{ il patto }

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con Itsuki, Ren

16:04 Ren:
  [Okiya del Crepuscolo] Questo sole, questa calma. Il vento che le accarezza il viso sembra volerle baciar le labbra esangui, sussurrarle che non è cambiato niente dal primo giorno in cui è arrivata in questo posto. Cime aranciate che si muovono, con uno strano rigore - di quelli che vorresti assolutamente spezzare. Le ciglia basse sull'aiuole che danno il benvenuto all'engawa dell'Okiya del Crepuscolo. L'innaffiatoio perde il peso all'interno, sgorga sulla ghiaietta bianca che contorna dei fiori rossi e bianchi, dei sempreverdi annuali e non stagionali che ora, con l'abbraccio della primavera, si fanno vedere reggendo un rigore novello. Sembra uno di loro a dire il vero. Tra il bianco ed il rosso si scioglie, s'amalgama, si muove con la leggerezza di una piuma scostandosi dal gruppo di ragazze sedute sulla scalinata a condividere dei dango caramellati in una salsina a base di zucchero di canna. Gommosi. E più il brusio riempie l'aria, più Ren nel silenzio appar come naufrago - muovendo quelle cosce affusolate sotto un quipao bianco latte dal colletto stondato e dagli alamari color oro che risalgono il lato del seno, fino alla base del collo, asfissiandola. Eppure si muove maledettamente bene in questa pelle di ceramica, lascia che il pensiero germogli. Urla. Viola in viso. Posseduta d'azioni visionarie. Eppure ha le movenze di chi stringe l'eterno tra i denti, pronta a mordere con un sorriso da maneki neko sul viso. Il guscio del niente ha così tante ipotesi e piani da lavorare in continuazione, anche quando sembra dormir in piedi. Le leve si scansano, un fruscio debole dell'abito in lino mentre si sposta alla volta d'un piccolo mariposaio sotto la pensilina spiovente dell'engawa, volta a bagnar anche le succulente. Pomyu ? Seduto con un piattino da sakè tenuto tra pollice, indice e medio. L'ambrato del liquore al riso speziato porta l'odore del Tanzaku-Gai. O dei suoi peggiori bassifondi. Il viso orsino volto verso il bosco dei ciliegi non troppo distante da lì - oscillando sbronzo dal bagnarsi la testa, alle labbra. Agonia di chi non beve da parecchio tempo. Un paio d'ore. "Come vorrei portarvi tutte a letto..." Il commento rivolto alle maiko che lì per lì, chiaccheravano tra di loro. Il sorriso non appartiene a questa casa del thè, non più da quando Kurona ha dato la sua dipartita davanti a tutte loro. Il commento rauco di Sen rimane solo il seme della discordia tra le ragazze che s'issano dalla scalinata finendo per dissiparsi nei giardini. Tra l'indignato e lo schifato totale. E lui non fa' altro che grattare con la gola, in un verso tipicamente coreano, più che giapponese. Stizza. "Pensano che sia sempre stato morto?!" Insomma, anche lui - ha avuto una vita. Ren di contro, l'osserva da lontano - lasciando che il becco stia pigramente ricurvo verso la base dei fiori. Le ginocchia flesse, la schiena che disegna un pigro archetto. Non fa' altro che ignorarlo da /quella notte/ con Ekazu. Sa quanto Pomyu sia capace di tirar fuori il peggio di lei. E ora ch'è fiorita, ogni astio, par essersi amplificato tra le due metà del cerchio Seimei. Sono come un uroboro, lui finisce dove inizia lei. Le palpebre a coprir l'iride plumbea rivolte lì, perse, ascoltano il fischio del vento. Immersa in una bolla dalla quale non riesce più a riemergere. [ck on][pomyu all'entrata dell'engawa]

16:31 Itsuki:
  [Pressi Okiya > davanti all'entrata] È tutta la notte che è in viaggio, non si è fermato un'attimo e praticamente quell'esplosivo atto artistico avrebbe sancito il suo abbandonare definitivo di Kiri, passato dalla propria tenda, avrebbe raccolto quel poco delle sue cose, anonimo nell'essere così come quella stessa tenda rispecchiava il suo esser un nulla di preciso, sino a quel giorno dove tutto cambiò. Poi, inevitabilmente, sarebbe passato anche lì dove giace oramai quello spiazzo erboso, o meglio dove giaceva quella larga zolla vuota di verde, un'area nulla, un fazzoletto di vuoto che andava chiaramente rispecchiando il suo animo, lì dove un tempo giaceva la loro tenda, lì dove c'era del sentimento nel suo cuore, ora vi è il vuoto più totale. Ed è con quello stesso vuoto che se ne sarebbe andato dalla Nebbia, l'eccitazione per aver concluso quel crollo del pezzo di ponte era solo un palliativo, tutte le persone incontrate, l'idealizzare del proprio senso di sofferenza e la collisione dei micoruniversi erano soltanto delle inezie atte a far sì che il suo animo sofferente trovasse ristoro, piccole pause in un inizialmente non essere in grado di sfuggire a quel dolore insopportabile, mutato dentro di lui per rimanere una costante di sottofondo, un qualcosa di straziante che lo accompagna in quel vivere da solo, senza nessuno più da cui tornare, senza aver le braccia di qualcuno in cui trovar rifugio dopo la pesantezza delle giornate. Che poi solo si fà per dire, sappiamo bene che nemmeno se lo volesse, quel ragazzo non può permettersi di definirsi solo, a meno che l'altro non decida a sua volta di alienarsi e perdersi nella propria coscienza, ma non è questo il caso <{ Questo è masochismo. }> direbbe lui stesso da dentro ripercorrendo i ricordi concessi verbalmente dall'altro all'esterno, in quel concedere pillole dell'inizio del rapporto con quella che fu Madre, poi Amore ed infine Odio. Np, lui non c'era ancora visto che l'innata ed il sigillo non erano stati risvegliati, eppure gli basta quel che vede unito ai racconti dello stesso Goryo, sfilano per le strade del Tanzaku mentre quell'aria di vizio và permeando ogni vicolo, ogni metro quadro, affascinato Eiji da quel luogo mai esplorato, sin troppo distante dalla lussuria e dalle perdizioni, dall'altro della sua folle odio, ai tempi, non più ragazzino nobile ed aristocratico che poteva permettersi di sforare, ma un Ninja fatto e finito travolto da responsabilità al quale pigramente adempiva, sino a finir corrotto e consumato da quello stesso Odio < Per quanto doloroso sia, è onorevole ricordare. > dopotutto, può forse soffrir più di così, più di quel tono distante che vien lasciato colare dalle labbra? Un tono che va a ridefinire il proprio stato d'animo tutt'ora rotto, seppur forse riparato per metà, nonostante le crepe dalla quale filtra una luce che tenta di risanare quell'oscurità, sono tangibili. I sentimenti, quale terribile ed immonda bestia che dentro di lui ancora alberga, tutt'ora insaziabile quel mostro che lo consuma dall'interno e che lotta ogni giorno per tenerli a bada, sopprimerli e ricacciarli nel profondo dell'antro dal quale hanno avuto il coraggio di ripresentarsi, andando a ridurlo quel che è, un guscio vuoto di un qualcosa di incontenibile, un vaso in cui è stata versata si troppa roba in troppo poco tempo, finendo per collassare su se stesso ed infrangersi in infiniti cupi frammenti. Svolta l'angolo, indossa chiaramente quel solito completo immancabile, la scarpe nere cigolano appena in quell'esser nuove di zecca, comprate per strada in quel tornare verso Kusa, così come l'abito pare ben più recente e di fattura diversa da quella Kiriana, poco importa, appare sempre lo stesso con quella coda d'ebano che dondola dietro di lui ed i guanti del medesimo colore, aggiusta appena il nodo della cravatta scura con la mancina mentre con la destra regge una borsa cilindrica che pare più un sacco - tranne per le fattezze di qualità - abbastanza rigida ai lati per permettere a quei libri e a quel paio di completi piegati di rimaner intonsi, così come le solite cose da Ninja che si annunciano solo con un vago tintinnio metallico di Kunai, un vago precederlo in quello svoltare l'angolo, ricorda la strada alla perfezione così como se fosse ieri, lo sguardo è davanti a sè, le rubine in direzione dell'Okiya stesso, quell'edificio dal quale si ferma ad almeno due o tre metri di distanza, lo sguardo verso l'alto dell'entrata, i ricordi che vengono chiaramente fatti riaffiorare, gli vien concesso di tornare a galla, di quando era solo l'allievo di quella che fu anche Maestra, ai tempi. Quasi lo sguardo si fa più dolce, nostalgico, agli occhi viene quasi impedito con difficoltà di farsi lucidi ed un'accenno di un sorriso amaro gli si dipinge sul volto < Sai, un tempo avrei potuto dire che sono tornato a casa.. > e invece, il tono esce come poco più di un mormorio, è un suonar di un pianoforte lugubre, una melodia distorta che vien accolta da uno scostante e ben più ligio Eiji, realista <{ Casa nostra è altrove. }> direbbe in direzione del Suono, mentre soltanto ora lo sguardo scivola verso il basso, andando in direzione di quella bassa figura < ... > silenzio, lo osserva, nota il bendaggio e la testa da orso, istintivamente i nervi si tendono, il fiato si spezza per un'istante e l'espressione trasognante svanisce per lasciare spazio a nero astio < Tu. > realizzando immediatamente il fatto che, per quanto non sia a conoscenza dei dettagli, molto probabilmente < Se sei qui vuol dire che c'è anche /Lei./ > ed il tono si fa più profondo mentre gli occhi si assottigliano, escono come veleno di una serpe quelle ultime tre lettere, riportando poi lo sguardo in direzione dell'entrata stessa, andando quasi a poter oltrepassar le mura in maniera metaforica, tanto che arde e taglia quello sguardo, affilato, deducendo che quello dev'essere un'altro lascito di Kurona per la Seimei. { Ck on }

16:55 Ren:
 Il qipao scivola piano sotto il passaggio della mancina, il distendersi delle pieghe che segue la linea morbida dei fianchi, fino a spaccarsi ad altezza della coscia e dividersi pigramente mostrando ed adombrando la carne a tempi alterni, tra ombra e luce. La stessa luce che l'accarezza, la riscalda, se solo potesse goder di questo calore. A dire il vero, forse, pensare ad Ekazu proprio ora potrebbe esser la cosa più egoista al mondo? Come se potesse viver con leggerezza ogni mossa che la distingue, che la muove come una pedina su una scacchiera a danzar al limitar della zona d'ombra che s'è costruita nelle terre ninja. A volte non esser nessuno paga. E a volte, o molto più spesso di 'a volte' vorrebbe scomparire ingoiata da fauci invisibili. Come se non fosse mai esistita. Folte ciglia color rame, appena più scure dei capelli corallini, rimangono come scintille su carne bianca a gettar un perimetro d'ombra sulla parte alta delle gote. Ha questo piacevole rossore sul viso; una distesa di efelidi che s'accentua, rubano raggi e melanina alla carne che permane bianca. Solo pigramente accaldata di tanto in tanto. Pensare a lui? Non può permetterselo. Non può permettersi di esser la ragazzina che è - potrebbe inciampare. Potrebbe rovinarlo. Potrebbe rovinarsi. E potrebbe rovinare tutto, tutta questa distesa di metaforico nulla che continua a stringer tra le dita, come se fosse la burattinaia di un opera esilarante. Un amabile commedia. Ed è l'ombra trascinata di quel mostro, o astro, nascente - a far levare la testa orsina della montagna che sovente, adombra la minuta figura di Ren; il piattino di sakè vicino alla bocca s'abbassa piano - lasciando che la bocca si scosti da quel bordo tanto ambito, inquadrandolo con non poca difficoltà. E il vestiario è il solito, fatta eccezione per il petto lasciato nudo - dove l'effige del suono è oramai un marchio a fuoco sfigurato da una linea orizzontale. Un simbolo che conosciamo tutti piuttosto bene e di cui oramai, il nostro Sen, s'è pure dimenticato. Questo lusso. Le belle donne. L'essere effimero che s'è scordato di dover esser geloso della beltà, spacciandola a destra e a manca, sfigurandola. "..." La visione di Itsuki, a quanto pare, non è delle più apprezzate. Non quando fino a poco tempo fa' stava costruendosi il pomeriggio in occhiate maliziose alle maiko e del buon sakè. "Tu." Lo sottolinea come se volesse rivoltar il proiettore sul nero corvetto, indicando chi dei due è fuori luogo, lì. L'obi bianco sugli hakama neri svolazza in preda al vento, abbassando le gambe che prima stavano sdraiate per tanger con le suole dei sandali in terra. Dalla fessura dell'occhio manco lo inquadra, lasciando brillar l'iride oro sotto il testone. "Vai ancora in giro, frustrato?" La voce gratta, posando il proprio piattino di sakè e offrendogliene uno completamente nuovo che prima giaceva lì, nel dimenticatoio. Le ceramiche di Kurona hanno un che di meraviglioso. Un che di deviato. Sono tutte sbeccate nello stesso identico punto e portano dei disegni in oro e rosso, astratti, che ricordano i fiori. "Se la vuoi vedere, te lo dico. Non è di molte parole. E' presa. Ragazzine. Hanno sempre qualcosa per la testa. Vuoi una donna, o un po di sakè?" Ren di fatti, è dall'altro lato dell'engawa, dalla parte del giardino - e non dell'ingresso. Con un po' di sforzo può vederla, come una macchia oleosa senza occhi ne' orecchie, che non per se stessa. [ck on]

17:39 Itsuki:
 Lo sguardo è sottile ed effimero, inchioda la figura di quell'essere andando quasi ad incastrarlo lì con quelle sanguinose iridi che si fanno ancor più sottili a quel pronome che gli vien ritorto contro, seppur poi il dire dell'altro giunge sì fastidioso, ma allo stesso tempo sembra quasi voler andar a porre un che di tregua, rispetto all'ultima volta, gracchia la voce di quello che fino a poco fà beveva spensierato, mentre tutt'ora lui permane distante, con la mancina in tasca e la borsa sulla spalla destra che vien ora posata a terra con un semplice distendersi del braccio e lasciar che un lieve tonfo vada spezzando quel silenzio, nel mente che rimettendosi dritto in quel risollevar del busto che vien accompagnato dal tirare fuori una sigaretta con un gesto fluido della mancina, portandola alle labbra nel mentre che risponde a quel coso del quale ancora non ha ancora l'entità ben chiara e definita di quel qualsiasi cosa sia, sà solo che l'ha visto sparire e dissolversi nel nulla quindi a meno che non si tratti di qualche strana tecnica, dev'essere una qualcosa di poco umano e più probabilmente riconducibile ad un'evocazione. Ma chi evocherebbe un'orso screanzato e scurrile? No, dev'esserci qualcos'altro dietro ma non è certo questo il momento per preoccuparsi, il tono và graffiante di rimando, nel mentre che la sinistra si solleva verso il viso < Mh.. E tu? Vai ancora in giro a farti desiderare morto...? > è riuscito perlomeno a tornare ogni tanto, il tono interrogatorio, riesce a porre delle vere e proprie domande tranne quando la situazione si fà particolarmente concitata ed abbandona quindi quel pizzico di umanità che alberga in lui, mentre Eiji da dentro commenta, come di suo solito, non così propenso a tacere a meno che i momenti non vengano etichettati come importanti <{ Questo... Orso, mi intriga, sembra un personaggio di seconda categoria di un romanzo tragicomico. }> o sì, qualcosa di simile, ed è effettivamente un rievocare del rapporto effettivamente contorto tra il Moro e la Rossa, un'accorgersi solo dopo che quelle parole possono risultare più azzeccate di molte altre e concedersi un vago vocalizzo di sorpresa, non l'ha fatto apposta e si è colto alla sprovvista da solo, ridacchiando per poi aggiungere un secco e rigido <{ Divertente. }> senza però trovare risposta verbale da parte di Itsuki che sospira pesantemente nei confronti di quel pensiero del fu Principe, senza dare adito alla cosa, proseguendo semplicemente in quell'accendersi della sigaretta. Basta moderare i toni a quel Sen e tutto dovrebbe andare probabilmente in maniera abbastanza tranquilla, si spera. Mantiene lo sguardo in direzione del piattino che gli viene porto, quella stessa ceramica pare urlare a gran voce del gusto estetico della sua Dea, ogni cosa lì nei dintorni rievoca la di lei immagine e per quanto sia restio all'abbandonarsi ad alcool, droghe e quisquilie simili, quale sarebbe il miglior modo per impedire a quei ricordi di presentarsi in massa, se non quello di abbandonarsi al vizio e mandargli giù con del Sakè? Quindi dopo quegli istanti in cui infiniti puntini avrebbero potuto alimentare quel silenzio, andrebbe ad smuovere la dritta in direzione di quello stesso orpello in ceramica, l'espressione appena più arrendevole, un sospiro ora che andrebbe a render noto il suo cedere < Soltanto un paio. > ed il tono è serio mentre il fumo si disperde nell'aria e la mano rimane lì in attesa che quello venga riempito di liquore di riso, rispondendo probabilmente con quel suo attendere almeno ad una parte della sua domanda, mentre lo sguardo volge proprio in direzione di Ren, più distante, più in là, avvolta in un qualcosa di sin troppo riconducibile a quella che era e che non è più, un colpo al cuore nel concepire il fatto che mai più vedrà ne Qipao ne Cheongsam indossati in quell'unica ed inconfondibile maniera. Ed i polmoni di decomprimono in un lasciar che un rivolo di sconforto vada spirando tra le labbra appena dischiuse, che vengono occupate dal filtro di cotone prima di rispondere, senza distogliere lo sguardo dalla figura della Seimei < Perchè dovrei voler vedere un'ombra, io sono qui per chi vi era, non per chi c'è ora. > seppur quel definirla presa di lui lo incuriosisce appena, ma è una virgola di interesse che vien trascurata nel considerarla semplicemente indaffarata con le questioni dell'Okiya in sè, abbandonando quindi la di lei figura, ne lui ne lei vogliono essere ombre di chi vi era prima, dei loro lasciti, ma allo stesso tempo lui non può che vederla come un residuo, qualcuno sul quale sfogarsi, la portatrice di quel dolore senza colpa alcuna che altri non è se il giocattolino di un ragazzino capriccioso che non vuole comprendere che lei non ha colpe, se non semplicemente quella di essere com'è. Ah, quello sguardo, non è svanito il gusto di ottenere qualcosa di così privato, anzi, è un pò come se dovesse avere l'esclusiva sull'imperativo pretenderlo ad incrociarsi nei suoi occhi, un condividere il dolore, in riversare il lei la sua sofferenza attraverso gesti e sguardi < Una donna? L'avevo.. E mi è stata strappata via. > ride appena amaro in quell'aggiungere il punto di domanda, per poi lasciar che la cenere venga fatta cader a terra con un tocco, tutt'ora non si avvicina alla Special, andrebbe anzi a vuotar d'un fiato, seppur lentamente, il piattino dal suo presunto contenuto, con lo sguardo che nel frattempo si era perso nel nulla, cercando di mandar giù quella stessa amara frase bevendo, rimanendo lì a fissar un punto vuoto della veranda, perso. { Ck on }

18:18 Ren:
 Il collo teso in avanti, affaticato dal testone che si porta sul capo. I fili neri oramai incarniti dal tempo che si tendono un poco, giusto quando si muove alla volta di quel figurino segaligno che gli sosta d'innanzi. In vero s'è sempre pensato a Pomyu come un inutile ubriacone pronto ad immolarsi per quella siluhette pallida all'orizzonte, niente più di un capino corallo che ronza di fiore in fiore con il suo annaffiatoio. A dire il vero ci sono molte storie non raccontate dietro all'uomo, per lo meno - molte storie che rimangono sospese in aria come un quesito privo di risposte che devolve al mistero. Un piacevole, tragicomico, mistero. Il piattino ceduto di buongrado lascia il posto all'abbassarsi della man dritta a trovar la boccetta di terracotta di sakè dalla peculiare forma a clessidra, prendendola per il collo - oramai tiepido - e versandolo nel piattino tra le mani di quel ragazzino - non più così ragazzino. Il crescer imposto è terribile. Con quale coraggio si strappa l'infanzia alle braccia di quello che è un bambino un po' troppo cresciuto ? Dall'occhio Sen l'osserva in silenzio, lascia che il profilo fumante del suo viso si rifletta nel liquore di una gradazione troppo alta per esser totalmente ignorata dal chi è mingherlino. Ma va' bene così. I ninja non muoiono per un bicchierino di troppo, no? < khkhkhkh > Una risata strozzata tra palato e gola riverbera alle sue prime parole, un tremolar delle spalle piazzate che finiscono per abbassarsi. Il suo esser pallido lascia spazio a qualche piccola ferita e qualche piccola scottatura da bracere ardente, risalente addirittura l'accademia. < mettiti in coda > L'appellativo alla morte lo fa' ridere - e come non potrebbe? Però non sono risa di scherno, sono risa puritane. Come dire a un morto che deve morire. Giusto il tempo di riempirgli il piattino, l'abbassarsi del polso a riposar la base del contenitore su un vassoietto intrecciato in vinile e legno, e ritornerebbe con il proprio tra le dita. Lo regge con il dorso volto verso l'interno della mano, accostandolo alla bocca per carpirne il sapore prima ancora che con le papille, con l'olfatto. < Non ti saresti dovuto innamorare di una donna cocciuta. > Il commento sciornato come vento fresco, lo sfiata al secondo sorso di sakè - curvando il capo a guardarlo, volgendolo in direzione della spalla. Come un animale confuso. Come se ora fosse colpa di Itsuki e del suo esser debole ad un carattere forte come quello di Kurona. Come se volesse metterlo nella posizione di vederla diversamente da come invece è. E se fosse stato un onore. < Pensavamo tutti avesse ucciso lei, la morte, in una memorabile partita a scacchi dove indubbiamente avrebbe barato. > Il risolino di sottofondo, in preda a fiumi d'alchol che ne ampliano il sarcasmo e la saggezza di pari passo. Si sà che funziona così. Eppure la figura rizza la schiena, un metro e novanta d'orso-gatto che piano, allunga le gambe e posa la mano manca a sorreggersi nei pressi dell'osso sacro. Ne ritto, ne' sdraiato. Quasi rievoca il far beffardo di Kurona, un fare sadico, da figlia di puttana - che Itsuki ha pagato caro nella sua mente sotto la forma d'una maiko che si specchia in una pozza nero sangue. Il sangue della Kokketsu. E sorride, sotto quella maschera, sorseggiando sakè come se avesse già varcato le porta di un nulla che non deve più temere. E così permane, sospirando piano. < E invece, Itsuki, la nera signora non ha fatto in tempo ad arrivare. L'ha fottuta totalmente. Fosse stata la mia donna, te lo dico: > Indicandolo con la mancina, reggendo tra medio e pollice il piattino per allungar l'indice verso di lui. Come si farebbe tra amici. Tra colleghi. < Mi sarei fatto una risata, per quanto è stata stronza. Scacco matto. > Uno stronza in senso positivo, chiaramente. < Ed ora non è ne quì, ne lì. > Ne sulla terra, ne all'inferno. < E' tutta, dentro, quella testolina arancione. > Uno sbuffo ilare. Come se fosse una barzelletta. Come se Kurona, alla fin del giorno, avesse fottuto un sistema che l'ha attesa a cosce aperte. Bella mossa. Degna d'un chapeu. Come un astro tra i pianeti, si muove alla volta delle siepi; con il viso immerso tra azalee le sembra d'affogare in qualcosa d'inebriante - spezzato solo dalla vile sensazione di prurito che da' la necessità di scrivere. Di narrare. Non di sbocciar nel mondo lei per prima, ma veder sbocciar gli altri sotto il mansueto tono del narratore che ti trascina per il colletto, in giro per un mondo che realmente non conosci. Non è un pensiero romantico, questo? Roseo e giusto, com'è giusta la falce che la donna ha deciso di tenere ben stretta in entrambe le mani. Quando finalmente lo sguardo s'issa, l'oscillar pigro della coda d'Itsuki in balia del vento ne cattura la coda. Si volta piano, sbrodolando la cornice con l'acqua, così come il vialetto, così come i piedi che prima camminavano nudi sul tappeto erboso perfettamente pulito e mantenuto. "..." Nessuna parola. Non per Itsuki. Solo il tonfo dell'innaffiatoio sul ciottolato che conduce al mariposaio, secco. Come un urlo nel silenzio. [ck on]

19:03 Itsuki:
 Gli occhi vanno dunque strizzandosi in quel andar a percepire l'alcolicità del liquore in sè, che và bruciando lungo la gola più del solito, più di quanto non farebbe, nei confronti di lui che non è certo così avvezzo a tutto ciò che possa renderti ubriaco, insomma, puro almeno sotto quel punto di vista, quello dei vizi, elitario nel non transigere quando si tratta di avvelenar il proprio corpo. Eppure, c'è già abbastanza veleno dentro quel cuore, così tanto che trabocca, andando quasi a mescolarsi al liquido corroborante che si cala senza remora nello stomaco, stringendo con una lieve morsa pungente. Un ricondurre la sigaretta alle labbra, la nicotina và a mescolarsi con il sapore del riso fermentato e danno vita ad un connubio di certo non disdicevole, ma al quale non deve certo abituarsi, nonostante sembra che quel poco, quel singolo alzar del gomito, non basti, anche se forse riesce a scioglierlo quel che basta per portarlo lì, a sedersi di fianco a Pomyu, ma non prima di aver risposto a quel suo ridacchiare beffardo che accompagna poi il consiglio di mettersi in fila, prendere il numero ed aspettare che sia il suo turno di ammazzare quell'entità, per quanto sostanzialmente lo abbia già fatto una volta, senza il minimo preavviso < Mh.. Suppongo che abbia fatto incazzare molti con la tua lingua biforcuta... > avrebbe detto distogliendosi da quel suo fissar il nulla, per poi quindi sedersi, schiena ritta e ben composto, ma le spalle non sono al massimo della loro tensione, pesano ed allo stesso tempo portano su di loro un fardello che è la diretta causa di quella pesantezza, un dolore che lo attanaglia e si ripresenta ogni qualvolta il silenzio si frappone in quei momenti di onorevole, quanto sofferente ricordare. È giusto onorare, ma allo stesso tempo, non riesce a non odiarla, così come non riuscirebbe a smettere di amarla, nonostante tutto. Vermiglie che si perdono nel cielo del Tanzaku, volgendo in direzione dell'accenno di un tramonto, gli occhi che si gettano sul giardino in quel cercar di filtrare i ricordi, di mettersi in un punto ben preciso della propria testa a far da buttafuori, decretando un presentarsi a scaglioni dei suddetti, volendo evitare confusioni < L'ho sempre pensata la frase più stupida del mondo, ma forse ai tempi non comprendevo, è vero: al cuor non si comanda. > ed il suo batteva solo per pompare il sangue, non ha mai provato paura, odio, amore, tristezza, gioia e dolore, no, nulla di tutto ciò e nemmeno delle altre cose immaginabili, lui era a posto così, in pace con se stesso in quel non doversi trovare davanti a quegli ostacoli emozionali che tanto ci precludono dall'agir logicamente, com'è giusto che sia. Che poi cosa è giusto e cosa è sbagliato sia soggettivo, quello è un'altro discorso < Era sin troppo brava. > direbbe nel mentre che và afferrando la fiaschetta, era brava a mentire e a lasciarsi dietro aloni di mistero, allo stesso tempo indubbiamente brava a barare, scaltra come una volpe e sola come un lupo allontanatosi dal branco, crudele in quel lasciarlo con solo l'accenno di un sentore, di un dubbio, diventato poi triste e rovinosa realtà, facendo collassare l'animo del Goryo <{ Ironico, come nel continuar a vivere di noi Ninja, si finisce quasi sempre per vivere cercando un modo attraverso il quale sfuggire alla morte. }> sono le parole di una figura altrettanto saggia, capace di rispecchiarsi in quel fare della Kokketsu, per quanto effettivamente le condizioni poste alla base siano diverse, il concetto non è poi tanto differente, sostanzialmente, ed in tutta risposta Itsuki vedrebbe semplicemente di riempire e vuotare un'altro giro, appena più rapido di prima. Cos'è questa fiele che risale? Perchè questo volersi far male nonostante stia semplicemente desiderando di ricordare? Probabilmente, non è ancora pronto. Cedevole e flebile nella tempra al sentire il di lui pronunciarsi in maniera colorita, tanto che la sentir dell'averla fottuta di quella stessa nera signora, per quanto non ci sia motivo, lascia che un fremito istintivo vada facendolo soffiar tra i denti < Modera i termini, Orso. > direbbe inviperito riferendosi a lui con quel nome, senza conoscere effettivamente quello con il quale vien etichettato quell'essere trascendentale, forse un'altro palese esempio di come si possa sfuggire alla morte. È solo un sibilo, una cosa di poco conto che giunge dal profondo, gli occhi di rubino si son puntati sulla testa d'orso nel mentre, sulla figura di lui alzatasi qualche attimo fà, scuotendo poi la testa appena in quel riconoscere un'accenno di follia per adirarsi ad un semplice parlar più grezzo del normale < Avrei.. > cosa? Tra tutte le cose qual'è che vuoi più di tutte? O meglio, quale volevi? Gli occhi si tingono di quel luccichio nel ricordare quell'ultima notte assieme a lei, quel mattino in cui l'ha vista uscir dalla tenda acciaccata, come se nulla fosse, per poi non tornar mai più, chinando il capo in un incupirsi dettato dalle ciocche nere < Avrei soltanto voluto vederla un'ultima volta.. > già, persiste, incapace di condividere il punto di vista di quel Sen, per quanto effettivamente l'abbia udito ed assorbito, non riesce di certo a relazionarsi ed anzi, un'altro vuotare di un'altro piattino. Non deve cedere, solleva la testa giusto per bere lasciando che la coda d'ebano si poggi dietro e di fianco sul llgneo patio, mente soltanto ora si ricorderebbe di quella sigaretta, fuma, mentre intanto il terzo giro è andato. Ma quel palliativo non par funzionar più di tanto, è alta la gradazione e percepisce quel velo di calore dentro di lui, ma non si cura e ne riempie un quarto, vorrebbe quasi annegare in quella boccetta se fosse possibile, e morire ebbro, se non fosse che ora il suo riflesso di perde nel piccolo piattino riempito di quella grezza trasparenza, al sentire che non è ne qui, ne lì. Che qualsiasi cosa faccia, non la riporterà indietro. Non nella maniera più pura possibile, si intende. Ed è al suo sbuffare che solleva il capo, la posa appena più sciancata e morbida, i gomiti a puntarsi lì in prossimità delle ginocchia, la schiena appena curva, ammorbidito dall'alcool stesso ma allo stesso tempo incapace di sostenere quella croce che si porta dietro, sbatte le palpebre un paio di volte per rimuover ogni possibile accenno per lui considerabile peccaminoso ruotando quindi le iridi, accompagnandole con la testa in quel puntarsi verso Ren. È lì, l'ha visto e lui vede lei, la incrocia con lo sguardo e rimane lì per qualche istante, la fissa da lontano, vuole ritrovare i di lei plumbei anche da quella distanza, fargli capire che è lì, sarà sempre un qualche modo dove era Kurona e quindi dove sarà allo stesso modo Ren stessa < ... > attimi di silenzio che quasi sembra un comunicare a distanza, se non fosse che poi torna sul piattino, lo osserva per un'istante vuotando anche quello, il fiato è caldo ed uno sbuffo sfoga quello represso per bere, mentre la mano scende più tirata, più contratta. Perchè..? Perchp non se ne è semplicemente lasciata lasciandogli scritto qualcosa per poi svanire? Perchè deve vivere attraverso quella Rossa del quale non avrebbe mai avuto il minimo interesse? Perchè è costretto a cedere al fatto che se mai vorrà ritrovare qualcosa della sua Dea, dovrà cercarla per forza in lei? E la risposta a tutto ciò è il rumore della ceramica che cede, che si spezza e senza nemmeno creparsi implode sotto a quel suo stringere nervoso del quale non stava nemmeno rendendosi conto, accorgendosi solo quando oramai è troppo tardi, ed i frammenti sono a terra, uno più piccolo conficcato nel pollice attraverso il tessuto < Maledizione. > lo sfila notando un rivolo di sangue che ora scivola sul nero assorbendosi solo per metà, profondo quel pungere, forse una rappresentazione stessa di quel che furono. La ceramica la Dea, il Sakè l'amore e quel rivolo di sangue il suo stesso dolore. Buffo. {ck on}

20:02 Ren:
 Se solo il mondo non fosse colorato di rosso, per Sen, saprebbe essere un ottimo amico per chiunque. Ed invece è perseguitato da una fame incredibile, rimastagli nel gozzo alla morte - incastrata come una moneta d'oro - e ripresentata ad ogni molle passo di quell'uomo. Le mani molli. Il passo fiacco. La schiena ricurva ricorda una mangiacarogne pronta a sghignazzar nel buio, aspettando che gli altri abbiano finito per banchettar su un cadavere già tramortito. Lo sguardo, quell'occhio vispo, si sposta sull'evolversi di quest'uomo. Come le lune durante le stagioni. Piene. Vuote. Spaccate a metà. Le leve si spingono in pochi semplici passi - dove si discosta da quel figurino oramai posatosi vicino. Solo per poi tornare da lui. Realizzar d'esser due facce della stessa medaglia è distruttivo, possiam appellar ad Itsuki l'immagine di un albero di fico. Non importa quanto tu scavi affondo, è tanto radicato, da renderlo immortale. E nella mente di Ren, tra ferite, urla, e la magra accettazione del fallimento - c'è anche questo fiore. "L'hai avuta." L'ultima volta, hai avuto la tua ultima volta - ma non è stato abbastanza, vero? E che importa se ci fosse stato un giorno in più, non l'avresti pensato lo stesso? Il tonfo dell'irrigatore vien seguito da passi umidi, fatti in una pozza in cui i piedi finiscono per cadere miseramente. L'ha scavalcato. L'ha soppresso nella sua testa e le labbra di Ekazu son la massima meta a cui ha voluto ambire - e allora perchè guardarlo le da ancora questa terribile sensazione. Le grinze nel quipao, sotto la destra che ne soffoca un drappo, chiedono pietà all'epidermide liscia dei polpastrelli. Inutile dir che s'è incappata nei suoi occhi, è stato solo per errore? L'ha rifuggito. E scansando il naso di lato, un pigro rossore le ha baciato il viso pallido. Quanti sgambetti in questa vita. Quanti ne deve superare ancora, per poter rimettersi in piedi? Quando Itsuki, svanirà dal suo scenario? Probabilmente mai. Probabilmente è la macchia di vino sulla sua tavola, che lavaggio dopo lavaggio, può solo sbiadire leggermente. Il vento divenuto insistente s'infila tra le pieghe del corpo, l'abbraccia tanto - tanto quanto fece lui l'ultima volta. Prima d'odiarla ancora. Più di prima. Sen dal passo stanco sulla scalinata lascia lì quella sagoma nera, ad affogarsi nei ricordi. Bicchierino dopo bicchierino. Ed il sapore del sakè vibra nell'aria come un sussurro verso tutto ciò che è proibito. Tutto ciò che Ren, diametricalmente opposta a Pomyu, s'è negata per seguir un ordine rigido. Necessario per tener il capo alto e le mani pulite. E quando tramonta il sole, è la luna ad uscir timidamente da una nuvola. Come chi gioca con i fili dell'eterno tra dita fragili ed affusolate, con un passo lento ed umido che si trascina dietro. Le ceramiche una volta rotte, divengono solo più belle. E questo Kurona lo sapeva tanto bene, da considerasi come porcellana crepata e stuccata con oro fuso. Le gambe nude di Ren, le ginocchia che si piegano appena davanti a quel corvetto ricurvo. Ha mosso passi come se fluttuasse. Lenti. Calibrati. E' come realizzar che Itsuki, bene o male, le sarà sempre attorno. Lui. Il suo viso. Il suo odio. Solo che nella destra non stringe più l'annaffiatoio, ma una delle vecchie bende di Kurona. < Sei venuto a prender qualcosa. > Quel filo di voce, pende come una gocciolina di miele dalle sue labbra. E lo sguardo che si scansa tra piattini e sakè, oramai mezzo vuoto, abbassandosi quel poco che deve per pretender la sua mano. Non farà la carità per lui. Non vuole nemmeno respingerlo. Non vuole lottare, perchè non ne è mai stata in grado. Non vuole nemmeno pensar di poter inciampare, tra l'odio e l'attrazione. Il palmo finirebbe per avvolgersi attorno al suo metacarpo, avvicinandolo al petto. Cercando schegge nella ferita che dovrebbe risultar in pigra nascita. Il sorger del sangue dalla carne. Il gonfiarsi in goccioline per poi sbiadire, riversarsi atterra. Ha rotto un pezzo da collezione e per questo, nel suo piccolo, sente la voce rauca di Kurona lamentarsi come una bambina a cui è stata staccata la testa dal collo della barbie. Fosse riuscita rimarrebbe con il capo chino. Con ciocche aranciate che le oscurano il viso, permettendole di riflettersi in un palmo. < Non dovevi bere. Non reggi l'alchol. Lo sappiamo tutte. > E con il polpastrello passerebbe lì, dove la scheggia è rimasta nella pelle. [ ck on ]

21:21 Itsuki:
 Gli occhi rossi sono lì, a terra, come il morale che cerca di esser risollevato nel mentre che si è perso tra quei frammenti, è scivolato crollando così come la ceramica, in pezzi lì per terra. La sigaretta permane lì nella mano, perdendosi in quel fumar per aria, consumata dalla semplice combustione spontanea che và portandosi via più carta che tabacco in maniera lenta e prolissa, nel mentre che quelle figure paiono avvicinarsi, in un certo senso, almeno per ora dove quel metro e novanta di strano orso sembra quasi una persona normale, abbandonata la propria scurrilità, quasi sembra un conoscersi di due colleghi al primo giorno di lavoro, dopo essersi incrociati per sbaglio, ad un teso colloqui. L'ha avuta? Sì, è vero. Eppure il tono esce con un che di crudele, crogiolandosi lui nel dolore ancora nel fissare il vuoto lì per terra, vuoto rotto che appare come frammenti sfocati neri e dorati, lì a rappresentare quel suo stesso animo, il nervosismo, l'astio, la tristezza e chi più ne ha più ne metta < Ma non sapevo fosse l'ultima, altrimenti.. > altrimenti che cosa di preciso? Crede forse, il giovane Corvetto, che sarebbe stato in grado di sopportare il fatto che ci sarebbe stata un'ultima notte? Sarebbe stato meglio così oppure è semplicemente meglio come è stato? Forse semplicemente gli sarebbe bastato essere più egoista di lei, avrebbe dovuto imporsi e tenerla lì, stretta a sè, senza permettergli di andar via, senza dargli modo di lasciarlo solo, avido ed allo stesso tempo succube di quella candida figura < Non l'avrei lasciata mai andar via. > direbbe ora mentre serra le labbra in un evitare che un singhiozzo vada distruggendo l'attimo, si astiene da quel mezzo tono e semplicemente lascia che sia il viso a cader tra i palmi delle mani, per qualche istante, qualche secondo dove le ciocche nere libere dall'elastico si smuovono circondando di nero il viso, là dove per qualche istante è solo il contatto con il tessuto dei guanti, quella lieve ruvidità, a tenerlo lì incastrato in quel mondo, a contatto con la realtà. Non un sibilo, non un gemito, non un lamento, un voler semplicemente rifugiarsi dentro se stesso nel mentre che è la voce di quel Principe da strapazzo, a destarlo e a salvarlo prima di un lasciarsi cader nel baratro, di nuovo, anche se per poco, salvandolo da quel volersi lasciar cullare dalla sofferenza ritrovando conforto solo nel percepire attivamente lo straziarsi del proprio cuore <{ Non cedere, Itsuki, sai bene che sarebbe stato solo peggio }> tenerla lì con sè in maniera indicibilmente avara, costringerla a soffrire di quel male del quale lei era infetta, un qualcosa di corrosivo che la stava uccidendo dentro e che ha preferito privarlo di qualsiasi possibilità, negandosi a sua volta la vita, senza permettere a quel malessere di vincere. E tu, piccolo sofferente innamorato, ce l'avresti fatta a tenerla lì, con la forza, standogli di fianco nel mentre che ogni giorno lei avrebbe sofferto sempre di più? Saresti riuscito ad amarla anche nel dolore, anche nella cattiva sorte che tanto vi è stata avversa? Oppure, saresti semplicemente stato ancor più crudele della sua decisione stessa di porre fine alla propria sofferenza, avendone tutto il diritto, pur riversando quel veleno dentro di te al suo svanire? Sono troppe domande, troppi i dubbi che in questi giorni aveva forzatamente represso, strizza gli occhi e stringe l'espressione sotto alle proprie mani tanto quasi da andare a sentire un sibilo prolisso nella testa, digrigna i denti, dannandosi in quel trovarsi sempre a metà tra il desiderare di non aver mai amato ed il non disdegnare l'aver provato quel sentimento. Incapace di sbilanciarsi, per nulla pratico dei sentimenti ed ancora meno della sfera amorosa che l'ha reso suo burattino, suo schiavo, ci è cascato come un'ape nel miele e così si è lasciato ammaliare da quella dolcezza, quella candida betulla dal quale sgorgava un miele nero, inizialmente dolce, divenuto poi in fretta acido come bile, nel giro di si e no una settimana. È il tono di Ren, quel preciso tono a far sì che le sue mani si scostino dal proprio volto, gli occhi appaiono traditi da quella lucidità ma vi è solo l'accenno di quelle lacrime, perdutesi nel tessuto asciugandosi ben più in fretta di quel sangue che invece continua come un rivolo prolisso a sgorgare, solo le occhiaie solo umide, ma il viso rimane tutt'ora chino, non la guarda < Non so se sono venuto a prendere, o a lasciare qualcosa. > direbbe per poi andare ad allungare la mano con la sigaretta verso la boccetta, afferrando la fiaschetta in ceramica sena porsi troppi problemi, quasi in un voler cercar un penoso rifugio che potrebbe trovare solo sul fondo di quella. Ed il piattino è andato, smuove semplicemente la suddetta per valutarne la pienezza, poco più di metà, solleva il viso e senza ancora guardarla negli occhi, lasciandosi poi prender la mano, andrebbe gettando la testa indietro, è un sorso più amaro e bruciante di prima, forse quel liquore in quel scendere così grezza, in maniera poco elegante e raffinata, decisamente lontano dalla tradizione, seppur oramai non gli interessa nulla, credeva di aver trovato un qualcosa con il quale riuscire a risanare quel vuoto, a colmarlo seppur in una minima percentuale, eppure non è così. Lascia andar il respiro, torna giù in quel rimaner con la fiaschetta in mano, le goti ora più rosse e lo sguardo più ammorbato, appesantito dall'alcool stesso, mentre la sigaretta rimane l'i tra indice e pollice della mancina, tra le di lei mani < Non trattarmi così, sei tu la ragazzina qui. > direbbe lui dopo che trattiene un'altro singhiozzo, stupido, labbra serrate ed è solo il petto a a sussultare, un suono strozzato e poi scuote lievemente la testa, come a voler negare un qualcosa di innegabile, come se quel scuotere della testa fosse infinito e prolisso, prima di andar a dirgli, con il tono graffiante e quasi offeso, sempre e comunque in grado di rivolgere quella particolare forma di paradossale odio affettuoso che è riservato solo a lei, un connubio sin tropo strano ed insolito per essere compreso da un'occhio esterno < Tu... > una breve pausa, precisa < No, voi... Voi non sapete nulla di me. > direbbe lui, volendo difendere il di lui pensiero, i ricordi della sua figura nella mente di Kurona, andando a voler incrociare lo sguardo con lei, per quanto la cosa sarà complicata, la fissa intensamente, con quell'alcolica rabbia in viso, riconoscendo il doversi arrendere al fatto che sta già sbagliando, mente al dire di quelle parole, visto che le memorie della Geisha rivivono in lei. E lui, tutto ciò lo ama e lo odia allo stesso tempo {ck on}

21:52 Ren:
  [Engawa] Il dissiparsi di Pomyu dietro le quinte è forse la cosa più confortevole mai successa fino ad ora. I passi dell'uomo diventano niente più che un echo mentre si perde nell'antro affollato della propria psiche - come se ci fosse un interruzione tra mente e pelle. Si muove con l'ultimo soffio di vita che si può dar ad una creatura. Le dita si muovono da sole cercando la sua carne, cercandone le ferite con la minuzia del più geloso degli amori, che finirebbe per carezzarle con le falangette. Delicatezza emblematica con la quale avrebbe cercato di sfilar quella scheggia bianco, rosso ed oro. E allora, ora? Sei serena, o stai facendo la guerra? L'impercettibile vibrar delle sopracciglia perdendosi nel fiato, nel silenzio, nella pelle pallida snudata dal guanto. Serra i denti smuovendo piano la mandibola, la guancia coperta da un telo di ciocche color mandarino che le scivolano addosso come seta morbida. E il muoversi di lui, lo spostarsi alla volta d'un cerchietto poco più piccolo di una bottiglietta da mezzo litro - come se in poco spazio - potesse trovar un universo parallelo in cui esser ingollato. E questo esser patetici, o meglio, questa patetica ricerca di qualcosa che possa alienarti dalla tua stessa mente, non te lo hanno detto Itsuki? E' una fallace panacea al male. Per lo meno, non te ne ricorderai il giorno dopo. Le ciglia si abbassano pigramente mentre la benda che prima aveva tamponato quella ferita, ora è in procinto di sfilar la scheggia con una lentezza disarmante. Quasi lo tortura, nel desiderio di porre fine al male. Un male che non si limita, al dito ferito. < ... > No che non lo guarda, il capo è chino e il ginocchio che prima stava flesso ora si posa pigro contro l'ultimo degli scalini, due più in basso al suo. Espira solamente, taurina, facendo passar la benda attorno al metacarpo - ripercorre la linea della vita, avvolgendosi piano attorno al pollice. < Sei l'unico che si sta comportando come un bambino. > prendere o lasciar qualcosa? Se solo fossimo persone con volontà ferrea. Se solo fossimo in grado di lasciar andare veramente qualcosa di così fragile, come l'amor che è stato. E invece ci aggrappiamo ad ogni cosa. Agli oggetti. All'odio. Alle scelte che avrebbero potuto esser migliori di cosi. Ci aggrappiamo ai ricordi. E poi a quel che ne resta, come amabili lasciti degli stessi. Luoghi. Persone. Somiglianze. La verità è che siamo troppo deboli per lasciare, e allora, cosa sei venuto a prendere? L'iride di quel cristallino grigio, sfiora la carne che con uno strattone, finisce per chiudere nella benda. E le mani si muovono fredde. Automata. Risalendo con indice e medio le nocche. Un toccar che sembra non appartenerle. E che invece, credetemi, ha finito per vestire maledettamente bene. < Sai che è una bugia. > Lo lapida, come se non ci fosse dubbio su questa certezza. Lo sai. E perchè fingi in questo modo? Ti fa' stare meglio? Le labbra, quel cuore pieno d'un colore rosato - finiscono per schiudersi mentre le dita tenterebbero di sfilargli la sigaretta dalle dita. Come se fosse capace di giocare anche lei. Un giocare che non le si addice. Però - come lui - anche lei fustiga le proprie corde. Lambisce tra le dita nicotina arrotolata, fosse riuscita, finirebbe solo per delegarla a quelle labbra. Non è mai stata una donna di molte parole, alla fine. Quasi potremmo dire che ogni sua frase messa in fila, è preludio d'un litigio. D'un fraintendimento. Di qualcosa che scavalca entrambi e finisce per schiacciarli, lasciandola sempre con un frammento di maschera in meno. Lo lascia andare, dopo essersi presa cura di lui. Come si benderebbe la zampa al randagio, decretando buoncuore e pietà. La pietà che tanto l'ha resa bella. Che tanto l'ha resa china su una scrivania, impiegando il proprio tempo a scrivere. Scrivere. Uno sciame di corvi nella testa, mentre lo osserva così - canta ancora; Mai più. Lascia andare Itsuki. Allontanalo. < L'ho trovato. > In ogni caso, le labbra sfiatato modulate con un tono tanto mellifluo, tanto asettico, che potrebbe star parlando di tutto. O di niente. Le ginocchia finirebbero per rizzar quella figurina pallida. Il drappo del qipao che le abbandona le cosce mostrandole, strette - affusolate. Un lampo di carne in un mare d'apatia. < Un uomo che mi guardi come tu guardavi lei. > ... < L'ha fatto. Ed esistevo solo io. > Non era il riflesso distorto di un altra donna. La donna che Itsuki cerca in lei, nonostante tutto. Nonostante gli abbia già urlato che non lo sarà mai. Che lei arriverà più in alto. Più in la. Dove lei vincerà, sarà un risolino isterico volto alla bianca, ed al suo misero fallimento. Una nube taurina che le oscura il viso, o meglio, lo riempie d'intangibile fumo pallido che solo il vento si trascina via. I piedi nudi che sfilano sul marmo delle scale, lo vogliono superare, spirando fumo da labbra gentilmente arricciate. [ck on]

23:25 Itsuki:
 Cos'è che vuoi mandar giù, Itsuki? Credi che sia una medicina quella che deglutisci a fatica, o è forse la trasposizione liquida del tuo dolore, a guardarti trasparente dal fondo di quella boccetta? E nel mentre lei con le dita affusolate gli lambisce la pelle, mentre la scheggia vien tolta e lui non batte ciglio, lasciando spazio a lei di tacere e di tamponare, tamponar un solco, una crepa di un qualcosa che non verrà mai rimarginato, lei che altro non è che lo specchio di quella sua sofferenza, la prova tangibile della sua perdita. Pomyu nel frattempo è svanito, rispettoso in quel preservare la dignità di quell'incontro odierno, si dissolve con saggezza lasciando spazio ai due ed a quelle parole della Rossa che vanno a colpir nell'animo di lui, già devastato quanto basta per permettergli di agir stizzito, sbuffando indignato al sentir di quelle parole, capriccioso e probabilmente tutt'ora incapace di comprendere, fino a quando non viene messo a forza davanti all'evidenza, redimendosi per poi annegare quella testa redenzione grazie a quell'odio che lo anima < Un bambino? No, sarebbe bello esser così spensierato, sono solo un'uomo privo della sua metà... > direbbe scuotendo nuovamente la testa, in quel continuo negare, magari essere così a cuor leggero, nel mentre che per quanto possa sembrar infantile il suo modo d'essere e d'esprimersi, è semplicemente il canto lamentoso di qualcuno che è già stanco di soffrire, pur essendo poco oltre l'inizio di quel percorso, di quel cammino tortuoso ed insidioso < Ma non mi meraviglio che una bambina come te non possa capire. > ne sei sicuro? Non sai cosa ti aspetta. Ma la lascia fare, per ora lascia che quella benda vada avvolgendosi intorno alla propria mano e lui quasi si perderebbe in quel gesto, un moto delicato e preciso, che anche se non vuole esserlo ha un sottofondo affettuoso che quasi fà più male della ferita in sè, lo fa più soffrire più di quanto dovrebbe, perchè diamine lo sta medicando proprio come avrebbe fatto lei? Perchè la cura in quei movimenti porta con sè un che di maledettamente nostalgico e triste? Non gli và giù, non riesce a sopportare questo dover ritrovare in lei ogni possibile gesto, ricondurre una qualsivoglia movenza proprio alla sua Dea, è solo un'ombra, non sarà mai lei e vuole essere meglio così come lui un giorno sarà meglio di quel Principe, forse, ma allora perchè sente quasi un tepore alla bocca dello stomaco, che va quasi sfarfallando flebilmente dentro di lui? < Smettila. > il tono è secco e severo, ritira la mano un'istante prima che la medicazione possa essere portata a termine in quell'andare a sancire la fine del gesto ed allo stesso tempo il voler farla smettere, farla tacere in quell'andare a sbattergli la verità in faccia con quella verità intransigente e placida che - di nuovo - soltanto lei era in grado di dedicargli, di ingollarlo lì davanti a quel visino pallido e rapirlo per un numero indefinito di minuti andando anche a rivelargli le più crudeli verità a quel lui in grado di pendere dalle sue labbra come da quelle di nessun'altra. E d'istinto, tolta o meno che fosse stata la fiaschetta, inutile o meno che sia, panacea momentanea che fosse, un'altro sorso vien tratto da quella di ceramica, nel mente che in quel breve cenno di distrazione lei andrebbe sfilandogli delicatamente la sigaretta, andando a rubar quella metà che ne resta, quasi potendo andar a fumar tabacco, inspirar nicotina e risputar fuori dolore, lo stesso dolore che come veleno tinge le labbra di lui di un'invisibile colore. L'ha detto. Ed ormai il danno è fatto. E dentro di lui, è allarme rosso. Come una sirena distante che inizia a strillare con maggior veemenza ad ogni trillo, nella sua testa tutto si colora di rosso e quasi và sfumando quel nero ed in tutto ciò Eiji tace, anzi, ora il suo è riverente silenzio in quel percepire l'aumentar dei battiti dell'altro, il sangue che vien pompato più rapidamente nelle vene ed una stessa di quelle, una tra le più importanti, andrebbe come tendendosi e gonfiandosi appena sul collo. E no, non è la cravatta che è troppo stretta. Ad esser stretta, ora, è la presa che vien serrata attorno a quella boccetta fine, il collo che vien stretto tra pollice e palmo, le altre dita a sostenere il tutto, il polso si fa appena tremulo andando a far barcollare quello stesso Sakè lì dentro, un mare che annuncia la tempesta, cerca di mantenere la calma, ci prova, ma lei è il suo giocattolino, il suo sfogo personale d'odio, l'ultima persona al mondo che - per quanto la tratti come la tratti - gli è rimasta, con quelle sue promesse tra le mangrovie, con quel suo poterlo comprendere, nonostante lui si ostini a decretare sia il contrario. Ispira profondamente, è un voler tener il fiato lì sospeso per qualche istante, mentre quella nella mano destra cede, il suono della ceramica che và in frantumi e di quel poco liquido alcolico che finisce per terra è l'unica cosa che spezza il silenzio prima di quelle sue parole < Guardami. > ed esce come la lama più afilata e rovente dalle labbra di lui, un'imperativo sibilo graffiante, pretenzioso ancora di quello sguardo, di quel contatto visivo, quasi imperioso e desideroso di veder quel baluginio negli occhi di una ragazzina che è diventata donna, che ha ceduto alla libido ed al Caos nella propria testa, per finir quindi preda del vizio e della lussuria, abbandonandosi ai semplici piaceri della carne. E se lei non vorrà, lui semplicemente riconoscerà il fatto che mente, ai suoi occhi, un ridacchiare lugubre che quasi andrebbe elevandolo, un demone alle spalle di lei che và superandolo, possessivo ma non necessariamente legato a lei in maniera affettiva e tantomeno carnale, pulsioni recondite che verrebbero messe da parte dallo stesso Goryo in quell'osservare i frammenti della fiaschetta a terra, andando poi a concedersi un vero e proprio truculento ridere, breve ma incisivo, l'oscurità al suo fianco, il male che insidioso và dicendole, convinto di quel mancato sguardo, senza voltarsi manco, o quegli occhi o niente, alzandosi < Era amore, o becero sesso, mi chiedo? Diventare grandi, non è un gioco. > e quasi trova conforto ora in quelle stesse parole, porta la dritta a poggiarsi tramite il gomito che fa da perno sulla gamba, il mento si adagia sulla mano mentre la mancina cade pigra all'interno della coscia, assumendo un'angolo diverso dalla gemella, lo sguardo è malizioso e malevolo, ma lei probabilmente non lo guarderà manco, cullandosi del fatto che per quanto sembra qualcuno sia arrivato al traguardo da lui non ambito prima del sottoscritto, insomma, nessuno gli porterà mai via quella sua bambolina rossa < Sono certo di poterlo dire meglio di te, che sei solo ceduta al peso di ricordi che non ti appartengono... > si sofferma, una breve pausa nell'andare a sollevare la mancina, portando quella mano ad aprirsi davanti a lui, osservando la fasciatura e quella stessa medicazione affettuosa, per nulla necessaria, che quasi gli basterebbe per fargli credere che c'è stato più affetto in quel gesto, più premura in quello stringere di bende, che in quel consumarsi fittizio, giusto così, senza fondamenta sulle quali basarsi, continuando il dire di prima < ..Quel che percepisco, non è amore, puoi starne certa. > no, non la vede cambiata più di tanto, non vede un sorriso, non vede un disinibirsi dai propri modi freddi che vengono scaldati da quel tepore che lentamente è in grado di sciogliere qualsiasi lastra di spesso ghiaccio, qualsiasi armatura che so voglia porre a difesa del proprio cuore, non nota un baluginio che lei non vuol concedergli, certo del fatto che vedrebbe solo la metà di quella scintilla, solo un tentativo magro di imitare, una finzione, e nulla di più. Non è certo un'esperto in termini di relazioni e sentimenti amorosi, ma insomma, sappiamo tutti come è andata e di certo lei non può permettersi di metter più di tanto becco nella questione rispetto a lui, che vuole smontar quel castello flebile di carte, armandosi della propria inamovibile convinzione, di quell'esser convinto che così come la odia, così come si rivolge con sprezzo a lei, un giorno, chissà, sarà forse un'eccesso d'odio possessivo a trasformarsi in chissà quale perverso sentimento. Ma non ora, non oggi, i nervi son già saltati abbastanza e quel crogiolarsi nella propria convinzione gli basta, nel mentre che riporta la mano a poggiare sul ginocchio sinistro. Silenzio. { Ck on }

00:17 Ren:
 Quel ritirarsi brusco dalle sue mani - quello smettila che la ferma, inevitabilmente. La zittisce. Le mani decadono come teste di giglio appassite, lasciano quel nodo a metà - abbastanza stretto da non sciogliersi, non subito almeno. Attenzione? Perchè si sta prendendo cura di lui? Perchè si sente in dovere. Finisce per scremar quel movimento nel nulla, abbandonandolo tra evasioni e pulsioni che non fanno altro che mutare, un degenerar incontrollabile che inevitabilmente, sembra sfuggirle dalle mani. Il controllo è l'apice massimo della potenza e Ren, lo sappiamo tutti, non ne ha nessuno. Non su Itsuki almeno. Il corollario di parole, di movimenti - e lei che s'è mossa piano, che s'è volta a tener le mani impegnate in qualcosa per non doverlo guardare. L'amore. L'amore è un sentimento sopravvalutato ed egoista, come metter il collar a strozzo ad un cane. Non lo comprende, non lo prova. E' più un seguace con la sua inviolabile devozione per qualcuno e qualcosa di più grande. Qualcosa che non ha mai potuto combattere. E allora, l'amore è questo. Chinarsi a qualcun'altro, accettarlo in modo cieco. E se solo fosse così, allora in parte amerebbe Ekazu. Se l'ideologia dell'amore è quella che Itsuki prova per Kurona, allora, non sarebbe capace nemmeno di sfiorarla con la punta delle dita. L'ombra sul viso niveo ristagna, tra parole come fiumi che la trascinano in un fondale di domande. Era amore, o becero sesso? Nessuna delle due è la risposta corretta. E' un misto tra ammirazione e conforto. La cosapevolezza di poter far sparire il proprio viso in quel petto, e non ricevere una sola parola fuori posto. Come le fondamenta di una casa. Ecco cos'è, l'Uchiha. Le fondamenta, e se lei crolla - sa di poter aver ancora qualcosa intatto. Qualcosa che non ha rovinato. Le labbra schiuse però, non sanno dire niente di tutto ciò. Non sanno ammettere paura, ammettere affetto. Non saprebbe nemmeno ammettere che non c'è niente di tutto ciò. Che è stata una scivolata in cui ha voluto strappar di dosso ad un uomo, un sentimento che sia solo per lei. E non importa - non importa che sia solo una frazione di quell'amore che prova Itsuki. I passi nudi sul marmo, il drappo bianco che copre e scopre, mentre finisce per spostar una risma di carte dietro la schiena di Itsuki. Il silenzio è sempre un ottima risposta, dal fronte di chi la guerra fredda la vive ogni singolo giorno. Quanto sarebbe vergognoso dichiarar di non saperlo? Patetico. Com'è patetica Ren, nel suo destreggiarsi tra i sentimenti e le semplici pulsioni fisiche. < Non funziono come te. > E di sicuro, non funziona come /Lei/ - quella dea che lui chiama a gran voce. Il rumore di carta tra le mani che sbatte su un bordo ligneo, rimettendo al suo posto gli appunti di tutta la settimana. Su Ekazu. Sul monte. Su Hanae. Su Kiri. Gli Anbu. Yukio. Tanti segreti che in un tonfo, vengono chiusi in un cassetto. Il tintinnio docile della montatura ripresa dal bracere dell'engawa, lasciati aprirsi con un cenno del polso. < Ho desiderato ardentemente avere qualcosa di mio, per la prima volta. > Non potrebbe capire - non lui. Ha desiderato, Itsuki. E Ren è ben differente da Kurona, è ben differente dallo stesso corvetto e da qualsiasi persona su questa terra. Hai mai visto un oggetto desiderare? Hai mai visto un ameba ambire a qualcosa? La montatura d'oro sul setto, mette di nuovo a fuoco il mondo. Vede quel profilo nevrotico torturar il collo della bottiglia di sakè, rimanendo lì - ad osservarlo. Come se ci fosse qualcosa, addosso ad Itsuki, che la riporta sempre lì. In ginocchio davanti a sentimenti che non riesce a decifrare. Desiderare qualcosa di suo. Guardar una persona e volerla piegare sotto la propria carne. Sotto la propria bocca. La mancina si sfiora, i polpastrelli che prima lo accarezzavano, amorevoli, ora sfiorano le labbra che anelavano a qualcuno, per la prima volta. Non è lo stesso amore. E' come veder per la prima volta la luce. < Se anche solo fosse effimero. Passeggero. E' l'unico uomo che mi fa' sentire qualcosa. Se anche fosse solo desiderio, e mai amore. Gliene sarei grata. Come tu sei grato a me, finchè io sarò il tuo capro espiatorio. > Veleno sussurrato a fil di labbra, stendendo la frescura della notte di primavera ed adombrandolo. Gli sfiora appena la schiena, con le gambe, abbassando il palmo - nel tentativo di carezzargli il capo. Tirargli indietro quelle ciocche nere che pendono sulla fronte. Fiori nei cannoni. Come se confessasse di saperlo, che non sarà mai lo stesso. Ma al tempo stesso, è conscia d'esser il massimo a cui può ambire. La sigaretta tra le labbra le illumina il viso d'un rossore amorevole, dove le efelidi la rendono per autonomasia una creatura elegante. Delicata. Espira dalle narici, lascia la sigaretta pendere per qualche frangente. Quella metà morente. In un certo senso, gli chiede scusa per esser così pateticamente spenta. Priva di sentimenti. Ferro e carne a costruire un cuore che batte stanco, per nessuno se non per vivere. Per andare avanti. Fosse riuscita ora, sarebbe più in alto di lui, a guardarlo da uno spiraglio di ciglia. Le dita tra le ciocche che le ammansiscono, le traggono in trappola, le tirano indietro - e lo lascerebbe andare. < Ma a te... > L'ennesimo sussurro esalato nel fumo, lasciando che quel mozzicone, finisca per esploder nel vialetto. Scintille. Luce. E di nuovo buio. < Da' fastidio. > Cosa, però?

01:24 Itsuki:
 Inspira ed espira, prova riportare una normalità ed un ritmo regolare in quel moto continuo nei polmoni che lievemente era andato ad infrangersi, a sregolarsi, cercando in quel rivedere della mancina fasciata un conforto, una certezza, ritrovandosi poi però in fretta a decadere nella sua convinzione. Non è vero, non è lei, stavi finendo per rivederla in quella sua figura minuta ma no, è un'altra e non è tua di diritto, per quanto tu possa credere diversamente ed essere fermamente convinto della cosa. Ah, se solo tu fossi in grado di lasciarla andare e non lasciarti contagiare dall'atteggiamento dell'altro che pretende che tutto sia suo, se fossi in grado di vedere le cose con la dovuta lucidità essendo obiettivo e non abbandonandoti a quei sentimenti che lui stesso vuole reprimere, cascando infinite volte proprio nei sovracitati ostacoli. Ed è un sospirare il suo, un perdersi nella propria convinzione e crogiolarsi nel fatto che lei non ha avuto quel che veramente voleva che è solo un'esperimento quello che ha provato e che agli occhi di lui è pari ad un nulla, un volersi atteggiare alla donna che ancora non è, un sacrificare della propria secca purezza nell'andar a concedersi a chiunque altro egli sia, senza volersi lui curare di chiunque esso possa essere, ignorando che quel preciso qualcuno è qualcuno di ben conosciuto, più all'altro che a lui, quell'altro che andrebbe a concedersi un commentare del momento <{ Che tenera, agisce quasi per sfregio che per volontà propria.}> e ridacchia truculento per poi andar a lasciar spazio al proseguo delle sue parole, di quel proferire della rossa che lo costringe a ridacchiare di nuovo, mentre la sente sistemar scartoffie dietro di lui < Se funzionassi come me, sarebbe noioso. > direbbe lui andando ad abbandonarsi poi ad una triste verità, un cedere ad un ridacchiare distante ed amaro, una triste verità che non avrebbe mai voluto ammettersi ma che allo stesso tempo è lì, tangibile ed esistente, vera ed impossibile da nascondere alla ragione < Tu... Mi completi... Mi permetti di lasciar che questo odio abbia una valvola di sfogo. > ed è un sorriso amaro quello che poi rimane sul suo volto abbandonando quella risata mettendola quindi in disparte per lasciar poso a quell'espressione e dunque far sì che il proprio tono vada oltre, a proseguire sempre nella direzione della Seimei, permanendo nel frattempo posato su quella mano destra, quasi mormorando con un filo di sconforto, come a volergli far notare una cosa ben precisa, qualcosa che qualcuno che non ha sperimentato l'amore, non può capire < Ed è qui che sbagli, l'amore non può essere tuo, ma solo vostro, sei egoista e l'egoismo non
può essere amore. >
incredibile come lui invee, pur avendo provato ad amare per un paio di mesi e poco più, sia quasi stato in grado di percepire tutto da quel rapporto contorto, un mare di sentimenti benevoli e poi spiacevoli che l'hanno portato a lunghe, lunghissime sessioni introspettive con quel folle Principe a fargli da psicologo, a ascoltarlo silente per poi concedere le sue risposte del tutto fuori da una qualsivoglia sfera benevola, rigettandolo nell'odio e nel malessere generale, severo ed intransigente quando si parla d'amore, seppur lui stesso è succube e sofferente della mancanza di quella Uchiha, del dolore arrecatole. Poi si alza, si smuove andando a scostarsi da quegli scalini e così farebbe per voltarsi osservando ora la Seimei, la Special che chiaramente non lo guarda ed evita il contatto visivo, nonostante lei crede di star a secernere veleno , nonostante sia convinta che Itsuki possa vacillare ulteriormente in quel suo rischiar di perdere quell'unica persona che volente o nolente è quasi costretta da quel lascito a prendersi cura di lui, a stargli affianco, reso forte probabilmente dall'alcool in quella sfrontatezza, le guance lievemente arrossate, tre quarti nella direzione della rossa, dopo che parla, dopo quella distanza e quel contatto con le sue ciocche interrotto, solo però per sperarsi di qualche centimetro e dunque dire < l'unico perchè non hai intenzione di concederti ad altri... Non arrenderti abbandonandoti al desiderio carnale.. > direbbe lui voltandosi in quel guardare quella macchia di Sakè a terra, quasi ricordandosi di aver vuotato tre buoni quarti del contenuto, mosso solo relativamente dall'alcool ma per lo più semplicemente disinibito nel parlare < Cerca di essere più matura.. Avevi detto io e te, insieme.. Lascia che sia io ad elevarti oltre all'ombra di lei.. > e di nuovo una breve pausa, si volta ora andando a salire un solo scalino, vorrebbe provare a prenderle le mani per andar quindi a rimaner lì precisamente alla sua altezza, al quale si sottrarre semplicemente lo scalino in meno, facendoli risultare perfettamente simmetrici in termini di verticalità, concedendo a lei quel gettare della sigaretta ed il tentare quindi di afferrare le sue mani, assurdo come passi dal un'odio affettuoso ad un'affettuoso odio, due facce di una medaglia opposta < Dopotutto, chi potrebbe definirti al di sopra della tua stessa padrona, se non il sottoscritto. > e rimarrebbe lì, con un sorriso beffardi in viso come a volersi atteggiare mo di giudice, lui stesso che riconosce le potenzialità di lei nel poter probabilmente andar anche oltre a quel che era la Kokketsu, ritrovandosi pero poi costretto a ridere di nuovo, questa volta più di gusto di prima, seppur sia un ridacchiare comunque sommesso e truculento, mefistofelico così come avrebbe riso l'altro all'interno < Fastidio..? A me dà fastidio che tu voglia lasciarmi solo, pur non riuscendo a staccarti da me. > e la sua è una convinzione, un poggiare della fronte di lui che vorrebbe andar a ritrovare quella di lei, un pò come quella volta nella forest,a un pò come a voler sembrar quell'angelico demonio che la tenta, che gli mette a soqquadro le emozioni, che deve mettere del suo di marcio nelle convinzioni della Rossa, mantenendo quel sorriso malizioso in viso nonostante gli occhi si socchiudono in quel contorto sentirsi allietato dalla di lui vicinanza. Avanti, Ren, cedi al diavolo e lascia che sia lui a farti scoprire l'inferno, non uno sfogar dei tuoi sentimenti repressi, non un voler trovare dell'altro a causa del venir mossa dai ricordi di qualcuno di preciso.{ Ck on }

12:27 Ren:
  [Estemp.] Come tutto crolla in un secondo; s'è ritrovato ad esser capace di stringerle le corde peggiori tra le dita a trarla a se' come un abile marionettista farebbe con il proprio inanimato giocattolo. L'occhio osserva quella seta lasciarle le dita, le ciocche intrecciate alle falangi la liberano da ogni atto d'amore impuro, incoerente. Eppure non è la stessa cosa che aveva provato con /lui/ - è un mondo parallelo, senza modo d'invertir la rotta alla volta di qualcosa di migliore, ma sempre in corsa verso un baratro che non può dire di conoscere. Rimane in silenzio, per la maggior parte del tempo invero non saprebbe manco come rispondere al fuoco che lui persiste nel gettargli addosso. Ed il vento. Lui si che l'accarezza. Scombina i bordi che paiono rigidi di quel vestito bianco, trascinandone dietro di se le increspature ed i drappi che ricadono a coprirne il ventre pigramente infossato tra le anche. Le gambe affusolate che permangono come quelle d'un milita che risponde al suo maggiore, con le ginocchia rilassate - appena arrossate dal suo continuo star china. Ad annaffiar le piante. A curare il corvetto ferito. Al cospetto di qualcuno, o qualcosa. Ora come ora, neanche lei ha ben chiaro a chi dovrebbe rispondere. A quale verbo imperativo. Brancola nel buio lo sguardo, in un punto impreciso tra il braccio ed il costato d'Itsuki. Con un espressione che barcolla perennemente, ubriaca, dall'esser annoiata e assonnata. Ed invece è vigile, lo è - e chi la conosce - può comprenderlo da una prontezza lampante. Quasi dolorosa. 'Mi completi.' Come può dire parole come queste con tanta leggerezza? Come può rifilarle un posto sul podio trattandola come la propria bambola di pezza da seviziare e poi abbandonare di lato. Le labbra hanno un fremito, lo spettro di un emozione che non è capace a palesare ma che le balugina sul viso come un lampo in un ciel sereno. Il piegarsi dell'angolo verso il basso, come un amabile broncio sul viso di una bambina che capisce di non poter avere la libertà dell'adulto. Vacilla. Siamo come castelli di carta pesta sotto un acquazzone, ed anche se credavamo di esser stabili, ci sciogliamo miseramente. Il voltarsi del viso di lato, l'oscillar di quelle ciocche attorno al mento che permane affilato come la lama d'una katana. Labbra serrate. Il collo in tensione che mostra il costrarsi nervoso della muscolatura. < Siamo creature paradossali. > E l'amore non è forse egoismo, nel suo piccolo? Quando cogli un fiore meraviglioso, destinandolo alla morte - non sei egoista a pensar all'estetismo che avrebbe indossarlo tra i capelli? O nel proprio centro tavola? Le ciglia basse finiscono per brancolare, andare mendicando un appiglio a cui appoggiar le iridi di ferro. Uno sguardo che di sterile, non può aver niente, se è vero che son lo specchio dell'anima - in quegli occhi - si sentirebbe il clangore della guerra. Le urla di disperazione. La mancanza come il vestito più bello che la Geisha indossava. Il sadismo. La fame. La furia. E la necessità impellente, di dire lei l'ultima parola. Sempre. Le mani ad altezza del ventre trascinate fuori dal silenzio, si tocchignava tra polpastrelli e unghie nero lucido, finendo solo dopo - a morir con le falangi nei suoi palmi. Esala l'ultimo respiro di ragione tra le sue parole dove ora vaga, incerta, pronta ad inciampare sulla prima radice d'incoerenza. 'Insieme'. Lo ha detto. Come ha detto che lei si sarebbe elevata sopra la sua bianca signora, come vittoria lì dove lei ha saputo solamente fallire. Le labbra rompono la compostezza, avide d'ossigeno. Come se la necessità di rimaner lucida partisse da quanta aria riesce a rifilare ai polmoni. Come osa? Come osa farla vacillare per mero egoismo? Come osa farla dubitare di poter rimanere al fianco di Ekazu, lei, che è destinata a sfamare Itsuki? Ad esser grande. Il grande narratore di cui queste terre hanno bisogno. Le visioni le spezzano la mente, ed il cielo le crolla in faccia nello stesso momento in cui si china ad andargli in contro. La nuca scoperta solo in parte da quel crollar di ciocche sulle guance rosate, l'efelidi che sembrano amalgamarsi al viso del corvino. E' terribile, il dolore di Itsuki. Come se le sporcasse l'anima. Come se la divorasse dall'interno. E' come se fosse terrorizzato all'idea di lasciarla andare. All'idea che qualcuno possa sottrarla alle sue mani. Come i capricci di un bambino, che non è in grado di sottrarsi qualcosa - un dolcetto, o un gioco. < Smettila di sorridere in quel modo. Mentre sei così terrorizzato dall'idea di perdermi. > In che modo coinciliare il tutto? Non ci riesce. Non ci sono tasselli che s'incastrano e si mostrano prossimi al voler convivere. La destra si scosta da quelle dita, dal suo palmo che ha accarezzato timidamente mentre vien tolto alla sua presa. E' un ripercorrer delle pieghe della giacca nera con le falangi, con la punta delle unghie che si mischia al suo vestiario. Senza incappar nelle pieghe del gomito, risale il braccio. Scivola ad aprir le dita sul colletto, alla volta della nuca. Libera il fianco serrato, ora nudo di protezione - dove il vestito vien trascinato via dal vento. Un illogica perfezione. Un immagine utopica che nasconde sussurri di cui tutti, temiamo la natura. Ma infondo, infondo - la conosciamo. E ci piace. La magra consolazione di un amore irragionevole che ha radici tanto in profondità - da non aver la minima idea di come andrebbe estirpato. Bruciato. Abbattuto. Ci ha provato, lasciando che nasca qualcosa di nuovo. Di totalmente differente. E lasciando che quelle immagini vengano offuscate. Se solo Itsuki non fosse il crudele saltar dei punti di sutura dati ad una ferita sanguinante. Che la confondeva. Forse ha ragione. Forse gli appartiene di diritto. E le dita, tra le ciocche nere, finiscono per diventar l'appiglio di un abbraccio. Un ancora per questo terreno arso. <-- Perchè. Perchè mi vuoi vedere cedere. Perchè pensi che io ti stia lasciando solo.> Cosa c'entra ? Non capisce e la confusione sul viso di Ren, si fa' plateale e struggente. Perchè amare un altro uomo, o provar quello che può permettersi di provare con Ekazu, vorrebbe dire lasciarlo solo? La gelosia, quel seme del male che di spacca lo stomaco. O la possessione stessa, deviata dal pensiero contorto di Itsuki - non la comprende. Sembra per afferrarla tra le dita, ma no. Non riesce. Ed il capo che si scuote piano, contro la sua fronte, issando piano gli occhi a mirargli una gota pallida. La gemella si leverebbe a consolargli nel palmo la guancia, bruciando mezzo passo contro il bordo dello scalino. Sembra scrollarsi di dosso l'incertezza. Il timore. Le domande. La confusione. E lo abbraccia, come se queste minute mani potrebbero stringer i cocci di quel che di lui è rimasto. Del suo cuore. Della sua anima. Rimetter assieme delle macerie, alla bell'è meglio, ed aver qualcosa ancora da stringere. Ogni immagine. Ogni voce. Ogni sospiro. Ogni volta che lui l'aveva guardata con l'aria di chi è pronto a spezzarsi sotto la bocca della donna che per lui, ha occupato ogni minimo spazio. Sono tutte lì. Davanti ai suoi occhi. < Non mi sono mai arresa. > Un soffio di voce risponde a quel voler pugnalarle l'anima. Non ha mai ceduto al desiderio, non davvero. Il capo che si abbassa, scivola lungo la sua tempia, fino a perire con la fronte sulla sua spalla. < Guarda come sono integra. Davanti a te. > Non s'è piegata a lui. Non s'è piegata mai al desiderio di possederlo. Di guardarlo mentre osserva lei, e non la sua Dea. Di depistare quelle immagini, di storpiare la sua mente per occupar il trono di Kurona. L'ha rispettato. S'è rispettata. E gli ha dovuto voltare le spalle, per non sbriciolarsi sotto le sue dita come terra arida. < Lascia che almeno con un altro uomo. Io possa farlo. Io possa esser egoista. Io possa sostituirti. > Anche se non so provare amore. Almeno. Provo piacere. Un canto che suona come una suppilca - se non l'avesse respinta - ora quelle dita sulla nuca cercherebbero ciocche da torturar attorno all'indice. La gira. La rigira. Come una vipera nera che cerca il capo giusto per mordersi la coda. E' un uroboro. E il primo che soffre, è proprio se stesso. La guancia contro la spalla slitta, lascia che la pelle lievemente arrossata da movimenti e parole, a differenza da quella di che fiorisce nel liquore, si leva dal contatto per far scivolar via quei lembi d'affetto che si concedono saltuariamente. L'odio affettuoso. Quale migliore paradosso? Le ciglia calate si sollevano appena ad accarezzarlo. Petto che si posa al suo. Le coscette che sfilano dal contatto con lui in procinto di abbandonarlo per prime. Un abbraccio che vorrebbe sciogliersi, come se volesse nascondere quell'affetto, sussurrarglielo alle labbra - e poi negarlo brutalmente. < Rimani a dormire. Sei ubriaco. > [ck on]

13:58 Itsuki:
  [> ?] Assurdo quanto può essere volubile e capace di piegarsi, come una bandiera in preda al vento dei sentimenti, l'animo umano. Il suo? E' un rimbalzare come una biglia che salta su pelli tese come quelle di due tamburi, quegli stessi che sembrano scandire il ritmo stesso di quel cuore logoro che non vuole più battere, ma che allo stesso non si sforza di rifiutare questo scandire di ritmi diversi, melodie tumultuose che a volte si discostano del tutto in quell'andar verso un lento che si può sentire a malapena, percussioni che hanno del silenzio tra di loro, un tempo talmente prolisso quai da lasciarci con il fiato sospeso tra un colpo ed un'altro, se solo volessimo fermare ad ascoltarle. Involontariamente crudele, lui, fintamente angelica lei. No, non lo starebbe di certo facendo apposta, o meglio, è la sua volontà a muoverlo e non di certo quella di qualcun'altro, l'altro tace e semplicemente si concede un ridacchiar isterico al sentir quel definirli paradossali della pallida ragazza lì davanti al Goryo, che di lì a poco cadrà in quel contatto, in quella vicinanza < Un paradosso non è altro che il collidere di realtà che tra di loro formano qualcosa di affascinante, ineccepibile. > il tono scorre fluido come fosse acqua e viene così pronunciato, quel dire, come se stesse leggendo da un dizionario personale, le rosse si perdono per qualche istante sulla porta scorrevole più in là per poi tornare su di lei, dopo che le labbra si son fermate per qualche istante, accogliendo la vicinanza di lei, concedendogli quel giochicchiare con le smaltate di nero < Sì, suppongo lo siamo. > da corpo a quella frase e conferma quel suo stesso definirsi in quel modo, aggettivi che si addicono sin troppo bene a quelle figure ma che in sostanza vanno a definire un'errore di fondo. Ma non sono gli errori a rendere bello ciò che crediamo perfetto? Non son forse quei piccoli sbagli che vanno a mettere a nudo l'imperfezione di un'opera, a renderla tale? Non siamo macchine e nessuno è perfetto, nemmeno il Ninja più forte delle cinque terre, nemmeno la tecnica più potente di tutte. Siamo umani, miseri burattini di carne ed ossa che non possono far altro che cedere all'annodare continuo del fato, che snoda ed annoda, che sfila ed intreccia andando a presentare le possibilità ai giocatori di quell'enorme scenario ludico che è la vita. Sorride, è vero, lo sta facendo da qualche istante e non lo faceva da giorni e giorni, è raro l'illuminarsi tiepido di quel volto, il piegarsi di quei lineamenti in gioia che solo pochi hanno potuto vedere, pochissimi, seppur ora sembra indubbiamente serenità quella dipinta sul viso, che lo voglia o meno, si sente in un qualche modo bene lì a quella distanza e non vorrebbe ora come ora trovarsi in nessun'altro posto, andando a cingere con le proprie mani i fianchi di lei, un pò più vicino, quanto basta per evitar che scappi, che gli sfugga di mano come un miraggio. E non è amore, no, sarebbe troppo bello e semplice, è un sentimento d'affetto contorto che disdegna la propria stessa esistenza ma allo stesso tempo grida a gran voce pur di farsi notare, di rendersi presente, tangibile, un misto tra conscio ed inconscio ricercar di un''affetto che credeva di aver trovato e che gli è stato portato via prima del dovuto, come un cucciolo al quale non è stato concesso nemmeno di essere svezzato a dovere, andando chiaramente a creare un trauma, come minimo < Il mio non è terrore ma un'essere cosciente... Tu, vuoi perdermi, Ren? > direbbe lui quasi attribuendosi lui stesso lo stato di giocattolo, di un modellino con il quale si gioca p si finisce per giocare senza nemmeno volerlo, quelle cose che da piccolo trovi per strada e finisci per lasciarle lì dove le hai trovate, tentato forse dal prenderle in mano una o due volte, per poi lasciarle lì dopo che ci si è divertiti e dopo essersi inevitabilmente sporcati le mani. È una domanda a cui non vuole risposta, sopprime un singhiozzo mentre il Sakè permane di sottofondo in quel tepore,, traducendosi forse in quel gesto appena grezzo con il quale và carezzandogli una guancia, le dita prima gli scostano gli aranciati dietro all'orecchio sinistro, per poi passar il pollice sulla di lei carnagione di porcellana, l'espressione di lui è quella di qualcuno che è stanco di soffrire, un'espressione che però vien tradita da quella consapevolezza, un luccichio negli occhi sbagliato, una vocina della propria coscienza che gli dice che non dovrebbe strumentizzarla in quel mondo, ma allo stesso tempo non riesce a sottrarsi a quello stesso desiderio, a quell'odo che a furia di riversarsi in lei sta venendo contaminato da un'affetto che esula il contesto normale dell'amore < Sei più bella quando cedi, io invece... > sì, glielo dice con quel tono che oramai si è ridotto a non più di quei mormorii privati tra di loro, l'ha vista sbottare e perdere la propria compostezza cristallina quel giorno tra le mangrovie, così come quella volta alla tenda, quasi un desiderio recondito dentro di sè quello di farla crollare ogni volta, di veder l'animo di lei che vien distrutto per poi lasciar che si ricomponga, che sani le proprie ferite sino al prossimo incontro, solo per vederla andare in frantumi di nuovo, riconoscendo poi quel che è lui, in quel proseguo < Sono soltanto qualcuno che non ha nessuno su cui contare.. > ed è vero, nonostante lei non lo guardi negli occhi, lo sguardo scivola di lato mentre chiaramente il pensiero va verso Eiji, in direzione dei compagni di quel che verrà, ma sostanzialmente su chi può fare veramente affidamento? Su chi è che può contare anche quanto non c'è nessuno da uccidere, qualcuno da far soffrire, ma semplicemente il bisogno di ristorare la propria psiche? Poi ridacchia, mentre ora come ora riesce ad allontanare più che mai il pensiero di Kurona, assurdo come il trovarsi con colei che ha ereditato tutto dalla sua padrona, lo faccia sentire a fratti terribilmente vicino alla figura così come invece in altri istanti è in grado di fargliela /quasi/ dimenticare, di restituirgli un'affetto incondizionato che lo fà sentir bene, per quanto si sà, la droga fa male e sinceramente parlando, in questo rapporto, la tossicità non può che essere alla base < E' tutta apparenza, fuori sei serena ma dentro è tempesta, posso quasi.. Sentirlo. > e ridacchia appena, seppur quel lieve arpeggio è sempre velato di un tono malevolo, di un qualcosa che oramai fa parte di lui, proseguendo poi in quell'andar a mordersi il labbro inferiore, scostare la propria testa da quelle di lei, ebbano e ambra che non coincidono più per qualche istante mentre la mano che gli carezzava il viso vorrebbe portare lei ad alzar lo sguardo, ed allo stesso tempo, chiaramente il volto della Seimei. Sappiamo tutti cosa vuole, vuole che quei proiettili lo trafiggano di nuovo, che il sangue delle sue iridi vada quasi colando dalle orbite, pretende quello sguardo per qualche istante, che lei glielo dia o meno, per lui è una vittoria in entrambi i casi, ma non è lì che vuol fermarsi, perchè sopo un soffio, un sussurro passionale come il seguente < Questa tempesta, vorrei saper che sapore ha. > ed è assurdo come sono le creature più straziate e provate a livello sentimentale, tormentate, a saper essere più romantiche, una carezza suadente e leggera quella del suo tono di voce mentre lui viene quasi attratto come una calamita alle di lei labbra, socchiude appena gli occhi, oramai non è più la ragione a parlare ma quegli stessi che cerca di sopprimere, di abbattere come una bestia livida ed avvelenata, marcia, ma al quale tutt'ora non è in grado di resistere, o meglio, non è in grado di farlo se si trova lì, con lei, ovunque possano essere. Eppure, giunto a quei centimetri, no, millimetri di distanza dalle sottili sue, nel mentre che gli tiene il mento con una morsa a metà tra il dolce ed l'imperativo, percepisce quasi un barlume, riesce a ritornar in se stesso in tempo e a far prevalere la ragione,insomma, evita di andar a far un qualcosa che potrebbe tormentarlo solo di più < ... > silenzio, cade la mano andando nuovamente lungo i suoi fianchi, abbassa appena il viso accompagnando l'altra lungo il fianco, ritornando a pensare a quella precisa /Lei/, la Dea che se ne è andata e che per quanto infame sia stata con lui, per quanto una parte di sè la odi, non riesce ad infangare la sua memoria, è giunto lì per ricordare, non per portarsi via un bacio, non per rubare le sue labbra e mozzargli il fiato, non lo frà, per quanto davanti a sè ha la cosa più riconducibile a colei che amava disperatamente. Il fatto è, come se non bastasse, sarebbero poi le sue ultime tre parole, di quel penultimo periodo, a farlo crollare, a far sì che qualcos'altro si rompa, qualche altro coccio cada a terra, ma questa volta non lì sul terreno, non nel giardino ma dentro di lui, lui che rimane per qualche istante a labbra schiuse e và incupendosi ancora di più < So.. Stituirmi.. > cerca di completar quella parola in una volta sola in quell'esalar doloroso del fiato che vien modellato appena dalla lingua, si sofferma di mezzo in quel tentar di rimarcare quella parola, sciogliendo ogni contatto, scostando la mano di lei dalla sua ciocca nera, prendendola per toglierla ne troppo lentamente ne troppo velocemente, meno affetto e più astio, per poi voltarsi verso le sue cose, verso quella borsa che giace intonsa un pò più in là < Ho capito. > non c'è altro da aggiungere, non c'è nulla da dire,p er oggi sembra quasi accontentarsi di una sconfitta e non ha voglia di continuare a combattere, non ha intenzione di andar a sostenere un'altra battaglia di una guerra, forse ora sono pari, ma lui si starebbe già smuovendo verso la bora, un'automa però, spento e privo di volontà, si muove meccanico in quell'andar a raccogliere la borsa con la destra per così portarla dietro alla medesima spalla e chiaramente volger la schiena verso di lei < E.. Chi non lo è in questo posto? > ubriaco, sofferente, in cerca di qualcosa che funga da panacea per il proprio sentirsi dilaniati e sofferenti, qualsiasi cosa nel quale annegare o velar con vapori il dolore, lasciando che lo sguardo spento e vuoto vada verso la strada dal quale è venuto, non posa nemmeno lo sguardo sui cocci, non si volta, rimane lì fisso immobile e nota solo a malapena lo smuoversi del Chakra verso la mente, l'innata che va ad attivarsi quasi sospinta e forzata dall'altro, che in tutto quel tacere, appare stizzito, capelli bianchi e occhi viola, lineamenti più maturi ed affilati come al solito < Basta così, ragazzina, quest'uomo ha sofferto sin troppo. > direbbe voltandosi con un ringhio misto tra l'elegante ed il severo, solo tre quarti in direzione di lei, uno sguardo purpureo che vorrebbe quasi appenderla lì di fianco alla porta della veranda, se non fosse che con quello stesso tono tagliente e crudele che si spande nell'aria, Eiji andrebbe andandosene senza più dire nulla, si volta e così come sono arrivati, porta via quel corpo dal luogo. È vero, suonava come una supplica ma se si è così convinti da supplicare qualcuno, non si crede forse con tutto se stesso in quel che si domanda? Inutile rimuginarci, inutile forzare quel silenzio che ora si instaura tra le due entità di quel corpo, una figura che scivola adorna di nero e bianco lungo le strade del Tanzaku, lì tra la possibilità di cercar e trovare perdizione senza sforzo alcuno e quella di dirigersi direttamente verso Kusa. Senza ulteriori intoppi. { Goryo II - End }

21:03 Ren:
 Come è arrivata fino a lì? In quale preciso istante ha abbandonato la sua posizione per esser acqua sulle sue mani? Nell'issarsi del mento delle ciocche scivolano lungo il collo, sfiorano pigramente la carotide tesa - i nervi in evidenza che ora si spiegano, come mendica il tocco seguendone il percorso. Le palpebre calano ma per una volta - l'impeto non è nascondere il suo sguardo a lui. A quella brace che desidera consumarla come se fosse l'ennesimo tocco di carbonella; desidera la riflessione. Lavarsi via di dosso la sensazione di aver sbagliato qualcosa lì dove credeva fosse stato fatto tutto nel migliore dei modi. Forse vorrebbe nascondersi dietro quel sipario porcellanato - dove dalla palpebra sorge il triangolo. L'equilibrio. Non è forse lei stessa l'emblema dell'equilibrio? Del coesistere d'intenzioni e reazione, del bilanciarsi tra realtà e finzione al fine di creare qualcosa di meraviglioso, qualcosa di cui non dovrebbe vergognarsi. Ed il fiato trema. Come una foglia in autunno vacilla tra mani e labbra domandandoselo più volte: Sei disposta a perderlo? La domanda risuona e la risposta è lampante. E per quante volte si ponga la stessa domanda, tante volte arriva la stessa risposta. Quel broncio, l'amabile broncio nostalgico che le alberga perennemente sulle labbra asettiche, finisce per fronteggiarlo. Per chiederle cosa realmente voglia. /La verità./ E' l'unica egoistica risposta. Non esiste niente all'infuori dell'unico percorso che potrebbe seguire. Niente all'infuori dell'onore di portar questa corona di spine, finemente tessuta dalla bianca nella sua testa. Ed ogni volta che cade, ogni volta che finisce per domandarsi 'che cos'è l'amore' - la vede con i palmi al muro, a farsi dilaniare la pelle. L'amore è un attesa senza risposta. E' perdere a questo grande gioco. E Itsuki ne è la prova. I legami, nel mondo ninja, son un percorso per funamboli. E lei, regina dell'equilibrio, amante delle altezze, è immobile d'innanzi al suo filo. Incerta se ne valga la pena percorrerlo o meno. Le labbra schiuse, la sua mano che la fa' danzare su un precipizio a strapiombo sul vuoto. E il respiro che nella testa fa' eco. Frustata. Dopo. Frustrata. Il sangue di Kurona, quando ancora era rosso e liquido, a macchiarne le pareti della scatola cranica. A dire il vero ha fatto dei passi, lungo quel filo, e quando stava per cadere, Ekazu l'ha presa al volo. E allora perchè, crede a quel che esce dalla bocca del corvetto? Perchè riesce a piegarne la psiche così facilmente? Farle credere d'esser inadatta è perfido, e talmente facile da risultar un gioco. Labbra e labbra. Gli occhi sfilano il vuoto dal panorama per riversarsi con un tono languido, in quel bracere scoppiettante. Il denso rossore che la illumina. Che l'ha fatta piangere. Arrabbiare. Sospirare. < Ti prego. Itsuki. > Il suo sapore. Le sue ferite. Tutto quello che nasconde e che ha voluto nascondere. Come un mostro dai mille occhi di cui però, ne scorgi a malapena due, socchiusi e stanchi. Perchè toccare queste corde? Perchè voler di lei, sempre il peggio? Perchè deve farle questo? Le sopracciglia fini che s'aggrottano, che vogliono mandar in frantumi la maschera di porcellana che porta sul viso donando spiragli di una frustrazione; Ti prego non andare olte. Ti prego non fermarti. E' criptica a sua volta. Alienata dall'esser chiara o limpida come sarebbe qualsiasi altra persona perchè, neanche volendo, potrebbe esserlo con lui. Lascia che lui intenda, allora, quello che vuole. Ed il respiro sulla bocca, lo scremarsi del viso in un rossore timido. Inesperto. Decretar di qualcosa che vuole, che non vuole, non ne ha la minima idea nemmeno lei. E tutto finisce nell'immediato. Come se fosse una folata di vento, e loro semplici cartacce su un tavolo dimenticato. E' questo che fa', lui. Lo fa' ogni volta. La prende, l'accartoccia e poi la getta di lato. E dovrebbe esserci abituata oramai, lasciando che il corpo che prima era contro il suo - ora soffra quella mancanza che spesso sporcava le labbra di Kurona. Quell'attesa. Ma non sono la stessa persona, e nonostante le ronzi nella testa senza volto e senza voce, rimane lì. Ad osservar steli neri divenire serpi bianche. La notte porta consiglio, dicono. Eppure, per strada, noi troviamo solo intemperie. Le mani decadono come fiori appassiti, e gli occhi lo inseguono - lo trafiggono da lato a lato. < Ogni volta è così. Ogni volta -- Ogni volta scappi da me. > Le leve si muovono, batton i piedi nudi sul pavimento ligneo allungandosi appena per carpir la spalla di quello che oramai, sa bene, essere Eiji. Le ciocche bianche. Gli occhi viola. Il portamento di una fiera che s'alliscia il pelo, e se lo fa' allisciare di buongrado. Le falanci vorrebbero tirar la spalla per farlo voltare. Lo arpiona, tirando da destra a sinistra per poter essegli di rimpetto ancora una volta. A dire l'ultima parola. < So che mi senti, codardo. Sei capace solo di fare questo. Di nasconderti dietro di lui. Di pugnalarmi e scappare. > E per l'ennesima volta a cosa parla? Al suo petto. Alla sua testa. Lo sguardo che oscilla in punti poco precisi tra la camicia e la giacca, cercando in quello che un tempo fu' un grande uomo - brandelli del suo corvo. O almeno ci prova. La mano trema, in frammenti di un nervosismo che l'attanaglia fino a farla urlare. Fino a scombinar quelle ciocche arancio che come fiamme, s'issano sotto la folata di vento. La bocca esangue schiusa per parlare esala un respiro acuto, di quelli strazianti, come se stesse soffocando. < SEI UN BASTARDO ! > Ascoltami, perchè so che lo puoi fare. E l'insulto fende il silenzio dell'Okiya e dove prima i grilli cantavano, ora tutto tace. Il tanzaku sembra essersi fermato, come un battito perso. E il suo di battito, furioso ed accellerato, è lì a risuonarle nella gola mentre parla. Ha sofferto troppo? E lei? E lei non ha sofferto abbastanza? E lei non ha diritto di desiderare di stringerlo tra le mani, soffocarlo se vuole, ma tenerselo stretto? Le dita, come quelle di un'arpia, si ricurverebbero pigramente lasciando che le unghie cerchino quel colletto, perdendo le staffe. Come può renderla così insensibile, lei, che è la personificazione della pietà? Del martirio. Della passione più pura che esista. Il respiro trova riparo in un placarsi innaturalmente forzato, il petto che finisce per ammansirsi, lentamente, lasciandolo andare sollevando entrambe le mani in aria. Sorvolano l'etere, nei pressi delle tempie, guardando quello sconosciuto che ha d'innanzi come se non le appartenesse. Come se fosse solo una macchia, su un quadro veramente stupendo. E in tutto questo, sciocca o brillante, la ragione è in brandelli che le scivola dalle dita. < Parli come se ci fossi solo io. > ... < E poi io, improvvisamente, non esisto più. > Arrivi. Mi confondi. Mi stringi. Mi lasci. Mi dimentichi. E lei che vorrebbe solo viaggiare su una linea ritta, per lo meno, comprensibile. Le dita che s'accostano ai capelli, cercano l'oro tra le ciocche aranciate. Stringono con debolezza quelle serpi color mandarino cercando di strapparsi immagini e pensieri dalla testa. Ma no. Non funziona così, vero? O sarebbe meno divertente. Deve esser un giocattolo per lui. Un brutto scherzo con cui passare il tempo lì dove è annoiato. E realizzarlo, concepire l'idea d'esser incerta, la fa impazzire. Scuote il capo piano, tra le mani, lascia che le ciocche volino in aria disegnando mezzi cerchi discordinati e scomposti. E non dice niente. Sarebbe meglio che anche Eiji stesse zitto perchè, forse, è la volta buona in cui potrebbe perdere il controllo. Scie rossastre su pelle bianca. E le mani che scivolano, tra gli alamari; il collo che curva il capo all'indietro - si muove con una lentezza estenuante. Dal collo. Il petto. Il fianco. Carne come ceramica che si scopre sotto il pallore lunare, lasciando spazio al bordo bianco del pizzo. E come gli alamari abbandonano la loro presa, il drappo bianco cade - esanime. E si muove senz'anima. O con troppa oramai ingollata, avvelenata da un chaos. La risposta ? Non ne vale la pena. Non ne vale mai. Però quelle mani si muovono, sostano solo appena sotto lo sterno muovendo le spalle verso l'interno a mostrar le clavicole che sporgono, come dita sottopelle. Come se qualcosa, la stesse divorando dall'interno. < E se per te non esisto. Se per te sono solo un passatempo. Qualcosa da distruggere. > Le ginocchia si muovono, sfilano a dargli lo spazio d'andarsene. I capelli che si muovono come filamenti di rame, appena scuriti dall'ombra della luna. Non sei niente di rilevante - e dato che è così, che importanza ha ? Che importanza avrebbe avere tanta cura. Tanto timore. Tanta importanza? Se non vale niente, allora, perchè ha tanto riserbo? Ed alla fine qualcosa cade sul pavimento, e non è ceramica. E' il silenzioso tonfo del tessuto, si muove come farebbe una bambola alla quale è stata data la vita per mero capriccio. Perchè tutto questo proibizionismo, se sei solo un giocattolo, Ren? Solo un cubo di rubrik da disfare, roteare - e poi dimenticar per mesi in un cassetto di cianfrusaglie. Il mento sfila, glaciale, finisce per riversare lo sguardo oltre la veranda. Verso il locale dove, qualche damiyo, si sta godendo la musica di una delle sue maiko. Ed il passo rifugge quella che potrebbe esser repulsione. Non le interessa. Non le interessa come penserà di schernirla. Non oggi. Il passo verso il locale. Il pizzo bianco sfoga la beltà di un quadro indefinito. Bianco, rosso, grigio. E gambe tanto lunghe, da poter esser adorate per giorni. E anche nuda, tra le persone, si sentirà a suo agio. Nessuno, comunque, baderebbe all'utilità di vestiti per quello che è solo un misero, patetico, tocco di carne. < Vattene. Lo dico io, questa volta. > [ se end ]

23:35 Itsuki:
 E avrebbe voluto chiuderla lì, mettere un punto alla questione non doversi voltare più. E invece. Un pregarlo di lei, un qualcosa che effettivamente sembra qualcosa di struggente alle orecchie di lui, di loro, per quanto possa adorare il Corvetto, ora sopito, vederla cedere c'è un un'angolino remoto del proprio essere che sì, gli dice che sta sbagliando. Che non è giusto trattarla così, volerla punzecchiare in maniera più o meno greve, ferirla per poi gettar sale su quelle stesse ferite, si è posto questa sorta di quesito più volte, giusto o sbagliato, cosa gliene importa a qualcuno che nel male vede il bene per se stesso? E l'amore non è forse il male che più di tutti di camuffa sotto mentite spoglie? Vincere, perdere, in amore è una guerra persa a priori, bisogna trovar un'accordo di pace si dal principio o sarà solo fuoco e fiamme, una distruzione incessante che arde e sgretola qualsiasi preconcetto, senza lasciar un'affettuoso ed amorevole rifugio, concedendo la possibilità ad un'antro tetro e cupo di essere, a differenza di un qualcosa di considerabile bello. Che poi la bellezza sia soggettiva, che l'estetismo possa essere di contorno, quello è un'altro discorso, però ora non ci sarebbe nulla se non la bellezza dell'odiarla, quell'affetto dall'aspetto disgustoso ma che nel profondo in realtà è solo un groviglio di turbe di un qualcuno che è stato travolto dai sentimenti seppelliti anni or sono, trovandosi poi costretto a sentirli sotto la pelle, di nuovo, a lasciar che quel maledetto muscolo atto a pompare il sangue vada variando di ritmo ai capricci di quei maledetti ostacoli, quei chiodi su camminare scalzi, quei frammenti di vetro nei palmi di mani che si stringono < Pregarlo non servirà a nulla. > è Eiji a parlare per lui, lo conosce abbastanza e può praticamente sentir nella mente di quel corpo i pensieri dell'altro, che spento e distante dalla realtà, finisce comunque per rispondere in maniera involontaria alla Rossa, destato dall'esprimere dei suoi pensieri dello stesso Principe, il quale si sarebbe fermato di sua spontanea volontà, lasciando cadere di nuovo quella borsa, un tonfo sordo che precede il suo voltarsi. Immobile, la fissa, scuotendo poi la testa quel teatrale figuro, sospirando poi con un fare sostenuto, arrendevole nei confronti di quel suo stesso gesto nel desiderare portarlo via, a volte in grado di agire come un buon'amico, altre come un maestro troppo stronzo e severo, esasperato oramai in quello stesso percepire l'astio di Itsuki che andrebbe a metter da parte quel suo sentirsi rotto, il di lei volerlo sostituire. La vuole? Non lo sà manco lui. È giusto che la voglia? Non come crede. È disposta, lei, a perderlo? Non lo saprà mai, forse non gli dirà mai la verità ed è l'ebano ora a rifarsi forte in quel tingere di scuro i capelli, partendo dall'attaccatura scivolando fino alla punta della coda, lasciando che gli occhi, senza manco chiudersi, ritornino di un rosso pari a quello del sangue, violento e rabbioso, la mandibola serrata ed i lineamenti che diventano più androgini, vanno di nuovo distendendosi in quel perdersi nel mezzo, propendendo ne da una parte ne dall'altra, serrando i pugni, distante poco più di qualche centimetro da quei gradini che li separano < E se non scappassi? Cosa faresti?! > ed il tono esce come una vipera, è veleno quello che sibila mentre stringe lo sguardo nella sua direzione, vuole sfidarla, lui non fugge, sono semmai ritirate strategiche per evitare di cedere a quei sentimenti che vuole annegare, per non lasciarsi soggiogare da quello che rivede della sua Dea in Lei, senza nemmeno darle il tempo di rispondere per rincarare la dose, salendo quel marmo con un solo passo, bassi e minimi in quel venir sormontati, di nuovo vicino, a ben pochi centimetri di distanza < Dimmi Ren, cosa faresti eh?! Tu non hai il coraggio di far nulla! > ed è uno di quegli esclamare rabbiosi che però vien racchiuso nella sfera di loro due, è un''alzar il tono di voce quanto basta per fargli percepire il suo fastidio, il suo esser accusato di lasciarla indietro e di non essere in grado di prendersi le proprie responsabilità in quel titillare l'animo di lei, i suoi sentimenti, infervorato ed allo stesso tempo indignato, quel sentirsi dar del codardo poi, quell'agir infame del colpirla e poi fuggire, non lo tollera, visto che se ne è sempre andato per il suo bene. E se sia quello di lui o di lei, il bene del quale si parla, ah, non è facile capirlo, così come non ci è dato saperlo. < Parli tu, tu che dai del codardo a me?! TU CHE SEI SOLO IN GRADO DI FINGERE?! > direbbe con il viso di solito spento, con quelle grinze e quelle rughe espressive di pura ira, andando chiaramente ad alludere ad un qualcosa di preciso, a quel di lei aver provato a sentirsi amata, quel voler sentirsi grande e capire meglio quelle che erano solo immagini nella sua testa, che manco gli appartengono, infierendo in quel'involontario trarla verso se stesso, senza voler effettivamente farla sentire inadatta, in errore, aggrappandosi semplicemente a quel suo sentimento egoista, appellandosi al proprio semplice e banale desiderio di non soffrire, di non voler rimare da solo crogiolarsi nel dolore, di voler avere qualcuno che sia in grado di accettare il suo odio ma allo stesso tempo di allietarlo con una carezza. E non ci sarebbe nessuno al mondo, se non lei, a poter fare una cosa del genere. Ed è una triste verità, forse la base, il fulcro di quel sentimento contorto di bisogno mai espresso di quella Seimei, è lui quello inadatto, è lui l'errore che non sà gestire i sentimenti, è lui quello che ha sofferto così tanto in poco tempo da non voler più provare quello strazio, avido ma allo stesso tempo incapace di ragionar con lucidità quando si tratta di quella maledetta testolina Rossa. Che poi lei cos'ha fatto di male? Tutto e niente. E le iridi tremolano di nervosismo, le corde vocali ancora son calde in quell'essersi concesse un passar più entusiasta dell'aria solita, mentre i pugni si stringono, le nocche sbiancano sotto al tessuto nero dei guanti e lei che gli riversa addosso quell'insulto urlando a sua volta, ritrovando in lui uno sbeffeggiarla, uno sbuffo isterico che è solo l'accenno di una risata l'espressione maliziosa e superba, sembra aver imparato sin troppo dal Kagurakaza < Non dirmi cose delle quali sono già al corrente, stupida ragazzina. > parla come se ci fosse una grande differenza d'età tra i due, parla come se fosse lui un'uomo vissuto e lei un semplice ragazzina appunto, quando a distanziarli c'è ''solo'' un sentimento amoroso di certo non da poco, insomma, esistente da entrambi i lati, ma ben diverso ed incomparabili, ora come ora. Però, lei, sembra averlo capito. O meglio, parla come se avesse scoperto il cavillo più importante, il punto debole di quel castello di carte, di quella piramide imperfetta e difettosa, tanto che lui schiude le labbra in quel lasciar che la sorpresa vada smorzando un'attimo l'astio, seppur le iridi rimangono serrate e ristrette < ... > silenzio in quell'accusare il colpo e volergli dunque volger il profilo, per andar a spostarsi oltre, camminare sul patio, scorrere lungo quella veranda per trovarsi appena dopo la porta scorrevole, una parte di muro, il pugno serrato che và con buona parte dell'avambraccio, il destro, a cozzare contro la parete lignea, un tonfo sordo, l'altra mano lungo il fianco, gli da le spalle, sibila come ad essersi appena scottato < Maledizione. > ed è questo il problema il realizzare che c'è solo lei, è così, perchè non ha nessuno dalla sua, sempre nessuno di tangibile si intende e quindi Eiji a parte, è solo e la cosa lo indispone, lo fa soffrire soltanto ora, non come avrebbe fatto una volta, noncurante e lieto della sua solitudine, ora invece, avendo provato quel sentimento, involontariamente dipendente anche solo da una virgola d'affetto, per quanto sembra non volerlo trovare nelle vie più normali possibili, impossibilitato a rivolgersi ad altre, ma allo stesso tempo incapace di cedere alla lei lì presente < Tu non capisci.. > no, non può capire perchè non ha ancora sperimentato la perdita così come forse è solo agli inizi di quell'accenno acerbo e superbo d'amore, quella finzione che potrà poi far sbocciare una qualsiasi cosa, a lui non importa, scuote la testa e si fà coraggio, si snuda di quella sua stoica convinzione, chinando appena il capo, mentre la mano che pulsa per l'impatto rimane lì sul muro, stretta e serrata < È finchè esisterà il mio dolore, che tu esisterai a tua volta, dentro di me. > perchè lei è stata l'ambasciatrice che ha ritrovato la pena nel portar quella notizia, lei è quella che anche quando non c'è, ogni volta che lui soffre, ogni volta che sente quel vuoto, volente o nolente, finisce per cascare in quel ricordar delle ciocche ambrate, degli occhi di piombo, della montatura dorata, finisce per finire su quelle lentiggini nella propria testa, su quel viso pallido, come a cader nella dolce trappola di fargli credere che qualcuno, qualcuno che magari lo odia a sua volta, esiste, qualcuno che lo pensa, che si possa preoccupare per lui, che si domandi come stà. E non avrebbe mai avuto bisogno di tutto ciò se non fosse crollato tra le braccia della Kokketsu. Se non avesse adempito alla propria vendetta. Se non avesse ritrovato i sentimenti. Ma lei non può capire secondo lui, e non si volterà fino a quando la dritta non si scosterà dal muro per andar con indice e pollice a stringere quei vertici interni degli occhi, sedando il nascere di un paio di lacrime, serrandole lì, lasciando che si asciughino sul tessuto del guanto, in quel realizzare quanto debole sia diventato, dall'aver bisogno necessariamente di qualcuno. Sà vivere da solo, potrebbe tornare a farlo, ma il timore di scivolar del tutto nell'odio, di colmar quel vuoto con tutto ciò che di male possa esserci, è palese dentro di lui, in quel faticoso ritrovarsi dopo essersi perso, rotto in quei giorni al seguito della notizia < Io sono solo distruzione, sono il Caos, Ren, devi tenermi a distanza come una bestia feroce che ti si avvicina solo per goder del profumo della sua preda. > già, glielo ha detto, lo ha detto ora voltandosi solo con il capo,, lasciando che il proprio rosso vada oltre la sua spalla ad incollarsi in quei proiettili di lei, che nel frattempo si è slacciata, ed ha lasciato che il Qipao finisse a terra, in un morbido fruscio. Lui l'ha avvisata, l'ha messa in guardia, gli ha detto come deve trattarlo e che deve dunque tenerlo a debita distanza concedendogli quelle pillole d'odio affettuoso, accentando lei lei sue così come lui accetterà quelle di lei, mentre il Goryo non si smuove, non fino a quando lei si volta, andando ad allontanarsi ancheggiando in quel volerlo abbandonare lì, lasciarlo così come è venuto, da solo. Ma dopo tutto questo, dopo tutte le parole e quello che è riuscito ad esprimere, facendosi coraggio, mentre le corde vocali ancora ardono di quell'alzar di voce di prima, si volta ed al secondo passo di lei ne smuove di ben più lunghi e rapidi, vorrebbe prenderla per il polso, movenze più brusche dettate dall'alcool e da quell'odioso affetto che gli riserva, non vuole strattonarla ma invitarla a girarsi sempre con quel lieve fare grezzo < Resta a dormire, vattene... > si sofferma, cercando di guardarla negli occhi anche se è certo che lei rifiuterà, lasciando che le sue rosse scivolino in basso, verso la superficie sotto ai loro piedi < Dimmi cosa vuoi che faccia veramente... > spento, perso, il tono è rotto e distante, doveva solo riversare in lei il proprio dolore ed il suo odio, ed ora eccolo lì a soffrire come prima, a realizzare soltanto di più di essere un puntino solitario nel mondo e nient'altro < Io ormai.. Non so più che fare.. > direbbe senza aver un posto dove andare, nulla, schiavo del niente in cui ha sempre vissuto, dedito al Caos ed al Male ma privo di qualsiasi tangibile sentimento benevolo, in un non riuscir a concepire se voglia disintossicarsi del tutto da quei cazzo di sentimenti o se invece vuole poterne godere ogni tanto, lasciando il di lei polso con un fare cedevole, sempre che l'abbia afferrata in tempo, si intende. Avanti, Ren, fai la tua scelta, sei libera di scegliere per lui, questa volta. Ma bada bene a quel che scegli perchè non c'è modo di salvare e poi ricaricare la partita, in caso la scelta si riveli... scomoda e non necessariamente errata. { qui non endiamo più }

19:35 Ren:
 Come tutto cambia, quando cambia il vento; c'è chi costruisce muri, chi mulini a vento. Qualcuno cantava queste parole probabilmente pensando proprio a loro due. La rabbia disegnata sul viso giusto l'istante prima, lascia spazio ad un insofferenza tale da penetrarle la pelle ed annullare ogni ruga mimica. Come se l'avesse oramai tramortita talmente spesso, talmente forte, da lasciarla indenne da ogni minima ferita. E rotta. Sanguinante. Si trascina via dalle caviglie quel drappo bianco che oramai non è niente più di uno straccio. S'è strappata di dosso l'anima, non i vestiti. Degradata e denigrata ad esser l'oggetto di poco conto di cui Itsuki ha dovuto sfogarsi fino ad ora. Sirena che romanza le proprie menzogne per cucirsi addosso qualcosa che non ha mai avuto, e che fondamentalmente, non ha mai neanche desiderato niente di tutto ciò. Forse quel corollario d'emozioni che le ha attraversato il petto, forse è Itsuki stesso ad esser stato un defibrillatore per organi vitali stanchi - mandati avanti per inerzia, ordinarietà. Ed ora che le labbra sono schiuse, ora che anche Eiji ci ha donato la sua ultima parola lasciando quel bianco sparir nel nero sfumandosi, come gigli che affogano nel catrame. E lei, come una belva. Come fuoco, che divora il glaciale del suo essere rivelando lampi che, diciamocelo, rimangono rare visioni. L'esser disordinata. L'esser affannata. Il viso che sfuma in un rossore che distrugge il bianco e la lascia così - con labbra fiorite. Con ancora le tracce del passaggio di Ekazu che le hanno segnato la pelle e che, ora, sono oramai quasi del tutto scomparse dalla carne. Ha mentito? S'è raccontata bugie? Sempre. Lo fa continuamente, da quando l'immagine di un uomo - l'ha costretta ad osservare cose che, una bambina, non potrebbe mai veramente capire. E cose, che neanche ora comprende del tutto. Le spalle minute s'incassano, la trasformano in un pettirosso pronto a beccar chiunque, per pararsi i punti vitali. Se solo potesse comprender la meraviglia, lei. La beltà. Il pizzo sulla pelle disegna una perfetta curvatura sul gluteo, lambisce i fianchi come dita strette risollevandosi verso le creste illiache che infossano il ventre. Costole come scaglie d'un drago albino che fremono. Si mostrano, si nascondono, si mostrano. Disegnano paesaggi paradossalmente inesistenti, se non tra le lenzuole della lussuria. La balconette che ridisegna promontori acerbi, nel nero pece. Percorre il suo apice massimo, risultando una fallace coperte dei punti cruciali. E dal pizzo gioca, carne, scuro, velo, rose e spine in disegni che nessuno mai ha veramente osservato. <...> Non ha detto niente, come se l'ultimo urlo - le avesse tolto il fiato dai polmoni che si muovono. L'essenza terribile dell'incoscienza del sentimento e lei - finalmente - è la bambina che non è mai stata. Con i pugni serrati e gli occhialetti sul setto a tintinnare debolmente, allargando e stringendo le narici su un naso minuto, elegante. Così disordinata. Così imbronciata. L'infante terribile che giostra un corpo troppo grande, per esser giustamente rappresantato. Le nocche chiedon pietà alla costrizione della pelle, mentre lui la lambisce. Ed il pugno si fà pigramente più stretto, un tremolio fragile, nevrotico. < Io. > Il pronome le sporca la bocca come se fosse il più peccaminoso dei segreti, rimarca il veleno che lui le ha donato nelle sue prime parole. Come se volesse render noto che non solo lei, è quella che finge. Quella che non è in grado di camminare verso l'altro. Ma solo accanto, da altri lati. Un discorso su rette in via di collisione che, solamente, cercano di procrastinarsi. O che non hanno il coraggio di farlo. Ed il mento ha la sua parata della gloria levandosi verso di lui. Levandosi alla sua bocca come se volesse ricodargli chi, tra i due, batte sempre una strategica ritirata. Chi, tra i due, ha sempre avuto meno coraggio. E gli occhi sono una prigione. Sussurrano suppliche sdolcinate al chiaro di luna; non guardarmi, sono a pezzi. Una tristezza naufragata in un mare di ricordi che si destreggiano male, zoppicando, vorrebbero fuggire. Eppure ora ce l'ha sotto pelle. O è lei ad esser sotto la sua, irreversibilmente. Il piede nudo che si fa' avanti, soleva il polso nella sua mano lasciando morire ogni tentativo di cacciarlo da quella che è la / s u a / okiya, oramai. Il brusio. La musica del liuto. Il rumore di tazzine e sakè che, dalla stanza accanto, diviene un piacevole accompagnamento. Come se volesse ricordarci che non siamo solì, anche se lo possiamo pensare. O sperare. < Io ho sempre avuto il coraggio di venire verso di te, anche quando il tuo desiderio era vedermi in frantumi. Avrei avuto il coraggio di stringere quello che d'Itsuki sarebbe rimasto. Ho avuto il coraggio di cercarti, tra i ricordi, di osservarti. Cercare di comprenderti e di comprenderlo. > Sarebbe stata disposta. Sarebbe stata egoista con lui - prendendo quel viso tra le mani e affogandolo nel proprio passivo ego. La mano si scosta, forzerebbe la sua presa ritirandosi bruscamente come chi non vorrebbe esser toccato. Come il cane ferito che piagniucola e si nasconde, perchè oramai motivo di vergogna. Un muoversi lento del braccio, fosse riuscita a sollevarsi, discostandosi da lui. Dalle sue labbra. Dal suo intero corpo. E sarebbe meglio così, sarebbe meglio calar il sipario su questa tragedia lasciando che il pubblico ci pianga e rimpianga, per tutta una vita. Sfilar di gambe, quelle movenze infami, consolandosi con parole che son ronzii dietro il timpano. Lo sente, come spilli. E ogni volta che lo ascolta, ha la sensazione che stia girando attorno ad un discorso che non avranno mai il coraggio di affrontare. I passi silenziosi si lavano dal dovere di scortarlo all'uscita, o d'esser una padrona di casa cortese. Sarebbe stata disposta ad incassare ogni suo schiaffo, sì. Ma non ad esser un giocattolo da torturare. Da scombinare. Da metter in una posizione come quella di dover scegliere tra stabilità, o chaos. 'Allontanati'. Le sue parole camminano nella mente come alla sfilata dell'abbandono, lascia che le ciglia si rimangino quello sguardo. Quello che prima l'aveva incatenato alla parete di carta di riso. La stessa parete su cui ora le mani posano, premendo appena i palmi per far si che l'attrito crei un grip omogeneo, elegante. < Io ti vedo. E so' cosa sei. > Il tono ricalibra, finisce nell'oblio di chi s'è spento, di nuovo. Di chi ha snudato le zanne e poi piange perdono. Gli da le spalle, facendosi fronte di quella parete bianca dalla quale la luce ocra dell'Okiya vibra di vita propria. Dove le donne sussurrano ancora. Allietano il prossimo. Luogo d'arte e non perdizione. Dove tutto quello che conta è la bellezza. I movimenti. Le parole. Ed il polso che si muove appena mostrando l'ossicino laterale piegar la pelle sotto il proprio volere egoistico. E' come se volesse dirgli di smetterla. Smettila di girarti. Smettila di costruire muri o mulini a vento, appunto, perchè riesco a vedere oltre. E dalla spalla, tra le ciocche arancio, l'occhio con il sigillo triangolare lo inchioda al muro. L'irruenza che non appartiene a questo misero tulipano. Questo personaggio secondario che tra poco, ti sarai dimenticato affogando tra le braccia di un altra donna. La fisionomia allungata dell'occhio che si riversa come una wakizashi, da parta a parte. Smettila di nasconderti dietro ad un dito, Itsuki. Non è più divertente. E la mano fa' scattare l'apertura delle porte che scorrono all'unisono nell'incavo laterale, dando vita a festa, canti e balli fatti con un minuzioso ordine, decoro. La schiena nuda di Ren che si muove. Che decanta un silenzio crollato in un attimo dove si muove lentamente, padrona d'un corpo - e della convinzione di non valer niente. Ma non è la sua ignoranza a vincere, quanto lo sguardo di chi al di la - la vede esattamente come lei vede Itsuki. La vede oltre i vestiti che coprono. Oltre la mascherda di porcellana. Oltre il portamento raffinato, elitario. Ed il mento levato, come la regina d'una nuova terra che non abbiamo mai esplorato. Imperatrice ed imperativa. Fosse nuda o vestita, ora, sarebbe egualmente meravigliosa. Sarebbe egualmente padrona del suo impero d'occhi e orecchie. < Abbi il coraggio di decidere. Io non sono /lei/. Non scelgo per te. > Ed ora, davanti agli occhi di tutti, leverebbe le mani a spostar le ciocche aranciate dietro le spalle, ad accarezzar il collo teso, allungato. Mi dispiace, Itsuki. Ma abbiamo smesso, di giocare sporco. Tutte le carte sono sul tavolo, o le bruci, o giochi con me. [ck on]

22:07 Itsuki:
 Fai pace con te stesso, provaci almeno, per quanto la pace non sia nella tua concezione e nella testa c'è lo stesso Caos al quale aneli, provaci. Anche perchè, se lui non ammetterà ora, rimarrà per sempre un bugiardo e non è forse il mentire più doloroso, quello rivolto a se stessi? Sono attimi dove sembra che tutto si pieghi al volere dei sentimenti, la ragione passa in secondo piano e lunghi istanti di silenzio si frappongono tra di loro, mentre ogni piega è come il voler completare di un'Origami che non ha una forma precisa, o forse ne ha una ma è inconcepibile, utopica quella geometria che non si spiega, non è dato sapere qual'è il risultato finale ma si è in grado soltanto di osservare i lembi dei loro animi piegarsi, dimmezzarsi, sovrapporsi ed assumere quindi nuove angolazioni, una prospettiva che per quanto contorta ha un che di amoroso. Lui? Beh, lui è crollato da tempo e nonostante quel prenderla per il polso, non potrebbe far a meno di sentirsi infinitamente stupido, dovendo combattere contro quei fottuti ed odiati sentimenti, lottare con se stesso tra verità e menzogne, cercare di farsi strada brancolando in un buio nel quale lui stesso ci si è voluto cacciare a forza, dopo che gli è stata strappata la propria luce, scivolando inizialmente, per poi abbandonarsi a quel cader sempre più in basso, ridotto a cercare pezzi di se stesso che ha smarrito per strada. Ed ora, quella lei che stringe per il polso, è un pezzo di Itsuki anche lei oppure solo il tassello di un mosaico dai bordi troppo irregolari e distorti per esser inserito in quella vetrata cupa dell'essere del Goryo? Ammetterà a se stesso che quell'odio affettuoso che gli rivolge non è altro che il tentativo di tenere lontano qualcuno al quale cederebbe, o continuerà a mentire, a nascondersi in maniera involontaria? < ... > tace lui stesso al sentire di quel pronome che gli smuove la voce, gli macchia le labbra come l'inizio di un dipinto su tela che si ferma lì, come se l'ispirazione dell'artista sfuggisse in un'istante, portata via dal vento, lasciando spazio solo ad altri lunghi attimi di vuoto, di nulla < E... > si ferma, pure lui, non riesce a dire qualsiasi cosa che voglia dire, rimane con le labbra schiuse per qualche istante, risollevando lo sguardo da terra in quell'esser disceso nel cercar quel contatto, la guarda negli occhi < Se avessi voluto vederti andare in frantumi solo per aver qualcuno con il quale ricompormi? Dopotutto... > direbbe facendo una pausa nella quale un sospiro vien portato via dalla brezza viziata del Tanzaku e le rubine si puntano di lato per qualche istante, perdendosi nella carta di riso, mentre ancora regge quel polso pallido e sottile, uno scheletro adorno di un bianco abito di pelle, mentre il Qipao era soltanto uno scomodo velo in più, quello che oramai giace a terra, mentre lui continua con quel tono oramai sommesso, distorto quel che basta dal dolore, il trascinarsi di una croce mimato da quelle corde vocali < Come pensi di poter capire qualcuno che si è rotto, se non ti rompi a tua volta? > e non è del tutto sbagliato il suo dire, forse ha agito così si dopo le prime battute di quel delirante romanzo, quel suo odiarla era soltanto un modo per trascinarla a fondo insieme a lui, lui che era convinto che lei non lo avrebbe potuto comprendere, ne ora ne forse mai, perchè non sà cos'è l'amore, perchè ha paura di trovarsi di mezzo quegli ostacoli maledetti chiamati sentimenti ed emozioni. Eppure, mattone dopo mattone, crepa dopo crepa, oramai sembra che al mondo non ci sia nessun'altro se non lei, a poterlo completare, ad essere in grado di stare al suo fianco. Ying e Yang, una metà pallida con una goccia di nero e l'altra nero pece intorbidito da quella traccia di bianco. Chi è chi, quand'è che ci si scambia di posizione, non è dato saperlo. Poi, il contatto vien interrotto, si ritira lei come se fosse una bestia ferita che guaisce in silenzio, mentre lui stesso oramai è lì a mettersi figurativamente a nudo, a mostrar quelle ferite che sembravano starsi rimarginando ma ogni volta che c'è /Lei/, sembrano riaprirsi, perder i punti di sutura e grondar di nuovo, lentamente, come ad attirare l'attenzione dell'unica che - volenti o nolenti - possa medicarlo < Allora... Aiutami a capirlo, perchè da soli è facile perdersi. > già, cos'è lui dopotutto se non il Caos, il vessillo di quell'altra entità che non aveva un diritto di vita, prima dell'intervento del Principe, che non aveva uno scopo oltre alla vendetta personale, se non il divenir un'agente del caso all'invitare di quell'entità dentro di lui, quella personalità diabolica che l'ha risollevato, l'ha fatto risorgere come una fenice dalle ceneri, donandogli un senso, uno scopo da perseguire, l'unica cosa che lo anima, mentre il resto è il nulla. La Yugure, Oto, Yukianesa, la Bicoda. Tutte cose di contorno che appartengono a lui sono in maniera direttamente derivata, una sete di potere che è stata causata dall'arsura delle parole invitanti di quell'altro diavolo dentro di lui, poichè altrimenti, Itsuki sarebbe soltanto un guscio vuoto senza un motivo per vivere. Avrebbe potuto continuar per conto suo, con le proprie convinzioni, ma è finito per innamorarsi e poi.. Beh, sappiano tutti come è andata, tanto fino a questo punto, dove si trovano lì, a respingersi e cercarsi. E gli occhi di lei, che si volta e fa scorrere quella porta, quelle lame di piombo, son belli quanto violenti accompagnati alle parole che poi gli rifila, causando un sussulto al ragazzo che però è solo un breve fremito, è un lasciarsi percorrere da un brivido che è la trasposizione di quello smacco verbale ed emotivo che la Seimei gli rifila, truce e crudele, probabilmente esasperata da quel malcelato tentennare di Itsuki. Non sono forse i mostri, dopotutto, a nascondere nel profondo l'animo più bello ed instabile di tutti? Bisogna solo aver la pazienza di cercarlo, di tirarlo fuori come un diamante dal profondo e lavorarlo sino a quando non diventi in gradi di splendere soltanto per chi ha avuto la cura e la premura di lucidarlo. E stringe le mani, lui era succube della Kokketsu, o meglio, non era in grado di stare al passo con quel sentimento e pendeva dalle labbra di quella figura dai molteplici significati, per il Corvetto, ma ora davanti non ha la sua Dea, no, è la sua ancella quella candida che bardata di sottile nero si mostra al pubblico. E a lui, per quanto sia tutto a metà tra il volontario e l'involontario, non va giù. Mentre in tutto ciò Eiji tace, osserva scostante come esasperato da quel loro inseguirsi e respingersi, rimanendo lì al suo posto quando quello in giacca e cravatta decide di attivare nuovamente - e volontariamente - l'innata, solo il primo stadio, rimane lui al controllo dimostrandolo con il fatto che i lineamenti non cambiano, solo il colore dei capelli e degli occhi, così come non cambia il tono di voce, rimane greve e profondo in quel suonar come un carillon rotto, al quale manca decisamente più di qualche rotella, seppur il suo proferire andrebbe soltanto a nascere dopo il compimento dell'ultimo sigillo tra i tre: capra, drago e cane nel mentre che il Chakra ed il Sangue viene convogliato verso il basso, si smuove verso gli tsubo più adiacenti al terreno, andando a in fretta a ricreare quella barriera distintiva dei Goryo, violacea prigione che non vuol trattenere lì lei - o meglio non solo - ma vuole soprattutto andar in un'atto di trepidante gelosia ad impedir a quegli ignari clienti quella vista, dopo lo scorrere di quella dannata porta. Levategli di dosso quegli sguardi immondi e sudici. Lei è mia. Doveva soltanto ammetterlo a se stesso. Ora dunque, dovrebbero trovarsi lì dentro, in quel cubo che esula le pareti e gli impedimenti del posto conformandosi come e dove può, senza preoccuparsi più di tanto, senza alcuna remora, come lo stesso Itsuki che quindi smuoverebbe quel paio di passi in direzione di lei, soffermandosi per qualche istante, convinto in quel loro spazio privato < Non sono soltanto io a dover trovare il coraggio. Decidiamo assieme, Ren... > di nuovo una breve e drammatica pausa, ben conscio delle parole così come è conscio di non voler star da solo, o meglio, di non volersi allontanare da quell'unica figura alla quale può legarsi, non contano più i ricordi della sua Dea, quanto piuttosto la comprensione di essere così tanto vicino e simile a quell'essere, da non volerla perdere, gli dovesse costare ulteriore sofferenza e dolore, lei sarà lì per farlo star meglio, vero? E lui, forse sarà in grado di far star meglio lei. < O usciamo insieme da qui dentro, o non ci sarà più nulla da dover decidere. > lo dice lì, poco distante da lei, qualche centimetro, mentre lo sguardo cede appena lussurioso nello scivolargli sulle spalle e scende giù langui lungo la schiena, risalendo poi lento, come ad accorgersi di aver peccato, seppur in quella perdizione, quel misto tra l'essere dolce e sentenziare diabolico, come un tetro ed intransigente giudice, non può che lasciar spazio a quella sua macabra follia di fondo, portando una mano, la mancina, a far sì che l'indice si infili sotto alla spallina del pizzo di lei, ci gioca appena, la titilla, tira e si annoda con un paio di torsioni, come a stuzzicarla in quel volerla far girare. Quindi, si aprano le danze, o cali per sempre il sipario, poichè un dramma simile non ha diritto di veder la luce di un bis. { Goryo I -1 ck | Emvolio -5 ck - 5 pv }

01:09 Ren:
 Come s'è schiuso questa corolla? Ha lasciato che i petali carezzassero chiunque in quelle stanze dando foggia di una se' stessa identica ad ogni giorno, ma senza la pelle di ferro che l'avrebbe vestita altrimenti. Come siamo arrivati a permetter ad Itsuki di far cadere quella muraglia costruita con tanto impegno. Con la cura d'una ossessa che nel tempo, ha avuto il coraggio di prender mattone dopo mattone, per garantirsi una sicurezza da quegli occhi che non hanno mai saputo guardarla. E dalle orecchie che non hanno mai saputo ascoltarla. E mentre le parole le carezzano le orecchie, sembra frammentar la propria luce a favore dell'ombra. Scindersi dall'esser imperatrice delle proprie azioni, dall'esser quello che è sempre stata nei giorni precedenti. Non è sciocco? Sentire la propria anima andare in pezzi e vederne i rimasugli proprio sotto quei piedi che pallidamente, s'erano mossi. Giava resa morbida dai fianchi, dalle anche che avevano urlato contro le sue attenzioni ornate da quel pizzo. Il fruscio delle cosce accompagna il dondolio del capo, ma non in risposta a lui. Anzi. E' una risposta a domande che non sono state poste. A pensieri che le pugnalano le tempie e la spingono a piegarsi a qualcosa che l'ha corrosa. L'ha tenuta sveglia. Le ha fatto venire fame. E come respirare per la prima volta, lui è stato il germoglio - l'utopico desiderio di sentire. Sentire davvero. La destra che scivola via dal bordo della porta dove il brusio è oramai scremato lasciando spazio alle parole dell'altro che ora, vibrano in un sottofondo musicale. E' stato egoista, no? E allora risulta il peggiore. Il peggiore tra i bugiardi. Il peggiore tra gli egoisti. Le palpebre scivolano nell'oblio del momento. Dove le sue parole diventano solo un punto distante, presente, ma offuscato da quella matassa impossibile da sbrogliare. E nonostante le dita cerchino una via di fuga da quei filamenti, non ne trova. Come un luogo senza via di d'uscita. < L'ho fatto.> La bocca esala miele, sporco di una tendenza rauca che sa di silenzi mantenuti troppo a lungo. Paradossalmente diversa da quella donna, quella donna che lui si costringe a cercare. Blindato in cose futili ma delizione come dovrebbe essere l'amore. E il purpureo la ingolla al suo primo passo verso l'esterno - dove qualcosa si muove, qualcosa si ferma, qualcosa la nasconde. L'iride che rincorrono quella placenta nero fumè, finendo per arrestar il passo che era devolto all'inferno. La meraviglia dell'imprevedibilità è questa, no? Il veder evolversi un disegno che era bruttino ed indefinito, parando linee guida che solo il tempo rimarcherà con la china nera. Con sicurezza. Con mano ferma. Ed il collo si muove scoprendo solamente il lato sinistro della spalla e della nuca, lì dove la pelle la ricopre - vien baciata dal roseo del colorito. Le labbra persino sembrano acquisire sangue in questo luogo senza luce - dove il pallido dei sakura, sembra esser soffocato dalla presa degli incisivi. Il delicato rossore che si sfuma sulla bocca mentre sta zitta. Come un ragazzo, un misero chunin, possa farla tremare in questo modo. Come tutto sembra piccolo davanti a lui. Persino lei, persino quello che vorrebbe e quello che deve fare. E pensare che ci dovrebbero esser più motivi per recidere questo filo rosso; il lavoro, la propria posizione, il proprio esser nuova a vestire un ambizione peculiare. Probabilmente un futuro nemico pubblico. E' come se qualcosa le stesse facendo bene, ed al tempo stesso, un male terribile. Come le sopracciglia disegnano al centro della fronte amabili rughette - gli occhi che si strizzano a voler affossare il piacere dentro il becero ribollire di doveri. Nulla. Non ne rimane nulla. < ... > Solo respiri, respiri che finiscono per essere centellinati - trascinandosi l'essenza Seimei. Come se potesse controllar la vita, oltre che percepire la morte. Le dita smaltate di deno della mancina si sollevano andando a coprirsi il viso con il palmo, puntar i polpastrelli ad altezza del terzo occhio. Affoga, se lo desideri. Lasciati cadere e calpesta i fiori che ti si sono intrecciati alle caviglie fino ad ora. Come se ogni momento, ogni istante. Alienarsi non è difficile quando hai estremamente paura di cosa possa, o meno, accadere. No? E mentre lui s'avvicina a sussurrarle ancora qualcosa, mentre la sfiora con la punta delle dita - la pelle s'accende come umili servitori sotto il tocco del loro padrone. Ne mischia le molecole obbligandola a schiudere le labbra - senza emettere il minimo suono. < Odio il fatto. Che mi tremare così.> E' l'unica manciata di sillabe che riesce ad uscirle dalle labbra - e il drappo di pizzo che decade sotto quella tortura. Ammorbato d'attenzioni, scansato dalla spalla percorre quel promontorio finendo per morire oltre la curvatura. Le clavicole disegnate a sporgere, definite. Come se fosse un marmo con il gusto degli uomini dell'estremo nord. Dove le efelidi sembrano volerla coprire da lui - voler nascondere il sospiro che emette ora. Nascosta. Non ha nemmeno mai vestito i panni della gelosia, non ha nemmeno mai immaginato di poterla provare sulla pelle. Il distorto canto dell'amore, le strappa di dosso ogni possibilità d'esser felice. Oramai all'altare delle bugie ha chinato il capo, l'ha sfregiato con parole d'amore - come se fosse uno sputo. O un bacio. E l'osso sacro indietreggia ad accostarsi a lui, a trovar nelle sue braccia un rifugio di cui ha terribilmente bisogno. Si vergogna. Si vergogna terribilmente tanto. Si vergogna anche d'esser scappata via da lui, sfregiandolo dandosi a qualcun'altro. Qualcuno che doveva star al suo fianco e che invece, ha saputo elevarsi. Non è capace di gestire tutto. Non è capace di gestire niente, di questi meravigliosi e macabri scenari. E allore perchè, le sue dita sulla pelle, la fanno tremare così? Il petto pallido si solleva in piccole scosse. Le costole che si mostrano, come corde d'arpa. < Ti odio. > Lo sussurra con le labbra solo appena schiuse - che si muovono tanto impercettibilmente, da apparir ventriloquo. Gli occhi che si aprono lentamente a gettarsi nel vuoto, la mano che prima sostava sul viso si scosta come se fosse vittima della peggiore delle sconfitte. Ed il capo riveste il petto d'Itsuki di ciocche ramate, mozzate e lisce tanto che sembrar fili di seta. Ti odio. Ti odio. E quante volte se lo ripete, tante volte potrebbe finger di crederci davvero. Osservandolo con il mento issato, dal basso. Un osservar vacuo. Arreso. Un osservar sconfitto che si spezza lentamente mentre la spina dorsale si plasma al suo tratto. Lì dove era passato, si forma un minimo archetto giocando con lo stesso elemento che lui ha voluto chiamar in causa. Riversando in quei movimenti un controllo pragmatico, una visione infame - quanto dolce. < Non voglio esser un ombra. > L'ennesimo commento appare come un contratto. Come qualcosa che ha dei confini da non oltrepassare. Non vuole quell'appellativo. Non vuole esser paragonata alla sua signora, alla venerabile e mancata geisha bianca. E mentre la destra s'abbassa, il metacarpo va' verso quello gemello d'Itsuki. Le dita tenterebbero d'intercettarlo con una delicatezza immane. L'indice. Il medio. L'anulare. Carezza il palmo in modo distratto, lo tira a se - al suo fianco. Ad accarezzar la pelle, e poco più in la il ventre. Lo sterno. Lo acclama e reclama, come un gatto viziato che decide lui - quando inizi, e quando finisci. Lunatica. Pelle che lo accoglie, lo sfiora. Del resto i cocci d'Itsuki, sono difficili da rimettere assieme. E forse, ora, vorrebbe solo aver la certezza di poter non esser un fallimento. Di poter non essere solo una misera ombra, lei, che ha sempre allungato le dita in direzione del sole. Forse vorrebbe sentirsi dire che è la cosa giusta, quella che fanno. Ma come potrebbe esser sbagliata, ora? Come potrebbe errare il desiderio di correre in direzione di una luce, che come una falena, l'ha sempre bramata in primo luogo? Corone senza fregi di regine senz'onore - affilate ed ora sciolte. Il lussurioso servizievole che potrebbe voltarti le spalle l'attimo dopo. Lo cerca. E sarebbe riduttivo dire che lo cerca lei, per la prima volta. Da sopra la spalla, dove le ciocche son state scansate. Dove la mano cercava d'intercettare la sua. Come se s'aspettasse di trovarlo lì, pronto a dire la cosa giusta a differenza sua. Che sbaglia sempre. < ... > Dillo. Di quello che io voglio sentirmi dire. Di che non è così terribile come sembra. Si levano su di lui, gli occhi. Il grigio. Il rosso. L'ossessione. E la fragilità. [ e n d - p u b b l i c a ]

"Come tutto cambia, quando cambia il vento; c'è chi costruisce muri, chi mulini a vento."







Io.
Non commento.