli giù con estrema difficoltà pensando a quei momenti nefasti, distruttivi passati. Sguardo assottigliato ancora una volta, gli Uchiha sono pazzi? Forse, le malefatte dei genitori ai propri danni possono essere una prova di un gene ancora corrotto seppur sia passato tanto, tantissimo tempo ma è chiaro come il discorso sia ilare, portandolo a sorridere appena, un sorriso talmente poco accennato da risultare invisibile ad occhio nudo o quasi. Non si sente toccato, non ricollega quelle parole a se stesso, solo sollevato da qualcuno che possa effettivamente capire una minima parte del dolore da lui provato con il tempo, con gli anni, dal vivere tutti i giorni. Smuove il capo, la scruta con una maggiore attenzione senza perdere di vista neanche un moto altrui <Per sopravvivere a questo> indicando la propria condizione <Bisogna essere pazzi o masochisti e io non sopporto il dolore> chiaro no? Solo un pazzo può realmente sopravvivere a tale scempio del corpo <E tu? Sei una novella Gaara?> domanda per domanda, come sempre. [Yari]19:42
Utente anonimo:
[Panchine] Sulle parole di Akainu riguardo al non smettere di pensare lo osserva di sottecchi, come se ciò non potesse che far avvalere la sua ipotesi che ogni Uchiha sano ne nascano tre pazzi, iniziando a confinarlo in quel quartetto verso la direzione dei tre probabilmente. <Se avessi provato acchiappa la rana, magari l'avresti fatto.> Non sorride, non sembra che la sua sia una battuta. <Puoi scegliere di giocare come uno dei tre ninja leggendari...> Forse ci si era chiusa davvero malissimo in quella sala giochi, visto che sembra un consiglio tanto spassionato quanto freddamente onesto come se avesse scoperto qualcosa di sconvolgente nella privazione del sonno tramite il gioco, e non pare la smagrita figura in realtà incline alle dipendenze, sicuramente non lo è al cibo. Il discorso viene comunque lasciato cadere alla questione della sopravvivenza e del dolore, alla non sopportazione dell'altro. <Ottimo, dovresti essere l'uno ogni quattro.> Per definizione che dona a sè stesso rima che gli occhi dalle note brillanti si sbarrino come se Akainu le avesse bestemmiato in faccia. <Nessuno è come il Kazekage Gaara> Snocciola all'improvviso come se tenendo quella patata si fosse lasciata più andare di quanto ora Akainu non le starebbe ricordando rimettendo i piedi, attualmente raccolti sulla panchina, metaforicamente a terra. <Nessuno.> Aggiunge con fare secco arricciando le labbra come se l'altro avesse fatto immediata leva sulla sua incapacità. <Sono la più intelligente della mia classe> Ribadisce quanto aveva detto all'inizio di quel loro incontro prima di inspirare sonoramente. <Tu sei un novello Madara?> Sembra tornata a rizzare il pelo la fennec, all'improvviso, come se fosse quella una nuova ferita su cui dover elaborare prima di sviare lo sguardo, abbassare il capo e le spalle, conscia della scortesia di quella domanda. <Lascia stare...è che faccio schifo come Sabaku.> Confessa alungandosi in avanti per prendere quell'enorme zaino nero come se improvvisamente l'altro le avesse ricordato di doverlo tenere in spalle, maltrattato eppure importante in qualche modo [Panchine] Guardandolo bene in faccia sembra un tipo capace di giocare? Certo che no, a malapena è in grado di sopravvivere alla vita, figuriamoci godersela a pieno <Non so cosa sia> non ha mai sentito di un gioco del genere, un'infanzia piuttosto triste la sua eppure giustificata da quell'innata incapacità nell'uso di tutto ciò che riguarda il chakra. Un minimo può sfruttarlo ma oltre quello, il nulla, vuoto totale. Deglutisce, inghiotte, essere un ninja leggendario, scegliere di giocare ad impersonare qualcuno di così alto rango, lui? Impossibile, neanche lontanamente uno della di lui razza può ambire a simili pretese; i ninja leggendari sono figure lontane dai comuni mortali, sono al di sopra di ogni concezione shinobistica surclassando chiunque, arrivando a vette che solo pochi, pochissimi nella storia hanno toccato e ancor meno superato. Additato come l'uno tra i 4, è sano di mente? Forse. Pazzo? Estremamente probabile, conscio della pazzia interna di cui è dotato, conscio di come non possa essere del tutto normale. Mentalmente instabile, fragile, una mente simile al vetro, basta un piccolo tocco, un leggero tremore ed essa si frantuma in mille pezzi ma basta una domanda per riportare l'attenzione sulla Sabaku, riuscendo a stizzirla riportandola con i piedi per terra, osando paragonarla al Kazekage di decenni orsono. Non sorride in modo alcuno, non prova nulla nel vederla nuovamente sulle sue <La più intelligente della classe non si pone un simile limite o è sconfitta in partenza> e lui lo sa, conscio dei propri obiettivi, del suo unico vero traguardo segnato nella vita. Inspira alla di lei domanda ed espira poco prima di fornirle una risposta; schiude le labbra venendo preceduto da una singolare frase pregna di significato oltre ogni modo, una confessione <Sono nato senza poter utilizzare le arti magiche e illusorie, non riesco a controllare il chakra come dovrei, non ho in me l'elemento del katon> almeno è quello che crede <Faccio schifo come Uchiha ma ho promesso, dopo l'incidente, che sarei stato migliore di Madara in persona> sollevando il corpo dalla panchina, piega il collo lasciandolo schioccare ed avvicinandosi alla propria Yari la quale viene estratta dalla sabbia <Questa è la mia arma, per ora> indicandola, mostrandola alla ragazza in tutto il suo splendore. [Yari]20:11
Utente anonimo:
[Panchina] Solleva appena le spalle alla questione del gioco sconosciuto ma ormai quel tratto ha perso rapidamente importanza, solleva gli occhi mentre si assesta lo zaino riportando la sua attenzione a quelli dell'altro quando invece che ignorare la sua provocazione su Madara l'altro sembra rispondergli realmente, e con un concetto serio, evitando di schernire quel suo appunto, la questione del Katon ammorbidisce le ciglia sugli occhi tondi che si ritrovano a seguire i movimenti altrui con la lancia con una curiosità e movimento del viso più da fennec di quanto non sembrerebbe voler ammettere. <Tutti gli Uchiha hanno il Katon, forse non lo usi> Per quanto sarebbe evidente alle carni altrui ma non lo dice, sposta solo le mani verso le cinghie dello zaino osservando la sua lancia, stringendosi contro quell'enorme orpello. <Mhh..> Arriccia le labbra come se stesse riflettendo su qualcosa, abbandonare l'idea del Genjutsu da parte di un Uchiha, pur involontario ed inconsapevole, per quello che è successo sembra cosa che fa a fatica. <Sai usarla bene?> Chiede infine alzandosi in piedi a sua volta, trascinandosi quel greve che non fa apparire come pesante ma che è palesemente voluminoso e che comunque par subirla la sua buona dose di gravità segno che non è pieno di cotone a fiocchi leggiadri quanto lo spessore potrebbe indurre a pensare. <E comunque Madara era di quelli pazzi...Del gruppo dei quattro intendo, ce ne sarà pure uno migliore a cui far riferimento...> Snocciola inclinando il capo ed infine concedendosi quel pensiero che mal si tratteneva. <Se quando ci saremo separati dovesse tornare ammetteresti che senza volerlo potresti aver usato il Genjutsu?> Non sembra una prospettiva piacevole, non da come la pronuncia, ma sembra una eventualità che sobilla e che non esclude del tutto [Panchine] Per lui è impossibile usare un elemento del genere, il fuoco non è parte di lui pur avendo nelle vene il medesimo sangue di Madara. Il fuoco, il katon sono il male, impossibilitato persino mentalmente a risvegliare quella forza così incline alla distruzione, odia le fiamme con tutto se stesso, intimorito, realmente impaurito dalla prospettiva di avere a che fare nuovamente con esse dopo quanto passato. Le armi, al contrario, sono pulite, uniche, capaci di permettergli di dare il meglio di se senza provare nulla, capaci di dar lui un significato diverso alla vita <Non ne sono in grado> ammette con la medesima serietà ancora una volta. Ha ben compreso la provocazione di prima ma certi concetti non possono essere scherniti, non possono passare per uno scherzo quando essi sono il perno di un'intera vita, coloro in grado di dare un senso all'esistenza di una persona. Trattiene la lancia tra le dita serrate, una presa salda di chi si è addestrato per anni all'uso delle armi e la domanda di lei appare quasi come uno sfottò <So difendermi> limitandosi a quella mera risposta. Non può vantarsi di saperla utilizzare alla perfezione, potrebbe fallire come potrebbe dimostrarsi superiore, uno scenario troppo complesso per potersi lasciare andare, ciò non toglie che la difesa di se stesso non è messa in discussione. Nota la difficoltà con cui trasporta quell'enorme zaino, schiude le labbra smuovendo d'istinto il corpo, un unico e veloce pensiero su porgerle una mano, aiutarla in tal impresa ma desiste, indietreggia tornando sui propri passi senza sbilanciarsi in azioni di cui potrebbe pentirsi <Senza Madara non esisteremmo. Lui è la storia, non esiste nessuno di migliore> pazzo o meno, non è in discussione la forza della leggenda, il suo essere superiore a tutti quanti, essere su un altro piano dell'esistenza. Sospira e con la lancia in mano accorcia nuovamente la distanza cercando di portarla ad essere irrisoria ben più di prima <Se dovesse accadere, ammetterò le mie colpe> potrebbe risvegliare poteri sopiti <Ma non è mia intenzione farti del male, non dopo aver colto un legame> capo chino incamminandosi nuovamente, passandole a fianco, sorpassandola per andare oltre, lasciarla li, dirigersi verso Oto <Ciao Kore> mancina mano tira più in avanti il cappuccio per nascondere a sguardi indiscreti il proprio aspetto, essere un nuovo fantasma mentre si allontana dall'albina, almeno per oggi. [END]20:44
Utente anonimo:
[Panchine] Accoglie quella nuova negazione in merito al Katon stavolta senza replicarne, limitandosi a mantenere serrate le labbra scure mentre le gambe si sciolgono dall'intreccio ritrovando il terreno sotto i piedi. <So difendermi sembra un passo molto piccolo.> Commenta ergendosi in piedi in tutta la sua bassezza, sol seguendo con lo sguardo quel gesto verso lo zaino come se l'avesse colto con una nota di tensione, per poi rilassar le palpebre stesse al desistere altrui dalle intenzioni. <Posso comprenderlo.> Si limita a rispondere su Madara come se avesse pareggiato i conti con il nominare il Kazekage dell'altro, in qualche modo che trattiene comunque alla mente senza darvi suono. L'altro concede un'ammissione di colpa plausibile ed ancora una volta si limita ad annuire, inizialmente, per poi tirar appena indietro il capo biondo sull'intenzione del Genin a farle del male di proposito. <Ciao Akainu> Soffia trattenendo e cinghie dello zaino e lasciando allo sguardo di miele curiosare le spalle altrui che si allontana, seguire il riassestare del cappuccio, studiare con ansia i suoi passi fino a che non le sarà più chiara alla vista la sua persona, allora e solo allora realizzerà che nel perseguire della sua attenzione sta pensando a quell'incontro, non con il livore della volta scorsa, ma che i polsi che tornano alle mire del suo sguardo non sembrano patire alcun bruciore. è finita, o almeno così sembra, si sforza persino di mettere in ordine il loro scambio di parole, lo fa apposta e con le mani tese in avanti ma nulla accade. Il sole sta tramontando, con quella consapevolezza ed un sospiro sollevato può mettere nuovamente un passo avanti all'altro verso qualche altro anfratto in cui campeggiare, le temperature stanno per farsi calde ed anche se porta costantemente i suoi abiti a lavare al dormitorio vivere all'aperto e sopportare il calore è alla base della condizione di un buon Sabaku, il suo girovagare è volontario quindi e non mosso da necessità così come il suo zaino, che si fa sempre più spesso e più pesante ma a poco a poco, per ragioni che tuttavia ha trattenuto per sè malgrado le curiosità dell'altro. {exit}