Post - tra missione e veleno
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Giocata dal 01/11/2021 18:49 al 02/11/2021 01:55 nella chat "Quartiere dei Clan [Ame]"
Ancora una volta quelle quattro mura a custodire la figura del biondo. Finalmente quelle quattro mura a proteggerlo dallo schifo che c’è la fuori. Ha già ficcato gli indumenti sporchi in lavatrice. Gli anfibi sono stati lasciati fuori, ben ordinati, in un angolo sotto la tettoia, a spuzzare. E lui? Anche lui si è lavato. È appena uscito dalla doccia, a dire il vero. Un semplice paio di pantaloni neri, corti fin poco sopra il ginocchio, tenuti sul basso ventre da una fascia elastica. Nient’altro a vestirlo. Capelli umidi, raccolti in ciocche biondo cenere, incorniciano il volto appuntito, dai tratti duri. Si muove con la luce spenta, nella semi oscurità del crepuscolo, aiutata dalla luna che ancora proietta la sua luce argentata, prima di finire nella notte senza luna che li aspetta tutti. Muove passi controllati sul tatami morbido, non tonfi, ma quasi carezze involontarie, in quel portamento che resta comunque fiero. Fiero come lo sguardo austero che impreziosisce quel volto, nero come l’abisso, puntato verso l’esterno. Verso il giardino. La porta finestra è semischiusa. Quello che basta per consentire alle ampie spalle di poggiarsi proprio li, sull’uscio. Sullo stipite della porta finestra, rivolgendo la schiena all’interno e la fronte a quell’albero perfetto che cresce al centro del cortile, teatro di piogge insanguinate e di tanto altro. A lui affida quel grumo di pensieri che lo attanaglia, inspirando fino a gonfiare l’ampia cassa toracica ed esalando un lunghissimo sospiro col naso. Le mani sono infilate nelle tasche dei pantaloncini, ma si chiudono in pugni, insieme alla mascella che si serra. Invisibili sono, sotto i capelli umidi, i draghi d’inchiostro che decorano i fianchi del cranio. Niente è andato come doveva andare questo pomeriggio. Frustrazione si dipinge sul volto del biondo. Muscoli nudi tinti dell’argento della luna che si contraggono come cavi d’acciaio. Ha bisogno di parlarne con qualcuno. Lui non è lucido. Quella è una notte particolare per entrambi, li dove possono liberarsi di tutte le costruzioni mentali che applicano solo uscendo fuori dalla porta di quella casa, grande si, ma non più vuota, almeno spera che non sia propriamente così dato che la rossa c'ha messo giusto un pò per rientrare davvero al quartiere del proprio clan, avanzando lentamente verso la casa. Avanza, aprendo la porta con estrema calma, troppa calma perfino per lei, risentendone mentalmente da quel veleno in cui è stata immersa, quello che ha lasciato l'amaro in bocca, o meglio, sulla mano che ha toccato. Apre la stessa, liberandosi in breve di quella cappa nera lasciandola morire a terra, un gesto inconsulto perfino per lei, liberandosi anche dei sandali ninja messi da una parte in disordine, ha altro a cui pensare che dar voce ai propri dettami di Ishiba. E quando la stessa entrerà in contatto con quel freddo lieve che entra da una porta aperta, quella che darà sullo stesso giardino. Le azzurre scorrono nella semi oscurità del loco, lo osserva lentamente, così muovendo anche i propri passi prima di entrare nella sua di visuale, probabilmente prendendosi in pieno la schiena decorata dell'uomo da quelle antiche cicatrici che macchiano la sua pelle, in tutta la sua altezza. < ciao > sospira lievemente, frastornata anche, e lui potrà vedere che porta con se un sacchettino con qualcosa di caldo i cui odori si inebriano nella casa < com'è andata? > sapeva ovviamente della sua missione giornaliera, come lui sapeva del proprio cercare un doku per quella sua condizione, la cosa che ha permesso di riprendersi i suoi ricordi, di riaprire vecchie ferite solo per metter al suo posto la propria di mente. Si appoggia a quello stipite, sospirando l'aria fredda che lenisce il viso lievemente sudaticcio, di certo non abituata a prendersi quel veleno così diretto a contatto con la pelle. In attesa, rimane, senza perdersi nulla di lui, senza perdersi la luna alta in cielo , di Jikken nemmeno l'ombra ancora, che sia dentro la sua stanza? Rumori avvolgono di nuovo quel grumo di pensieri che cercava di dipanare. Partiamo dall’apertura della porta. Due sole persone al mondo possono aprirla a parte lui, e dal modo in cui viene girata la chiava ha capito. Se è irruento e sbrigativo è Jikken che non vede l’ora di rintanarsi nella sua camera dopo le sgridate di Oji-San, se è elegante e composto è Sango, incapace d’esser fuori posto nemmeno nell’aprire una porta. Ma… delicato e flebile? No, quello non esiste. Inarca un sopracciglio sottile, lentamente ma inesorabilmente. Tentando di disegnare i movimenti di chi sta entrando, solo utilizzando l’udito. Niente coincide. Eppure c’è qualcosa nella delicatezza del passo che… quando sente quel saluto lo sguardo si sgrana. Troppo debole, troppo flebile, troppo freddo. Si volta di scatto, spargendo una zaffata di quel fresco selvatico che è il suo odore, è da lei in un attimo. Esattamente di fronte a lei, una massa scura con i dettagli di pelle lucida in risalto del color dell’argento lunare. Istintivamente, se gli fosse concesso, tenterebbe subito di alzare la mano verso di lei, appoggiando l’incavo tra indice e pollice sotto il mento di lei, le quattro dita a poggiarsi sulla mandibola da una parte, il pollice dall’altra, una presa mai dolorosa ma loro. Tenterebbe di spostare verso l’alto il mento di lei, e contemporaneamente inclinerebbe di lato il capo, lasciando che la luce la illuminasse direttamente. Potrebbe percepire qualcosa se il tocco con la sua pelle fosse concesso? Avrebbe modo di comprendere la strana lucidità della sua pelle? La conosce abbastanza a fondo da rendersi conto che quel sospiro è troppo lieve, e che qualcosa non va? Anche perché lui, come lei, è aggiornato su ciò che succede. Sul compito che le spettava, e con riluttanza si è costretto a non disdire la partecipazione a quella missione infame, per andarle dietro. <Che è successo.> Lo sguardo nero come l’abisso praticamente invisibile nell’oscurità, se non per quel fremito di luce costante che le iridi mantengono costantemente, segno indelebile di quell’irrequietezza che lo agita, e che oggi si tinge di preoccupazione per lei. Ha bisogno di sapere, mentre la mano libera tenterebbe di raggiungere il sacchetto che lei tiene in mano. Muto tentativo di alleviarla di un fardello inutile, per poi spalancarle la strada verso uno dei suoi ampi cuscini, poggiando il fagotto sul tavolino di fianco <Ti prendo da bere.> Non ammette possibilità diverse. Al massimo la scelta di cosa vuole da bere. E procederà col preparare ciò che lei desidera. Se non riceverà indicazioni, le porterà dell’acqua fresca. Quella domanda avrebbe comunque modo di arrivare alle orecchie del biondo, che si limiterebbe a serrare la mascella. Vorrebbe ringhiarlo fuori il turpiloquio che gli viene in mente pensando a quella missione. Ma sa che a casa di lei certe cose non vanno dette <Male.> Risponde laconico <Adesso ti dico. Ma prima. Dimmi di te> Una nota di preoccupazione nella voce, aspettando. Stanca, lo è, forse più visibile rispetto a quella stanchezza mentale di lui, ma sa che qualche pensiero trastulla quella mente come piccoli aghi, ha imparato a conoscere le sue espressioni, i suoi stessi momenti, il trovarlo li fuori è già un segnale che indica qualcosa. Cosa ancora non lo saprà, il tempo di poggiarsi a quello stipite se lo ritrova davanti, immediato come al solito, seppur non ne provi timore o chissà cosa, semplicemente il calore di quella mano che si erge sul viso per farlo sollevare di più . Ne legge la preoccupazione in quello sguardo, in quella stessa voce che le si affanna sul viso, prima di vederlo agitarsi e toglierle dalle mani il sacchettino e ordinare per lei quel che debba fare. Fosse stato qualcun altro si sarebbe indispettita, eppur lo seguirà lentamente verso quel tavolo, verso uno degli ampi cuscini per sedervisi sopra sfatta, non come al solito < mi porti del tè? > si, perchè di sakè non ne potrà bere in questo momento, per molto tempo ancora avvenire a dirla tutta, una mancanza che alle volte si fa sentire prepotente, ma che adesso troverà semplicemente una piccola smorfia al lato del labbro superiore, veloce prima che torni a lui, e senta quel suo dire, male. < è morto qualcuno? > qualcuno dei suoi compagni, s'intende, ormai pare che gli shinobi abbiano preso troppo sotto gamba le missioni, di qualsiasi entità loro siano. Ne ascolta quella che una domanda non è davvero, ritrovando a sorseggiare il tè se lo avesse vicino e sospirare < è andata non come pensavo > inizia lei aggrottando le sopracciglia < ma mi hanno avvelenata. Non avevo mai provato il veleno nel mio corpo > lo ammette senza problemi, portando le mani al ventre gonfio, sempre più gonfio con una vaga forma di preoccupazione per quella creatura < ho fatto il nome di Kimi Doku, ex capo clan ai tempi di Oto > la vera oto, s'intende < peccato che hanno deciso di attaccare un membro della Shinsengumi > per lei è stato quello, un attacco, non una prova < e potrei davvero farli morire tutti quanti per essersi messi contro il governo > ma qui, il sorriso nasce, maligno < il loro capo clan avrà presto mie notizie, e quelle della Shinsengumi ovviamente. Allora dovrà per forza ascoltarmi se non desidera la morte di quei due > quegli stessi che l'hanno attaccata insomma < avremo il nostro Doku > decisa in quello che dice, adesso che più o meno ha compreso come funzionino le cose dentro quel genere di clan. Le iridi che si portano alla mano, alla sua mano in realtà < raccontami > adesso tocca a lui, ovviamente. <Certo.> Quel tono così categorico, senza dubbi e senza consentire dinieghi. A volte è tremendamente confortevole. Soprattutto quando si tratta di fare una cosa per lei. LEI. Thè sia dunque, bollitore, vassoio, tazze, acqua che bolle, teiera con l’infuso, un fruscio che sa di fresco e tutto è al fianco di lei. Sa essere un ottimo uomo di casa, l’educazione militaresca che gli è stata impartita in alcuni casi è preziosa, nella convivenza sa rendersi utile anche per gli altri. Non s’arresta il suo incedere per la casa, presto lei potrò notare una delle plafoniere alle sue spalle accendersi e proiettare luce calda sull’ambiente, senza tuttavia affaticare lo sguardo, essendo di spalle a lei. <No> Risponde secco alla sua domanda. Era giusto che lo chiedesse. Si sarebbe stranito del suo preoccuparsi per gli altri compagni di squadra, ma tra quei compagni c’è Matono, che forse merita un discorso a parte. <Stiamo tutti bene.> Forse di questi tempi già questa dovrebbe essere considerata una buona notizia. Segno di kami benevoli, tutto sommato. Ma non per una bestia del genere. La voce profonda, bassa e vibrata arriva a lei da tergo, mentre cerca di rendere quell’ambiente più confortevole. Ancora una cosa da fare. Qualche passo sinuoso, come quelli d’un grosso felino, e sarebbe alla porta finestra, pronto a chiuderla per evitare di farle giungere freddo. Dona quindi di nuovo la schiena nuda all’Ishiba, che a questo punto dovrebbe aver cominciato il suo racconto. Le mani forti agguantano la maniglia per tirarla a se senza sforzo ma… si ferma. Di nuovo il capo si volta, lo sguardo nero che le viene donato è qualcosa di funereo. Tempestoso. La osserva ora, più pallida nel colore, sudaticcia nell’aspetto del volto perfetto, stanca. Sembra l’esplosione di un petardo, li nella casa, quando il pugno di lui s’abbatte sullo stipite della porta. Non ha il chakra impastato e non sta comunque usando tutta la forza. Eppure il legno scricchiola e geme. Nessun danno evidente, solo tanta rabbia, muscoli contratti e tremanti <bastardi> Un ringhio tanto basso e sibillino da arrivare dritto all’anima, perché da essa proviene. Sguardo abbassato, mentre chiude la porta finestra con forza. Povero stipite. Resta di spalle un paio di secondi, prima di infilare la mano sinistra tra i capelli e tirare su il volto, per voltarsi di nuovo. E incedere verso di lei. No, non si siede come al solito, dietro di lei, desideroso di condividere anche quei grossi cuscini e di sentirla sulla pelle, questa volta le arriva da davanti, mettendosi in ginocchio davanti a lei. Il sinistro poggiato a terra, il destro piegato per giungere alla sua altezza, e anche così, tenterebbe di poggiare l’indice sotto al suo mento, per alzarle di nuovo, poco poco, il volto <Devi farti una doccia, appena puoi, e riposare> Parla con un minimo di consapevolezza. A lui è capitato d’esser stato avvelenato, ogni veleno funziona a se, per carità, ma in comune dovrebbe esserci il fatto che detergere la zona infetta può aiutare. In ogni caso il tono con il quale si rivolge a lei è completamente diverso, calmo e posato, bassissimo e vibrante, ma con una nota di dolcezza. Eppure, in quello sguardo nero, pesante, opprimente, impera la rabbia <Chi è stato, Sango?> Si trasformerà nel braccio armato del governo, se serve. Ma è palese quanto non sia in grado di accettare quello che è successo. Al punto da dimenticarsi qual è il motivo per cui hanno iniziato tutto questo. Porterà a Rasetsu cadaveri se necessario. S’irrigidisce la mascella. Rabbia. Fulmini di rabbia screziano le iridi nere. Un tremito leggero arriva perfino alla mano che sostiene il capo di lei, e che lentamente la libera da quel tocco. <Come proponi di muoverti?> Le chiede, tentando di mantenere la calma, ma anche la voce freme. Difficile calmarlo, starebbe già distruggendo alberi nel bosco oscuro, se non sentisse il bisogno di starle vicino. A lei cercare di capire come. Lei che cambia argomento, lui annuisce. <Ho fallito la missione, Sango. Ho fatto scappare uno dei due obbiettivi con una bambina e ucciso l’altro> Si prende la responsabilità di quel fallimento tutta sulle sue spalle. Perché? Starà a lei scoprirlo. No, non le importerebbe ne ora ne mai che qualcuno muoia in una missione, sebbene per Matono possa fare una piccola eccezione positiva, merito del legame da loro creato e instaurato, tutto per un fine più grande. Per quel trio che s'è trovato ad affiancarsi in merito diverse dinamiche, sebbene ancora non l'abbia visto combattere e dunque non possa provarne davvero una stima forte e salda. Parla, lei adesso, raccontando a grandi linee ciò che è accaduto nei quartieri dei clan di Otogakure, di come il veleno dei Doku si sia infilata sotto la propria pelle spossandola, ricevendo in faccia dritta come un pugno di quel viso ed espressione che ha la sfumatura di un killer. Avrebbe ucciso, lui, sicuramente < stai violentando la porta, Shinsei > non v'è rimprovero, solo un sottile dire, che farla riparare non rientra ancora nei propri piani e il legno ne sta di certo accusando non essendo di chissà quale pregiata fattura, anzi. Lo osserva venire a lei, il volto ancora stanco per inebriarsi non solo del profumo del tè caldo, ma anche quello del giovane uomo che troverà davanti in poco tempo, soprassedendo in effetti anche a quella parolaccia, non è in forma abbastanza dal poterlo e volerlo rimproverare per averla pronunciata in quella loro casa. < prima preferirei mangiare > di certo anche quello avrebbe aiutato, eppur cerca di volgergli un singolare sorriso a quella calda mano che la trattiene . Chi è stato? < due membri di quel clan > non saprebbe dirne il nome, non lo sa invero < non preoccuparti, avranno ciò che meritano > cerca di addolcire quella stessa conversazione, di certo non avrebbe mai avuto necessità di protezione alcuna < credo di esser stanca anche per questo > carezza il pancione, di certo adesso ancor più visibile di prima, e anche più fastidioso alle volte, ma nulla di troppo evidente ad occhi esterni , non quando veste con abiti così larghi. < mi muoverò facendo pressione su tutto il clan. Se non vogliono esser visti come nemici del governo faranno bene a starmi a sentire. Di certo basterebbero le giuste parole da far giungere ai livelli più alti della shinsengumi, da un loro stesso membro, per farli muovere > avere un clan che avvelena appositamente i suoi membri, infida e perfida in quel pensiero, ma un qualcosa che sa di poter portare avanti. La destra che cercherebbe lenta la sua, fredda in quello stesso tocco che vorrebbe esser solo caldo, per lasciar andare via quella sua voglia di distruggere tutto quanto, di quel nero tempestoso che ha al posto degli occhi, per udire infine anche ciò che egli ha subito. O meglio. Fatto. Ma non ne troverà sorpresa, ne disprezzo, ne giudizio < non sempre le missioni possono esser portate al termine completamente > tacendo sul proprio passato, dove nessuna missione è mai stata fallita < stai bene, è questo ciò che mi importa > che non sia stato ferito ne altro, cosa che l'avrebbe di certo agitata di più < raccontami com'è andata, posso provare a comprendere, e magari se lo volessi ad aiutarti > con la propria d'esperienza, s'intende, e rimane li, in ascolto di ciò che era quella loro di missione svolta. Un occhio esterno e analitico per comprender gli errori che son stati commessi. Quella prima frase di lei arriva ma è come se non arrivasse. Avrebbe polverizzato quella porta a suon di pugni, se non fossero nel tempio di quell’intimità che dona ad entrambi solo sensazioni positive e protezione. Se non fossero li ove lui sta imparando adesso a portare la tranquillità che servirà alla futura mamma e al nascituro. Cerca di controllarsi, altrimenti quello stipite sarebbe volato in giardino insieme a tutta la porta a vetri. Eppure quando è per lei l’attenzione, per i suoi bisogni, l’espressione sul volto cambia. S’addolcisce in un modo profondo, cambiando quasi i connotati di quel viso sottile, dai tratti duri, che si tinge di dolcezza. È una cosa di cui lui non si rende conto, è evidente, e nessun altro può notare tranne lei, unica destinataria di quella dolcezza. Annuisce restando dov’è, a quella richiesta, a lei basterà allungare la mano per prendere il sacchetto che ha portato da fuori <Vuoi altro? Posso prepararti qualcosa?> In una parola, premuroso. Eppure quella risposta non soddisfa minimamente la sua fame di sapere. Ovvio, che siano due membri del clan. E quell’invito a non preoccuparsi gli provoca quasi un moto d’ira, che è lei stessa a reprimere, con quel gesto, che per lui è un campanello che lo porta ad abbassare lo sguardo su quel basso ventre che tanto bene conosce, e su quella mano che lo accarezza. Sospira. Ma non dirà niente. Vorrebbe ricordarle il discorso che hanno già fatto due volte, sul conoscersi e sapere quando è il momento di fermarsi. Vorrebbe ricordarle quanto è in pensiero per lei e per il bambino ogni volta che lei si chiude la porta dietro le spalle la mattina. Ma eviterà tutto questo. Lei ha subito un avvelenamento e sa bene che ricordarle cose che sa già, quando è così stanca, avrebbe solo l’effetto di chiuderla a riccio. Si limiterà ad annuire <Ora puoi riposare> Tentando di farla sentire più al sicuro. Ascolta il dire di lei, assimila quella lunga frase, e quella tempesta di emozione torna ad avvolgere lo sguardo nero. Accetterà quel tocco, si, ma non avrà l’effetto da lei sortito. Tornerà ad alzarsi, lasciandolo sfilare via. Lei potrà osservarlo percorrere con lentezza l’ampio salone in tutta la sua lunghezza, fino ad arrivare alla sua estrema destra, e poi tornare in dietro, fino ad arrivare alla di lei estrema sinistra, porta entrambe le mani al volto, sfregandolo forte, per poi infilare tutte e dieci le dita tra i capelli, sollevandoli e raccogliendoli, snudando i fianchi del cranio decorati, per poi lasciarli ricadere di nuovo. Sembra un grosso felino in gabbia, che cammina avanti e indietro come a saggiare ogni millimetro di ciò che lo trattiene. Ma non è quello il caso. Non è in prigione ne ci si sente. A lei sembrerà più intento in un fitto dialogo con se stesso, tentando di sedare lui stesso la parte più rabbiosa di se <Voglio esserci, Sango.> Continua a camminare avanti e indietro, lento, elegante e sinuoso, ma con lo sguardo nero e turbolento che ora la cerca <Quando tornerai li voglio esserci. Voglio essere io “ciò che si merita”> Pone enfasi in quelle ultime quattro parole. Sono le stesse che ha usato lei stessa. Che sia lui flagello e punizione per ciò che è successo. Non lo tollera. Ancora non riesce. E non è voglia di proteggerla. Quella è perenne. A spingerlo e ad illuminare quel nero profondo, è la voglia di vendetta. Come se avessero profanato qualcosa di sacro. Eppure nella voce, lentamente sembra farsi via via più mansueta. A calmarlo non tanto le risposte di lei, quanto il suo stato. Non può dare in escandescenze così quando lei è in quello stato. Lentamente il passo già lento rallenta ancora, fino a fermarsi davanti a lei, a lei dedica ora la parte frontale del torso nudo, lasciando andare i capelli, ancora selvatici e umidi <Mi sembra un piano> Ammette, più pacato <Vediamo dove porta. Riparliamone quando avrai notizie> Non è un ordine. Difficilmente ne da, a lei men che mai. È un invito. Il confronto tra loro due è sempre stato proficuo. Qualche passo per arrivarle frontale, si, ma lui è in cielo rispetto a lei seduta. E così, lentamente fletterebbe le ginocchia fino a sedersi. Si siederebbe di fronte a lei, a gambe incrociate, dandole la frontalità ma concedendole la leggera maggior altezza del cuscinone. Mantiene un mezzo metro di distanza da lei, forse qualcosina in più.<Hai ragione, ma questa era una missione che avrei potuto portare a termine> Commenta tentando di sporgersi verso di lei, allungando le mani per tentare di prenderle una caviglia, e tirarla a se. Sono movimenti leggeri quelli che compie. Non è mai estremamente delicato, ha quella nota di irruenza che lo caratterizza, ma niente di ciò che tenta dovrebbe essere in alcun modo doloroso. Se fosse riuscito, tenterebbe di affondare con una modica quantità di forza i pollici sulla pianta del piede di lei. Cosa, è un massaggio ai piedi? Proprio così. Non conosce l’anatomia umana come un chirurgo, o un medico in generale, ma la conosce come uno che fa del combattimento corpo a corpo la propria arma di sopravvivenza, e ciò che sta tentando di fare è di massaggiare con forza ma senza dolore, i punti della pianta del piede che, se sollecitati, coinvolgono il sistema nervoso di tutta la gamba, arrivando fino al cervello, per rilassarla. Nel frattempo la ascolta. <Dovevamo fermare un traffico illegale di bambini. Eravamo nelle fogne. Ci siamo trovati ad assistere a due malviventi che ci sembrava stessero “mettendo alla prova” una bambina> Calca le tre parole tra virgolette con un’espressione di disgusto. <Abbiamo tentato di attaccare in combo, io sul primo, gli Matono e Sangeki sul secondo malvivente. Siamo riusciti ad abbatterne uno, l’altro è riuscito ad indietreggiare con la bambina> Serra le mascelle, avvampa lo sguardo, ma il tocco resta fermo e costante in quel piacevole massaggio. Sta imparando a trattenersi. <A quel punto avrei continuato ad attaccare ma..> Abbassa lo sguardo, e qui il tocco sulla pianta del piede di lei quasi s’arresterebbe <La bambina mi è sembrato si fosse frapposta tra me e l’altro malvivente e…> C’è qualcosa di più profondo <Matono ha detto qualcosa. Io l’ho guardato e mi sono convinto che avesse ragione. L’ho assecondato e ho lasciato quel b…> è sicuro che un’altra parolaccia non sarebbe passata liscia come la prima <malvivente, libero di andarsene con la bambina…> Frustrazione. Ecco cosa emerge dal tono, dallo sguardo, da quella mascella serrata. Senso di colpa e profonda frustrazione. Userebbe ben altre parolacce se solo fosse in un altro contesto <Ho sbagliato a non seguire il mio istinto. Ero l’unico che poteva pareggiare il mio avversario in velocità. E l’ho lasciato andare> Ecco perché le colpe ricadono su di lui. Perché, a torto o a ragione, si è ritenuto il più forte e quindi quello con più responsabilità. Silenzio ora, nessun rumore se non il lento fruscio dei pollici sotto la pianta del piede di lei. Qualora lo consentisse, s’intende. Lo sa, vede quella dolcezza nel suo viso, quella premura che le dona, probabilmente le avrebbe portato un cinghiale vivo e vegeto se solo l'avesse chiesto, adesso < ho preso del cibo appositamente > per cosa? < per non affaticarci > sebbene ormai le polpette saranno diventate molto più fredde del previsto, ramen compreso , ma non è li per mangiare adesso, quanto occuparsi di lui e cercare di limare quella sua stessa rabbia e violenza di quella notte, non avrebbe avuto alcun senso adesso, se non inasprire le noti dolci di una notte ove la pioggia è tornata a scivolare sulle loro teste coperte, è la sua musica tornerà a farsi sentire. Sospira semplicemente, le spalle che si rilassano, in quella condizione in cui si trova priva della sua innata e anche arrogante sicurezza, ma che adesso non troverà altro che stanchezza ma anche calore nella sua stessa presenza. Presenza che verrà meno in un attimo, in un gigante che vedrà sfilare davanti a se più e più volte, violentando i suoi stessi capelli lasciati liberi, per quelle parole che adesso vengono date a lei, a cui non porrà altro che un sorrisetto tra le labbra < lo avevo già messo in conto > se avesse omesso quella parte avrebbe potuto agire da sola, ma cosciente dell'attuale situazione che si sarebbe venuta a creare nel solo dirlo a quel mezzo uomo, mezzo animale, la bestia che adesso si mostra a lei nella semi oscurità di quella casupola < andremo insieme > come fargli passare quella preoccupazione se non con quelle semplici parole? Ma qui qualcosa viene a galla alla mente, qualcosa che aveva fatto quello stesso mattino < ho richiesto alla Shinsengumi di poter assistere in qualità di membro all'interrogatorio di coloro che son stati presi a Kiri > non ha bisogno di certo di spiegare di che situazione parli, non quando il biondo era proprio con lei < hanno accettato. Adesso non mi resta altro che attendere risposta dal generale Anbu > solo quell'ultimo step, prima che possa sapere il motivo per cui loro si son recati li, perchè hanno deciso di dare guerra agli shinobi, e soprattutto come abbiano fatto a riconoscerla in modo così veloce e imperativo. Vorrebbe dargli anche quelle piccole notizie solo per vederlo rilassarsi, per vedere la sua espressione distendersi dato che ormai lei sta per divenire un tutt'uno con il grande cuscino sotto di se. Lo osserva ancora in piedi, sebbene adesso davanti di nuovo, ponendo le mani dietro di se per reggere il busto e non torcere troppo il collo. Adesso ascolta invece ciò che lui ha da dire, eppure verrà distratta, eccome se verrà distratta quando il proprio piedino verrà preso tra le sue calde mani provocando una serie di brividi lungo il corpo, per non parlare di quello che è un vero massaggio ai piedi. < oh miei kami > geme a bassa voce a quel primo inizio < non credo di aver mai ricevuto un massaggio li > al piede, dove sennò? NON PENSATE MALE. Ma siamo qui, mentre lei lentamente potrà sciogliersi come burro al sole, lentamente, con un espressione ebete sul viso di pura goduria, cercando anche di mantenersi abbastanza lucida da poter ascoltare quella che era la loro di missione. Ascolta la storia di quella bambina, di come abbiano attaccato uno dei malviventi uccidendolo, mentre un secondo è riuscito a fuggire con la stessa. Ma di tutta quella storia, non l'attrae la parte della sconfitta nell'averlo lasciato andare, ma di qualcosa di differente < ti è sembrato che la bambina si fosse messa tra di voi? > curiosa, estremamente curiosa < un comportamento non.. normale, per un traffico illegale di bambini > sbatte le lunghe ciglia per quei secondi di pura lucidità, prima che il piacere continui al piede < Shinsei..> richiama il suo nome dolcemente, sospirandolo < sbagliare è anche per noi, non siamo infallibili > sorride adesso, amara nel farlo, ne sente il veleno sulla lingua che cerca di deglutire < la mia vita è stato un completo fallimento. Ho sbagliato in tutto ciò che volevo fare, che volevo avere > errori e orrori che si porta ancora dentro, per sempre, che scavano anche nella pelle donandole un aria quasi più vecchia, stanca ma non per quella notte, per troppe notti vissute < non essere così arrabbiato con te stesso, non per qualcosa che puoi ancora recuperare > lui può farlo, ancora e ancora < la prossima volta seguirai meglio il tuo istinto > ne è sicura, e quell'ombra dal viso scivolerà via , così com'è arrivata < ti direi di mostrarmi il loco dove eravate.. ma nelle fogne.. no grazie > ride lievemente, ma si, non avrebbe messo piede in un posto del genere se non estremamente forzata a farlo < se non vuoi che venga > un'ultima osservazione doverosa, la sua.
Giocata del 03/11/2021 dalle 11:55 alle 12:03 nella chat "Quartiere dei Clan [Ame]"
Eccola lì. La Sango in grado di ammattire quella rabbia scioglierla come neve al sole e farla scolare via. Le basta dirle che è già stato tutto previsto. Per richiamare a sé il giovane biondo, privo di rabbia e con la sicurezzadi esser compreso nei piani di lei. Annuisce, le labbra sottili si stendono per la prima volta da quando lei è entrata in casa, dipingendo sul viso un sorriso affilato. Sarà pronto. Si, ma ne parleranno in seguito. Ora si appresta ad ascoltare le successive parole della sua rossa che parla di Kiri. Annuisce di nuovo, lasciando per altri momenti quel sorriso. <Sangeki, il terzo tizio che era con noi a Kiri, era con me e Matono nelle fogne.> un piccolo collegamento che forse potrà interessarla. In ogni caso, aspettiamo. Non ne abbiamo più parlato ma quelle risposte date in quel modo non lasciano ben sperare. Sangeki ha detto di aver affrontato una ragazzina molto abile nel corpo a corpo.> perché quella riflessione? Si concede il tempo di gonfiare di nuovo la cassa toracica con nuovo ossigeno, prima di continuare <se lui ha affrontato una taijutser, tu uno abile con la katana, io un genjutser… non manca qualcuno all’appello?> dove sono le arti magiche? Che fossero una banda di quattro persone di cui uno ancora latitante? <O forse c’è qualcosa di più sotto, visto come hanno saputo riconoscerti. Penso lo sapremo solo dopo l’interrogatorio> difficile fare altro che non sterili supposizioni. Potrà notarlo lei. Ora non c'è davvero più la rabbia, che ha ceduto spazio alla logica, al ragionamento. Certo, lei con quel genitore basso non aiuta a mantenere il sangue al cervello. Cerca in tutti i modi di farlo scendere verso il secondo cervello del corpo. No, non lo stomaco, più a sud. Ma se la cava bene, senza interrompere quel tocco solido ma costante nei movimenti, per lungo tempo circolari, poi rettilinei, poi di nuovo circolari <oh beh, lo tengo per dopo allora ciò che avevo in mente di farti qui sotto> cosa? Niente se non un ghigno divertito sui lineamenti duri ma ora distesi del volto. La ascolta ancora, annuisce al suo dire < è la cosa che mi ha confuso di più. Oltre agli occhi di Matono. > Confida <lo spezzone di conversazione che abbiamo originato parlava di un provino. Loro sarebbero stati i primi, un certo Don sarebbe stato il successivo se lei avesse superato la loro richiesta.> la lasciamo all’immaginazione la richiesta < le opzioni che mi sono venute in mente sono due: o loro tre in qualche modo erano tutti e tre dalla stessa parte, ma mi sembra improbabile, considerando che l’abbiamo sentita piangere quando lei non sapeva di essere ascoltata> inspira piano ma profondo <oppure lei era così spaventata da essersi in qualche modo convinta di aver bisogno di loro per uscire viva da li> un comportamento stranissimo ad essere onesti, ma forse più plausibile della prima opzione. Ci rimugina ancora sopra ancora un po', cullato dai movimenti costanti che infligge a quel piede. Riemerge dai suoi pensieri richiamato da lei. Il discorso fila, ma alcune delle sue parole lo portano a rallentare quel movimento costante fino a fermarsi, lo sguardo che da lei si sposta verso quella busta. Annuisce lentamente, poggiando con delicatezza il piede di lei sul cuscino, e facendo forza sulle mani ora libere per alzarsi. Tenterebbe di prendere il pacchetto per se <è un saggio consiglio, come sempre.> ammette con un sorriso che però ha un che di strano sul volto. Aprirebbe una mensola per estrarre una wok e un pentolino. Due fornelli accesi. Tempo di far scaldare gli strumenti <penso che la tua vita sia stata davvero un totale fallimento?> il senso di quella domanda? È subdolo ma comprensibile per una donna. Tenterebbe di scartare gli alimenti. Il rame nel pentolino a sfrigolarele polpette lo stesso nella wok. Se vi fosse riuscito in tempo zero un profumo di cibo cotto dovrebbe sprigionare per casa. Mentre lui prepara due ciotole e un paio di bacchette su un vassoio. Equidistanti in un ordine mentale precisissimo. Parla ancora, mentre spegne il fuoco e versa in una ciotola il ramen fumante, nell’altra le polpette roventi <prenderò Matono e lo riporterò li. Voglio vedere se mi è sfuggito qualcosa> ammette dedicandole ora un vero sorriso disteso, mentre tenterebbe di tornare da lei con un pasto caldo <non ti preoccupare> ammette semplicemente e potrà vederlo lì in quello sguardo, non è certo la mancanza della volontà di averla vicino a muoverlo, quanto la volontà di non farla finire in un posto del genere. Spegnere quella fiamma non pare esser molto difficile, per lei, toccando i punti giusti come quello appena fatto, il metterlo in mezzo a quella storia, anche solo per farlo stare anche molto, decisamente più tranquillo rispetto al non dirgli nulla. Avrebbe mai potuto nascondere qualcosa di simile? No, le si sarebbe letto in faccia per chi ha la giusta chiave nel leggerla, lui è uno dei rari che possano dire di poterlo fare, allo stesso identico modo di lei che può vedere oltre quel viso che fuori si mostra severo, distante, freddo, in completa opposizione al calore e alla potenza di quello sguardo che lei stessa riceve, ogni singolo giorno. Non che ne abbia mai abbastanza, sia chiaro. Ascolta quel suo dire, di un certo Sangeki, di qualcuno che sarebbe dovuto esser con loro a Kiri ma inarca un sopracciglio < dovrei sapere di chi stai parlando?> ovvio che non gli abbia dato alcuna importanza, non le interessava invero qualcun altro in quella determinata situazione, anzi, più curiosa di sapere altro. Ma ascolterà attentamente quelle informazioni, quelle che le vengono donate < suppongo sia chiaro, da quel che hanno detto non sono gli unici, che si sarebbero.. vendicati > si, quello era lo spirito di vendetta, ma contro chi precisamente non lo sa ancora < contro i ninja o contro il governo? > ancor tutto deve esser scoperto. Lo sapranno di certo dopo l'interrogatorio, ovvio, sempre che le diano anche quel genere di consenso, semplicemente starsene in disparte ad udire ciò che coloro che son rimasti vivi possano dire, confessare, probabilmente si sarebbe goduta una tortura in piena regola in prima fila. Vede quella rabbia scivolare via, cedere il posto alla mente, alle supposizioni, qualcosa che di lui ama molto, in combinazione con tutto il resto ovviamente, tutto si compensa e accresce il modo in cui lo guarderà lei, sempre. Sorpresa a quel dire, sbatte le lunghe ciglia nere un paio di volte, con un vago rossore sulle gote, il non sapere l'accende sempre, troppo in effetti < cosa? > oh che ingenua, non ci sarà nemmeno bisogno di dirlo, ma di farlo, ma non adesso, non qui. Ma adesso chiede, indaga per comprender quel che sia successo la sotto, nelle fogne sospirando e metabolizzando < non saprei dirlo, sinceramente > avrebbe dovuto mettersi nei panni di una ragazzina a quanto pare, ma senza conoscerne nulla non potrà che far qualche pensiero, probabilmente troppo lontano dalla realtà, o forse troppo vicino, ma non avrà mai una risposta, non lei almeno. Lo osserva alzarsi, mollare quel piedino con uno sbuffo indispettito, di certo quel tocco tanto caldo era la cosa migliore di quella giornata in generale, aggiungendoci un bel massaggio tutto diviene..migliore. Per loro, ovvio. Lo osserva scivolare via, lei che scivola sul cuscino per metà quasi nascondendosi dietro al basso tavolo, ma la testa spunterà in modo da non perderselo mentre riscalda la loro cena, anche se avrebbe potuto utilizzare quell'aggeggio infernale che gira e suona, ma sempre utile a lei in effetti. Ode quella domanda, un sospiro ne segue lo sguardo divertito < no > sibila < non completamente > una parte di felicità non tocca forse anche a lei? Un briciolo di ciò che ha desiderato, adesso avverato, in modo differente, in posti differenti, ma pur sempre un tenue desiderio che aveva tenuto per se per tanto tempo. Rimarrà nel silenzio totale a vederlo cucinare, gli aromi a increspare l'aria e impregnarne i polmoni, lo stomaco che brontola rumoroso, la testa che gira lievemente in preda ai ruggiti, ma senza lamentarsene, aspettando semplicemente < se lo dici così sembra che lo prenderai di peso per lanciarlo la sotto > una scena che potrebbe, prima o poi, accadere davvero, e vorrebbe solo esser li per esser lei spettatrice di tutto ciò, rialzandosi adesso a vederlo tornare a lei, sollevando quel sopracciglio < non mangi?> una domanda? No, quasi un ordine il proprio, con quello sguardo puntiglioso che gli lancia dritto in volto. Insomma, mai contraddire una donna. < se aveste necessità potrei anche venire > solo se necessario, ma conscia di quella sua di forza, abilità, tanto da non doversene preoccupare. Un'altra cosa che adora. La sicurezza che ripone nelle di lui capacità, che non esulano dal desiderio di proteggerlo, ma anche nella capacità altrui di potersi proteggere, ovunque, anche in solitaria. Placido ora, non più come felino in gabbia, più come una pantera domestica. Domestica si, per lei. Placido torna lo sguardo guizzante e tranquilla la fiamma che lo anima, dietro quell’espressione austera. Per scaldare, non per ghermire. Sicuro del dire di lei. Hanno quella fiducia, loro due, nient’altro li sostiene. E su quel sottile filo, loro ballano guardando il mondo dall’alto. Scuote il capo <Non credo. È un genin di Konoha. Rosso di di capelli, più vecchio di me.> Non c’è nemmeno mezza nota di interesse a fargli trillare quella voce bassa e profonda. Niente che lo incuriosisca del genin, invero. E tale impressione, muta ma ben comprensibile da lei, che lo ha visto l’interesse del guerriero per altri guerrieri, dovrebbe arrivare chiara come un’indicazione manifestata a parole. D’altronde comunicano anche solo con gli sguardi, loro due. Annuisce chiaramente, ma lentamente, due volte, nel sentirla tornare sull’argomento di quella banda di delinquenti di Kiri. <Le azioni che hanno compiuto erano contro dei Ninja. Bisogna capire se il loro intento era attirare lo sguardo del governo o semplicemente un piano ordito contro chi possiede e sa usare il chakra.> Ragiona. Pondera, tremendamente lucido nel cercare il suo sguardo e condividere con lei le riflessioni in merito. Riflessioni che però, per ora si fermano alle supposizioni che possono fare, tutto sommato povere di contenuto, senza quell’interrogatorio che entrambi attendono. Se lo gode con la coda dell’occhio, che non si stacca mai da lei, come se fosse incollata a quella figura sinuosa e tinta di sangue, quello sbuffetto stizzito. Tanto per farle capire che no, non le è concesso dire che la sua vita è un fallimento. Come a lui non è più concesso considerarsi un rifiuto. Ma volge completamente il capo verso di lei, pur camminando verso la direzione della cucina, nel sentirla chiedere. Per godersi quel rossore e, con un ghigno di malizia, scuotere il capo. Non le è concesso, non ora, ma se lei avrà cura di guardarlo negli occhi, quegli specchi neri coi quali comunica, vedrà l’ombra, il sentore, un pizzico di quello che la serata preannuncia per lei. Tempo al tempo, Sango. Soprassiede sul commento di lei sulla bambina. Non sanno dire nemmeno loro, quindi l’unica cosa da fare è andare a controllare. Un ghigno divertito si stende di nuovo su quel viso dai tratti duri e dal profilo affilato, quello che lei potrà vedere. Quel naso appuntito che spunta dai capelli selvatici, completamente dedito al riscaldamento delle pietanze, ma con lo sguardo che, con la coda dell’occhio, la cerca costantemente <Non penso ce ne sarà bisogno. Se lo conosco questa cosa ha bruciato anche a lui. Verrà volentieri la sotto con me, senza che debba costringerlo.> Ha avuto modo di vedere la frustrazione sul volto del moro. Tornerà da lei con un vassoio tremendamente preciso. Le due coppette ad una distanza eguale l’una dall’altra e alla stessa distanza dai bordi, al centro, unite, le bacchette per lei. Posizionato con cura davanti a lei. Scuoterà lo sguardo al suo dire <No.> Commenta secco, ma non c’è presunzione nel suo sguardo, ne rifiuto nei suoi confronti, solo una profonda frustrazione <Devo risolvere questa situazione da solo. È una cosa che devo fare per me.> Sarà in grado di capire lei? Ne conosce l’animo guerriero, ne conosce l’orgoglio, può supporre cosa voglia dire sentirsi feriti da quel punto di vista e voler rimediare con le proprie forze. Lo sguardo tornerà di nuovo, completamente, su di lei, a scivolare su quella figura semisdraiata, eppure le lascerà tutto il cuscinone per lei, tornando a sedersi, gambe incrociate, sinuoso ed elegante come un felino, di fronte a lei, scuote il capo <Non ho fame stasera> Commenta tenendo gli occhi neri nei suoi, cercandola con costanza. <Non di cibo> Mormora basso e vibrante, stendendo le mani <Dammi i piedi. Non ho finito> Non un ordine, ma un invito. Riprenderà da dove ha interrotto poco prima, ma su entrambe le piante di quei piedini delicati. <Come sta Jikken. Non lo vedo mai.> Non è preoccupazione quella nella sua voce, quella la dedica solo a lei, è curiosità. A dirla tutta anche quella è strana da sentire nella sua voce. Non ne ha mai per nessuno. Ma forse…[end] Domestico, lui? Mai, tanto quanto lo è lei. Quello è solo il loro piccolo regno ove poter essere quello che sono, quello che vogliono essere, senza che alcun sguardo oltre il loro possa vedere ed intervenire a rovinarlo. < comprendo > lascia cadere quel discordo, non interessa a lui, non troverà interesse lei, quando i loro gusti in fatto di anime sia tanto simile pone quasi una risonanza nell'altro. Sapere di uno accende o spegne la curiosità altrui, quasi come uno specchio, ed ella di parole per qualcuno che non conosce non ne avrà molte, pochissime. < tutto sarà chiaro all'interrogatorio, vedremo cosa gli faranno per portarli a parlare > curiosa anche dei metodi utilizzati dagli anbu per portarli ad una confessione del genere, curiosa di quali torture possano farlo, sadica in quel momento, nel rosso sguardo che s'accende divampante sul volto, crudele anche, senza pietà per coloro che non ne sanno dimostrare. Per coloro che non ritiene innocenti. Non le è concesso sapere, bollire in quel brodo acceso da lui con un semplicissimo tocco ai piedi, meraviglioso invero, e nuovo. Si tranquillizza almeno nel sapere che l'Uchiha, colui che davvero porta quei rossi occhi sia con lui, che non sia solo con un estraneo , che possa fidarsi di un compagno in battaglia probabilmente da dargli anche le spalle, senza la paura che possa venire ucciso. Ma quegli occhi rossi, quel pensiero, ha posto già da un pò di tempouna domanda nella mente, una domanda difficile da fare, che dovrà trovare il giusto momento per esser pronunciata, che nasconde, almeno ci prova al biondo. Pone di nuovo quel sopracciglio inarcato a quel secco no, senza però insistere, domandare, comprendendo ciò che non viene detto ad alta voce. Che non metta lei il dito tra lui e il suo orgoglio, l'avrebbe probabilmente frustrato ancor di più di quanto non lo sia già. Il cibo arriva delizioso come colui che lo porta a lei, seguendo quel semplice dire, le gambe che si dilungano di nuovo completamente verso di lui, sotto il tavolino, attraversandolo quel che basta che lui possa trovarsi in grembo i propri di piedi, la destra invece dedita alle bacchette in legno e al cibo. Riuscirà mai davvero a mangiare con quel massaggio in contemporanea? Non sta a noi scoprirlo, ma quando lui stesso tornerà a massaggiargli i piedi potrà notare un brusco calo delle facoltà fisiche e mentali nella rossa, che recepirà la domanda con un vago ritardo <eh? > si, non è completamente lucida adesso < ogni tanto riesco a beccarlo, ma almeno sta fuori anche, non sempre rinchiuso in quella stanza > anche grazie a quel lavoro da Oji-san. Eppur non vede stranezza nella sua voce, quasi ad aver legato mentalmente lei stessa quei due figuri che vivono sotto lo stesso tetto. Ma forse...? [end]