"..posso parlare?"

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22:05 Sango:
 Non essere mai riuscita a imparare a cucinare significano molte cose nella vita, sottolineando già come lei abbia davvero vissuto, ma soprattutto che il frigo raramente potrà dirsi pieno di qualcosa da mangiare. Ciò significa, dunque, che per vivere - sia lei, che Jikken - debbano palesemente affidarsi a qualcun altro, di solito qualche baracchino ove compra le cose che più le piacciono, viziata potremmo definirla in verità. E' tarda l'ora, molto tarda, lo stomaco brontola più del normale, imbarazzante perfino, ma cerca di non darvi molta corda, quanto più cercare di camminare il più velocemente possibile verso la casa ormai poco lontana. La riconosce, semplicemente l'ultima casa in quel quartiere destinato agli Ishiba, la stessa che dovrebbe ancora avere delle luci accese, sempre che il ragazzino sia ancora li. Si, gli ha dato un tetto sulla testa, dei vestiti nuovi che ha fatto scegliere, ma anche il cibo non sarebbe male, no? I passi risuonano nel legno, sale su quella che è la parte principale ove la porta di casa dovrebbe risultare ancora aperta, lasciandola scivolare di lato con un movimento del polso, affamata, desiderosa di mangiare. Un ingordigia che non le appartiene solitamente, ma anche il profumo di ciò che il sacchetto porta alle narici non è mica male, takoyaki, involtini primavera, gyoza, insomma, tutto ciò che di buono possa offrire quei baracchini nella piazza centrale di Amegakure. Si infila nella parte pre iniziale della casa, li ove lasciano di solito soprabiti, scarpe e tutto ciò che in casa non dovrebbe andare, almeno ha provato a dirlo al giovane, chissà che la stia ascoltando? In tutto ciò andrà lei stessa a togliere velocemente i sandali ninja per poggiarli perfettamente adiacenti alla parete a destra, prima di infilarsi , finalmente, nel proprio salone . Indossa le stesse vesti del pomeriggio, alias un bel kimono rosato , più lungo, giunge a metà coscia. La stoffa è più pesante, adatta a quelle temperature umide dell'autunno incombente, e circonda il corpo con grazia, trattenuta dalla cintola alla vita, d'un rosa più scuro e freddo, spento. Avanzerà senza timori verso il tavolino al centro della stanza, quello che sosta di fronte la porta in carta chiusa, la stessa che da sul giardino interno. Gli occhi sono concentrati verso qualcosa di lontano, respira l'aria di casa, adesso mischiata all'odore del giovane Amese, per poggiar sul tavolino il cibo . L'odore dello stesso impregna l'intera casa, mentre , indaffarata, andrà a recuperar bicchieri e bacchette < Jikken?> la voce si erge, morbida, calda, in un invito, sempre che sia li, non che lo veda tutto il tempo in tutti i giorni, avvicinarsi è divenuto.. difficile, quasi impossibile, specialmente toccarlo.

22:22 Tsumi:
 Alcuni giorni sono passati da quando il giovane si è intrufolato(?) nella casa della rossa. Non si aspettava di certo che il ragazzino avrebbe esagerato quell’invito ad andarla a trovare, talmente tanto da presentarsi davanti alla sua porta reclamando un posto dove dormire. Ed eccoli, nella sua stanza quasi totalmente al buio. Difficile capire cosa possa passargli per la testa. Semplicemente i giorni sono trascorsi godendosi una tranquillità a cui non era più abituato, di cui fondamentalmente non ha alcun ricordo né sensazione. Indossa un kimono bianco, candido e profumato, nuovo di zecca, i capelli sono raccolti in una morbida coda sapientemente fatta da Sango. I sandali sono ai piedi (?) del suo fuuton. Si, non ha ancora esattamente imparato le buone maniere. Dai su, diamogli un po’ di tempo a questo poveretto. Quegli odori sono ancora così confusi per lui, strani ma gli sembrano qualcosa di molto lontano. Ricordi dispersi in chissà quale meandro della sua memoria. <uh?> Sussulta per un attimo, distolto finalmente dai suoi pensieri lontani anni. Una voce che lo chiama lo ha finalmente destato. E’ la voce di Sango. Fa quindi per alzarsi dolcemente, rimettendosi i sandali ai piedi. Compie qualche passo in avanti andando verso la porta a scomparsa. < Sango? > Pronuncia a voce flebile, volendosi accertare della presenza della padrona di casa. Apre dunque la porta dopo un attimo di titubanza aprendola quanto basta perché si veda metà del viso del giovane. < Sei qui. > Afferma semplicemente, come se potesse essere qualcun altro. La osserva, per poi subito spostare lo sguardo verso il tavolo. I profumi mischiati dei takoyaki, involtini primavera e i gyoza lo raggiungono e il suo naso quasi gioisce al sentirne nuovamente l’odore magnifico. < UUUUOOOOOO > Esclama, più forte del previsto, anzi del solito, visto la poca flemma del ragazzo durante la giornata. Tranne per il cibo. Il cibo è tutto. Spalanca dunque la porta, quasi violentemente < CI-BO! CI-BO! > Canta come un ultras che veda la squadra del cuore, con le braccia alzate tanto che il kimono sale leggermente. Le gambe divaricate che muovono passi sgraziati verso il tavolo. Sembra un fottuto tamagotchi. Neanche degna di uno sguardo Sango oramai.

22:35 Sango:
 Lo richiama, prendendo ciò che serve per cenare, bacchette, bicchieri, bevande, sakè per se stessa, soia, insomma, tutto ciò che serve per una cena degna di esser chiamata tale. Li posiziona li su quel vassoio alla cucina, modo più semplice e veloce che fare avanti e indietro dalla stessa, cominciando a camminare a passo piuttosto svelto e agile verso il tavolo basso circondato da cuscini, nessuna coperta posta sopra a riscaldarsi, non è ancora il momento. < ciao > solleva lo sguardo da sopra il vassoio verso il vaso del giovane ragazzo, decisamente troppo magro per la sua età, eppure sembra star meglio, specialmente il viso, il colorito, e il fatto che non abbia abiti rotti e nessuna sporcizia a vista. Andrà a porre li quel vassoio, al centro del tavolino abbastanza largo e grande per almeno quattro persone, una su ogni lato . Siede, elegante, la veste che si solleva un poco sulle gambe, il corpo flessuoso e morbido che segue una sua rigida disciplina, peccato che si andrà a vedere quel nanerottolo camminare come i peggio abitanti di Iwagakure. Gli scocca uno sguardo, dritto in viso, per esprimersi di nuovo < Jikken, puoi camminare bene?> una richiesta la propria, nel vederlo tanto trasandato , cercando di ignorare le urla e la porta sbattuta da un lato del suo stipite scorrevole, rischiando probabilmente di romperla < sei stato ancora a letto tutto il giorno?> oddio, sembra proprio ciò che direbbe una madre, e lei non si sente una madre, nemmeno sa che potrebbe davvero divenire una madre! < dovresti uscire, far qualcosa, trovarti magari degli amici, che ne so > lei che parla di amicizie? Qualcosa non va, sarà anche il richiamo del cibo magari, lo stesso che s'appresta a togliere dalla busta di plastica, dividendo quella che è una invidiabile quantità di cibo caldo e fumante, tutto riposto in quelle vaschettine di alluminio, troppe per due persone, previdente magari per il giorno dopo. < cosa preferisci? > aprendole lui stesso potrà scegliere cosa mangiare, cosa provare senza troppi problemi < ahn vorrei che conoscessi una persona > la butta li, come nulla fosse, cercando di non punzecchiarlo troppo, il fatto che si faccia fare i capelli e la coda da lei è un grande passo, almeno ai propri occhi. [mode mom]

22:55 Tsumi:
 < CIBOOOOOOOO > Finisce il suo canto fiero con un lirico alla fine della sua opera, disturbando praticamente mezzo quartiere di Ame con una voce stridulina poco mascolina. Lo sguardo affamato e lussurioso si posa sopra il cibo – non pensate male, su – su quelle vaschette dal profumo molto invitante. < ciao > Risponde solo ora con fretta al suo saluto. Non ha ancora imparato che quando qualcuno arriva si saluta. C’è ancora molto lavoro da fare per la rossa. Ora le braccia si abbassano ma continuano ad ondeggiare seguendo la camminata sbilenca e poco elegante. < Assolutamente no, festeggio per il CIBOOOO > Termina la frase ri-cantando senza azzeccare neanche una nota fatta bene. Continua quindi imperterrito a camminare in quella maniera contro ogni indicazione della povera Sango. Sempre meno elegantemente va a poggiare il suo sedere in maniera irruenta in uno dei cuscini posti a circondare il tavolino basso della cucina. Diciamo solo che ha una gamba piegata e una dritta leggermente verso sinistra. Le mani si poggiano al tavolo e osserva Sango tira fuori le vaschette senza perdere neanche un movimento. Sembra un cagnolino in attesa della pappa. < Vediamo… > Mugugna tra sé e sé prendendo la prima vaschetta che gli capita a tiro. < GYOOZAAA> Urla in falsetto come a voler simulare un canto angelico. Alza la vaschetta al cielo come se fosse un dono degli dei e dal suo punto di vista lo è. < cosa? > Chiede, distogliendo lo sguardo e l’attenzione dal prelibato pasto che lo aspetta. < …. Non sono pronto, va bene? > Dice modificando repentinamente il tono di voce. Persino lo sguardo si fa basso al solo pensiero di uscire a farsi degli amici. Va dunque ad afferrare un baio di bacchette con la destra e repentinamente andrebbe ad afferrare un gyoza, affamatissimo. Sango potrà sentire un rumore di bocca poco elegante. Il giovane infatti morde quel gyoza bollente noncurante del fatto che avrebbe avuto difficoltà nel masticarlo tanto è caldo. < cofha? > Chiederebbe facendo un verso più che una vera domanda. Non lo rassenera il fatto di dover conoscere una persona. Per lui in questo momento ogni sconosciuto è motivo di stress. < Chi? Te l’ho detto, non mi sento pronto > E chissà quando lo sarà.

23:01 Shinsei:
 Due colpi secchi, forti abbastanza da far vibrare lo stipite della porta d’ingresso che, suvvia, dovrebbe reggere. Due tonfi sordi che dovrebbero propagarsi all’interno. Resterà dunque li, fermo sotto la tettoia della casa dell’Ishiba. Qualora qualcuno venisse ad aprire lo troverebbe ad aspettare con un abbigliamento già noto: Un kimono nero, dal largo pantalone a pieghe, con le falde della parte superiore a congiungersi, si, ma solo all’altezza della cintura, Mostrando dunque un profondo scollo a V che mostra in principio un collo segnato da lividi intorno alla gola, e tre graffi in verticale sull’addome. Il chimono, di pregiata fattura, è di stoffa opaca, sulla quale però sono ricamati ghirigori argentati. In mano, trattenuto a mezza altezza, Un Haori rosso sangue con intarsi in oro. Così è vestito quest’oggi il biondo. Il volto affilato è dipinto nella solita espressione austera, Impreziosita dagli occhi dal taglio affilati, gemme nere oscure e pesanti, che per ora vagano pigri su ciò che può vedere. I capelli biondi sono raccolti in una treccia malfatta che lascia libera una ciocca, a nascondere parzialmente l’occhio mancino. I lati del cranio, lisci, sfoggiano i due dragoni neri d’inchiostro a decorarli. S’è fatta notte ormai, effettivamente è un orario un po' insolito per citofonare. Insolito per chi ha degli orari, delle convenzioni sociali da seguire, pause predefinite socialmente come la cena o il pranzo. Insolito per chi non ha paura di addormentarsi. Insolito per chi non ha pensieri ad incatenargli il cervello che da solo non riesce a districare, insolito per molti, Ma non per tutti.

23:15 Sango:
 Dovrebbe comprare un paio di para orecchi per quel canto, la stona letteralmente come un pugno nella testa , oppure qualcosa per farlo addormentare, dipende dalle occasioni. Anche il proprio stomaco brontola rumorosamente, un canto che si unisce a quello del ragazzino, eppure, nonostante ami il silenzio, finalmente quella casa pare avere un anima, certo, ci sarà lavoro da fare, come il vederlo sedersi in quel modo, e nel sospiro sconfitto che sfugge alle morbide gemelle < non gridiamo tutta la sera eh? Non voglio che ci rimproverino > non ha mai avuto problemi con i vicini, perchè in casa non c'è mai stata, decisamente vuota e triste, rispetto a quella sera. Passa la vaschetta senza problemi, Gyoza siano insomma, ad ascoltare la sua risposta < non puoi rimanere recluso dentro quattro mura > fa notare, calma la voce seppur non si faccia problemi nel dirlo tanto apertamente < non ti lascio chiuso fuori, quindi se vuoi uscire, far qualcosa, sei libero di farlo > non è mica la sua padrona sebbene abbia rivisto davvero un cagnolino in attesa della pappa. Anche lei andrà a prendere , bacchette alla mano, una polpetta di polpo, takoyaki che tanto ama, per cibarsene. Elegante nel movimento, senza far alcun rumore, tantomeno parlare, a differenza di qualcuno < prima di mangiare, aspetta che si freddi. E non parlare con la bocca piena > ulteriore rimprovero, ed indicazione su come ci si comporti civilmente, di certo non pretende che diventi un Ishiba nei modi, quantomeno un ragazzo che sa stare al mondo, al loro mondo. Uno nuovo che gli si è aperto agli occhi. < si chiama Shinsei > mormora di nuovo, riempiendo i bicchieri di tè verde, entrambi, per entrambi , bevendone un sorso prima di continuare il suo dire < potrebbe esserti ..amico > aiuto sarebbe la parola giusta, lungi da lei confessarlo così , in quel modo, ma qualcosa batte allo stipite d'ingresso, un bussare che la porta a drizzare la schiena < chi sarà a quest'ora? > magari son arrivati proprio a rimproverarli per il baccano estremo . Poggia le bacchette sul tavolo, per sollevarsi da terra e dai cuscini, per voltare le spalle al giovinastro e scivolare con calma verso l'entrata. Le mani che non avranno difficoltà ad aprire, per trovarsi la luna oscurata da un corpo alto, muscoloso, decisamente molto alto. Un gigante. < Shinsei > sorpresa, la stessa che si tinge sul volto, ma li, senza Jikken , potrà donargli un breve rapido sorriso, prima di spostarsi e farlo entrare, lasciandogli lo spazio adatto a muoversi, richiudere la porta < stavo parlando di te..> sussurra a voce più bassa in modo che solo lui possa sentirlo , lanciando uno sguardo a Jikken stesso, più lontano, magari ancora seduto al suo stesso posto. Scivolerebbe di nuovo verso la stanza calda, in attesa che il biondo tolga le scarpe e la segua < lui, Jikken, è Shinsei > proprio colui di cui gli stava parlando, magari qualcuno a cui prestare orecchio, anche più di lei. Avanzerebbe con calma estrema verso il tavolo stesso, imbandito per la cena tarda, a Shinsei invece la libertà di fare come desidera. La serata è appena iniziata, lei invece si versa del sakè, in un basso bicchierino, si, ne avrà bisogno.

23:32 Tsumi:
 < hai qualcosa da dire sulle mie doti da cantante? > Chiede in maniera molto sarcastica. Sembra che il giovane. Oltre ad aver riacquisito un buono colorito e un paio di chili sani, abbia instaurato un piccolo rapporto con la rossa, sempre mantenendo una certa distanza, ma i passi sono stati fatti. Il problema per lui è l’esterno. Un secondo gyoza viene afferrato dalle bacchette del giovane. Ma prima di mangiarlo stavolta, si premura di soffiare sopra di esso per non scottarsi nuovamente il palato come prima. Viene poi successivamente portato alla bocca, iniziando a masticare rumorosamente come sempre. Santa pazienza. < Sfcusha > Così risponde al rimprovero della povera Sango, continuando a mangiare con la bocca piena, sputacchiando leggermente dei pezzettini di Gyoza sullo stesso kimono bianco che indossa < ops. > Affermerebbe velocemente calando lo sguardo verso quelle bricioline unte sul suo vestito. Deglutisce dopo aver dato qualche morso in più al suo pasto. Le iridi si posano sulla figura della rossa. < Mi piacciono queste quattro mura! Sono stato fuori per tanto tempo, perché dovrei andarmene? > Alza un sopracciglio mentre esprime questo parere che effettivamente un senso ce l’ha per il suo punto di vista. Dopo anni passati nel marciapiede non vede perché debba esporsi di nuovo lì. O almeno per ora. < So che non mi lasci fuori ma… > Il sopracciglio riprende la sua originaria posizione mentre il tono cala nuovamente a ribadire di nuovo un concetto chiaro < .. non sono pronto > Afferma nuovamente, ripetendo il concetto di prima. < Shin-sei?> Direbbe scandendo il nome della persona nominata da Sango, come volesse imprimerlo nella sua mente. < a-amico? > Balbetta ora. Al solo pensiero non sa come reagire, né tantomeno come comportarsi. Parole a lui sconosciute che risuonano nella sua teste. Vuote. Bussano alla porta e, udendo il suono, istintivamente gira di scatto il volto, lasciando le bacchette e il vassoio d’alluminio con i gyoza sopra il tavolo. Le mani si portano chiuse sulle ginocchia mentre lo sguardo, ora serio, segue la figura della rossa. Ed ecco palesarsi un gigante davanti all’uscio. Le iridi lo squadrano da capo a piede e le sopracciglia si accigliano andando a mostrare di nuovo quel volto rabbioso e titubante come un cane maltrattato troppe volte. < … > Il silenzio da parte sue, non saluta nemmeno. Si può udire solo il suo respiro pesante. Esagerato direste? Provate a passare quello che ha passato lui.

23:47 Shinsei:
 Non dovrebbe esser stato difficile, per i suoi sensi affinati, percepire la voce squillante del randagio ben prima di bussare. Ex randagio, in effetti, come ex randagio è lui, dopotutto. Una percezione uditiva che dovrebbe avergli dato almeno la consapevolezza che lei fosse con qualcuno. E quella mente ancora incompleta dovrebbe aver quanto meno potuto ipotizzare di chi si trattasse, essendo a conoscenza della situazione. Avrebbe dovuto forse trattenersi dal bussare quella sera, ma non è tipo da trattenersi, questo ormai lo sappiamo. Resterebbe comunque all’ingresso, aspettando la padrona di casa che non tarda a farsi vedere. Guadagnandosi presto l’attenzione delle oscure a squadrarla nella sua figura intera, per poi disegnarne i dettagli fino al viso e agli occhi di lei, uno sguardo affilato quanto il volto, e quanto il sorriso che le dedica di rimando. Annuisce in un gesto lento, una volta sola, quando si sente nominare, assaporando la sorpresa di lei. Un sopracciglio sottile s’inarca un poco nel sentire quel sussurro <mh> Lo sguardo scivola presto alle spalle di lei, che gli usa la gentilezza di farlo entrare. Con gesti calcolati si sfilerebbe i calzari leggeri. Senza rispetto invece lascerebbe sopra di essi l’Haori. Li all’ingresso. D’altronde non avrebbe un altro posto dove poggiarlo. Non perde d’occhio la figura dell’Ishiba, lasciando su quel chimono rosa lo sguardo pesante, ma senza dirle nulla, la lascia andare. Apparirebbe dunque solo dopo qualche secondo, da solo, all’ingresso dell’ambiente nel quale si trovano entrambi. Lascia lo sguardo spaziare lento su tutta la sala. Il naso appuntito trattiene gli odori che si mescolano in un'unica indistinguibile cacofonia di sapori. Lascia per ultima la figura del moro, analizzandone, senza spostarsi da li, i dettagli, dal chimono bianco alla morbida treccia nera. Ne costata la giovane età e ogni altro dettaglio quella figura possa fornire, scivolerebbe dunque, scalzo, nella stanza. Passando dietro l’Ishiba per superare tavolo e cuscini. Andrebbe verso l’ampia porta scorrevole che da sul giardino interno, socchiusa. Finendo a dar loro le ampie spalle. Allungherebbe una mano per afferrarla e spostarla, cercando di essere più delicato possibile, ma con decisione, quel tanto che basta. Basta a cosa? A sedersi proprio li, a metà tra i due ambienti, con le spalle appoggiate sullo stipite solido che poco prima ospitava la chiusura della porta scorrevole, ben più delicata. Gambe flesse, piantate sui piedi nudi, larghe abbastanza da poterci poggiare i gomiti, lasciando gli avambracci scoperti a penzolare. Dona ai due il suo profilo, ma solo dopo essersi concesso uno sguardo a quel cortile, e aver inspirato l’aria dell’esterno. Poggerebbe quindi di nuovo lo sguardo composto da un’occhio solo, su Sango, assottigliandolo appena, notando quel bicchierino e quindi su Jikken, notandone le macchioline sul chimono. Ah, la voracità. Un grande difetto del nostro biondo, quella scena, il pensiero di quell’ingordigia nella casa degli Ishiba. Di quell’Ishiba in particolare, gli stende le labbra in un sorriso affilato che arriva a snudare le zanne bianche <Sai, Jikken, Sango ha nutrito anche me> commenta senza guardarlo, consapevole di quanto sia fastidioso lo sguardo di una persona sgradita in quell’ambiente ma soprattutto conscio di quanto sia pesante il suo, di sguardo, che tornerebbe davanti a se <Nemmeno troppo tempo fa in effetti…> lascia morire li la frase, assaporando ricordi. <Dove ti ha trovato?> senza guardarlo, ma non potrebbe essere rivolta ad altri che al ragazzo, la domanda.

23:56 Sango:
 < qualche volta sei intonato > scocca lei quella stoccata adesso, seppur se ne diverta così come nel tono che usa, la stessa sera che pare esser lieta, leggera, anche se il kimono bianco inizia ad insozzarsi come poche altre cose sotto i propri occhi, cerca di mantenere la calma < la bocca va chiusa quando si mangia > ovvia cosa, anche lui dovrebbe essersene accorto , no? Almeno lo spera, che entri in quella testolina oltre i capelli corvini. Ascolta ancora quel dire, mangiando, ponderando ciò che potrebbe dirgli , di certo vederlo stare li dentro tutto il tempo non è una cosa normale, eppure conscia che ritornare per strada non sarà cosa facile < potresti iniziare con il fare il giro del quartiere > semplice primo passo vicino proprio quella casa < è ben protetto, nessuno si azzarda a passare senza averne il permesso > ancora rimarrà un mistero su come il giovane si sia fatto strada fino a li, probabilmente mostrando il bigliettino che gli ha dato . Ma a quel suo rifiuto , al rifiuto di vivere davvero, qualcosa scurisce lo sguardo dell'ex jonin, un ombra che passa veloce così come è arrivata < potrebbe comprenderti come ti ho compreso io > la voce che assume quella nota dolce, la stessa che ha usato in quella prima sera, invitandolo a mangiare con lei, rispettandone le distanze, così come continua a fare, senza forzarlo, senza toccarlo soprattutto. Può vederne le difficoltà, nei modi, nelle maniere, ma soprattutto in quello sguardo. < molti di noi non hanno un passato felice, qualcuno ha vissuto ciò che hai vissuto tu> lei cosa ne sa dopotutto di cosa sia la felicità? La leggerezza? Nulla. E allude a qualcosa, ma non andrà a dir null'altro, per prepararlo a quello che è un mondo fatto di odio, paura, e dolore. Cosa che sa già, ma li, nella parte più scura, qualche luce s'accende di tanto in tanto ad illuminar la via. Ma va ad aprire, ritrovandosi davanti il gigante, con quell'espressione decisamente equivoca, un teppista allo stato puro, così potrebbe essere bollato anche dal ragazzino. Eppur lei si becca in pieno il suo sguardo pesante, pregno, inutile dire che ne troverà apprezzamento per quello, nero, profondo, scuro, uno sguardo che dona brividi, ma a cui deve dar anche meno importanza del solito, non sono soli. Il corpo dell'Uchiha andrà a sorpassarla, per collocarsi la, all'entrata del piccolo giardino della casa, scostando completamente la parete di fuori e sedersi, mostrando il profilo ai presenti, alla stessa casa. Per quell'esatto motivo andrà a sedersi anche lei, in modo da frapporre il proprio corpo in mezzo, vicino al lato di Jikkan, ma anche a quello del biondo più esterno, un modo per proteggerlo, proteggerli. Insomma, farne da separè in qualche modo < ci sono io > un sussurro, basso, per l'amese adesso, solleticandogli il viso con il solo sguardo, atto a comprenderlo nella sua .. paura. Ma il corpo non sarà sufficiente a deviare totalmente entrambi gli sguardi, donando il profilo anche lei ad entrambi, osservandoli, senza parlare più, ascoltando la voce che esce bassa e conosciuta, riferirsi direttamente al ragazzino. Lei? Semplicemente andrà a bere un sorso di quel sakè, nulla di troppo insomma, solo per incendiare un poco la gola, ma non sono per lei le domande, non risponderà, cercando di donare al ragazzino, se lo volesse, una specie di conforto fisico ma lontano. E gli occhi che non smettono di tornare a colui che sosta a metà tra l'interno e l'esterno, sul sorriso, sulle domande che pone, curiosa di come andrà quella serata, con la voglia di mangiarsi l'intero tavolo. Strano.

00:17 Tsumi:
 <Senti..> Schiude la voce facendo uscire un tono flebile, quasi sommesso. Il desiderio di uscire da quelle mura di certo non gli appartiene. D’altronde, forse deve qualcosa a quella ragazza che tanto si sta preoccupando per lui. < Potrei accompagnarti a fare qualche commissione. > Direbbe quasi di getto, come se si stesse sforzando di dirlo, di non cambiare idea e fare dietro front. Non la guarda neanche mentre lo dice, tante è la vergogna. < Qualche volta > Termina così, lasciando intendere che vuole fare tutto secondo i suoi tempi. Non diventerà certo un animale sociale ma qualche passo in avanti possiamo farlo. Ma torniamo a questa situazione un po’ tesa. Il giovane guarda in gigante passare da un punto all’altro della stanza con un estrema confidenza dell’ambiente in cui si trova. Lo squadra da capo a piede, facendo più caso ai suoi capelli e alla sua espressione. Il timore non gli sovviene, ma il sospetto si. Ne ha visti tanti nella strada come lui e di certo un po’ di pregiudizio lo porta a guardarlo in maniera torva alquanto. Lo segue fino a che lui non si siede sull’uscio che da nel giardino interno. Sbuffa dalle narici senza dire niente. E’ un po’ sollevato che gli stia lontano, per i motivi di cui siamo largamente a conoscenza. Lo sguardo si sposta un attimo verso Sango, quasi in cerca di un aiuto che non troverà. D’altronde, lei stessa voleva presentarglielo. Assorbe soltanto quella frase, come a volerlo confortare. < Uff. > Sbuffa leggermente socchiudendo appena gli occhi. Non guarda neanche Shinsei, così come lui non gli sta rivolgendo il suo sguardo. < Mph > Un verso non ben distinguibile che lo porta a guardare Sango con un sorriso quasi beffardo. < Il vecchio aveva ragione allora. > Favella riferendosi al vecchio con la bancarella del cibo dove si sono conosciuti. < Non è la prima volta > Non una provocazione la sua, quanto una conferma di quanto detto precedentemente. Le parole del biondo arrivano al suo orecchio. Quella frase non gli piace. Lo sminuisce non poco < In strada. Pero’ non sono un cane. > Il tono è secco, lo sguardo è rivolto altrove, viaggia tra i vari oggetti della casa, senza guardare nessuno. Le mani stringono forte la parte bassa del kimono. Il suo stress è evidente, per quanto cerchi di parlare potrebbe risultare alquanto antipatico.

00:37 Shinsei:
 Non ha modo di sentire niente di ciò che viene detto prima del suo arrivo dai due, e nemmeno ne avrebbe interesse, a dire il vero, figurarsi se è un origliatore. Eppure la sua presenza sembra far calare il silenzio non solo su Jikkan, ma anche sull’Ishiba, non può non notarne le movenze, in un ambiente tanto intimo e condiviso da tre persone sarebbe difficile. Quanto è stato inopportuno, disturbarli durante la cena. D’altronde lui lo è sempre, inopportuno. E sembra portare quel peso senza veramente preoccuparsene. Questo tuttavia non gli impedisce di cogliere la tensione. Soprattutto da parte di Jikken. Con Sango a cercare di mitigarla, assorbirla, protettiva. Sono informazioni che arrivano senza per ora causare reazioni da parte di Shinsei, che resta li, schiena sul legno, gomiti sulle ginocchia a guardare ora tra le sue ginocchia, ora direttamente fuori. Quel giardinetto ha per lui il richiamo di una libertà che da quando è dentro quella città fatica a prendersi. Non riesce a starci in ambienti chiusi. Ma di tutto questo non ci importa. Il dragone nero, sul fianco del cranio visibile ai due, si muove, nel suo rimuginare. Aspetta le risposte, ma le aspetta sempre senza guardare il diretto interessato. Si limita a tenere sott’occhio la situazione con la coda dell’occhio. Non gli arriva il sussurro di Sango, o non gli importa. Come detto, non è tipo da ascoltare ciò che non è per lui, a meno che non è strettamente indispensabile, e non è questo il caso. Anche perché quella domanda, come le eventuali altre che verranno, sono per Jikken, e le emozioni che ne dovessero derivare, provengono da un posto dal quale lei non può proteggerlo, che deve trovare la forza di combattere da solo. È tranquillo, il biondo, petto lucido visibile dallo spacco del chimono che si alza e si abbassa lento, in ampi respiri. È tranquillo se bene quel viso, il taglio di quegli occhi, e soprattutto il suo sguardo, dicano sempre, costantemente il contrario, parlado di un’irrequietezza costante, una fame impossibile da saziare, pronta a divorare tutto. Ed è per questo che tiene quello sguardo per se, solo per un attimo scivola verso l’altro, ma niente di invadente per ora. Ascolta quelle parole senza guardarlo, esattamente come Jikken le proferisce senza guardare l’interessato. Due bestie. Diverse per tanti versi, vedremo fino a che punto simili <Il chiosco del ramen, mh?> una domanda che getta li, ma volta leggermente il capo lasciando che sia per Sango lo sguardo nero. Cerca conferma, anche muta, non fa niente. Ma non è rivolta necessariamente solo a lei la domanda, anzi, sarebbe opportuno che Jikken si sentisse libero di rispondere, se volesse. Non v’è tensione nella voce del biondo. Sicuramente più maschile e vibrante di quella del ragazzo, per quanto in realtà, stia parlando a bassa voce. <Decisamente non lo sei> commenta le parole di lui, accompagnandole di nuovo con un sorriso affilato, muore presto sul volto austero. Lascia che sia il silenzio a riempire la stanza, mentre solleva il capo per appoggiare anche quello allo stipite e quindi tener d’occhio la scena. <Sai, difficilmente lo è> schiude le labbra per parlare <la prima volta> chiarisce <Recentemente ho scoperto che ci sono storie simili, di persone simili> lentamente, le palpebre celano le nere iridi al mondo, mentre continua a parlare nascondendo la pesante ossessione che rivelano <Incapaci di capire questo mondo, di interagire normalmente con le persone, di farsi capire> parla prendendosi il suo tempo, ma quanto riprende, la voce si fa un pelo più vibrante, mentre la mascella s’irrigidisce appena <Persone incapaci di ricordare, di provare alcun che> riapre lo sguardo, tenendolo dritto davanti a se <Scarti.> Si sta descrivendo, c’è poco da girarci intorno. <Come me.> è con una compostezza e una calma glaciale, che pronuncia queste parole. Lasciando passare il tempo che serve <ci sei più tornato?> dove? <per strada.>

00:51 Sango:
 < direi che va bene > un passo avanti rispetto al suo non volere completamente uscire e rintanarsi in quella casupola senza metter fuori il naso, prima o poi avrebbe dovuto affrontare il mondo, ma dall'altra parte questa volta , vivo, con una casa, qualcosa a cui tornare, ma ciò verrà da se, ne è sicura. < il tempo cura molte ferite > non del tutto, rimarranno le cicatrici, rimarranno sempre, ma ciò non impedisce la vita, lo sa bene. Sospira cercando di far fronte alla tensione, in verità provando ad allungarsi sul tavolo, prendere le bacchette, le polpette e star in silenzio. Sente lo sguardo su di se dell'Amese, a cui non fuggirà, non sentendolo così teso, vedendogli le mani strette sotto il tavolo, uno sguardo di sostegno, così come le parole, calde, avvolgenti. < Oji-san > lo invita a chiamarlo con il suo nome, un vecchietto, una certezza lui! Altro che i mangiaramen, ma questo è un discorso a parte, da non poter affrontare adesso, troppo leggero in effetti. No, non è la prima volta, non avrebbe mentito lo stesso, non avrebbe mentito lei, non trovandone motivazione alcuna di farlo, non trovandone fondamento, dando anche conferme alla domanda di Shinsei ,e al suo successivo non pensare che egli sia un cane < nessuno pensa che tu lo sia > non in quella stanza almeno, nessuno crederà che la sua vita valga così poco, sebbene nemmeno i cani valgano poco, un pensiero che tace, rimanendo imbrigliato nella polpetta che andrà a mangiare, quasi ad invogliar anche lo stomaco vicino a farne uso , ascoltando il dire del biondo, colui che cerca di mantenere quella sorta di calma, la voce bassa , graffiante, lei stessa che si ritrova di nuovo ad osservarlo ma questa volta non parla con lei, parla con qualcun altro, e può sentire parole , può leggerne parte della sua storia, di essere incapace di ricordare, di non provare nulla < oh quante bugie Shinsei, non dirmi che credi davvero di non essere in grado di provare niente! > si intromette davvero per la prima volta, ed entrambi, se la guardassero vedrebbero il fuoco degli occhi avvampare, violento, di quella che sa essere una bugia, una stronzata colossale, detta davanti a lei, allora vuole proprio farla incazzare. Stringe una delle bacchette lasciando l'altra, il polso che si muoverebbe insieme al braccio dall'interno verso l'esterno, la bacchetta trattenuta da tre dita, indice medio e pollice, nel movimento che sarebbe perfetto, caricando il colpo all'interno del petto per poi lasciarlo andare di forza verso di lui, puntando direttamente al suo petto, e li, lascerebbe andare la stessa bacchetta, quella che viaggerebbe per quei metri che li separano cercando di colpirlo. Sarebbe un niente, una semplice bacchetta, non avendo forza ma solo abilità nel lanciarla , e che dovrebbe essere come il tocco di una zanzara, specialmente per il taijutser < non osare. > glaciale , di nuovo, eppure stringe il pugno sul tavolo < non osare dire una cosa del genere > non davanti a lei, non quando le viene un senso di nausea che la costringe a portare la mano davanti la bocca per qualche secondo, per riprendere se stessa. Qualche secondo prima di riprender parola, fiato, il senso vago della nausea che scompare velocemente così come è arrivato < nessuno è uno scarto, qui. > decide lei, nessuno deve replicare , tantomeno il biondo, tantomeno il moro se non vogliono vedersi lanciare bacchette alla velocità infima che senza chakra può fare , e nulla, usa la bacchetta restante per infilare una polpetta e mangiarla, arrabbiata. [houjutsu 15][tentativo lancio bacchetta - Harry Potter spostate]

01:07 Tsumi:
 Abbiamo appurato che non è un cane. < Bene. > Schiocca le labbra per esprimere una parola di conferma, anche se quel sentimento di sentirsi come un animale agli occhi delle persone non è affatto sconfitto. Semmai non gli arrivano più degli stimoli esterni, ma quella permane nei suoi ricordi e nelle sue ferite. La testa bassa nel guardare il tavolo, allontanandosi da quello della rossa persino. < Si, parlavo di Oji-san > E niente, ormai i rimproveri sono all’ordine del giorno in quella casa. Ma si sta lentamente abituando a quella sorta di dialogo che c’è tra loro: lui si comporta come una belva senza un briciolo di educazione e lei cerca di redarguirlo in tutti i modi, sfoggiando un’eleganza che probabilmente non sarà mai sua. Lo sguardo ora si posa sui Gyoza. Se c’è un modo per la quale può sentirsi meno a disagio in una situazione del genere è mangiando. Riprende quindi il controllo delle bacchette precedentemente posate accanto a lui con la destra, repentine vanno ad afferrare un terzo Gyoza. Si è raffreddato, menomale. Lo porta immediatamente alla bocca, masticando rumorosamente. Gli occhi socchiusi, gustandosi per un attimo quel meraviglioso sapore che lo allontana per un attimo dall’ansia del momento. < sHai, alcHuni menfono > Traduzione: Alcuni mentono. Ovviamente non può fare a meno di mangiare con la bocca piena. Le parole sono rivolte a Shinsei. Si ferma un attimo, andando a deglutire il gyoza ormai poltiglia. < Cazzo, che buono > Afferma con tutta la calma del mondo, come se gli altri due non ci fossero in questo momento. < … Non tutti hanno passato l’inferno. Alcuni pensano di averlo vissuto, tutto qui > Afferma sobillando, continuando a tenere il viso basso e gli occhi rivolti al contenitore d’alluminio del cibo. Sussulta però, una scarica come elettrica percorre tutto il suo corpo a sentire la parola “scarti”. Non fa neanche tempo a rispondere al quesito postogli che Sango parte alla carica, scagliando una ventata (?) di bacchette addosso a Shinsei. Sgrana gli occhi, guardandola come un topo davanti ad un grosso gatto. E un solo pensiero sovviene alla sua mente: le bacchette ci servono, dannazione; e quasi spaventato che la sua ira possa colpire anche il cibo, allunga la mano sinistra sino a raggiungere l’altro contenitore con gli involtini primavera, ancora chiuso, portandolo verso di se prima che alla rossa venga in mente di sprecare del cibo. Non si sa mai. < … Posso parlare? > Favella quasi risentito del fatto che non possa rivolgersi al biondo. Quella è la sua discussione, dannazione. < Coff. > Tossisce forzatamente quasi a voler prendere l’attenzione dei due. < Per risponderti: No, non ci sono tornato. Non voglio tornarci. > Stavolta lo fa, posa il suo sguardo sulla sua figura, notando la particolarità del tatuaggio con più meticolosità < Tu eri un predatore, vero? > Afferma, lasciando la frase lì, senza nessuna spiegazione. E’ arrivato forte è chiaro che egli arrivi dalla strada ma che ruolo aveva di preciso?

01:36 Shinsei:
 Doveva succedere prima o poi. D’altronde ne conosce il carattere, eppure, anche per lui quella è la prima volta che la vede così. Le pianta lo sguardo nero addosso, sempre e solo di profilo, osservandone ogni reazione, la osserva prima intromettersi, osserva l’ira montare su quel viso, la bacchetta volare. Lo centrerà in pieno, ci mancherebbe pure. E lui non si sposterà, immobile come una statua, con lo sguardo piantato su di lei, per prendere da lei non solo le ferite che infliggono quelle parole, ma il dolore ben più profondo di quello sguardo gelido. Emozioni che tiene per se, senza che nulla traspaia sul volto affilato. Ciò che appare in realtà è una linea di stupore ad allargare quel taglio affilato dell’occhio, nel vedere quel conato. I muscoli si serrano, farebbe per alzarsi ma lei, fiera com’è, riprende subito la compostezza. E lui fa lo stesso. Contemplando in pieno la debolezza che ha provato nel preoccuparsi per lei, debolezza che accoglie, si. Per lei. Non osa fare altro, consapevole che in quel momento neanche avvicinarsi di un millimetro sarebbe stato accettato da lei. Lascerà passare lunghi momenti di silenzio. È la reazione di Jikken però a destare di nuovo la sua curiosità. Arrivando addirittura a chiedere la parola, sorride affilato il biondo. Ha ottenuto ciò che voleva, la reazione del bambino, la sua volontà di parlare con lui. Sposta adesso il capo, voltandosi interamente verso di lui e piantando lo sguardo nero in quello fin troppo simile di lui. Annuisce una volta, piano, cercando di carpire eventuali reazioni da parte sua, schiude poi le labbra <è vero.> Non tutti hanno passato l’inferno. Lo osserva chiedere la parola, osando quello che probabilmente a lui non sarebbe concesso fare. Ma è importante che lo faccia. Eppure non risponde subito alle sue parole. <Ed è quando sei li, ridotto allo…scarto di te stesso> utilizza ancora questa parola, ma tiene lo sguardo su Jikken. È un momento importante. <considerato tale da chiunque> vibra basso, ferale <Ecco che arriva la mano tesa di qualcuno che ha la forza di andare oltre.> Sta continuando la storia, la sua storia. <Che ha la capacità di vedere cosa puoi diventare, se avrai la forza.> Serra la mascella <Che ti insegna che il tuo cuore ha dignità di battere> Solo adesso sposterebbe lo sguardo pesante su di lei <E infine ti fa capire che non sei un contenitore vuoto mosso solo dall’istinto. E riesce a farti provare… emozioni> Conclude, quindi la storia che ha iniziato. La sua. Abbassando lo sguardo verso quella bacchetta che giace inerme tra le sue gambe <A farti sentire vivo> è un mormorio appena udibile. Per se, mutua considerazione di quanto sia stato importante per lui l’incontro che l’ha acceso. Ma chissà che non lo sia anche per Jikken. Raccoglierebbe lento la bacchetta. Ripensando alla reazione che l’ha spinta a schiantarsi sul suo petto. Ha sempre una scelta sbagliata di parole, lui, se ne è preso le conseguenze. Va bene così. L’importante è che quel ragazzo si sia sentito, almeno in parte, compreso. Non ha modo di mostrare con le parole. Lentamente sposta la mano che non tiene la bacchetta verso il pavimento, e con un gesto fluido, si alza, compiendo senza remore la distanza che lo separa dal tavolo. Lo sguardo alla rossa, limitandosi a poggiare li di fianco la bacchetta perduta <Ci tenevo solo a raccontare l’importanza degli incontri, in certe vita> Rivolto a lei, ma chiaramente udibile, non si nasconde. Si raddrizza poi spostando lo sguardo sul ragazzo <Lo sono> Predatore, ovviamente <Ma sono anche preda, molto di più in effetti, come ti sarai reso conto stasera> commenta tirando le labbra in un sorriso. Per poi compiere altri passi, felpati e coordinati, verso l’ingresso del salone. Ma si ferma, voltandosi di tre quarti <Ti porto a cena domani. Passo al calar del sole. Ti porto fuori con tutto il letto se mandi Sango ad aprire.> Quasi una minaccia, ma sul volto c’è un sorriso. Sorriso che s’estende anche a Sango, facendosi più affilato. Tiene lo sguardo nel suo per un secondo, solo qualora lei glie lo consentisse, ovviamente. Un lieve cenno del capo in saluto, e poi via ad infilarsi i calzari, riprendere l’Haori e uscire nella notte. [END]

01:54 Sango:
 Beh, almeno anche l altro mangia, cosa non da tutti in un momento di tensione, anche lei ci va dentro con le polpette, e di lanciare il cibo? Mai. Non si sarebbe mai azzardata ad un gesto tanto orribile quanto orribilmente umano. < ingoia prima di parlare > la voce s'è fatta più cheta, leggera, ma non per questo meno autoritaria < linguaggio, niente parolacce qui > manca solo il classico "questa casa non è un albergo" per renderla madre dell'anno, inconsapevolmente. Amen. E si, ci sta provando a prendersene cura a modo proprio, deve riuscirci, dato che non sopporta le parolacce dentro quella casa, vicino a lei in verità . La discussione che continua, forse con più tranquillità, trasporto, lo stesso trasporto che avrà lei con la bacchetta, non ignorando in verità il prendersi il cibo del ragazzino < non lancio il cibo > sia chiaro anche a lui, che la conosca meglio insomma, seppur abbia un sospiro pesante a sfuggirle dalle morbide gemelle. Ma lascia a lui la possibilità di parlare, curiosa che lo faccia senza sgarbo alcuno, e anche lieta infondo che lo faccia, per una volta c'ha preso nel far incontrare due creature tanto simili, sebbene l'ultima domanda sia..strana, non la concepisce, non la comprende, e la confusione si sparge sul viso della donna, lui stesso potrà vederlo nel battere le ciglia più volte, in quella muta, mutissima domanda. Non fa parte di lei, eppure una domanda che lascia il posto agli sguardi, gli stessi che lancia al biondo poco lontano, e lui sa cosa vi troverà, decisamente poco incline a quella parola, a quello stesso concetto. Fiera? No, semplicemente non vorrebbe dover vomitare in maniera plateale su un tavolo pieno di cibo, sarebbe orribilmente disagiante e imbarazzante. Ma non tocca a lei, tocca a loro, lei farà da contorno adesso, mescolandosi con la tappezzeria se potesse farlo , come a usare la trasformazione ed esser comodino, le va bene, era quello il proprio obiettivo, ma nonostante il cibo non può redimersi dall'ascoltare quella voce, stringendo le dita sulla bacchetta in un primo momento, digrignando i denti, ma quello che arriva dopo..no, non se lo aspettava, decisamente. Lo sguardo che rimane incantato verso il basso, verso il cibo, ma non si muove, chiaramente rapita dalle sue parole. Il respiro che si mozza, no, non può non guardarlo adesso, sorpresa, la rabbia passata in un soffio di vento caldo, ma non riesce nemmeno a rispondere. Non commenta, non dirà nulla, solo l'osservarlo sollevarsi dal proprio posto , viaggiare in quella stanza verso di lei, costringendo il proprio collo a sollevarsi molto, molto di più del normale, fin troppo alto e possente. Se ne pentirà, di non riuscire a parlare, di non riuscire a dire nulla, ma si vede che l'ha già perdonato, molto più che perdonato. Riprende quel predatore, quella storia ove dovrà andare di più ad indagare, a comprendere che se ne sta andando da li. Dovrebbe fermarlo? La proposta arriva, per il ragazzino vicino, una proposta di uscita, qualcosa di differente che non sia semplicemente lei, che sia qualcun altro, qualcuno di ancor più simile a lui < Shinsei > un ultimo sussurro basso, ed egli non c'è più. La casa che torna silenziosa, il rumore dei pensieri violento nella mente prima di rendersi conto che non è sola. Tossicchia, leggera, portando lo sguardo a Jikken vicino, sempre che non sia fuggito via, il cibo è ancora li eppure non ne tocca altro, la nausea che torna a farsi viva, fastidiosa < sai, ti ho fatto un piccolo regalo > mormora, per stemperare quel momento, avrà modo di pensare nella propria solitudine, più tardi. Si solleva procedendo verso uno dei piccoli bassi mobili della stanza, recuperando un pacchetto rettangolare incartato < mi hanno detto che è uno dei migliori > tornerebbe a quel suo posto, porgendolo delicata all'altro, in attesa che lo prenda ovviamente < ti insegnerò ad usarlo, se non sai come fare, c'è dentro il mio numero se ti serve > beh cosa prendergli se non un cellulare? Almeno potrà sentirsi più sicuro lui, più sicura lei. Ma a lui scegliere se accettare, e accettare anche il blando piccolo insegnamento che potrebbe dargli per quell'aggeggio infernale, sa usare davvero poco e nulla di quello. E chissà che la serata si concluda in quel modo, oppure ognuno nei propri pensieri, non starà a lei decidere. [end]

02:23 Tsumi:
 < Ti sembra il momento di rimproverarmi, questo? > Afferma serioso verso la rossa, richiamato ancora una volta all’ordine, anzi due. Beh, non è solito dire le parolacce, almeno quando Sango è nei paraggi. Giusto per non farsi rompere le palle da lei, ecco. Ecco che la mancina va ad afferrare il contenitore degli involtini primavera, reclamandoli come suo, lanciando un occhiata di sfida a Sango. Li apre, sentendo quell’aroma inconfondibile. Posa le bacchette ancora tenute nella destra, andando ad afferrare con la stessa uno degli involtini. Freddi anche questi, che peccato. < Mi hai fatto raffreddare il cibo, non mi stai simpatico. > Dice andando a guardare negli occhi Shinsei, un attimo prima che quello inizi a parlare alla rinfusa. Sembra essere un riassunto dell’incontro suo con la rossa. Effettivamente quelle parole rievocano un ricordo ben poco lontano. Continua ad osservarlo e a sentire le sue parole, senza accorgersi che un po’ di unto del cibo gli sta finendo sul polso, andando a macchiare un rivolo del kimono. Se quelle parole abbiano fatto breccia nel piccolo cuore del ragazzino non importa. Nel racconto c’è sicuramente una situazione in comune e una persona medesima come tramite. < Mh. > Mugugna tra sé e sé annuendo al suo racconto. Niente che lo impressioni effettivamente, ma un cambio di vita per entrambi che è stato lo stesso. Sorpreso si rende conto solo ora di essersi sporcato di nuovo< Caz- > La voce si spezza immediatamente, lanciando un occhiata a sango. <… accidenti. > Affermerebbe poi lanciando un sorriso sicuramente forzatissimo. Porta ora l’involtino a incontrare la sua dentatura. Uno scrocchio viene emesso, gustandosi beato quel sapore così intenso. Che buono. Quella sensazione di estasi viene interrotta dalle parole di Shinsei. Un invito a cena, ma che diavolo. Ma se ne rende conto solo poco prima che lui abbandoni il loco, senza possibilità di fermarlo. < EHI > Il tono si alza, cercando di richiamarlo ma incontrando il nulla < … io non ho detto si. > Si imbroncia il viso. La sua opinione non è stata completamente presa in considerazione e ha l’impressione che anche se volesse sfuggire all’evento di domani, verrebbe preso con la forza. Si rivolge ora verso sango. < Non mi piashe > Direbbe continuando a mordere il cibo, biascicando ancora senza nessun ritegno. Deglutisce ora, ascoltandola attentamente < Un … regalo? > Direbbe sgranando gli occhi. Non ne riceveva uno da.. non si ricorda. Il pacchetto viene porto davanti a lui. Farebbe in fretta nel posare il cibo e a fiondarsi sul regalo iniziando a scartarlo con fretta. Di contro, lo sguardo è molto titubante. Agrotta la fronte quando vede il contenuto. Un cellulare. Certo lo aveva visto usare ai vari passanti che lo ignoravano ma, c’è un problema < … Come si usa sto coso? > Direbbe afferrandolo e guardandola negli occhi. E così finisce un'altra giornata in casa Ishiba.

Jikken e Sango si ritrovano in casa a consumar la cena, tra un rimprovero e dei tentativi di insegnare qualcosa al ragazzo, anche Shinsei si ritrova alla porta.
Un incontro particolare, tra lanci di bacchette, cibo freddo, sguardi ostili, e due ragazzi che sembrano essere speculari, simile il loro vissuto, simile il loro incontro con la rossa.


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