{Nozomu} 望む
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Giocata dal 17/03/2021 19:39 al 18/03/2021 01:17 nella chat "Luogo Sconosciuto"
Non è facile riassumere tutti i suoi movimenti. Dopo aver più volte cercato negli ultimi giorni un contatto con Fuji nel disperato bisogno di tornare alla normalità appena tornata dal lavoro si è fiondata a casa sua. Ha bussato. A lungo è rimasta ad implorare che le aprisse, non ha fatto troppo caso a tutti i materiali abbandonati sul pianerottolo, è rimasta lì in piedi. Scalza, con i candidi piedi nudi a farsi ferire dal freddo del pavimento, le gambe con il tempo si sono arrossate a causa dell’aria che arriva dal vano ascensore, indosso solo il solito lungo e cecchino maglione nero. Coperta per quel che riguarda la vita e le natiche ma nuda nell’animo. Quel logoro pezzo di lana la rappresentava pienamente mentre se ne stava semplicemente lì, a bussare abbassandosi persino ad implorare fino a che la pazienza è venuta meno. Una collana lunga di metallo spariva nel suo seno acerbo. La destra si è alzata mentre lo sguardo si abbassava, un fiume di capelli dai toni di un biondo scuro si è riversato intorno al viso perfettamente scolpito in quel marmo, gli occhi rossi hanno osservato le dita che sapientemente sfilavano la catena fino a far apparire la chiave che le è stata data. Avrebbe preferito che fosse lui ad aprirle ma non vede altre soluzioni. Ha aperto così la porta infilando nella toppa quel dono conservato vicino al suo cuore per trovarsi davanti al vuoto. Il solito casino, Aozora abbandonata. Tutta quella visione le ha dato la speranza, una speranza che l’ha spinta persino ad annoiarsi mentre lo aspettava. Ha riordinato un pochino, messo in posizioni indicibili la marionetta per poi sentirsi in colpa e rimetterla composta seduta sul divano. Poco dopo, come una trottola impazzita, ha tirato fuori una birra ed una soda per poi mettersi addirittura a fare la spola tra i due appuntamenti per preparare qualcosa. Le porte sono state lasciate spalancate. Ma lui non arrivava e così è passata a ritirare gli ingombri dal pianerottolo per portarli dentro ed è lì, in quel momento che ha trovato l’altra chiave di quell’appartamento. Ha semplicemente fatto una foto e mandato un messaggio. Il mondo si era fermato e la sua ira per un attimo non si è manifestata, il tempo che le è stato necessario per tornarsene a casa sua e sedersi. Non ha idea del tempo che abbia passato in quello stato catatonico mentre pian piano accumulava prima di implodere. Ogni sentimento si è riversato in una cieca rabbia, tradimento, solitudine, paura e anche odio. Tutto l’ha spinta a tornare nell’appartamento di Fuji con il solo scopo di distruggerlo esternando così ciò che prova. Se dovesse tornare lì un giorno allora capirebbe quanto le ha fatto male. Nessuna lacrima versata, incapace di piangere davanti a tanto dolore, ha chiuso casa sua, abbandonando lì il telefono e poi è andata a far ciò che a quanto pare le riesce bene: distruggere. Irrazionalmente ha voluto vendicarsi bevendo tutto ciò che pensava potesse desiderare l’altro, sta finendo l’ultima birra e si regge a malapena in piedi. In questo momento ci sono lattine sparse ovunque, la sedia a rotelle è stata ribaltata per la stanza mentre l’esoscheletro lanciato contro lo specchio del bagno. Ogni singolo orologio di quella casa è stato spaccato e grazie agli strumenti del ragazzo ha anche squarciato parte del divano. Eppure dove c’è Aozora regna un sacro ordine, come se fosse calmo. La marionetta è stata abbandonata come lei e certo non merita di soffrire. Nel frattempo ogni singolo vestito appartenuto al marionettista è riverso a terra, calciato più e più volte, alcuni strappati. Ora sta piangendo, completamente ubriaca mentre barcolla ed inveisce. Prima di tutto è implosa ed ora è esplosa. Cade a terra e poggia le mani graffiandosi, sputa <fottuto sfhig> non riesce nemmeno a pronunciare il nome da quanto ha perso la ragione, il mondo le vortica intorno e lei lancia in avanti la birra, va a sbattere chissà dove ma non è importante. In quel suo delirio di rabbia odio e grande dolore si è messa una delle felpe di Fuji, grigia, ha ancora il suo odore e lei adesso la indossa. L’ha strappata in più punti in preda alla disperazione, quando le faceva così male che doveva far male. C’è odore di bruciato nella casa e si espande pure fuori grazie alla porta aperta. Nulla però sta andando a fuoco. Bisogna osservarla davvero bene per comprendere. La manica destra di quella felpa è bruciata, soprattutto nel lato interno. Uno squarcio dai margini neri, scuri come se qualcuno non riuscendo più a sopportarlo l’avesse immersa nell’acqua. Una corretta ricostruzione se non fosse che nello stesso punto dove il tessuto manca c’è la carne viva. Non più perfetta e candida ma rossa e bruciata. Ustionata. Il caso c’entra poco in quel preciso istante mentre con l’ennesima spinta di odio si rialza, barcollante mantiene appena la posizione e le unghie della mano sinistra affondano con rabbia e violenza nella sua stessa carne martoriata. Dolore. Sì le fa dannatamente male ma quel tipo di sofferenza lo sa gestire, lo può gestire a conti fatti ne ha il pieno controllo è lei che decide quanto e quando, potrebbe alleviarlo. Quella mera illusione di controllo sul suo stato d’animo basta a farla respirare e urlare. Altre lacrime scendono dal suo volto. Capelli per metà sotto alla felpa, l’altra metà scompigliati ed in giro, mascara colato dai suoi occhi. Urla. Si volta per andare al frigo così da procurarsi altra birra ma si interrompe verso la credenza, la apre e guarda i piatti. Ne prende uno, ceramica bianca, così bello e perfetto. Sorride amara <sbelol> non saprebbe dire se ha mormorato ed urlato. Lo fissa per qualche attimo di calma poi si volta e lo lancia a terra con violenza. Lo spezza, schegge che partono e forse le feriscono i piedi nudi ma ormai chi se ne accorge più Ecco l'eroe. Uscito vincitore da un'eroica passeggiata che l'ha condotto a viaggiare da una parte all'altra del villaggio armato della sola forza del suo braccio meccanico, l'unica parte di lui rimasta serena dal lungo passeggiare. Ha avuto un impeto mortale; ed ora passa tranquillo e cortese, nè più nè meno del solito, tra quelle vie, con un falso sorriso tra le labbra che evidenziano una grazia non proprio sua. Non riesce più ad attendere che sia il futuro ad andargli incontro, come è accaduto finora. E' il momento di fare ciò che ha saputo fare meglio: utilizzare le proprie risorse. Pezzi della propria persona e competenze acquisite. Attacca. Combatti. Combatti. Un mantra che gli empie la mente fino al diventare semplicemente un sottofondo al quale non far caso. Il cammino lungo i percorsi insabbiati è stato faticoso, lasciandogli un vago tremolio alle gambe. E' vestito come lo era l'ultima volta che si son vesti, semplicemente con una camicia pulita. Le braccia son avvolte da una giacca in panno azzurro e la sinistra, colei che regge il bastone della Shirasaya, è attualmente guantata di nero. Non è neanche certo del perché indossi ancora quell'accessorio. Dovrebbe vergognarsi dell'arto meccanico? O forse gli serve per dimenticare di essere umano forse all'80%? Un numero che ha la sensazione si stia pian piano abbassando, fino a che un giorno aprirà gli occhi e non avrà manco un cuore battente nel petto. Un nodo di saliva gli si blocca in gola sull'ascensore che lentamente lo avvicina all'appartamento. Quarantotto piani, tutti in compagnia di un riflesso un po' distorto. Si attacca alla parete specchiata e fissa il suo stesso sguardo, le pozze nere. "Entra ed esci." Schiude le labbra, descrivendo il piano d'azione. Saigo sarà da qualche parte fuori, come è stata più solito fare grazie all'arruolamento nelle forze speciali della Shinsengumi. La sua mano, istintivamente, stringe un po' il bastone, battendolo sul terreno cinque o sei volte in un tic involontario, quasi a tempo di musica. Gli occhi son vigili, fissando di sbieco i numeretti rappresentanti il piano in cui si trova e attendendo che un led rosso gli dia il segnale fatale. Le porte dell'ascensore fanno per aprirsi e il suo corpo già s'è insediato tra quell'apertura incompleta: veloce. Combatti. Veloce. Prendi ciò che ti serve e vattene. Non c'è spazio per esitare. Che ore sono? Il pensiero lo distrae, spingendolo a spalancare entrambi gli occhi e tirar fuori in un impeto strano il suo telefono. Ah. E' spento. Dovrebbe comprarsi un orologio da polso, ma poi finirebbe a non poter osservare altro. Preme il pulsante dello stand-by tre o quattro secondi, così che s'avvii il processo di accensione. Eppure, un secondo ancora e il dispositivo torna alla tasca. Un colpo di tosse lo riporta alla lucidità totale dei sensi, risvegliando l'olfatto. Cos'è questo odore? Si fa lesto, mettendo il bastone un po' più avanti di quel che dovrebbe e sbilanciandosi al massimo della sua naturale velocità - che, nonostante le premesse, rimane patetica. Di passaggio per il corridoio gli occhi incrociano una delle ampie vetrate esterne e subito s'issano sul cielo. Le stelle sono coperte da una miriade di nuvole. Il nodo di saliva viene finalmente ingoiato del tutto. Le ginocchia si piegano un po', nel riprendersi dalla stanchezza. Ripresa che non dura quasi nulla, una volta accortosi del fumo proveniente dal suo corridoio. Tutte le peggiori immagini gli scorrono di fronte. Ha lasciato qualcosa acceso? Il gas? E' scoppiato un incendio? Ed Aozora? Si è fatto troppo prendere dall'incontro con Kazuma, deve aver scordato di sistemare qualcosa prima di uscire. E poi. Se fosse morta? La sua avidità alla vita lo spinge a sollevare lugubri pensieri riflessi nello sguardo. Avanza. Il telefono nella tasca inizia a vibrare più e più volte, sinonimo di ogni messaggio finalmente ricevuto. Non ha tempo di guardarli. Per altro, la porta è aperta. Avanza e non appena allunga una mano allo stipite della porta sente ceramica spaccarsi ed un paio di frammenti volare ovunque. Uno di quelli gli sfiora appena la nocca del medio destro. L'urto non lo trattiene dall'affacciarsi, rivelando la scena descritta e ogni sua componente. E poi lei. Il battito del cuore diventa rapido e poi lento. Forse è solo il tempo che rallenta. Il sangue, se visibile, gli lampeggia sugli occhi, diventando protagonista dello scenario. Sputi e macchie lo riconducono alla figura della fragola, fissata similmente a come s'osserva qualcosa di cui si è spaventati. Come una forma di vita aliena. E tu, chi sei? Fermo Fuji. No, non fermarti. Attacca. Attacca. Stai imparando. Ferisci prima di essere ferito, e non sentirai alcun dolore. "Egoista" Avanza, zoppica, con lo stesso passo di chi va in guerra. Con gli stessi occhi spaventati ed adirati. Ma non sa che aggiungere. Le labbra si aprono e nessun suono esce. Non era pronto. { chakra on } Lei è sola. Lo sarà per sempre. Dopo aver lanciato quel piatto si accascia appena sulla cucina, lasciando che le sue mani si allunghino sul freddo ripiano, i capelli si allungano come meduse affamate sul legno, gli avambracci scivolano in avanti e così facendo la sua pelle esposta brucia, se inizialmente grazie al fresco c’è del sollievo mentre protrae quel movimento il dolore le colpisce direttamente il cervello, risale lungo la spalla, arrivando prima al cervelletto per poi colpire il centro del dolore come un’esplosione che con la sua potenza, con il suo rombante boato dirada appena la nebbia intorno alla sua testa, l’alcool che offusca quei pensieri rendendo il tutto dannatamente reale per qualche secondo. Se ne è andato. Lo realizza nuovamente e con la sinistra sporca di sangue striscia sul mobile, torna indietro verso il suo petto, le unghie sotto cui risiede parte della sua pelle strappata poco prima si porta al petto. Lì nonostante tutto c’è ancora quella chiave, simbolo di tutto ciò che è andato storto. Stringe la stoffa grigia macchiandola di un chiaro segno, la stritola pinzandosi anche parte del petto nel tentativo di strapparsi il cuore, perché solo quello le permetterebbe di salvarsi. Non trova una soluzione che non sia la sua fine. Con Nene è stata passiva ha semplicemente accettato di morire ma adesso non merita alcuna vita, se lo è lasciato scivolare tra le mani per la paura e lo odia, si odia. Merita una come lei di sopravvivere ancora? NO. La risposta è chiara mentre la lucidità causata dall’esplosione id poco prima torna a svanire conquistata dalle nebbie della birra. Gira tutto e pian piano lascia che le gambe cedano. Sta urlando? Non ne ha idea ma la bocca si apre. Rabbia, dolore ira. Confusione. Non vede nulla di ben chiaro e definito, ormai tutto potrebbe essere nella sua mente come nella realtà, non sa nemmeno se ancora parla o si limita solamente ad urlare, forse sta solo pensando di urlare. Una cosa sola è chiara: la bruciatura. Quella è la sua realtà adesso che è rimasta sola, ora che è davvero l’ultima. Se fosse sobria forse si sarebbe accorta del tintinnio dell’ascensore, del tocco del bastone ad ogni passo ma nelle sue orecchie c’è solo un ronzio fastidiosissimo che la urta. Ormai nella sua testa Fuji è scappato, l’ha abbandonata si prende quei momenti per sfogarsi pronta poi a rinchiudere tutto, resiliente vuole solo tornare al suo naturale stato di equilibrio, senza affrontare quel dolore. Oggi non è stata abbastanza forte da soffocarlo ma da domani troverà sicuramente il modo, non merita di sopravvivere ma le manca la forza necessaria per morire, l’orgoglio poi le impedisce di lasciarsi andare solo per lui, alla fine si tratta di una persona no? Dentro ogni notte affronta il Finto Dio e non merita certo di cedere per un comune essere umano. Contrasti. Ma eccolo entrare nella stanza, mentre lei è presa nell’unico istante di contemplazione che ha trovato, ha bisogno di bere ancora, le serve, deve riuscire a pensare di meno o trovare il coraggio di soffocare l’orgoglio e lanciarsi dalla finestra mettendo finalmente un punto a quell’esistenza indegna. La osserva mentre lei cieca alla realtà si volta e si arrampica lungo i mobili della cucina salvo poi voltarsi e puntare gli occhi lucidi per l’alcool su quella figura, forse solo nella sua mente. Arranca ed inciampa finendo solo per trascinarsi in avanti e graffiarsi la pianta del piede sinistro <oh tu> delirante lo indica appena lo vede. Sul suo petto la presa di sangue ben visibile. Le guance rigate dalle lacrime, l’odio e la rabbia ben presenti su quel volto e la pelle viva del braccio destro anche sotto le unghie della mano sinistra <asciomigli taaaanto> trascina le parole, sbiascica fa davvero fatica ad articolarle mentre l’indice insanguinato lo indicano. Una poesia che non può cogliore ora è usare proprio la rappresentazione del suo dolore per richiamarlo<a qualsuno> un passo traballante, l’impronta insanguinata che resta a terra. In mano niente da lanciargli e quindi eccola provare a calciare in sua direzione un qualsiasi elemento sul pavimento <ma lui ci ha abbandonante> soffre nel suo cuore, soffre come mai prima d’ora. Aveva un singolo legame in questa vita, continuava ed avanzata legata a lui e adesso ha la consapevolezza di averlo perso, di dover seppellire qualsiasi cosa ci sia stata tra di loro e camminare da sola per la sua strada <un cscodardo schifoso. Se tu fossi lui dovresti scuiscidarti merda> parla a lui sì ma è a lei che si rivolge. Codarda sei scappata, ci hai messo troppo tempo per decidere e lo hai perso per questo. Odialo ora va bene ma tanto lo sai che domani l’unica che non sopporterai sarei te stessa Attacca. Combatti. A chi? Lei? Tutta la forza di spirito e quell'ira nei confronti di ciò che è stato combinato alla casa muta un po', diventandogli irriconoscibile. Adesso cosa dovrebbe fare? Più il viso si contorce per ira e più ricordi gli passano di fronte agli occhi. S'alternano, salgono, lentamente. Dominando ogni agitazione, riesce a rimanere immobile e ad ascoltar ciò che viene pronunciato in sua direzione. Ecco, ciò di cui ha parlato alla piccola testolina verde. Se solo potesse mostrarle attraverso uno specchio il proprio viso, allora vedrebbe la forza dei sentimenti citati. Allora capirebbe che Fuji in fin dei conti era perfettamente serio quando ha pronunciato una sentenza di morte a quei due casuali passanti. Ha il sangue alterato come da un veleno. Perché si è ridotta così? Normalmente si sarebbe attaccato a lei, l'avrebbe prima soffocata sotto il braccio meccanico e poi le avrebbe gentilmente ricordato che non ha bisogno d'esser così. Ora non se la sente. Ha così tante ferite, poi. Ha la sensazione che se la toccasse ancora porrebbe fine alla vita che ancora sgorga. Da quando è diventato tal portatore di morte? Ancora ascolta, a testa bassa, affaticato dagli attacchi ricevuta ad ogni frontiera dei sensi. Sente in sè una sensazione acuta e profonda di quelle che si provano all'inizio di uno scontro, con tutto il sangue che bolle e lo spirito che s'agita senza sede fisica nè mentale. Uno spiacere non mai provato, ma più sotto controllo. Gli orologi son rotti. I fiori di plastica gettati a terra, assieme al vaso. Per fortuna era stato acquistato con un buono sconto. O forse no? Non ricorda. Non importa, ma lo urta. Più la fissa e più perde presa sull'ira in cui vorrebbe annegare, tanto che ad un certo punto si ritrova sistematicamente ad avanzare volgendo lo sguardo da qualsiasi altra parte, verso i lasciti di distruzione, verso le vetrate, verso le nuvole: ovunque. Panico. Errore di sistema. No, non è vero. Non questa volta. Sembra aggirarla, ruotarle attorno, superarla. Il fumo proviene dal bagno. Ma sembra andare affievolendosi. Qualcosa gli vien lanciato addosso, forse semplicemente dei cocci calciati con la violenza tipica di un ubriaco. Poco precisi, quantomeno. Non potendo lasciar la presa sul bastone torna a sollevare il braccio destro, ponendolo di fronte al viso per coprir gli occhi. C'è da dire che lui è lento, molto più di lei allo stato blando. Ma fortunatamente, ferito o meno, è una cosa così insignificante. Segue un momento di silenzio. Soltanto adesso le parole pronunciate vengono realmente masticate dalla mente. Sta parlando della propria figura come se non ci fosse. Come lui fece con ciò che c'era dietro la porta. Lo vede come un mostro, allora? Cosa sta vedendo? Dovrebbe morire? Ah, un po' la capisce, quell'isteria. No. Non giustificarla. Non provare a comprenderla. Lei è forte. Se lasci un'apertura ti ritroverai di nuovo a ridere da solo di te. Ancora: fastidio. Troppo. Dopo quel tentativo d'ignorarla si ritrova a puntarle lo sguardo sopra e avvicinarsi, smettendo di circumnavigarla per approcciarne la figura. Ridurre le distanze, eccolo di nuovo, il passo di guerra. Sembra così indeciso. Stringe i denti e li digrigna. Basterebbe poco per fargli perdere l'equilibrio, debole com'è. Ma ciò nonostante lascia andare a terra il bastone e prova ad afferrar invece con la mancina l'altra per il centro della felpa, un movimento verticale compiuto con tutta la forza dell'arto meccanico, puntata a sollevarla alla stessa altezza dei propri occhi. Di nuovo vicini, troppo. Come l'ultima volta. Allora perché il suo sguardo è così brutto, se era così bello, solo poco tempo fa? "Mi dispiace. Mi dispiace." Il significato di quelle parole è completamente contrapposto alla brutalità con cui le esprime, più ferale che altro. Quelle non sono delle scuse. O si? Ti vanno bene comunque, anche se son così brutte? Ti posso odiare, ora? Senza paura di ricever altro odio. Anche se in realtà- di paura, ce n'è. E' più sciocco che coraggioso. "D'accordo. Continua a dispiacerti nella tua merda mentre io vado a suicidarmi per guadagnare il tuo perdono-- " Prende fiato, come se fosse spezzato. In realtà i polmoni sono pieni. Gli occhi sgranati. "-Finalmente il tuo nuovo nome avrà un fottuto cazzo di senso, Manami. Così non ci sarà più nessuno a dare valore alle tue fottute promesse e non avrai di che soffrire e far soffrire per il resto della tua cazzo di carriera " Il respiro s'affanna, la bocca rimane aperta: inspira ed espira. Dev'essere il fumo, ad avergli dato la nausea. Sennò starebbe bene di certo. La presa d'indebolirebbe mentre con passi costanti la lascerebbe infine andare a sbattere con non troppa veemenza sul divano. non sopra di esso, semplicemente di fronte. Tutto questo se mai non fosse già stato schivato o fatto cadere a terra. Lei lo sa, quanto è debole. Suda. Freddo. Cosa stai facendo? Mantenendo il controllo. Forse era meglio perderlo. "Chiamo la tua collega, prima di uscire. Sei ferita. Fottiti-" Basta. Pessimo modo di mostrar preoccupazione. Deve trovare l'esoscheletro. Inveisce contro sé stessa, contro di lui, il confine è così dannatamente flebile da non poter essere distinto. In tutto questo ci si mette la bocca secca. Potrebbe far più male di così? Lei che inconsciamente si sta mostrando per la fragile bambina che è, egoista in quel suo cieco rancore così sofferente da non notare più quella altrui, si è fatta in piccoli pezzi ed infine è caduta a terra.. Ecco cosa maschera ogni giorno della sua vita, quel desiderio di farla finita, di smettere di combattere contro sé stessa. Ha sete, una sete che non potrà mai saziare e che dovrebbe semplicemente accontentare abbandonandosi nel mare dell’oblio, bevendone a piene mani senza mai smettere. Ma ha anche fame. Una fame di felicità, di vita e di spensieratezza, sentimenti provati così tanto tempo fa da aver fatto sbiadire solo in parte il ricordo che si è amplificato. Ha paura, una paura sorda alle sue richieste d’aiuto, qualcosa che la blocca e la terrorizza lasciandola ferma sempre nello stesso punto ma al contempo ha quella forza data dall’orgoglio, quella necessità di dimostrare a sé stessa di valere almeno qualcosa. In mezzo a tutto questo l’effetto della birra. Prova a seguirlo con lo sguardo ma la testa gira, troppo e quindi chiude gli occhi, strizza le palpebre barcollando sul posto cercando solo di riprendere un minimo, quantomeno parziale controllo. La sua mano viene presa, qualcosa l’agguanta al petto e le gambe cedono. Si sbilancia e le gambe si piegano lasciando che sia solo la forza di quell’arto meccanico a tenerla in piedi. Riapre gli occhi e si mostra ubriaca e spezzata nel profondo, ormai rotta. Come se avessero pugnalato Aozora e quella frattura nel legno si fosse propagata per tutto il cuore. Ascolta le sue parole, quanta cattiveria contro di lei. Quanta voglia di ferirla percepisce ed infine quel nome. Parla di lei come se la conoscesse, come se in questi dieci anni non avesse passato ogni singolo istante della sua vita solo per renderlo meno triste nascondendo e seppellendo ogni suo problema, cercando di lasciarlo vivere in quella sorta di tranquillità che provavano prima in presenza l’uno dell’altro. Piange? Non lo sa sente la faccia bagnarsi ma magari se lo sta solo immaginando, del resto è così intorpidita. Non lo vuole vicino adesso, la sta trattando come un gioco rotto, la sta prendendo a calci proprio come lei ha appena fatto con quei cocci. Rabbia su quelle labbra. La mano destra che si alza, unica libera, uno schiaffo, un sonoro schiaffo quello che vuole tirare, c’è da ammettere che la sua capacità di individuare la profondità della realtà che la circonda è decisamente compromessa quindi è più che probabile che lo manchi e poi viene lanciata, il corpo seguire quella traiettoia e la schiena sbatte contro il divano, il fiato si spezza e nuovamente il dolore corre verso il suo cervello dirama la nebbia e la rende lucida. Dolorosamente lucida. Vicino a li un coccio appuntito <vaffansciulo> l’unica cosa che va ad urlare verso di lui, vorrebbe provocarlo, farsi uccidere ma no. Lei è meglio di così. Non lascia a nessuno quel potere e così la mano sinistra nuovamente libera agguanta un pezzo appuntito di specchio, forse di vetro o ancora di legno, magari un coltello non ha idea di cosa sia, sa solo che è abbastanza affilato. Le cosce nude sono ora a terra. Non basta più il braccio destro, deve controllare il dolore, deve riprendersi e poter esercitare la solita razionalità. Ha trovato solo un modo per farlo e convinta ormai di venir abbandonata ancora mentre lui si allontana solo vorrebbe portare la punta di qualsiasi cosa sia sull’interno coscia sinistro. Le palpebre calano mentre gli occhi si stringono così da andare semplicemente a guardarsi meglio, mettere a fuoco. Lì poco lontano dal suo inguine proverebbe solo a premere la punta di quell’oggetto. La goccia di sangue sarà visibile ben prima che il dolore oltrepassi la cortina alcolica <e io che ti avrei dato tutto> forse lo urla, forse lo mormora non è in grado di decidere come parlerà. Come qualsiasi ubriaco il suo tono di voce è indipendente dalla volontà. Mentre lo dice se avesse finalmente visto il sangue andrebbe a cercare di ferirsi, un graffio perpendicolare rispetto alle arterie, troppo ubriaca per riflettere che uccidersi così sarebbe più facile <tutto pur di non perderti> aggiunge sempre fissando quella ferita che con la lentezza posseduta in quello stato si sta infliggendo. Già era davvero decisa a dargli tutto di sé pur di averlo accanto. Chi la forte ora? Chi tortura solo per sentirsi meglio? Lei si sta solo facendo del male fisico per non pensare a tutto il resto Un mormorio si diffonde per la sala. Non sta parlando nessuno, però. Devono essere i cocci ed il vetro schiacciati a produrre quel suono. Certo è, che sembrano voci. Non c'è più speranza che le cose rotte in quella stanza si aggiustino e tornino alla normalità. Se solo avesse i mezzi, forse avrebbe una buona scusa per tentar la famosa riparazione con l'oro. Quella tradizionale arte che dovrebbe render più belle le cose fatte a pezzi. Le parole pronunciate son più simili a creature viventi, dotate di personalità e punto di vista proprio. Ecco quello che ha strappato con tanto impegno all'altra marionetta. Il coraggio di far male. E poi il senso di colpa, lo stesso che ha portato adesso i fiori in plastica ad esser sparpagliati e calpestati a terra. Ah. Non c'è più molta speranza che quel reality show si realizzi. Un po' gli dispiace. Che senso ha pensarci ora? Via alla realtà. Se non fosse per quell'arto meccanico, terribilmente forte, allora sarebbe certamente a terra. Ah, ecco, fulminea realizzazione. Ciò che non è in lui umano può anche essere forte. Se lo annota da qualche parte nel profondo delle oscure pozze di petrolio che compongon gli occhi. Però, ha un retrogusto spiacevole. Ecco perché Nene era così arrabbiata quando anche lui non ha avuto la forza di combattere. Non voleva odiare senza motivo. Voleva ferire per essere ferita. Eppure, Saigo l'ha ferito. Altrimenti non sarebbe arrivato a questo punto. E allora perché... "..." Si fa avanti col viso perché la traiettoria di quello schiaffo possa prender in pieno una sua guancia. Come immaginava, non gli piace subire schiaffi da lei. Fa male, anche non fisicamente. Dopo averla spinta, facendola sbattere sul divano, gli occhi s'abbassano sul bastone a terra. Se si piegasse ora per raccoglierlo ha la sensazione che ci rimarrebbe. Barcolla e striscia i piedi in terra per raggiungere invece lo stipite della stanza più vicina, il bagno. S'affaccia con gli occhi per un attimo solo rilevando da dove provenisse il fumo e trovando a tutti gli effetti l'esoscheletro. Il vetro è ovunque. Un macello senza precedenti per questa stanza. Per non parlare del suo piatto preferito. Non gli importa davvero, del piatto. O dello specchio. O dell'esoscheletro. Si sente mandare a quel paese. Ancora col fiato pesante ed il viso sudato, ansima, poggiando la schiena su una delle pareti e poggiandovi sopra i palmi delle mani come per assicurarsi che ci sia qualcosa a sostenerlo. Il mento è sollevato, con la cassa toracica che si sgonfia e gonfia a ritmi troppo rapidi. E' certamente uno di quegli eventi in cui si concederebbe all'adderall. Ma in mezzo a tutto questo disastro le ultime due pasticche saranno probabilmente diventate frammenti sparsi ovunque. S'accorge così, nel riprender fiato, della punta si sangue che esce dall'interno coscia sinistro altrui. E solo così mette a fuoco quel pezzetto di vetro usato, finendo per spalancare gli occhi e allungare d'istinto la mano sinistra. Tenta di richiamare una parte delle sue energie residue, il suo chakra, facendolo scorrere dal plesso solare alle mani, poi alle dita. Una serie di fili invisibili si formerebbero e verrebbero mossi in maniera tale da afferrar quell'oggetto inanimato e semplicemente tirarlo violentemente in direzione opposta a lei. Potrebbe finire a incastrarsi sul muro, o spaccarsi in decine di più piccoli frammenti. "Che. Cazzo. stai. facendo." Ad ogni intervallo ancora respira affannosamente. Ed eccolo, slanciarsi in avanti, sapendo che qualche passo e perderà l'equilibrio. Ma se l'altra sarà troppo stanca o stordita, allora non potrà che caderle addosso, tentando insieme di bloccarla ancorando le proprie mani sotto le sue spalle, attaccandole al divano. In verità, la presa del braccio destro è patetica. Utilizzerebbe invece il proprio peso per bloccarla, cadendole addosso, quasi a cavalcioni, ma senza nulla di divertente- o giusto. "Io- non voglio- NULLA" la voce s'alza improvvisamente, un urlo che riempie poi d'eco ogni cosa. "Faccio a meno delle tue smanie del cazzo. Della tua sete di potere. Del tuo aiuto. Non me ne frega un cazzo della tua pelle fredda, dei tuoi occhi rossi o dei--" Abbassa lo sguardo, fissa le ferite in mostra. Poi risale, alle labbra. Silenzio. Il viso si contorce un poco. La presa perde di vigore, se mai ci sia stata. La voce si abbassa, incredibilmente, un sussurro che par annullare ogni suono precedentemente presente, far cambiare atmosfera. "Volevo solo che tu ci fossi. Sei stata il mio eroe, quella sera." Con l'adderall. Sarebbe andato avanti fino al collasso. Lo sa. "Pensavo che ci saresti stata ancora. Pensavo che mi avresti capito-" Basta. Non spiegare più di così. Le ciocche gli cadono in viso, oscurando lo sguardo. Le labbra s'incurvano penosamente. "Ti ho fatto fare una promessa di troppo. E' colpa mia. Ora basta. Smettila. E' finita." -'Lasciami andare' sussurra ancor più basso, impercettibile se non tendendosi troppo verso di lui. Ma non sta venendo tenuto da niente. {fili di chakra II } {ck on} Quel coltello, quel pezzo di vetro o coccio che sia le viene sfilato dalle mani, ma la stava tenendo con tutta la forza che possiede e così si graffia. Non fa abbastanza male. A rallentatore, parecchio dopo che il gesto è stato compiuto volta appena la testa per cercare di capire come le sia potuto sfuggire. Non comprende che si tratta proprio di lui. Non sa quanto in realtà stria solo cercando di salvarla, proprio come lei quella sera che ha lottato con sé stessa pur di farlo riprendere. Si è imposta ed ora è lui a farlo. Ma non vuole, non le vuole ascoltare quelle parole non vuole farsi ancora più schifo di quello che già si fa. Ruota ancora il capo, lo sguardo verso la sua mano sinistra, i graffi coperti dal resto del sangue, la coscia che ferita libera quella mente quel poco che basta perché possa comprendere la realtà <mi tolgo dai coglioni> lucida? No ma riesce ad articolare le parole proprio grazie alla scossa di dolore che risale per i suoi nervi, lungo tutta la schiena fino a raggiungere il cervello <così non dovrai scappare da casa tua> è questo che le ha fatto più male? Probabilmente no ma è semplicemente stata la goccia che ha fatto traboccare quel vaso ormai così pieno e denso di dolore che non si è solo rovesciato tutto, si è frammentato iniziando a perdere da ogni angolo ma restando, in qualche assurdo e strano modo, ancora composto. Fratture che potrebbero essere riparate senza problemi, venature che però tutte insieme minacciano. Troppe crepe per poter venir spazzate via <vattene> lo allontana. Averlo vicino è troppo doloroso. Non riesce nemmeno a guardarlo <hai detto <così non ti faccio soffrire> sì anche quello le ha fatto male. Cerca debolmente di spingerlo via e ricomincia a piangere. Non lo vuole lì in quel momento, non lo vuole più lì e basta. Ormai è tutto distrutto e non pensa si possa più recuperare, potrà solo continuare rinchiudendo il dolore in un piccolo angolino, sommandolo al resto di quel trauma mai davvero affrontato e superato. Niente dichiarazione, niente presa di coraggio che riesca ora a superare quel mare di “merda” come l’ha chiamato lui <non te ne frega un cazzo> ripete quelle parole, quelle piccole pugnalate che si sono sommate a tutte le altre <vattene> continua come un mantra. Lo sguardo si alza al soffitto, la testa sbatte contro i cuscini di quel divano. La lucidità è svanita così come è arrivata e ora vuole solo bere. Non ha idea di come divincolarsi ma prova a contrarre gli addominali così da provare ad irrigidire in successione anche i muscoli dorsali e quindi alzare il busto, tendersi così da sollevare lui da terra e se fosse riuscita poi si fa debole di colpo, subito dopo contrae. Cerca di sballottarlo, di crearsi un’apertura, seppur minima, in quel modo. Continua, come se fosse instancabile quando nella realtà è già stanca <LASCIAMI!> urla, biscica. PIANGE. <tanto non ti capisco, tanto non ci sono per te> continua in quel delirio in cui si da la colpa, si frusta internamente e disperata cerca solo un modo per uscirne <tanto non vado mai bene> non è abbastanza. Non è mai abbastanza, nemmeno per qualcuno di rotto come lui <e tanto non ci sarai mai per me> questa fa male. Più a lei forse che ora realizza come sin da piccoli sia sempre stato un senso unico. Era lei a correre da lui ogni giorno, nonostante i mille rifiuti. Sempre lei a controllare che chiudesse la porta e stesse bene, sempre lei a correre ad una chiamata partita per sbaglio pur di salvarlo, sempre lei disposta a rischiare un rapporto fondamentale pur di vederlo più felice. Non si è mai lasciata aiutare, non gli ha mai mostrato nulla ed è sempre stata fondamentalmente: sola La sua saluta è scossa: vacilla. Si stringe nelle spalle all'udir di quei primi suoni, perdendo qualsiasi forma di pensiero razionale e ritrovandosi da solo nel silenzio della sua testa. Soltanto a lui è permesso visitare quella grande stanza bianca sudicia. Da quel luogo, che un tempo gli era così sicuro, vede la vita passata come si vede un film. La pellicola vien fatta girare troppo velocemente per godere ogni frame, ma riesce a farsi un'idea di quel che vede. Ah. Che storia divertente. Ma non ne capisce il senso. Forse è quella la chiave dell'umorismo? Ogni sua azione risulta un po' più incomprensibile della precedente al prossimo, lasciandolo alla fine sempre più completo e un po' più solo. Ah! Ora comprende, lampo di genio! Dev'essere quel tipo d'ironia simile a quello letto in una delle sue fiabe preferite. La storia del mostro senza nome. Ha sempre cambiato il finale perché non gli piaceva. Ma forse è proprio quello il punto della storia: il dispiacere. Per altro, se fosse il protagonista, sarebbe certamente uno dei peggiori. Si ritrova d'istinto nella realtà a snudar la mano inguantata, tra l'esser spinto e il riattaccarsi a lei, come una danza dal passo ritmico e leggero. Ma in realtà, per nulla graziosi. Seguendola con gli occhi, dal fondo del cuore, gli si leva un senso di amarezza ed un'ombra che negli occhi sale a lungo ed invano. Tanto, non è fatta per essere notata. Perché continuare a descriverla. Perché continuare ad esprimerla. Ad esprimersi. Dovrebbe semplicemente diventare ciò che ha strappato dagli altri. Allora smetterebbe d'essere un cocktail di disturbi della personalità e potrebbe essere identificato in nomi familiari. E' la soluzione, dissociarsi. Ma non ci riesce del tutto, con Saigo. Altrimenti avrebbe seguito la scia di quella delusione e l'avrebbe alimentata fino all'annoiarsi. Deve trovare una soluzione nuova. Flessibile, Fuji. Sii flessibile. Dovrebbe lasciarla andare? Sì, ecco l'idea perfetta. Saigo l'ha capito. Basta che se ne vada, per sempre. Apre la bocca, attende con trepidazione di pronunciar parole che rafforzino ciò che lei ha iniziato. "No, non andartene." Ottimo, adesso non-- Ah. Gli occhi si spalancano un po' e poi si abbassano. Non è quello che doveva dire. Ci siamo di nuovo. Sta perdendo il controllo- O forse, in realtà, lo sta tenendo. Forse è solo orgoglio che combatte orgoglio. Lui contro se stesso. Logica contro logica. Nel mezzo dell'eterno scontro della mente è lo spirito a parlare. E' così stupito che basta quel debole opporsi, quel pianto, a fargli perder la presa e farlo cadere con la schiena sul pavimento. Non li sente neanche quei cocci, se gli han perforato appena le carni. In realtà gli fa piacere, sentirsi connesso dallo stesso dolore fisico. Ma non importa, adesso. Gli occhi rimangono spalancati e fissa il soffitto, le luci, il cielo oscurato. Allarga le braccia quasi come stesse facendo un angelo sulla neve, mentre cerca di vedere se tra una scura nube e l'altra possa intravedere una stella. No, neanche una. "Un caffè triste, si chiama Despresso. " Non è così divertente. Però la cosa lo porta a lasciarsi andare gradualmente ad una risata sempre più trattenuta, che scoppia poi in un fragoroso riempir lo spazio della sua voce. Come se fosse genuinamente divertente, fino al dover sollevare le mani un po' sporche di sangue, forse di Saigo, per pulirsi gli occhi da una o due lacrime. Non è per niente divertito. Chiude gli occhi, li riapre. "Tanto non migliorerà mai. L'hai detto tu, stiamo sopravvivendo." Pronuncia, sollevando un poco la testa, contraendo gli addominali per aiutarsi. La fissa, prima di far ricadere il capo sul pavimento. C'è più silenzio, ora. "Smettiamo di venirci incontro. Torniamo a comportarci come marionette. Mi hanno addestrato a farlo, sono bravo, lo giuro." Non te ne andare, resta. Una mente normale lo avrebbe urlato ma lei non è in grado di affrontare la realtà Meglio scappare finchè si ha la forza di farlo ecco come agisce lei, allontanando i problemi, fuggendo in continuazione. Riesce in qualche modo a liberarsi di quella presa e arrancando a fatica si alza, trascinando la gamba con il sangue che ora cola dal suo interno coscia. Lo odia e si odia. Con il tempo si era illusa che la loro amicizia sarebbe durata per sempre, immutata in ogni sfaccettatura, unico punto fisso della sua vita ma la dura verità d’affrontare è che non può esistere amicizia se uno dei due continua a reprimersi solo per il bene altrui. Sì a lui ha mostrato tanti lati del carattere ma mai questo, gli ha sempre nascosto la sofferenza. Si alza, si trascina con il piede sinistro che viene portato come un peso mentre cerca di raggiungere il frigorifero. Deve bere. Ne ha bisogno, non che si senta bene quando la birra corre giù per la sua gola, non c’è euforia ma la testa le sta dicendo che è giusto così, che potrà distruggersi al punto da non aver bisogno di riemergere da quelle tenebre. Lenta e dando le spalle a Fuji arriva ino a lì, ci si appoggia lasciandosi cadere sbattendo la faccia sul metallo. Interdetta ed ubriaca resta lì qualche secondo. Si rialza quando la chiama, una stilettata data dall’illusione di quella verità non accettata: possono rimediare? Possono tornare come prima? Lenta si gira, quasi ispirata, non felice ma illuminata da quella stupida idea di felicità in cui nonostante tutto si ostina a credere. La battuta arriva poco dopo, non la fa ridere ma riode. Forse è l’alcool a parlare in questo momento ma il volto si modifica, se le labbra si inclinano e poi inizia a ridere, una lieve risata che viene portata avanti tra quelle lacrime che non si arrestano. Divertimento ed immensa tristezza, le sembra sbagliato ridere perché è come se con quella freddura lui si stesse disperatamente attaccando ad un passato che non può più essere futuro, quindi, dovrebbe solo piangerne ma è così bello crederci. Può correre su di lui? Può ricominciare a picchiarlo come se nulla fosse? Per un istante ci crede, sta anche lasciando perdere la birra mentre le mani si alzano sul volto ad asciugare quelle lacrime che disperate continuano ad uscire. Sobbalza il petto scosso da quel modo di divertimento, si macchia la guancia sinistra di sangue, tingendo irrimediabilmente quel viso di rosso. Ora va tutto bene, lui ha trovato come finire, lui l’ha salvata e possono tornare come sempre. Ora è tutto finito. O forse no? Le parole successive la raggiungono come una stilettata, le sue speranze come il vetro del bagno ora vanno in frantumi davanti ai suoi stessi occhi. La risata s’arresta ma le labbra restano incurvate, lo fissa senza nemmeno metterlo a fuoco <egocentrico pezzo di merda> rabbia. Torna a voltarsi verso il frigorifero, la destra agguanta l’anta. La bruciatura si sta pian piano asciugando, si formano delle bollicine di liquido e la mano sinistra con le sue unghie affonda bramosa in esse. Deve morire, deve soffrire, deve fare male, deve poterlo controllare. Si sente ancora una volta sopraffatta, sta implodendo ancora. Apre l’anta e cerca una birra. Si piega sbilanciandosi in avanti e tirando una spallata ad uno degli scaffalino in platica per le bibite. Lascia la presa sulla bruciatura che torna a sanguinare, la destra prende la birra. Il silenzio nasconde l’esplosione nella sua testa, il vaso non è più sono incrinato ora sta cadendo a pezzi mentre l’acqua con la sua forza trascina ovunque i detriti. Le ha detto che non migliorerà mai, che non sarà mai meglio di così. Lo sa benissimo da sola ma brucia, il suo orgoglio si aggiunge ai tanti sentimenti già feriti, come osa lui dirle una cosa del genere, non le serve <sei tu a non capire me> e con questo solo apre la birra, se la porta alla bocca e la riversa nella sua gola. Spera di soffocare, di smetterla una volta per tutte. Magari le serve davvero smettere di sopravvivere <promesse del cazzo> e rutta per tutta l’aria che le è andata in gola. Non lo guarda, si dirige barcollante alla porta <avrei dovuto salvare qualcun altro> lo vuole ferire almeno quanto lei è stata da quelle parole. Lo vedi quell’odio negli occhi Fuji? Odia davvero anche te adesso, non solo sé stessa <ti diverti a ferirmi stronzo? Fai la cazzo di marionetta lontano da me> il tono è caldo, intenso. Dio se lo vuole vedere morto, non sa nemmeno dire quanto. Non vuole più vederlo, meglio considerarlo morto nella sua testa. Che sia questo un addio? Lui non vede e non sente il veleno che vien preparato da ogni parola. Quell'essenza amarognola che trascinerà l'uno e l'altra in un abisso; ciò nonostante, con piena voluttà beve fino in fondo a quella immaginaria coppa data a lui per annientarsi. Che vuol dire quel dolce e speranzoso sguardo a lui rivolgo..Ora? No, non ora. Spesso. Anzi, qualche volta. Perché a volte vive quel rapporto con benevolenza e altre con tanta sofferenza dall'averla dipinta in viso? Ultimamente sta ridendo troppo. Dicono che allunghi la durata vitale, ridere. Forse dovrebbe smetterla. Fortunatamente queste cose non sono reali, o la smetterebbe per davvero. Lui smette di sentire ogni cosa tranne quello sguardo che perforante gli arriva vicino al cuore, centrandolo in pieno. In lei non vede più che una massa di colori distorti in mezzo al grigiume della stanza circostante. Gli occhi si sollevano amareggiati alla ricerca di Aozora. E' lì, da qualche parte. Perché non sta ridendo alla battuta, allora? Non la trova divertente? In effetti era amara. Come il caffè. " ahah.." Batte un po' la destra sul pavimento, intimando a sè stesso di smetterla d'essere così divertente. Eppure, la prima a smettere è proprio Saigo. Ecco, sta ridendo da solo? E' il caso di smetterla davvero. Ce la fa, alla fine, ritrovandosi semplicemente a fissar curioso il rossore che abita le braccia. Ah, dovrà togliersi la giacca se vorrà uscire, o potrebbero scambiarlo per il killer. Se lo annota. "Traditrice." Le risponde con un tono che è decaduto fino al risultare blando, senza alcuna particolare flessione intrinseca ad esso. La mancina si solleva e il dito medio vien mostrato, per poi cadere rovinosamente a terra. Fortunatamente il braccio sinistro è resistente a quei cocci, o si sarebbe fatto male. Come se gli importasse. Le marionette si aggiustano, non soffrono. Non danzano. Non cantano. Non amano. Neanche lei. "Se ti mostrassi quanto ti capisco scapperesti da qualcun altro. Io non ti interesso. Sei come i miei genitori. Finché qualcosa d'improvviso non accade va tutto bene. " Fissa un punto impreciso del soffitto, piegando un po' il collo e facendo ruotare la testa su quei cocci, spezzando i più fragili. Il suono è divertente, anche familiare. Chissà cosa vedrebbe, se fosse una marionetta come Aozora. Spera di avere la vista, in ogni caso. Altrimenti sarebbe difficile abituarsi al cambiamento. "Si. Su questo siamo in accordo." Avrebbe potuto salvare qualsiasi altra persona, e probabilmente le cose andrebbero meglio adesso. "Avevano tutti dei sogni migliori." Pronuncia poi, gonfiando la cassa toracica un'ultima volta prima di smettere di respirare. Il volto è schiarito da ogni capello, lasciando perfettamente visibile in linea d'aria i loro sguardi. Il suo, insofferente, per una e nessuna ragione. "Ehy. Perché non ti fai un favore e provi a uccidermi? Prendi una lama, è pieno in giro. Se non ci riuscirai prometto che non ti darò pace. Mai più. Non solo a te. A nessuno. Ma a te nello specifico. " Una marionetta senza fili. No- peggio. Una marionetta senza fili e con un cuore. Inizia a vedere tra le cuciture del suo vestito. Che materiali pregiati. "Uccidimi." La mano destra si solleva, l'indice viene poggiato sulla propria fronte. Colpiscilo, uccidilo. Lascia che ti aiuti. contrae gli addominali, portandosi seduto e spingendosi pian piano a lei strisciando sul terreno. "Mostrami la comprensione di cui parli, non scappare." Ormai gli insulti si sprecano e non sono quelli a renderla ancora più agitata a spingerla sempre più infondo dunque quel baratro. Si ritorta la birra alla bocca. La finisce con quel lunghissimo sorso poi lo guarda, truce, incazzata, ferita, distrutta. L’odio per sé stessa viene riversato tutto fuori e contro di lui. Davvero ha pensato anche solo lontanamente che lui potesse salvarla? No è sempre stato l’opposto come può illudersi così tanto? Ripensa per un attimo alla calma provata qualche giorno prima e la rimpiange. Non importa quanto si fosse trovata bene è corsa da lui, con tutto ciò che aveva e ha resistito prima di capire d’essere stata abbandonata e distruggersi. Ha solo una lattina e così la lancia verso di lui con una traiettoria che va dall’alto verso il basso, come una pallina. Il lancio di quella birra è blando, debole come lei e malapena evita di colpirsi i piedi ma insomma è l’intenzione a contare no? <SCAPPEREI?> urla? Sì ma tanto che importa nella sua testa c’è un fischio assurdo e ormai sovrasta qualsiasi altra cosa <sono venuta fin qui per te per darmi a te> più esplicita possibile <mi usi come se fossi una cazzo di bambola e ti aspetti che io non reagisca?> in qualche modo le parole risultano comunque allungate, biascicate per la fatica di muovere correttamente labbra e lingua. Cerca di farsi capire per davvero. Apre le braccia, le porta nella sua testa parallele al terreno nella realtà sono appena più basse, inclinate verso il terreno, pesanti <mi volevi VA BENE CAZZO SONO QUI> replica ancora. Non è scappata, ha affrontato tutto per la prima volta in vita sua ed è questo che ci ha guadagnato <ma no meglio abbandonarmi e poi fare la vittima di sto cazzo> vomita su di lui tutto ciò che si è sempre tenuta dentro, tutto ciò che le ha fatto male <bell’eroe di merda che sei> già non era quello che le aveva detto sarebbe diventato? Di certo non sta rivelando d’essere il suo di eroe. Eccola poi muoversi barcollante cercando di saltare tutto. Non vuole più averci a che fare, soprattutto ora che riprende il controllo della situazione chiedendo di ucciderlo. Si incazza ancora di più, ira nei suoi occhi. Ferita come un animale morente. Non ha buone idee ma vuole sono andarsene, mettere un punto a questa situazione di merda e restare da sola, per sempre possibilmente. Senza esitazioni le mani si incrociano, schiantandosi in realtà. Si vede costretta a fermare il suo passo incapace di muovere braccia e gambe insieme. Le mani così incrociate raggiungono i lembi inferiori di quella felpa, si inclina appena in avanti, rischiando di cadere, per poterli afferrare con sicurezza. Lui striscia e lei ignora. Basta fa troppo male, ciò che è giusto è giusto e stare lì non lo è. Si potrebbe articolare meglio il pensiero ma nella sua testa è tutto così limpido grazie a quell’alcool da sembrare stupido soffermarcisi troppo. Se ci fosse riuscita andrebbe semplicemente a sfilarsela, goffamente, schiantandosi su qualcosa mentre cerca di non cadere a terra. Il tessuto graffia la sua carne viva e la sofferenza le ricorda solo quanto sia necessario quel gesto. Si spoglia. Tolta la felpa la lancia a terra, rivelandosi in quel suo tipico intimo in pizzo nero, al collo pende la chiave dell’appartamento di Fuji. Lo fissa truce qualche istante cercando anche di metterlo a fuoco <vattene a fanculo> e queste vorrebbero essere le sue ultime parole mentre barcollante vorrebbe dirigersi a casa sua spinta dall’ira e dall’alcool [SE END: a casa si limiterà a ricopiare i numeri di telefono su un foglio, farà le valigie e poi se ne andrà abbandonando al suo interno il cellulare]
Giocata del 18/03/2021 dalle 16:19 alle 17:43 nella chat "Luogo Sconosciuto"
[Casa] Seppur sobrio: ebbro. Poeta eroe, ecco come si sente. Ma Saigo con quelle parole ha troncato le corde delle arpe suonate dai Kami in proprio onore, ha mutilato gli organi eroici e alla fine gli ha rubato la poesia. Ci mancava solo quello. Se solo sapesse che il suo coraggio è sostenuto dalla sua poesia, non l'avrebbe fatto! Non sarà facile dimostrarsi eroico di questo passo. Una lattina gli vola vicino, senza colpirlo. Capisce l'intenzione. Il capo torna a batter sul pavimento. Dovrebbe stare attento ai cocci, ma lo farà dopo. Il suo sollievo è che lei sparirà lasciandogli qualcosa, come già accadde. Forse dovrebbe iniziare a pensare alle cose positive. Ma prima, ascoltarla. Le parla per un momento sopra, quando lei esordisce con un urlo. "Lo sapevo." Un po' maleducato Fuji, rispetta i turni. Scuote un po' la testa, ritrovandosi per caso a fissar una delle braccia completamente distese sul pavimento. Pochi attimi prima che invece lo sguardo si sollevi a lei. La sua voce si fa più minacciosa, alta. "Mi sarebbe bastato spazzolarti i capelli.." ribatte, biascica, in uno dei pochi attimi di silenzio che precedono il richiamo al proprio eroismo. Come se si trovasse in un letto va a far leva sulle braccia per mettersi comodo. Le sistema sotto la testa, poggiando l'intero corpo su un fianco, con gli occhi che adesso possono inquadrare l'uscita. Lei si schianta qui e lì, e normalmente sarebbe così divertente dal finire in lacrime. Ma forse, non ride perché l'ha già fatto prima. O forse non c'è nulla per cui ridere. Lei si spoglia per potersene andare. La fissa fino al ricevere quell'ultimo sguardo truce. Più che in viso, fissa la chiave donata. "Ok. Ti voglio bene." Poi, lei sparisce. La morte non gli appare se non come la forma della sua stessa perfezione. Fissando quel soffitto si sente un po' soffocare, ed è piacevole. Sì, forse è meglio che diventi anche lui un fiore di plastica. O forse- Ah! Genio. Eternare tutti gli elementi che la vita commuove e commuta potrebbe esser più bello. Geniale. I giorni passano, le ore precipitano; gli occhi permangono immobili su un'alba che non arriva mai, tenendolo inchiodato lì dov'era. E' solo una percezione distorta, quella del tempo, senza un orologio non saprebbe dire se si tratta di giorni o meno. Ma io, posso dirvi che son passati poco più che alcuni minuti. Alla fine è tutto tornato come prima, quieto. Non solo nella stanza. Si solleva in piedi, accorgendosi di quanto disastro ci sia. Sangue ovunque. Sembra una scena del crimine, più che il suo appartamento. Una gocciolina di sudore gli scende dal viso. "Va bene." Sistemiamoci. La prima cosa che fa è sfilar via la giacca indossata, completamente sporca e in più punti squarciata. La fa cader dalle spalle e poi in terra. La camicia, almeno, non ha difetti. Procede verso i fiori in plastica che son stati inesorabilmente schiacciati a terra. I petali più fragili, quelli che già erano rotti, si son separati di nuovo. Lentamente li raccoglie ad uno ad uno per poi poggiarli sul tavolo centrale. Il vaso è a pezzi. Come tutto. Sente il ronzio lugubre di una mosca che si leva e si posa. Per chi l'ha preso? A volte i suoni e i frammenti di essi, con le loro lunghe pause, lo confondono. E' come se il silenzio si portasse la propria tristezza e qualcosa di ancor più triste. Si avvicina al bagno, con passo incerto. Ecco quella stilla continua nella vasca da bagno. Gli diventa intollerabile. Lo corrode, lo trapassa. Prova a premere un po' sul rubinetto, ma la goccia continua a scendere. Si avvicina così allo specchio e apre un'anta, prendendo un pozzo batufolo di cotone e introducendolo nella bocca del rubinetto. Crede di averla ammutolita, e si sente meglio. La tregua gli dona grande sollievo. Si avvicina allo specchio rotto da Saigo. Entrambe le mani si poggiano ai lati della ceramica del lavandino, piegandosi un po' col busto. Ed ora si fissa. Non che ci sia molto. Al novanta percento vede il muro. Solleva un po' il mento. Sinistra, destra, su, giù. Mh. Non c'è niente che non va. Giusto qualche macchia rossa. Tira fuori il telefono, fissa i messaggi. Prima quelli di Saigo. Sorride un po', tra se e se. Poi, la tregua finisce. La stilla ricomincia. Traversa il cotone, come lo fa la lacrimazione fastidiosa dei suoi occhi. Ride. Ma non serve descriverlo, tanto nessuno deve sentirlo. Un nulla lo turba e lo sconvolge. Scatto iracondo. Si volta violentemente colpendo con il braccio sinistro il rubinetto della vasca e spaccandolo completamente, facendo finir quel pezzo di qualche acciaio a battere e lasciare un fosso nella parete interna del bagno. Ah. Almeno ha smesso di sgorgare, l'acqua. Si volta di nuovo verso lo specchio, sistemandosi ancora con la mancina qualche ciuffo di capelli che neanche vede troppo bene. Si accorge della propria mano destra, sporca del sangue di Saigo. Forse anche del proprio. Lavarlo via sembra un peccato. Ma se vuole uscire deve farlo. S'avvicina un dito alla volta alle labbra e diligentemente: pulisce. Il sapore non è così strano. Però un momento dopo, preso da una qualche nausea, rivomita tutto nel lavandino. Sente distintamente le membra e le squame carnose. Stringe un po' di più la ceramica del lavandino, con entrambe le mani. Finisce per spaccarne un pezzo con la mancina. Deve imparare a gestire la differenza di forza tra i due arti. La lacrimazione dell'occhio gli cola sino alla commessura delle labbra. L'amaro si mescola al sapore metallico. Una rondine grida disperatamente sopra l'armonia notturna. Il suo carnefice notturno era davvero entrato, quella sera. Almeno si è sfogato. "Non mi è mai piaciuto, quel nome" Fa scorrer l'acqua dal lavandino, che finisce inevitabilmente per sgorgar lì dove la ceramica è stata rotta. Si lava le mani, si sciacqua la bocca, il viso. Gli occhi. Le quattro pareti sembrano strette intorno al corpo. Le sente schiacciargli le anche: ne sente una sulle piante dei piedi e l'altra sul cranio. Tutto è nero, come in fondo ad un vaso dove il liquido residuo da uno svuotamento si ripiega in falde posate e calate al fondo di esso. A ogni respiro cresce un po' l'angoscia. Sente l'aria entrargli tra le labbra come acqua. Di questo passo soffocherà. Alza il telefono: luce. Chiama Saigo. Una volta, due volte, tre volte, quattro, otto, sedici, trentadue... Alla fine apre gli altri messaggi dimenticati dalle rubriche. Un messaggio diretto ad Eiyuu. Deve aver inviato per sbaglio. L'immagine, poi. Scoppia a ridere vedendo tutto quel sangue. Batte il pugnetto debole sulla ceramica. Massima ironia. Hai un bel viso, Fuji. Solleva gli occhi, fissa lo specchio. Davvero? Dovrà rispondere. Per ora, ciò che fa è fotografare lo specchio, nello stesso modo. D'un tratto, ha un corpo immenso. La sua oscurità non è più propria ma comprende tutto il buio. L'ombra è immensa. Le quattro assi che lo schiacciavano cadono. Gli par quasi che il corpo stia librandosi. I suoi confini non sono della notta ma della propria miseria. "Sì, son sicuro ci sia, ora." Annuisce, uscendo di scatto dal bagno e avvicinandosi a una delle ampie vetrate. Che notte chiara, adesso. La luna è alta. Perde la sua immensità, vedendo il gran carro. Apre completamente la finestra, affacciandosi pericolosamente in avanti. La bocca s'apre e non sente più il sapore dell'aria notturna, ma quello della sua bocca di metallo. Ha l'impeto di balzare in avanti. "Niente mi può ferire." Si sbilancia in avanti, ma le gambe cedono. Brucia. Il sudore stilla come un pianto. Supino, fissa il cielo con i suoi occhi illusi, ed il cielo entra in lui come se fosse trasparente. " Il fiore cade/ Alzo il mio sguardo/ splende la luna. " Un poema d'addio, come quelli che un tempo scrivevano i monaci zen all'approssimarsi dell'ora eterna. Un poema di addio alla vita. Ora sta bene. Ma vuole rincorrere i monti distanti. { e n d }