Passato e Futuro
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Giocata del 02/09/2020 dalle 14:13 alle 14:44 nella chat "Luogo Sconosciuto"
Ennesima mattinata trascorsa con una routine che oramai si porta dietro da quando ne ha memoria, da quando è stata in grado di essere utile alla sua famiglia e da quando ha tragicamente perso i suoi genitori, cosa che l'ha quindi costretta a vivere con gli zii che si sono resi disponibili a prendersi cura di lei. Eppure il prezzo è stato alto. E' però riuscita a riservarsi del tempo per sé, utile a rimembrare tempi e dolori passati che ogni tanto ritornano. Nella sua stanza c'è una cassapanca, proprio sotto la finestra, larga sessanta centimetri e lunga circa un metro e mezzo. Lei, barbaramente, la usa spesso come sedia quando vuole stare a guardare fuori dalla finestra ma sa bene che quello che c'è all'interno meriterebbe di meglio che vederci poggiate su le sue terga. Non che questo sia così grave, alla fine sono oggetti. Si trova esattamente come tutti i giorni a ritagliarsi del tempo per osservare lì fuori dalla finestra. Stando al terzo nonché ultimo piano della palazzina è facile poter avere una bella visuale dell'esterno. Un vuoto improvviso sembra assalirla, generando un vorticoso senso di nostalgia che sembrava averla abbandonata da tempo ma che, con l'evoluzione degli eventi recenti, pare tornare ed infilarsi a gamba tesa nella sua vita. Un brivido percorre la schiena mentre le labbra iniziano a tremare e gli occhi si fanno lucidi. Istintivamente scuote il capo come a voler reprimere qualsiasi pensiero negativo, avvicinando entrambe le mani agli occhi così da strizzarli ed asciugarli. Le gambe penzolano giù dalla cassapanca che osserva ora dall'alto verso il basso. Lei sa che cosa c'è dentro: rabbia, dolore, tristezza e frustrazione. Indelebili restano nella sua giovane mente quei pensieri di una vita già iniziata male con la perdita dei genitori. Ma è quella cassapanca che ne determina un imperituro ricordo. Si protrae in avanti, mettendo così giù per terra i piedi e alzandosi, liberando dal suo peso quell'involucro di legno. Girandosi verso di esso continuerà a guardarlo dall'alto verso il basso mentre le mani vorrebbero già volare come a ghermirlo, aprirlo, frugare dentro. Ma la mente è saggia, sa cosa è bene e cosa è male, è il freno inibitore di un cuore spezzato. Eppure il cuore spezzato, molto spesso, si ritrova a vincere su una lucida mente. E' così è infatti. Si china andando a poggiare per terra le ginocchia, quasi in segno di riverenza stessa nei confronti di quello che ha davanti. E' esagerato? Possibile, ma nessuno può giudicarla al momento. Il silenzio avvolge la stanza, gli zii sono entrambi fuori casa e lo saranno ancora per diverse ore ed ha finalmente del tempo da dedicare a se stessa. Allunga pertanto le mani, sollevando il gancetto in metallo che chiude la parte superiore della cassapanca, attaccata a quella inferiore. Non appena sentirà scattare in su il gancetto appoggerà entrambe le mani sul coperchio così da sollevarlo interamente verso l'alto fino a che non formerà un angolo di novanta gradi o poco più con la parte inferiore, in modo tale da restare lì fermo ed in equilibrio. Protrae così il capo in avanti in modo tale che gli occhi possano lanciare il loro iniziale sguardo all'interno della cassapanca. Lei sa cosa c'è dentro ma ogni volta sembra essere nuova. La prima cosa che scorge è una scatola in cartone, poi un lungo involucro di stoffa, alcuni abiti piegati, un libro ed un'altra scatola un po' più piccola della precedente. Resta immobile ad osservare, captando anche l'odore pungente che emerge, segno che la polvere non ha risparmiato quello spazio. Una volta data una generosa occhiata allungherà le mani verso l'involucro di stoffa che sa benissimo rappresentare il più doloroso ricordo tra tutte le cose lì presenti. E' un involucro stretto e lungo, stoffa che avvolge meticolosamente ciò che cela, come in uno stretto abbraccio. Una volta tirato fuori dalla cassapanca, si farà più indietro di una decina di centimetri così da avere lo spazio necessario per poggiare a terra quanto ha preso. Le mani scivolano sulla stoffa andando lentamente e con attenzione a tirare i lembi esterni così da aprire il fagotto. Ciò che le è visibile immediatamente è una lama o ciò che ne resta. E' una lama spezzata a metà all'altezza del medio mentre la punta è scheggiata. Si trattava di una katana e lo si intuisce con chiarezza dalla forma stretta e allungata della lama. La guardia è anch'essa spezzata, il manico rovinato, la stoffa avvolta è quasi a brandelli. L'unica cosa rimasta intatta forse è solo il pomolo. Accanto a questa, aprendo ancora meglio l'involucro, ve n'è un'altra, identica, seppur rovinata diversamente. La lama è spezzata su tre punti, all'altezza di debole e medio ed anche la punta è smussata. Guardia intera ma stessa sorte per l'impugnatura. Il pomolo è intatto. Ancora una volta un brivido le percorre la schiena e gli occhi divengono lucidi. Stavolta però non trattiene i sentimenti, lasciando che le lacrime le righino il viso, scivolando, veloci, fino al mento. Lo sguardo, contrito, osserva quegli ultimissimi ricordi di due vite spente brutalmente. Le due armi, l'una accanto all'altra, sono il simbolo dell'unione di due anime fatte l'una per l'altra, cresciute insieme, vissute insieme e morte insieme. Un ciclo di vita impeccabile che sarebbe potuto durare ancora tanto tempo. Ma la scelta di divenire un ninja è anche questo, è una scelta pericolosa, gratificante certo, ma pericolosa. Ed il pericolo con cui ci si deve ritrovare ad avere a che fare bisogna tener conto che possa poi riversarsi anche su chi sta attorno. La scelta di vita dei suoi genitori e la loro passione nel lavoro svolto, li hanno condotti ad una violenta morte ricaduta poi su Yakiko stesso. E' da questo che derivano i negativi sentimenti che la ragazzina cova dentro di sé. Perché divenire un ninja? Per fare una fine così meschina? Lasciare i propri cari a piangere su una bara? Sono pensieri da un certo punto di vista inevitabili, seppur certamente immaturi. Non si tratta di questo infatti, la scelta è ben diversa, ma per lei che ancora non conosce nulla di questo mondo non è facile comprenderne il senso. Un odio che continua a covare giorno dopo giorno, una rabbia verso un intero sistema, una rabbia concettuale e poco chiara. Sorge il desiderio di una vendetta contro il mondo intero che sembra averle così fatto un male indicibile, accentuato dalla sua stessa mente. Ma non è così e lei comunque non riesce a comprenderlo. Tutto però improvvisamente inizia ad essere chiaro ai suoi occhi. Osserva le due else, le scruta con lo sguardo, deviandolo subito dopo verso il Wakizashi che ha comprato il giorno prima. Idee su idee le passano in mente, l'acquisizione di una consapevolezza che si fa sempre più matura. Il desiderio di seguire le orme dei genitori, da un lato, distanziandosi però dagli ideali. Ideali decisamente contrastanti, non di gratitudine verso il villaggio e desiderio di spendersi per esso, bensì odio e rancore. Eppure quelle katane le stanno comunicando molto. Sono la via da seguire. Il loro utilizzo sarà un rendere ogni giorno grazie a chi l'ha messa al mondo. Non quelle in frantumi, è chiaro, quelle che però un giorno saranno sue e sarà dunque in grado di utilizzarsi. Per ora si accontenterà solamente di un Wakizashi. Alla fine andrà a riavvolgere quelle armi spezzate dentro l'involucro di stoffa e, sollevandole, le riporrà dentro la cassapanca. Le mani quindi raggiungono il coperchio così da abbassarlo insieme al gancio che quindi la sigillerà. Alla fine si alza ed una volta in piedi si asciugherà il viso da quelle lacrime versate. La determinazione nello sguardo è il sinonimo del suo volere. Cammina fino a raggiungere il tavolo sul quale ha riposto il Wakizashi, avvolgendo sull'impugnatura la mano destra mentre la mancina afferra il fodero in modo tale da poterla estrarre. La lama alla fine viene posta in verticale con la punta rivolta verso l'alto. I suoi occhi potranno specchiarsi su di essa, rivelando a se stessa i sentimenti che ha dentro. E' come se potesse guardarsi l'anima semplicemente specchiandosi, guardando i suoi stessi occhi. Alla fine, trascorsi lunghi istanti meditativi, annuisce, sempre come se stesse parlando a se stessa, comprendendo infine cosa ne sarà della sua vita.