Kaizen

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con Fuji, Saigo

21:29 Saigo:
 Dopo una di quelle lunghe ed infinite giocate finalmente è a casa. Il tempo di andare davanti al frigorifero ed aprirlo. La mano destra che si sorregge sull’alta mentre il busto viene spinto in avanti, flesso e piegato. Osserva il contenuto, si rialza appena per gettare uno sguardo sulla penisola bianca con i fornelli completamente pulita. Un Sospiro prima di rialzarsi e mentre si allontana sospingere l’anta così che richiuda. Si è tolta le scarpe abbandonandole all’ingresso e scalza si è diretta verso la stanza. Lungo il corridoio è andata semplicemente a spogliarsi togliendosi prima i soliti pantaloni neri ed eleganti, sfilandosi la giacca abbinata ed infine sganciandosi anche il reggiseno di pizzo scuro. Grazie alle enormi vetrate la flebile luce della luna penetra fino in casa e proietta lunghe ombre alle sue spalle. Quasi danzando è arrivata fino alla stanza lasciando una scia di abiti. Nuda, anzi in mutande di pizzo nero, ha agguantato il lunghissimo maglione scuro che si mette in casa di solito. Se lo è infilato e poi verso il bagno, con lo stesso passo delicato, così da raggiungere il lavandino, pulirsi la faccia dal trucco della giornata ed infine si è sciolta i capelli. Non si è soffermata troppo sul suo riflesso allo specchio prima di tornare in corridoio lasciando la porta scorrevole aperta. Silenzio nell’appartamento mentre è tornata in quell’ampio open space che le fa sia da sala che cucina. Il bianco è il colore dominante, una poltrona in pelle di quel colore ed il divano abbinato, un nero televisore dallo schermo ricurvo e null’altro. Una cucina smaltata di bianco con la penisola, fornelli, forno e lavello nero a contrasto, totale assenza di sopramobili anche lì. Fredda, vuota e distaccata proprio come lei, quella casa spoglia la rappresenta a pieno mentre la destra è sulla sua cute a ravvivare appena la capigliatura, qualche onda data dall’elastico rimasto a lungo sul mare fragola. La spalla sinistra nuda, l’ampio scollo di quel maglione troppo grande e largo ormai completamente consunto dal tempo lasciano poco spazio all’immaginazione. Gambe nude, il sedere appena coperto da quel singolo indumento che la tiene al caldo, anche considerando che la temperatura nell’appartamento è abbastanza alta. Apre il freezer questa volta, agguanta famelica del gelato alla vaniglia e poi con la gemella raggiunge la cassettiera per prendere semplicemente un cucchiaio argentato. Svita il tappo di quella confezione abbandonandolo sulla penisola e poi si dirige verso la poltrona. Non accende le luci, si muove silente nella penombra. Una sensazione di calma e ristoro la colgono non appena i suoi piedi nudi toccano quel grigio tappetto centrale peloso, morbido e familiare. Sospira appena alzando gli occhi verso il soffitto e poi si siede sulla poltrona, schiena e gambe a ponte sopra ai braccioli, gelato in grembo e cucchiaio in bocca, pronta alla sua cena. La poltrona sta proprio davanti alla porta lasciata solo appoggiata, da quando Fuji ha iniziato a chiudere la sua è lei che ha iniziato a lasciarla aperta quando è in casa, chiunque potrebbe sospingerla ed entrare in quel suo freddo regno. Non ci sono foto o ricordi in giro, solo gli abiti abbandonati lungo il corridoio e lei con un gelato in grembo. Le vetrate illuminano il lato della sala, incombono con il cielo su di lei ed ora le fissa mentre aspetta che il cucchiaio possa finalmente spezzare il gelato e la sua cena possa avere inizio.

22:13 Fuji:
 Le illusioni. Sono questo il tema principale e preponderante nella mente del Chikamatsu. sì, ora ripartiamo da capo: le illusioni, gli diceva sempre qualcuno: sono infinite in numero. Un po' come i rapporti che possono esserci con una persona. E' quando l'illusione sparisce che noi siamo capaci di veder davvero l'essere affrontato così come esiste fuori dalla nostra percezione. Non necessariamente disilludersi è negativo. In questo momento prova un sentimento complicato e bizzarro, fatto per metà di rimpianto derivato dal passato dei ricordi più recenti condivisi con Saigo e per metà di spaventosa tensione, causata dal rinnovarsi di alcuni pensieri di fronte ai fatti della realtà. La sua professione di marionettista lo porta a guardare attentamente i visi delle persone che passano, le fisionomie che incontra per bottega e strada, ben sa quale gioia prova da questa facoltà. Dal sentirsi fautore di vita. Forse è il suo modo per trovare redenzione attraverso semplici gesti. Eppure, l'ultima volta che ha provato a creare qualcosa, ha fallito. 17 volte, per essere precisi. I Legni da scultura sono ancora fuori dal suo appartamento, coperti da un pietoso velo bianco. Nel quartiere che è l'oasi vasti spiazzi di sabbia separano ancora gli edifici, con il vento che occasionalmente e fortuitamente vien trasportato abbastanza in alto da battere sulle ampie vetrate presenti e distrarre il panico dei sensi. Ha aperto la porta. Non per fuggire da qualche altra parte, ma per affrontare direttamente i suoi pensieri. Ritornando alle illusioni, che ricordiamo esser il tema, vuole capire quanto di ciò che fa è veramente finto. Più volte Saigo ha posato silentemente per lui, più volte l'ha supportato e persino tenuto in piedi. Le ha fatto vestire le bianchi vesti della vergogna, fatto suonare il violino del vagabondo, la corona di spine e persino la Torcia dI Eros. Insomma, ciò che ha provato di fronte a quello stravagante spirito non ha mai avuto corrispondenza valida ai suoi gesti. Quindi, che ha intenzione di fare? Niente di che. E' un problema per quando sarà lì. Oggi, pulito dal freddo sudore e dagli spasmi, ripulito, è un po' più grazioso. La mano sinistra è stata tirata a lustro e guantata, il corpo fasciato da un vestito nuovo, con il collo nel cappio della cravatta. In testa, un cappello, di quelli tipici d'un borghese. E' un vestiario certamente più adatto a chi vive in un luogo simile e tanto lussuoso, ma certamente non si sente adeguato. Inoltre, quell'aroma di altera virtù emanata dalla sua persona è sbagliata. Lo sa anche lui. Il viso è un po' smagrito dopo gli ultimi giorni, ma forse s'adatta per questo così bene al lutto che sono i suoi vestiti. Le chiavi sono in una tasca, anticipano all'ultimo il suo arrivo echeggiando nel corridoio di tanto in tanto. Poi, raggiunta la porta, mostrando appena scarpe e pantalone alla prospettiva di chi si trova dentro, s'arresta. Il collo viene sollevato e a fatica, con mignolo e anulare della sinistra, sistema il cravattino, attento a ciò che tiene in mano. La sinistra è forte, forse troppo. Tanto che se lo ritrova visibilmente troppo stretto; gli rimarrà un segno rosso di sicuro. Ma ormai l'avrà sentito, che figura farebbe ad andarsene. Deglutisce un nodo di saliva, che quasi si blocca in concomitanza al nodo: non va bene. "..." Fattelo star bene. Mignolo e indice sinistro tengono una busta di plastica di cui è nascosto il contenuto, mentre le restanti tre dita tengono facilmente in equilibrio una confezione in cartone di quelle tipiche delle torte. La mano destra è occupata invece a reggere il bastone che ha duplice identità di Shirasaya. Finalmente avanza, s'affaccia e dovrebbe già poter vedere quella grande stanza bianca. Nostalgia, ma senza nessun motivo realmente ricordato. Lei, è lì? La scia di vestiti se ancora visibile darebbe gli indizi necessari a trarre le proprie conclusioni, ma ancor più dovrebbe riuscire la figura della fragolina. "Yo" Abbassa un po' la confezione della torta, per poterla vedere. La squadra come al solito, sale sulla spalla e fissa la sfumatura delle carni. Poi, decide saggiamente di risollevare la confezione del dolce, così da coprirgli il viso. "che coglione.." borbotta a sè stesso, con tono molto basso.

22:28 Saigo:
 Il caldo della stanza, quel ricordo di una Suna mai così lontana riesce lì dove molti hanno fallito a sciogliere. Non il suo cuore che resta saldamente al sicuro, nascosto nelle profondità del suo animo, sommerso dal suo ego, ricoperto di orgoglio, protetto dalla rabbia, una serie a matrioska intorno a quello che è il fondamento di una persona, i suoi sentimenti. Il gelato però a differenza sua inizia a cedere, facendosi più cremoso. Lo osserva mentre il gelo della scatola pian piano passa attraverso il maglione fino ad arrivare alla sua pelle. Quella sensazione la riscuote e la porta ad alzare la destra così che raggiunga il manico che cucchiaio ancora nella sua bocca, lo estrae lentamente e spostando gli occhi rossi verso la vaniglia nella sua mano sinistra. Affonda la punta del cucchiaio quasi sadicamente, con gusto. Lenta sprofonda nel gelato e poi riempie la posata così da poterla estrarre e riportare verso le sue labbra. Annusa pregustandosi il momento in cui le sue papille gustative toccheranno quel nettare, socchiude appena le labbra e mentre l’altro si appresta a prendere una decisione lei si infila in bocca il gelato. Lo gusta, assaggia, lascia che si sciolga tra le sue carni e poi lo deglutirebbe, così, tutto intero famelica ed affamata com’è in realtà. Il cucchiaio che vien fatto scivolare fuori prima che un dolore la colga al cervello, lì dove termina il naso. Si racchiude proprio come riccio <freddofreddofreddo> mormora e borbotta lei pentendosi amaramente d’essere stata così golosa. Non impara mai. Un cigolio, le palpebre che dapprima si distendono e successivamente si aprono puntandosi verso l’intruso, curiosa e non spaventata. Non pensa possa essere qualcuno oltre al suo adorato vicino di casa. I vestiti sono ancora lì, sparsi lungo il pavimento, unico segno di vita in quella casa. Affonda il cucchiaio nella confezione alla vaniglia e osserva la scena che le si para davanti. Dovrebbe essere incazzata, lo sa, dovrebbe sentirsi estremamente arrabbiata, volerlo cacciare a caldi, allontanare eppure proprio come quella porta ora anche le difese intorno al suo cuore si aprono, indicano una strada riservata solo al marionettista, unico accesso a ciò che è davvero. Allunga le gambe nude, le distende quasi stiracchiandosi mentre va a fissarlo e sorride, inaspettatamente si mostra felice di vederlo <è per me?> domanda buttandosi in bocca quel secondo cucchiaio per poi allungare la mano destra, ora libera dalla posata rimasta in bocca, per invitarlo ad entrare <se vuoi accenti le luci> questo assomiglia più ad un borbottio mentre la lingua gioca e si giostra tra il metallo e il freddo del latte e della vaniglia. Per osservarlo meglio butta indietro il capo, alzando il mento e lasciando che i suoi lunghi capelli sciolti sfiorino il tappeto peloso. Lo osserva curiosa, sembra quasi timido, non lo ha mai visto così con lei, almeno non più da dieci anni a questa parte e non comprende, si limita dunque a lasciare che lo sguardo rosso permanga curioso ed insistente su quella figura attendendo d’essere raggiunta. Ai suoi piedi inizia un lungo divano bianco, sempre poggiato su quel tappeto morbido, anch’esso buona scelta comunque. Vicino al bracciolo del tre posti bianco una coperta morbida e nera, in pieno contrasto, giocando con l’oscurità e la luce. Quella è la fredda casa di un catalogo, bella forse, studiata allo stesso modo ma estremamente impersonale, non c’è nulla che possa ferirla lì dentro, nulla a cui possa legarsi e che di cui possa poi soffrire

23:03 Fuji:
 Dappertutto negli ampi spazi della sua mente risuona un po' il senso di colpa tipico di chi ha disturbato troppo le persone care nel momento del bisogno. In questi giorni ha l'impressione di dimenticarsi di tutto, sia del dolore sia del lavoro, a volte diventa come un bambino. Vive interminate ore come vacanza, col pensiero che prima o poi lo scenario fuori dalla sua vetrata gli mostrerà un nuovo attacco delle bestie divine. Del resto, sono parecchio in alto. Non quanto la torre, ma ad esser sinceri neanche vorrebbe trovarsi troppo vicino al cielo. Se potesse allungare la mano verso i kami e non ricevesse alcuna risposta allora si che rimarrebbe disilluso. assorbe senza volerlo la parte di atmosfera spensierata data dalla compagna, rilassando un po' le spalle precedentemente tenute rigide. Quanto a lui, da vero abitante del villaggio della Sabbia, ha passato in rassegna tutte le bancarelle e negozi che vantavano le loro offerte di qualità e quantità. La concorrenza è formidabile, o forse non sa semplicemente nulla di dolci. Come quelle due cola alla ciliegia ricevute da Naomi. E' rimasto shockato quando ha portato alle labbra quel così dolce succo. La fragolina sa perché Fuji odia viziarsi: in apparenza è semplicemente disinteressato a soddisfare i suoi sensi, ma scavando in profondità altro non trova che gli stessi sensi di colpa suoi. Con quale diritto dovrebbero vivere, loro due? Dovrebbero mangiare ciò che tutta la loro classe avrebbe desiderato mangiare? Sarebbe una soluzione, ma il risultato sarebbe diametralmente opposto e negativo. Meno male che c'è lei, con quel suo sguardo che agli occhi del marionettista presenta una certa mancanza d'astuzia. L'ha sempre vista così com'era dieci anni fa. Gli è indimenticabile ad oggi quel giorno in cui ricevette la prima confessione nel cortile dell'accademia. Erano ancora al villaggio originale della Sabbia, immersi in un calore ad oggi dimenticato. "Tu non impari mai" sì, anche quel giorno c'era in mezzo un gelato. E finì in maniera non troppo diversa, con la sola differenza che Fuji s'impegnò a ignorarla e allontanarla, come faceva con qualsiasi cosa. Ah. Che patetico invertebrato. Non è così diverso ora, anzi, è terribilmente simile. Sempre così disturbato e alle volte lontano. Sempre sognando d'esser un po' più distante, un po' più nascosto. "No, l'ho portata per farti soffrire mentre la mangio" Pronuncia poco dopo, nascondendo dietro il cartone del dolce uno dei suoi sorrisi amari ed avanzando di qualche passo. Riesce appena a vedere le gambe nude, pallide ma non fredde. Col bastone ed un po' di abilità chiude la porta, rendendo a quel luogo la sua iniziale penombra. Avanza, decidendo di accendere le luci quando gli viene proposto e dando appena un colpetto col gomito all'interruttore, procedendo verso il divano e portandosi praticamente in piedi di fronte al retro di questo. Solo allora poggerebbe da prima la busta in plastica vicino a lei, rivelando tra le forme del polietilene delle lattine di birra. Sì, perché ricordiamo che oggi è qua per vedere se è capace di capire cosa si nasconde tra le illusioni della propria mente. Fa attenzione a non colpirle la testa col bastone mentre questa è tirata un po' all'indietro. Poi, dall'alto, la fisserebbe, battendo occasionalmente gli occhi. "..." Il colletto lo strozza appena, ma si comporta come se il tutto fosse intenzionale. Una gocciolina di sudore gli scende lungo il lato del viso. "Non sapevo cosa prendere quindi c'è di tutto." Tende in avanti il busto, allungando il braccio meccanico e facendolo abbassare perché vada infine a poggiare quel pensiero sulle cosce di lei. Aprendolo, si rivelerà esser appunto un assortimento. E se Saigo ne fosse un minimo esperta saprebbe che ogni cosa lì presente appartiene in realtà a un diverso negozio. Non sapendo cosa scegliere, ha scelto tutto. "E' tutto qua. Mi dispiace." Non si riferisce ai dolci, nè alle birre. Ha perso il coraggio di fare di più. Come sempre. Il busto torna dritto, il bastone batte gentile sul pavimento della bianca stanza, accennando i primi passi verso la porta da cui è arrivato. Si, buona idea, fuggire un po'.

23:21 Saigo:
 Lo osserva in quell’atteggiamento per lei strano, deglutisce il nuovo boccone di gelato e infine abbandona il cucchiaio nella scatola, se lo tiene semplicemente sull’addome mentre lo continua a seguire con lo sguardo sorridente. Lo osserva muoversi per casa sua con una strana calma contrapposta a quella che riconosce come assurda timidezza, non comprende. Non riesce nemmeno a spiegarsi quei vestiti, non è più lui e sotto sotto questa cosa la infastidisce per quanto si limiti a fissarlo curiosa. Diversità, ecco cosa la stuzzica della sua figura ma al contempo la lascia anche contrariata, non sa bene come reagire a questo tipo di novità, non si aspettava un cambiamento tra loro, anzi si può tranquillamente dire che viva nel tentativo di evitare che qualcosa di simile avvenga. Ridacchia solo a quella battuta e alza il barattolino in cartone <beh io ho il gelato> e con queste parole torna a portarsi il cucchiaio pieno alla bocca. Apre la bocca al suo massimo, provocandolo volutamente, divertita dalla battuta che riconosce come tipica del loro rapporto. Lascia che il freddo permanga nella bocca mentre segue lui, poggia a terra, su quel bellissimo tappeto il barattolino e il cucchiaio, la sua cena a base di gelato per ora è terminata. Brontola appena lo stomaco come si issa andando a contrarre gli addominali per raggiunge una posizione più consona e comune. La punta dei piedi tesa che viene alzata mentre le ginocchia piegate vengono richiamate verso il suo busto. Ruota sul suo stesso sedere compiendo quel mezzo giro che le permette di avere la schiena al posto corretto e solo ora andrebbe ad abbassare i piedi così che svaniscano pallidi in quel fluente mare grigio. Non la lascia la curiosità. Per lei sono ormai troppo lontani i tempi delle sue continue e speranzose dichiarazioni, l’amore infantile che provava è mutato in qualcosa di diverso e profondo, in una sorta di necessità. Non hanno alcun vento nell’essere sopravvissuti, solo mera fortuna la loro o forse proprio enorme sfortuna eppure sono ancora lì ed è ora suo preciso dovere restargli accanto, come a quei tempi, lo ha segretamente promesso ad ogni compagno salutandoli, lo ha detto a sé stessa ed è l’unica cosa a cui riesca a pensare senza provare solo dolore. Un mare color biondo fragola ora si sparpaglia lungo lo schienale e il suo maglione, su quella spalla nuda. Si vergognerebbe a mostrarsi così a chiunque, struccata, senza reggiseno o pantaloni, non sono abiti che le donano, il volto è anche abbastanza stanco a seguito degli allenamenti e di quell’interrogatorio che comunque le è rimasto destro, i demoni che la tormentano ogni notte, il terrore che non sia finito è tutto su quel volto ma con lui è diverso. Non si deve far bella, non sente di dover sempre apparire al meglio, in sua presenza si piace per com’è. Lascia che lui poggi quel sacchetto sul suo corpo, ci getta velocemente lo sguardo andando ad analizzare, quello che potrebbe sembrare indecisione ai suoi occhi appare invece come cura estrema nei suoi confronti, si è fermato in ogni negozio pur di essere sicuro di accontentarla. Apre la bocca come a voler ringraziare, scorge la birra e famelica la destra andrebbe a prenderla. Lo vede incamminarsi verso l’uscita e di scatto si alza. A rallentatore osserva come il sacchetto poggiato sul suo ventre inesorabilmente rotoli con tutto il suo contenuto verso il tappeto, verso quel gelato che viene colpito e traballa, il cucchiaio che, come una catapulta, viene lanciato verso il pavimento all’ingresso. Una serie di oggetti che sbattono e fanno rumore ma lei ormai dovrebbe averlo già raggiunto, un paio di agili falcate, compiute da scalza mentre cerche di prenderlo sul polso con la mano sinistra <aspetta> lo vorrebbe solo fermare e se ci fosse riuscita ora è proprio a lui che andrebbe ad allungare la birra, l’unica che si è salvata dalla caduta, la destra tesa in sua direzione <non devi scusarti lo sai> forse le è bastato costringerlo a pulire il suo stesso vomito. Se lui si fosse fermato e avesse accettato l’offerta ora andrebbe semplicemente ad accovacciarsi così da rimettere tutto nel sacchetto, raccogliere il barattolo di gelato, sulla strada il cucchiaio e poi andare in cucina a sistemare il tutto

00:00 Fuji:
 Afflitto da memoria fotografica, gli diventa indimenticabile adesso quella serie di sentimenti che si trasfigurarono sul viso della compagna. Sguardi profondi che ancor lo riempiono repulsiva miseria. Pensando ad alcuni di quelli il nodo sul collo diventa nullo in confronto alla sensazione d'aver la gola afferrata dalla stretta terribile dell'isteria. Gli par quasi che lo sguardo sia offuscato da lacrime ribelli che non vogliono scorrere. Ed è quello che effettivamente gli si tien concreto sul viso, uno schermo sottile e lucido difficile da identificare. Rende le pozze nere un po' più brillanti, ma non tanto più profonde. E nel tentativo d'allontanarsi e sparire, ossessionato da queste visioni e pensieri, si sente di nuovo un po' stupido. Non era neanche venuto qua per chiedere scusa. Senza dubbio quando gli vien detto d'aspettare qualcosa lo perfora allo spirito, immobilizzandolo. I pensieri volteggiano con una leggerezza diverse volte superiore a quella dell'atmosfera; Le passioni volgari, come odio e amore profano, gli appaiono ora tanto lontane quanto le nuvole che filano via in fondo agli abissi della notte presente fuori da questo quarantottesimo e ultimo piano. Sul laghetto dell'oasi, nero per l'immensa profondità, passa a volte l'ombra di una nuvola, come il riflesso del mantello di un gigante in volo sopra il cielo. Forse, dalla prospettiva attuale, potrebbe avvedersene per qualche momento. Ah. Ecco un'ottima scusa per dare ragione a Saigo. Eccomi, che cerco di nuovo una scusa. Però lo fa sentire bene. In uno stato di perfetta beatitudine data dal totale oblio verso ogni responsabilità. Ma ecco che la lucidità che s'è ostinato a cercare prende la meglio, facendogli scuotere la testa. Il nodo al collo lo aiuta a ricordare perché ha fatto la fatica di vestirsi così. Prova a ricordare, Fuji. "..." Senza pronunciar parola, allunga la mano sinistra e recupera la sola altra lattina di birra tenuta completamente in vita. Le sfiora appena il palmo, forse, ma a causa della freddezza dell'alluminio non riesce a farci abbastanza caso. Poi, la segue con gli occhi mentre riordina. Il cappello viene abbassato con un fare quasi formale e poggiato sullo schienale d'una qualsiasi delle sedie presenti. Poi con la mano sinistra da una ghinga alla sommità della birra, spingendo il tappo al perfetto centro del tavolo ed aprendola. Guardando un punto imprecisato di quella perfetta stanza prende poi posto nel divano, facendo lentamente il giro e poggiando la shirasaya al suo fianco. Le gambe son strette, tipico di chi è troppo cosciente dello spazio che occupa. Il busto è un po' piegato in avanti, retto dai gomiti che stanno accomodati sulle cosce. Di tanto in tanto il mento viene sollevato e in concomitanza a ciò fa colare un po' di quella bevanda sulle labbra, facendosi scappare quasi per caso una goccia dall'angolo inferiore del labbro sinistro. Eccolo di nuovo: con l'opprimente sensazione di alienazione. La stanza così ordinata gli piace. Gli ricorda la sua vecchia stanza. Saigo, sei ancora alla portata dei suoi occhi? Anche solo il suo profilo, o magari la schiena. "C'è qualcosa che non va, in me." Massa di sogni che si fermentano, perdendo forma e acquisendone un'altra. Sono diventati incubi. C'è un orologio, su una di quelle pareti? Certamente sì...ma se così non fosse riuscirebbe comunque a vederne uno. Fissa lo scandire della lancetta dei secondi. Batte le ciglia con forza e le riapre, cercando ancora l'orologio. L'orario non sarà cambiato che di qualche secondo. Ok, vuol dire che va tutto bene. "Non so se volevo davvero salvare il mondo. O che ci facevo all'accademia." Ah. Che vai farfugliando? Non si capisce niente, così. Ma forse..

14:35 Saigo:
 La prima cosa che fa è lanciare il cucchiaio verso il lavandino, un clangore meccanico irrompe in quella stanza mentre il metallo ribalza sulla nera ossidiana del lavabo. L’argento di quella semplice posata che rimbalza oscillando nelle sue due estremità producendo un freddo tintinnio che va scemando. Mentre il tempo si sospende nell’osservazione di quel lancio e quel modo che porterà la posata ad acquietarsi nel lavandino lei sta riordinando. Come prima cosa la sinistra poggia il gelato sulla penisola bianca mentre la mano gemella va alla ricerca del tappo abbandonato prima. Occhi che analizzano velocemente quella cucina spoglia, quell’assenza di calore della casa, la sua profonda e fredda pulizia, idea acuita anche dalla freddezza dei colori nell’arredamento. Una volta trovato richiude il barattolo avvitandolo velocemente e apre il freezer, infila così quella cena appena iniziata e poi lascia che la luce al neon si spenga, tornando ad ignorare la sua pallida pelle di luna. Si volta dunque andando a recuperare il regalo di Fuji, gli occhi si posano su tutte quelle lattine e bottigliette in vetro che ha davanti, ognuna in una posizione diversa, l’una sopra l’altra, liquidi agitati a causa della caduta di poco prima. Sospira appena e poi semplicemente si riempie il braccio destro, i primi tre contenitori di birra vengono sollevati ed allontanati dalla penisola. Apre il frigorifero, osserva il suo interno come un chirurgo si appresa a svolgere un’operazione a cuore aperto e con la sinistra inizia poi a posizionare le prime tre bottiglie in modo che restino perfettamente in equilibrio. Senza richiudere si volta per prendere le restanti lattine. In quel frangente l’altro parla, lei si distrae appena allungando lo sguardo rosso in sua direzione. Tace per qualche istante, presa alla sprovvista, in contropiede, non ha idea di come rispondere, le appare così insicuro adesso, quasi sul punto di rompersi e non era di certo preparata ad una simile evenienza. Gli istanti scorrono silenziosi senza che da lei arrivi una risposta, ne vaglia molte ma nessuna è all’altezza, nessuna è quella giusta. In quell’indecisione cosmica che improvvisamente la conquista un semplice suono acuto inizia a farsi strada nell’appartamento, un bip elettronico, un tintinnio ritmato e instancabile che l’avvisa di come la temperatura del frigorifero aperto stia irrimediabilmente salendo rischiando quindi che i suoi alimenti si rovinino. Quel suono dopo i primi tre secondi la riscuotono <certo sei scemo> replica solo a quel punto accennando un sorriso divertito in sua direzione, seria nel tono eppure lasciando che lui possa comprendere lo scherzo. Rapida di appresta a sistemare tutte le lattine meno una e poi a richiudere lo sportello lasciando così che si sigilli per almeno tutto il prossimo minuto <è importante sapere che volessi fare?> domanda ora seria, andando a dirigersi verso l’ultima lattina lasciata aperta. La fissa dubbiosa, se l’aprisse adesso finirebbe sicuramente per rovesciare birra ovunque <insomma che valore hanno le motivazioni passate? Nemmeno io le conosco ma so perché lo faccio ora> riduce la questione come suo solito, meno riflessiva possibile, meno introspettiva possibili limitandosi al qui e ora per non soffrire più del dovuto. Lei sopravvive, si trascina giorno per giorno senza aspirare alla irraggiungibile felicità <sai ieri sono stata rifiutata> se ne esce all’improvviso, ancora ripensa ad Aki che le si allontana, incapace di spiegarsi davvero cosa di quel gesto l’abbia colpita così tanto o così profondamente

15:03 Fuji:
  [Divano] Per tanti giorni si era semplicemente segregato dentro la sua stanza, e si era circondato nuovamente di tutti quei legni e metalli grezzi a cui tanto adora dargli forma. Con il tempo Saigo si renderà conto dei suoi ritmi, vivrà notti estremamente rumorose causate forse dal suono della sua solita sega circolare. Altre, invece, sentirà con chiarezza il metallo venir battuto su una delle incudini possedute. Forse quei suoni avranno la capacità di comportarsi come melodie atte a conciliare il sonno, forse no, ma fattualmente è importante far notare come questi giorni e quelli precedenti sono stati e saranno i più silenziosi momenti del suo lavoro. Potrebbe quasi parer che non ci sia, se non fosse che acuendo i sensi vicino alle pareti o alla porta potrebbe di tanto in tanto esser sentito il suono del bastone che batte in terra. Si muove, lavora, pensa, riflette, ripete. Ma non lavora attivamente. E' da un po' che non produce armi, e la lista dei lavori e delle commissioni sta effettivamente allargandosi. Ha ingerito - ingoiato, intendo- tutte le elucubrazioni e idee di felicità, ha avuto una ricaduta sull'adderall dopo quella serata con Saigo ma adesso le due pasticche raccolte da terra son ancora posizionate sul suo tavolo da lavoro, dentro una piccola cassetta d'alluminio che prima conteneva delle mentine. Scoprendo quanto fosse fragile la sua zona sicura s'è sentito un re spodestato; ed ha iniziato a vagare. Non sorprenderebbe troppo il fatto che si trovi adesso in uno stato d'animo prossimo alla vertigine o alla stupidità. E' da Saigo proprio per questo. Non è il tipo di persona che chiede di dar forma ad ogni pensiero, ma riesce comunque a tirarne fuori con le pinze alcuni che gli eran rimasti bloccati in gola. Ha proposito, ha una gran sete. Un nodo di saliva viene ingoiato, tenendo lo sguardo un po' ebbro tra la sua lattina di birra e occasionalmente al lavoro svolto. Poi, fissa il cappello che ha lasciato su una delle sedie. Sente un brivido risalirgli la schiena, cerca di nuovo l'orologio: poi, scuote la testa. "Sì" Un po' lo sono, scemo. Fortunatamente è ancora capace di piegar le labbra per sorrider, altrimenti il tono sarebbe da solo insufficiente per spiegar quanto sentirsi chiamato così gli faccia bene. Poi, le sue riflessioni ricevono risposta. Si ritrova ad ascoltarla sentendo l'eco di quelle stesse domande. E' così importante? Giudicando dal tono della fragolina, probabilmente no. E' una domanda retorica, no? Annuisce un poco, fissando il vuoto e tentando di masticare e digerire quei termini, dargli forma e paragone col passato. Ma alla fine il solo stimolo che immediatamente lo attiva è la frase finale: Saigo rifiutata. Stava per prendere un sorso di birra quando l'ha sentita. Ed ora, fermandosi, va da prima a poggiar la lattina ovunque sia possibile, per poi battere il pugno della mano destra su qualsiasi superficie e lasciarsi andare ad un'estesa risata. Finisce pure per piegarsi un po' di più in avanti, tenendosi allo stomaco con la fatica caratteristica di chi sta iniziando anche a perder un po' il respiro. Ah, che c'è di così divertente? "S--scusa..ahah.." mette una mano avanti, facendo il segno dello stop; poi la risolleva, portandolo al viso per asciugarsi una lacrima. Ci mette una quindicina di secondi buoni a ritornare dritto col corpo, con un'espressione rasserenata e con le gote ancora arrossate. "Tornerò ad essere un eroe. Ecco perché." Una confessione. Un'ammissione di colpa, a giudicare dalle labbra incurvate negativamente. Eppure, gli occhi son così sereni. Che ridere. "Non giudicarmi."

15:18 Saigo:
 Fissa dubbiosa quella lattina intorno a cui si sta già formando della condensa, non perché è appena stata estratta dal frigorifero ma proprio perché la temperatura di quella casa è molto più alta rispetto a quella esterna e quindi eccole quelle gocce di acqua che vanno a formarsi sui sinuosi fianchi di quel condensato di latta e alluminio. Scivolano lungo le generose forme a partire dal collo per poi scendere, le fissa dubbiosa perdendosi qualche istante in quel movimento che non trascina i pensieri con sé, come se stesse guardando oltre a quel semplice oggetto, non lo sta nemmeno mettendo a fuoco lei che semplicemente cerca nella sua mente un modo per aprirla senza che le scoppi in faccia. Se il mondo ora andasse a fuoco lei non se ne accorgerebbe tanta è la concentrazione in questo momento, continuerebbe a fissare quelle gocce completamente sbiadite davanti alle sue iridi rosse consumarsi fino a sparire. Lente scivolano prive d’attrito vero il piano della sua penisola quando la risata di Fuji si espande per tutta la sala. Rialza gli occhi e torna su di lui, lo osserva infastidita da quella risata, toccata nel suo orgoglio e sbuffa. Prende dunque la lattina con la sinistra e lentamente con la destra tira la linguetta. “fss” il chiaro segnale che l’aria sta uscendo e non le scoppierà in faccia. La schiuma però è tanta ed eccola gonfiarsi, affollarsi per uscire e minacciare di caderle addosso, si affretta dunque a portare le labbra sul metallo così da andare a risucchiare tutto il necessario, alza il braccio sinistro così da portarsela più vicina a quella bocca che si è avvicinata grazie ad un lieve piegamento del busto e del collo. Mentre lui ride lei si rialza e si avvicina, lascia che si pieghi, raddrizza il busto e si farebbe molto vicina. Si è stufata di sentirsi rifiutata, allontanata e rassegnata a star sola con i proprio demoni, il suo orgoglio ferito la fa agire, non è la testa né tantomeno i sentimenti si tratta solo di affermare qualcosa a sé stessa, si tratta di dimostrarsi che ha un valore, seppur piccolo e solamente legato alla sua estetica. Appena lui si rialza ciò che vorrebbe fare lei è baciare le labbra altrui. Gli occhi aperti, il fuoco della rivalsa, della rivincita che arde in quelle iridi, vorrebbe solo poggiare le sue labbra su quelle di lui, non conoscendo davvero i baci dati in maniera diversa ma soprattutto non sentendo alcuna brama in merito. Non vuole il corpo altrui vuole solo ribadire la sua bellezza, quanto meriti di essere desiderata. La birra che resterebbe nella sua mano mentre a stampo poggerebbe labbra umettate su labbra, solo quello, una pressione sul suo volto per poi andare a distaccarsi. L’ha punito per aver riso, per questo non replicherebbe alle scuse. Se fosse riuscita e fosse dunque libra farebbe per voltarsi e tornare verso la poltrona <per me sei già un eroe Fuji> direbbe mentre scalza si muove sul tappeto. Le piante dei piedi sfiorano il tessuto grigio e morbido, i capelli ondeggiano dietro alle sue spalle ed un nuovo sorso di birra viene preso costringendola dunque a muoversi piano.

17:08 Fuji:
  [Divano] Rialzando il viso, riceve improvvisamente quella rivendicazione. I ciuffi di fronte al viso e la completa calma dei sensi lo mettono nella condizione di esser vulnerabile, sia fisicamente che non. Del resto è con Saigo, non ha mai avuto nulla di che preoccuparsi ne gli è stato necessario pensare a cosa mostrare e cosa no. Quando le labbra altrui toccano le proprie si ritrova a spalancare di getto gli occhi, riducendoli a due piccoli fori neri, chiavistelli che s'affacciano nell'animo. Se Socrate aveva un suo Demone, un Demone proibitore, impeditori e limitatore, Fuji ne possiede uno di natura completamente opposta. Probabilmente persino più reale, almeno ai propri cinque sensi. Per altro il proprio è riduttivo chiamarlo Demone, per cui è definito semplicemente come entità. Ecco, torniamo indietro di nuovo. Diversamente dal Demone citato, l'entità si degna di dar consigli, suggerire e persino persuadere. Immediatamente si spinge un po' avanti col baricentro, finendo per far premere in quei brevi istanti le labbra; le proprie si comprimono tanto da ridursi persino in larghezza. E dato che si sente folle abbastanza, non chiude gli occhi. Che guardi. Anche se il fiato gli si spezza in gola, anche se il cuore fragile inizia a lacerarsi un po' sotto la pressione dell'imposta. Così guidato da quell'entità da buttarsi senza discrezione tra le fiamme o tra le labbra altrui, sciocco ed insolente come un servo. Staccati, presto. E così fa, spingendosi velocemente con la schiena sul divano e affondandovi un po'. Gli occhi tornano a prender la loro normale dimensione, la bocca va tuttavia schiudendosi abbastanza dal permettere ipoteticamente ad una mosca d'entrargli in corpo. Ah. Che fare? Il sapore della birra gli è familiare. Per un momento, si è sentito un po' Saigo. Quando ha deciso di tener gli occhi aperti, di rispondere a fuoco con altro fuoco. Si è sentito sconfitto ed ha voluto combattere quel gesto. Ecco, una certa emozione s'espande avente come radice lo stomaco. Dev'essere ira, altrimenti non si spiegherebbe. E' come se quel contatto gli avesse gittato all'interno una parte di quei sentimenti. Almeno adesso non stai più ridendo così sguaiatamente. " ... " Divertente. Non è forse giusto che due attori così pieno di zelo si mettano una maschera più rara di fronte agli altri? Una maschera che in fin dei conti non capirebbe nessuno se gli venisse mostrata. No, Fuji, stai solo pensando troppo. Limitati a contemplare con lo sguardo intenerito ciò che hai davanti. Lascia andare quelle sensazioni: sono di Saigo, non tue. Non ci riesce molto bene. "Non farlo se non ti fa provare niente." Un po' inacidito nel tono, non lascia ben a comprendere a chi si rivolge. A lui? Al ragazzo che l'ha rifiutata? Rimane ai sensi di lei. La lattina vien sollevata alle labbra, queste premono su di essa un po' più del normale prima di schiudersi e accoglierne tre vigorosi sorsi fatti di fila. Non è abbastanza. Sorseggia di nuovo, ma più ne beve e più ha sete. Sente quelle calde parole, impegnato a farsi colare quel che rimane giù dalla bocca. Però è già finita. "Non basta.." La birra. L'eroismo. Nulla. Tutto o niente, ma tutto è troppo. Niente, però, non basta. Forse è il caso di accettare i tuoi limiti. "Saigo, tieni." Infila una mano in tasca, poi, con un lancio parabolico rallentato abbastanza perché sia ben visibile, tenta di attirarne l'attenzione e farle acquisire un oggetto molto piccolo, forse in qualche lega di bronzo. Piccola, ghiacciata. E' una chiave, e Fuji ha una sola serratura a cui potrebbe corrispondere.

17:26 Saigo:
 Gli dal le spalle in quel frangente, si perde la sua espressione ma lascia che quel contatto la scombussoli. Era una punizione, un modo come un altro per farlo smettere di ridere ma sentire che lui stesso, invece di fuggire, ha assecondato quel contatto e l’ha fissata la confonde. Ciò che fa quando gli ha voltato le spalle è semplicemente aprire appena le labbra, socchiuderle mentre l’indice della mano libera si alza andando a posarsi su di esse ed accarezzarle, in faccia uno sguardo decisamente confuso. Non ha mai provato nulla per Fuji, non si sente in piena crisi ormonale in sua presenza, non pensa solo ed esclusivamente ad accoppiarsi ma quel bacio a stampo, che è pure il suo primo bacio, le è piaciuto e non sa bene come spiegarselo. La presenza del marionettista c’entra qualcosa? Si tratta di semplice reazione chimica con il contatto di altre labbra? Non ne ha la minima idea e questo la sta mandando seriamente in crisi. Lascia che il polpastrello abbandoni la carne esattamente nel momento in cui cerca di far virare i suoi pensieri, di lasciare che il rossore sulle sue gote scompaia e che il cuore torni ad un normale ritmo. Le farfalle nello stomaco, quella sensazione ormai fin troppo familiare e la consapevolezza di star rischiando di perdere il controllo. Non lo farà, non cambierà nulla in quel rapporto è fin troppo chiaro quanto sottile sia il filo della sopravvivenza su cui cammina ed è consapevole di quanto quest’equilibrio si basi per la maggior parte sulla stabilità della loro amicizia. Scuote appena il capo lasciando che i capelli si muovano più velocemente e poi si butta sulla poltrona, in maniera scomposta allunga in avanti le gambe e lo osserva <ti ho punito> replica lei senza però aggiungere altro. Non potrà mai dirgli cos’ha appena provato, questo deve essere un segreto che terrà sempre per sé stessa. La sinistra porta la birra nella sua bocca come a voler cancellare la sensazione appena provata, non ha risposte, solo tantissime domande ma in cuor suo non vuole trovare alcuna risoluzione a quei quesiti, non può permetterselo. Il sedere è in punta al cuscino e mentre scivola per raggiungere quella posizione le gambe nude si mostrano, come se nulla fosse, dentro il desiderio di farsi guardare per la prima volta in sua presenza privo però del solito imbarazzo. Quanto si sente stupida ora. Qualcosa poi vola in sua direzione, non mette subito a fuoco solo prova ad intercettare quel lancio cercando di andare a prenderlo al volo. Dita che si chiudono strette intorno a quell’oggetto misterioso che poi si porterebbe davanti agli occhi, riaprendo il palmo e scoprendo finalmente di cosa si tratta. Sposta nuovamente lo sguardo sul ragazzo <mi dirai mai perché ora la chiudi?> domanda solamente andando a stringere nel suo palmo quella chiave. Non sa cosa sia successo ma intuisce l’importanza di quel gesto e senza nemmeno rendersene conto la porta davanti al suo cuore, la poggia lì tenendola per un attimo premuta prima di tornare a farsi un sorso di birra. Le piace l’alcool, amaro e fresco le scende lungo la gola amplificando appena quelle strane sensazioni che prova da troppo tempo. Forse dovrebbe starci lontana ma lo scoprirà con l’esperienza.

21:01 Fuji:
  [Divano] Per qualche ora rimarrà in silenzio, ma per adesso il massimo che può permettersi è forse vicino al minuto. Le proprie mani si congiungono sulle ginocchia e cade quietamente in un bagno di personali tenebre. Ah, non sarebbe male tornare nella sua stanza e fare due giri di chiave, giusto per ripristinare il suo senso di solitudine e rafforzare le barricate che lo separano dal mondo. No! Ha detto a Saigo che sarebbe tornato a voler essere un eroe, deve trattenersi. La gamba sinistra freme appena, seppur lenta, col tallone che batte ritmicamente sul pavimento sottostante. La profondità del cielo lontano lo costerna e con la sua limpidezza lo esaspera. L'insensibilità delle onde dell'oasi, di nuovo, lo ripugna. Ah, se solo potesse gettare a terra ogni cosa che gli sta sopra, allora non dovrebbe più preoccuparsi di dover volare. Che brutto pensiero. Chissà perché Saigo non vuole capire quanto è brutto. Per un momenti i propri occhi si puntano dritti sui suoi, la fissa con lo sguardo di chi sta attendendo d'essere riconosciuto. Arriccia il naso, mostra del disgusto. Eppure, tutto ciò che sembra ottenere è un ritorno alla neutralità. Non le è bastato aver confessato frammenti del proprio pensiero? Non ossessionarti Fuji, o dimenticherai di nuovo la realtà. Deve stare molto attento all'ora, ultimamente. Il tempo gli scivola addosso come fosse acqua in una cascata. Eppure, lo sente scorrer come dovrebbe. Nè troppo dilatato nè troppo poco. "Lo sai che potrei sentirmi male" pronuncia quelle parole col disinteresse tipico che ha quando la situazione gli è sotto controllo, come quando si son ritrovati all'accademia e l'han finita a far cedere la sua sedia a rotelle. Non c'è il panico indescrivibile che ha provato con lei o con la Doku. Ah. Ecco, a meno che non ci pensi. Il pensiero di tutti questi eventi è un mischiarsi rapido di immagini, così tante e così rapide che non riesce ad acchiapparne manco una per metterla a fuoco. Gli occhi si riaprono, salendo dalle gambe di lei e tornando alle spalle; infine, il viso. Le ha dato la chiave. Non è poi tanto diverso dal darle in mano il proprio spirito. La sua porta è sacra, anche se ancora non s'è accorto che ha fallito nel tener fuori ciò che a lungo ha schivato. Ed in effetti, perché chiuderla? S'alza in piedi, senza il bastone. Impiega qualche istante a stabilizzarsi, fissando poi il petto di lei, dove sta il cuore e con esso la chiave. "Perché avevi ragione. Qualcosa è entrato." Sfiora il proprio petto. SI sente un po' a disagio nel rivelar certe cose con così pochi termini, con così pochi movimenti e sguardi. Sicuramente è comprensibile che non stia parlando di nulla di concreto. Finalmente avanza, un passettino alla volta, per non perder l'equilibrio in qualche maniera rovinosa. Tenterebbe di raggiungerla ed infine, esitando, vorrebbe poggiarle la mano di carne sul viso, sfruttando il pollice per scostare eventuali ciuffi di capelli. Il proprio capo si piega appena di lato, accennando ad un sorriso. "Pensandoci, son convinto che vada bene così. Voglio tornare ad essere Fuji. " Le proprie pozze andrebbero a perdersi nelle altre, cadendo occasionalmente sulla sua lattina di birra e poi sulle labbra. Coincidenze, Fuji. Contaci. "Sì." Ci conterà. Ma intanto, a quel vigoroso sì segue un sussurro, come avesse rischiarato la sua mente. "Voglio essere come te, anche se mi fa paura. Continuerò ad avanzare.. " Eccola, la determinazione. La fiamma nera nel suo petto che s'accende di una lugubre determinazione. "Grazie." Quella parola si carica di tutto il suo pensiero successivo. Grazie. Grazie, perché so quanto è stata dura. Perché ti ho vista allenarti fino a star male. Lavorare. Non fermarti mai. Grazie per avermi dato una delle cose a te più preziose, che ora mi fanno galleggiare nell'oceano nero della mia coscienza.

21:18 Saigo:
 Sentirsi male. La chiave delle loro vite sta in quelle due semplici parole, il loro continuo disperato tentativo di raggiungere la riva, di poter respirare e stare a galla senza tutto il dolore che li circonda. Sentirsi male. Il suo continuo aspirare a qualcosa di più, non fermarsi mai e procedere a piccoli passi in avanti solo per non sentire l’apatia prendere il sopravvento, quel sentimento che maschera solo una mente distrutta incapace di rapportarsi alla realtà per come è davvero, analitica. Qualcuno potrebbe definirla un’ansiosa ad alto rendimento, tiene tutto sotto controllo, pianifica e lascia che intorno a lei regni sovrano l’ordine quando può occuparsene, divide la vita in compartimenti stagni isolando ogni sua singola per te e si spaventa quando qualcosa non è come lei aveva pianificato. Tutto questo nasconde solo la sua debolezza, quella fragilità che riconosce ma non accetta, a volte può sembrare incoerente presa com’è nel tentativo di mettere insieme tutte le sue parti mentre le divide incapace di sopportare la totalità. Giudica tutto e tutti con estrema ferocia ma ancor più malvagia è con sé stessa. Sorride fissando la birra, le è sempre venuto spontaneo e naturale stare con Fuji, con lui non analizza, non suddivide e non si prepara prima, non si è mai nemmeno accorta davvero di quale sia il limite da non valicare semplicemente lo ha sempre saputo, conosciuto come se si trattasse di un suo stesso limite <non per così poco> replica a quelle parole <e poi io non ti piaccio> ammette scuotendo le spalle <e tu sei più esperto, non vai in crisi per così poco> s’illude forse di non aver fatto l’ennesimo passo più lungo della gamba, cerca di convincersi di non aver appena incrinato il rapporto agendo semplicemente come le è sembrato più naturale possibile. Si pente e si frusta per quel gesto, cerca di aggrapparsi come un naufrago al salvagente, qualcosa che le permetta di galleggiare in quel mare che rischia di sommergerla, quel mare oscuro e nero privo di qualsiasi sentimento. Privo di dolore e per questo in lui cerca spesso rifugio ma privo anche di gioia motivo per il quale lotta disperatamente per uscirne. Un contatto la riscuote quel tanto che le serve per farle aprire appena le labbra, si dischiudono come un fiore che sboccia mentre lo sguardo si sposta su di lui, sorpresa e al contempo colpita da quelle parole, da quel tocco che mai si sarebbe aspettato e per questo anche spaventata all’idea che qualcosa possa cambiare. Non capisce come possa avere una simile visione di lei, perché assomigliarle? Perché lottare ogni singolo giorno per cercare di fare passi in avanti quando nella realtà si sta solo arretrando? Perché ripetere all’infinito gli stessi schemi, consapevoli che porteranno sempre allo stesso risultato senza però fare nulla per cambiarli? Ma non lo dice, lo tiene per sé, non vuole più trovarlo come l’altra sera. Distacca appena la chiave dal suo cuore e lo fissa per interminabili istanti <tu sei meglio di me Fuji> spiega semplicemente <devi solo dimostrarlo a te stesso> lei ci crede. Crede in lui più di quanto abbia mai creduto in altri, chiunque altro. Lo ha visto continuare la sua vita, creare Aozora, dichiarare di voler combattere e continuare ad essere un ninja, nonostante tutte le difficoltà, lui non si è arreso laddove lei si sarebbe lasciata consumare

21:55 Fuji:
  [Divano] Di fronte al puro sogno, all'arte definita e reale, alla complessità di quei sentimenti di fronte a sé, si sente un po' più patetico. La sua arte è solo una bestemmia, di fronte al complesso groviglio di sentimenti altrui. S'è sentito meno di un verme per averlo pensato, essendo in qualche modo nient'altro che un insulto ad Aozora. Ecco perché non si sente mai la sua sega elettrica, negli ultimi giorni. A che costruire, se non riesce a trovar la stessa bellezza? Ecco, stai nuovamente perdendoti nei pensieri, assopito dalla leggerissima umidità e dai dolci odori dell'ambiente. Dev'essere il sapore della birra, o quello dei suoi capelli. E' un'ebbrietà che aveva scordato, capace di assopire e cullare la sua mente. Dovrebbe fare di meglio nel suo lavoro, ecco qual è la verità. Aozora può diventare più reale, più bella. Ma che importa, ora? Lei è qui, e lui la riconosca. Ecco gli occhi cui fiamma potrebbe trapassare il crepuscolo, quello che ormai tempo fa portò alla distruzione dei villaggi, terribili specchi riconoscibile dalla loro più oscura maliziosa determinazione. Potrebbero attirare, soggiogare, divorare lo sguardo di chi troppo imprudentemente li contempla. Ha studiato a lungo le sue stelle nere, di fronte ad uno specchio. Potrebbe essere scambiata per passione, quella fiamma, ma è molto di più. Il suo sguardo è beato osservando la vita. Ed ora, basta fissare l'orologio. Non ci sono più minuti né secondi; il tempo è semplicemente sparito. Regna l'eternità. La notte non finirà finché ci sarà qualcosa da dire o da osservare. I mostri e le entità non potranno che osservare attraverso il suo, di sguardo. Eppure, non per questo mancano le difficoltà. E' la fragolina a portar il vento di una tensione rinnovata. Ah. Forza, Fuji, prendi le redini della situazione. Hai il coltello dalla parte del manico. Ma conoscendosi, finirebbe per accoltellarsi da solo. Non perché gli piaccia, anzi, normalmente gli andrebbe anche bene punzecchiare un po' il prossimo. Saigo certamente è esclusa da questa lista. "No?" Chiede, per un momento col riso sul viso. Torna poi neutrale "Che dici poi.. " Scuote un po' la testa. Ancora per qualche istante si ostina per provar a capire il mistero dello sguardo altrui; ma ben presto l'irresistibile pensiero s'abbatte in lui, spingendolo a sentir l'opprimente desiderio di mettersi al sicuro dal cambiamento. Normalmente farebbe un passo indietro, per iniziare, questa volta sta fermo. Anzi, allunga il braccio, tocca il suo viso e le ruba un po 'di quel calore caratteristico, rendendolo proprio. Ecco, ora hanno la stessa temperatura. Intanto la notte è calata, ed è ormai lo scenario esterno s'è trasformato come avviene soltanto nei quartieri tecnologici: Le luci dei grattacieli si fanno crescenti e vanno scintillando sempre più, col desiderio di competere con l'azzurro del cielo e delle stelle. Allo stesso modo loro competono con ombre di un passato implacabile, ombre che possono affrontare direttamente o assorbire lentamente nel proprio cuore. Quindi, che fare, Fuji? Forse è ora di lasciarle andare il viso. "Non ancora." Non importa a chi lui stia rispondendo. Gli occhi vanno chiudendosi, un po' per velare i sentimenti e un po' per accompagnare il movimento che segue: sbilanciandosi un po' avanti, andrebbe a compiere due minuscoli passetti, tali dal permettergli di battere la propria fronte con un certo vigore a quella altrui. In realtà gli fa un po' male, tanto che trattiene a malapena un lamento. Poi, però, andrebbe a ritrovar la pace e l'immobilità. "Vieni con me fuori dalle mura, per uno o due giorni. Tra qualche settimana." Le palpebre permangon morte sugli occhi, il respiro silenzioso e la voce bassa. Spingiamo avanti, Saigo. Continuiamo ad avanzare.

22:14 Saigo:
 La birra viene nuovamente portata alle sue labbra, non resiste a quello sguardo e quindi abbassa i suoi occhi, la sta toccando e non per scherzo, non stanno giocando. La mano sul volto, la vicinanza e quel bacio strano al sconvolgono al punto da rischiare di farle perdere il controllo, non sopporta oltre quegli occhi così vicini ai suoi, quella mano che potrebbe toccare e stringere proprio come sta facendo con la chiave che si conficca nel palmo della sua mano per tenerla sveglia, per ricordarle cosa rischia di perdere se dovesse concedersi il lusso di assecondare quel corpo che ora, per la prima volta, sta palpitando a quel contatto, a quella vicinanza. Perché le sembra tutto così giusto e dannatamente sbagliato al tempo stesso? Non sa rispondersi e teme di scoprirlo con la semplice esperienza, decide dunque di far scorrere lo sguardo, attirato come una calamita anche dal corpo altrui, proprio come le capita con chiunque altro, Fuji però non è chiunque. Lui è il centro della sua orbita gravitazionale, l’ancora di salvezza che le permette di affrontare ogni tempesta indenne, il punto di riferimento, il controllo del suo punto cieco. Lui è tutto il mondo che è stata in grado di ricostruire e se le cose cambiassero teme potrebbe solo finire male. Lei non può amare, lei non può provare sentimenti simili il loro affetto è troppo profondo, non può farsi distrarre. Osserva la lattina, la fissa con la stessa forza con cui vorrebbe guardare nelle iridi altrui e poi l’alza verso il suo volto, le labbra ancora socchiuse accolgono il freddo del metallo con gioia come accoglierebbero le labbra altrui. Compensa, si stordisce ma soprattutto si distrae grazie a quella birra. Si aggrappa disperatamente a ciò che ha rifuggendo tutto ciò che potrebbe avere <no?> mormora titubante rialzando appena gli occhi, focalizzandosi sul suo busto e poi scivolando nuovamente verso la lattina nella sua mano. Non è pronta a sentire la risposta, non avrebbe nemmeno dovuto avere l’ardire di chiedere. La scena prosegue, lui si perde e si ritrova e il suo viso arde ancora di quel contatto che ben presto viene restituito. Il volto è rosso, forse non lo noterà, forse crederà sia semplicemente il caldo della stanza o la birra ma è arrossita incapace di gestire il proprio corpo o i propri pensieri. Tace. In un silenzio che nasconde, maschera il tutto. Un colpo poi sulla fronte, la riscuote con forza, la trascina nuovamente in una realtà più pratica, il dolore che le permette di riprendere il controllo di sé stessa <ahi> si lamenta, con quel suo solito modo di fare, scherzano e al tempo stesso infastidito. Non le piace il dolore, lo rifugge con tutta sé stessa eppure è servito allo scopo ora può guardarlo. Così vicino, troppo vicino e con gli occhi chiusi. La bocca quasi si spalanca mentre il respiro si interrompe appena. L’ha rifiutata tante volte, lei è andata oltre, lei si è chiusa non proverà nulla e allora perché in questo esatto momento lo desidera così tanto? Perché vorrebbe solo stringerlo ancora di più proprio come quando in accademia lo rincorreva solo per abbracciarlo e dichiarare il suo status di proprietaria? Perché? Interdetta ascolta quelle parole <non sono abbastanza forte> una risposta duplice, non pensa di farcela ad uscire, l’ultima volta è andata male, non saprebbe difendersi ma soprattutto ora non è abbastanza forte da resistere. La sinistra allenta appena la presa sulla birra che ora è poggiata sulla sua coscia, la lattina traballa e infine si rovescia proprio sul suo maglione, sulla sua pelle e scivola lungo la gamba, il polpaccio, la caviglia ed il piedi. Non si muove.

22:53 Fuji:
  [Divano] Tutta questa situazione ha uno strano sapore. E' diffuso, un po' ovunque. E' un sapore che stagna l'aria e adesso anche il proprio corpo, specialmente le labbra. Ah, che disastro. Le braccia gli ricadono d'un getto lungo i fianchi, paralizzato in uno stato dove sa cosa non fare e anche che fare. Ad un tratto un'idea di selvaggia speranza gli balena alla testa, un suggerimento che pare venir dal profondo, proponendogli una soluzione al problema: togliersi il cappio dal collo. Letteralmente e non. Quella cravatta messa con chissà quali intenzioni gli è ora così fastidiosa, dev'essere colpa sua se l'ossigeno distribuito al cervello sta diminuendo - offuscandogli di conseguenza i sensi. Ed utilizzando il braccio meccanico s'appresta dunque a render sempre più largo il cappio, fino al poterlo sfilare agilmente da sopra la testa per poi buttarlo rovinosamente a terra. Finalmente può respirare! Le labbra si schiudono un po' più del solito, ma ben presto si rende conto che per quanto opprimente non era la cravatta la fonte delle sue difficoltà. Il vento soffiato sulle vetrate è oscuro e dubbioso; ma è sufficiente per portar il marionettista a voltare il suo viso e osservar di rimando il proprio viso nello specchio. Ah, pare poco meno di un ventenne, appena più vecchio - se possiamo utilizzar questo termine - di Saigo. Trae un lungo respiro. Un'oscura ombra s'insinua lungo lo stillante muro bianco, avvicinandosi alla propria e fondendocisi con fare furtivo. E' solo una visione. Glielo conferma il fatto che i propri occhi, se anche fossero stati tenuti aperti, in verità non si sarebbero mai davvero staccati per più di un'istante da lei. Ironia della sorte, è forse destino che ogni cosa surreale accada proprio ora? Che sono questi pensieri? Perché il suo viso è così rosso? Ancora una volta, non è più sicuro della realtà. Lo è? Prima di trovar risposta, riceve di rimando qualcosa a cui non ha risposto prima. S'accorge di come lo sguardo si sposti, realizzando le stesse conclusioni che ha raggiunto la fragolina. Che brutta idea sarebbe, dare risposta. Che terribile idea. ".." Dal fondo della bocca viene un gemito soffocato, seguito poi da quel colpo tra le due fronti. La schiena s'irrigidisce un po'. Di tanto in tanto un brivido cui natura gli è segreta lo prende, scuotendogli un po' l'animo. Che fai, Fuji? Simuli desiderio, o ti sei già convinto sia vero? Se cambi le cose ti ritroverai con un pugno di sabbia in mano e avrai rotto per sempre quel perfetto equilibrio. Alcuni granelli di sabbia battono sul vetro, sollevati da un impeto di vento un po' più grave di prima. L'orrore della mente sembra serrar ancor più la propria fronte su quella altrui. La sua vita è diventata caotica; ma la sua immaginazione è terribilmente logica. E' essa a sospingere il rimorso sulle orme del peccato, rendendo ogni scenario creato nella mente un ulteriore motivo di sporco. Ha pensato e meditato su ciò che potrebbe fare. Sì. Sarebbe manipolativo riflettere più di così. Staresti sfruttando la tua coscienza troppo, rendendo questa competizione con il sentimento ingiusta. Non farebbe schifo? "Sì." Ecco. Potrà convincersi d'aver risposto a quel che gli balena nella testa ma le labbra s'aprono e pronunciano rivolte a Saigo. E tanto è tarda la risposta che il liquido bronzeo è già colato dalla lattina e ha completato il suo percorso. Solo ora gli occhi si abbassano, lenti come chi è stato congelato, fissando il presente. Non c'è nulla di strano, di diverso. Le stelle nere son un po' più piccole, però. La saliva gli vien a mancare, seccando le labbra. Stacca la fronte, sentendo il proprio sangue assordargli l'udito. sturm und drang. Ha fatto male a non tenere d'occhio l'orologio. Sarebbe già andato via, se si fosse reso conto d'aver perso anche solo pochi secondi di tempo. Ha un'espressione buffa, stupita e anche stupida. Si tende in avanti, quasi come se la birra le fosse scesa dalle labbra e non dalla lattina proverebbe a recuperar quel malto con le proprie labbra partendo dalla punta del mento e salendo sulla nivea pelle tanto quanto basta dallo sfiorarle l'estremità destra del labbro con l'estremità sinistra del proprio. Silenzio: un solo istante. "Basta" al muoversi delle due labbra sfiora ancora la pelle. Ma par quasi riacquistar lucidità. Basta così.

23:16 Saigo:
 Una risposta che tarda ad arrivare e che le fa pentire d’aver pronunciato la domanda, la speranza di non essere stata sentita che si mescola. Il Quadro viene rovinato dalla birra che ora la riscuote quel poco che le serve per recuperare la lucidità, sposta gli occhi abbandonando la figura del ragazzo proprio mentre decide di allentare la cravatta. Tace. Si blocca nuovamente in quel frammento di vita che vorrebbe rimuovere e conservare per sempre. Cosa sta osservando non lo sa, cosa la sua mente stia immaginando vorrebbe solo rifiutarlo scappando il più lontano possibile. Deve raccogliere la birra, razionalmente lo sa, la sente scorrere fredda sulla sua pelle estremamente calda ma non lo fa, per un po’ può continuare a sporcare il tappeto, la poltrona e tutto ciò che incontra sul suo passaggio se questo le permette di osservare meglio quello che sta succedendo. Non riesce ad estraniarsi ma nemmeno a riconoscere quel corpo e quelle emozioni come sue. Perché non si allontana? Perché non la allontana come tutti, cosa sta combinando. Il Fuji che lei conosce mai sarebbe rimasto lì mai avrebbe protratto un contatto più dello stretto necessario e nella sua mente inizia ad analizzare cosa significhi necessario. Vuole urlare. Un urlo di rabbia, di paura, fa fuori tutte quelle emozioni, spingerlo via e tornare alla normalità ma vuole anche che tutto questo continui. Si sdoppia in due parti perfettamente contrapposte, analizza il loro rapporto cerca un disperato appiglio alla ragione, una lucidità che ha ormai perso e non saprebbe nemmeno dire se solo da questa sera o molto prima. Forse è questo che intendeva il finto Dio, forse è tramite lui che la tormenterà ancora, che la terrà per sempre legata. Oh che delizioso uso dei termini, perché è proprio legata che si sente, come se degli invisibili fili passassero lungo le sue braccia stringendole su quel tessuto, lungo le sue gambe che vengono fissate a terra, sulla schiena incollata alla poltrona. Scappare. Vuole solo fuggire, alzarsi e correre ma vuole anche lui. Non è in grado di conciliare le due cose, non è in grado nemmeno di far prevalere una sola delle due versioni e quindi resta ferma. Una risposta giunge e la manda in confusione ancora di più, sta affermando una negazione o negando la stessa? Non sa come leggerlo ma sa che dentro vorrebbe solo sentirsi dire che a lui piace. Errore. Sta sbagliando, deve desiderare di non piacergli, deve desiderare il rifiuto, le cose non possono cambiare, lei non è pronta al cambiamento e forse non lo sarà mai. Lo sente vicino, sempre più vicino e si pietrifica. Non più terrore, non più desiderio ma la totale assenza di entrambe, incapace di decidere e quindi di reagire. Non lo sa e le lacrime scorrono lungo quel viso. Gli occhi sembrano ardere adesso, desidera quel contatto e mentre lo sente risalire lungo le sue labbra le socchiude appena, pronta a quel bacio, desiderosa di riceverlo perché è il suo corpo a dirlo ma la sua mente lotta e piange, piange perché ormai è tardi, ormai tutto è cambiato e non può più tornare indietro. Ne approfitta appena lui si ferma trovando finalmente cosa in lei prevale: la paura. Scivolerebbe lungo quello schienale, proseguendo poi verso terra cercando solo di sparire. Andrebbe a questo punto a nascondersi, nascondere il volto tra i capelli e raccoglie la birra, accovacciandosi a terra per riprendere quella lattina tra le mani, trema appena per quel miscuglio di sentimenti, quel desiderio e quella paura. Le ginocchia sul grigio tappeto, i palmi nella bitta e la gamba ancora attraversata da quel rigagnolo ambrato che tanto rappresenta le sue guance ora <è> non vuole rifiutarlo <è> ripete non vede una via di uscita che le permette di non cambiare <tardi> conclude infine senza guardarlo solo dando una finta pulita a terra

00:05 Fuji:
  [Divano] Ecco, ha ricordato il motivo per cui avrebbe dovuto tener chiusa la porta. L'abbiamo citato anche prima quel demonio che tanto s'oppone alla contrapposizione del Filosofo Socrate. La natura umana ha i suoi limiti; può sopportare gioia e dolore e sofferenza e poi soccombere quando un certo livello viene oltrepassato. Non si tratta più di esser forti o deboli, ma veder se si può esser in grado di sopportare. Che paradosso. allora riduciamo ogni cosa ad esser disciplina? Amore, guerra, missioni, morte e anche vita. Così sbagliato. Ebbene, caro Fuji, applica allora il pensiero alle circostanze presenti. Vedi quante impressioni agiscono sullo spirito, quante idee gli penetrano addosso, finché una crescente passione non toglie ogni vera forza di pensiero e trascina l'altra alla sua perdita. Che ore sono? Dov'è l'orologio? Nausea. Fortunatamente non è stato accompagnato in quel delirio. Si sente stupito, come se avesse appena riaperto gli occhi e non riconosca che un grande abisso a circondarlo. Non c'è alcun avvenire, nessuna parete e nessun orizzonte. Non vede il vasto mondo che s'estende all'orizzonte - verso le mura - nè la costellazione del Gran Carro che potrebbe consolargli un po' lo spirito. E' la seconda volta che le stelle gli procurano tanto fastidio. Non trova nessuna via d'uscita nella natura. Sarebbe ottimo perdere la percezione del tempo ora, risvegliarsi nella sua stanza. Non accadrà, vero? No. Cos'ha da esser così adirato con le stelle, poi: non è stato lui a sfiorar soltanto le labbra altrui per poi sussurrar 'basta'? Innegabile verità. Una parte di sè vorrebbe lasciar andare tutto il fiato in un sospiro, tornare a respirare agilmente come gli è solito fare. E' rincuorato, sapendo che potrà farlo presto. Pensava di aver raggiunto la più grande verità, da poco. Di aver visto il percorso perfetto da seguire, ed aveva dunque iniziato a battere il terreno che si lasciava alle spalle. Ne era davvero sicuro, tanto che non ha più nelle tasche dei pantaloni quelle ruvide pasticche. Non che gli servano, adesso. Ha scoperto semplicemente quanto era limitata la sua visione, quando ha pensato di poter essere l'unico a provare grande paura, come quella che forse agita il cuore altrui. Quando si è svegliato in un lettino d'ospedale e pensava di star per morire dal ridere, è riuscito alla fine a prender la mano al suo altro sè ed andare avanti. Gli è sembrato di esser stato uno dei soli sopravvissuti della guerra, nonostante tutta Kagegakure sia l'evidenza che così non è. Ah. Basta così. Andiamo via. "Sì." Tra l'altro, è davvero tardi. Ha la strana sensazione che se restasse a parlare ancora troppo a lungo finirebbe a poter osservare anche la decomposizione di quei dolci selezionati dalle diverse pasticcerie del settore del villaggio della Sabbia. Sarebbe un peccato se non riuscisse a mangiarli. "Non mi fermerò più. Grazie per oggi. " In viso si ritrova sorridente, di una dolcezza immensa, come se stesse osservando la più fine e disperata delle opere. La shirasaya vicina, nascosta da bastone da passeggio, viene afferrata, ma ne fa uso il più silenziosamente possibile. La commozione inespressa è spaventosa. "Vorrei che le stelle cadenti non fossero mai esistite." Che stai dicendo ora? Muoviti e basta. Parlerai dopo, c'è Aozora. O forse vuoi uscire? Errore del sistema. Quella stanza al quarantottesimo piano del grattacielo non è più così sicura. La porta è aperta, semplicemente uscirebbe, prendendo di passaggio il cappello e facendolo ricadere sulla sommità del capo. Via verso il corridoio. Non hai tenuto la parola. Cosa? Essere forte. Non ho promesso nulla. { SE e SOLO SE > exit }

00:22 Saigo:
 Il tempo per lei si ferma e al tempo stesso corre velocissimo. Non sta dietro ai movimenti altrui si ritrova solo ad asciugare a mani nude una birra caduta a terra con le sue lacrime, un’amicizia profondamente modificata cambiata e quel che è peggio con sé ha portato la consapevolezza di non essere ancora abbastanza. Non sa imporsi, non sa scegliere ed è ancora una volta pedina nelle mani di un tiranno destino al quale non sa opporsi. Fa male questa consapevolezza, fa male sapere che qualcosa si è rotto, fa male non reputarsi abbastanza forte, necessaria, decisa, semplicemente abbastanza e soprattutto fa male desiderarlo nonostante tutti gli altri sentimenti. Forse lui ha ragione, è solo un animale, ciò che prova è solo frutto della biologia e della natura, forse non ci sarebbe stata differenza se si fosse trattato di altri, l’unica cosa che la ferma è quel profondo senso di amicizia. Non deve affezionarsi alla gente o finirà sempre con il cuore spezzato, non lo merita e non è ancora stata in grado di guadagnarselo. Haru e le sue parole si palesano in quella mente rotta, la loro discussione, la domanda che le ha lasciato, ora ha una risposta: no. Non ne varrà mai la pena. Si riscuote troppo tempo dopo la sua uscita, lo cerca con gli occhi bagnati e finisce per trovare solo una porta chiusa alle sue spalle. Si alza appena trascinandosi verso di essa e la chiude lei questa volta. Sola come è sempre stata. Sola in quella fredda casa. Il casino regna sovrano in sala proprio come nella sua mente ora completamente al collasso. Stringe quella chiave fino a ferirsi e si alza per andare in camera. Le lacrime non si arrestano subito ma pian piano sembrano cedere il passo al nulla, non è felice, non lo desidera ma almeno non sta soffrendo. Chiude gli occhi raggomitolandosi sopra alle coperte, la chiave ancora nella sua mano. Non piange ma trema, scossa da forti spasmi e non sa nemmeno perché, infondo così male. Dalla porta della stanza si espande la luce lasciata accesa in sala, si copre il volto con i capelli e resta lì immobile. Perde coscienza di sé e di ciò che è, forse si addormenterà, forse non lo farà sicuramente fingerà che non sia mai successo, rimetterà insieme i pezzi della sua mente per l’ennesima volta, sopporterà le sue parole fino a quando non sarà riuscita a rialzarsi. Lo farà domani. La Shinensgumi, la carriera, il potere, la forza. Mormora ripetendosi i suoi obiettivi per necessità, consapevole di non aver tempo da perdere dietro al proprio malessere, deve semplicemente rialzarsi e continuare. Il cappio è ancora lì, si tocca inconsciamente la spalla che si è ferita quella notte, l’idea c’è ed esiste ma viene allontanata con la solita debole voglia di sopravvivere che possiede. Orgoglio. Non si arrenderà finché vedrà una strada da seguire per prendersi la rivincita e così resta lì. Forse si addormenterà a sognerà la strada da percorrere, forse resterà solo in quello stato catatonico mentre mormorerà i passi successivi ma si sforzerà per rimettersi in piedi. Lei è un’attrice può sicuramente fingere che non sia mai successo [end]

○ Mi ero dimenticata di postare
○ Pre missione D (per il punto prima)
○ Le cose cambiano anche se non è detto che finisca in meglio.