{chp 1} tout est gore

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con Ren

16:55 Ren:
  [Genjutsu] Scivolare nel sonno è come lasciarsi cadere sul bordo di una vasca piena di latte tiepido; le palpebre pesanti, le membra stanche - e prima che tu possa rendertene conto le voci sono un eco lontano a cui riesci a badare a spazzi, all'inizio, solo per poi lasciarle svanire nel nulla. Oscurate dalla dolcezza del nulla, della quiete. La frescura del lago e l'odore d'acqua ristagnante tramutano debolmente - come un pennello carico di colore che lascia spazio ad un tratto annacquato solamente. Dove mi trovo? Il primo pensiero è sempre questo, al risveglio, un copione recitato male da un attrice pessima. Eppure nella stanca in cui la sua mente viene proiettata, può avvertire l'aroma d'incenso a coprire l'odore di umido. Di muffa. La finestrella a qualche metro sulla sua testa proietta un fascio di luce incerto e tremolante a metà della stanza, dove tutt'intorno l'ombra sembra scremata da un lampadario a pirofila troppo sporco per riuscire ad illuminare davvero. <...> Espira. Espira. Espira. Cos'è questo dolore al petto, e per quanto ancora si porrà delle domande? Cosa, esattamente, le sta regalando Nemurimasen? Improvvisamente s'accorge di muoversi, senza la coscienza di farlo. Movimenti lenti e stanchi che si tirano dietro il pigro clangore di una catenella collegata ad una delle caviglie. La osserva, o meglio, dietro gli occhi della protagonista la Seimei s'adagia - senza aver modo d'intervenire. Uno spettatore esterno, come un film vissuto in quattro D. Se solo potesse parlare, ora, urlerebbe. Lei che è sempre composta e inarrivabile, darebbe letteralmente di matto. E invece ora tace, dietro labbra rosso sangue e capelli neri come la pece. Tace cercando di decifrare un messaggio arcaico che le pungola il cervello. "Sta piangendo, mia signora". Il cadere di timide gocce in terra le riga le guance e la sensazione d'abbandono le attanaglia il cuore. E nonostante ciò, non comprende. Non comprende dov'è esattamente e cosa sta succedendo, eppure sente di saperlo - in fondo in fondo. Un sentimento annidato come la peggiore delle nefandezze. È lo scantinato dell'Okiya, dove Kurona - tanti anni prima di esser la geiko bianca - veniva messa in castigo durante le insubordinazioni. Una brandina bianco sporco ed un cuscinetto nero sul bordo d'un quadrato claustrofobico dove Ren, dalla sua posizione, già si sente soffocare. "..." Zitta, ad ascoltare il pianto divenire un ringhio gorgogliato alla base della gola, e poi un urlo. < Kiryuu ! KIRYUU ! > Lui, quella metà di cuore incomprensibile. Quella persona a cui lei si aggrappò con gli artigli, a discapito di sanguinare, pur di avere un briciolo di speranza. E amore. Lo ripete come un mantra, sperando di sentire la sua voce fuori da quella finestrella. E lo chiama. Lo chiama. Ma perché non risponde? Perché se è il cuore a chiamare, non c'è mai nessuno dall'altro lato? E lo strillo le porta la mano alla gola, dove la saliva sembra acido pronto a bucarle la trachea. O forse è solo l'aria stantía. Lo sente, passivamente, quel dolore. Quella disattenzione del prossimo che ti tratta come un pezzo di carne di buona, o cattiva qualità. Il giudizio del prossimo è sempre severo e anaffettivo, del resto. Come potrebbe essere altrimenti per Ren? Come può comprendere quella ragazzina lasciata sola? Vorrebbe prenderla a schiaffi, effettivamente, e ricordarle chi è - o meglio - chi sarà da lí a pochi anni. Non aspettare, Kurona, non arriverà nessuno per te. Quando la penombra si sfuma nel color ocra tipico delle candele - quella mancanza finisce per divenire il condimento dell'odio. Batte. Batte. E la pelle si spacca come quella voce, rivolta pietosamente ad una misera finestrella. E lascia lo spazio ad un pianto continuo, singhiozzante, disperato. E neanche riesce a veder in faccia quella donna - quella che dalle spalle di Kurona, non è altro che un ombra informe e defunta. Le mani ed i piedi allargati. Il capo chino perde sale e ragione. Perde speranza e amore. E tutto quello che perde, ne siamo sicure, lo ritroverà sul suo cammino.

17:52 Ren:
 Se solo lei fosse il Sole, Ren vestirebbe i panni di Plutone - anzi, che dico, sarebbe un ostrogoto pianeta in una galassia parallela di cui ancora, non conosciamo nulla di concreto. Sembra che tutto sia in procinto di sparire sotto le sue dita, annegando la mancanza in un bicchier d'acqua limpida - ma che ai suoi occhi risulta ancora torpida, grigiastra. Il passaggio da un ambiente ad un altro ha un che di traumatico, gli occhietti inseguono corridoi macchiati dal baluginio di torce che s'allungano come dita. Come ulivi privi di margini. Non un suono, che non sia lo sferragliare di qualcosa ben lontana dagli occhi sonnolenti che si ritrova a rivestire. Stanchezza. Una stanchezza innaturale che, sinceramente, non può dirsi di aver mai provato. "Dove siamo?" La domanda sorge spontanea, come spontaneo viene il corollario d'emozioni; qualcosa fende il corpicino gelido steso su una lastra di pietra, bloccato per maniglie e polsi - il pizzicore del freddo sulla pelle. L'odore dei laboratori era qualcosa d'inconfondibile per la bianca, così come esser amica di ombre che si limitano a barcollare nel limitare del buio. Passi sicuri. Bisbigli da dietro le porte. E meno comprende, più questo la rende nervosa - uno svanire progressivo si quel senso di sonnolenza che lascia spazio ad un incoerente senso dell'ansia. Le spacca lo stomaco il terrore, sì, ma di che cosa? Il muoversi furioso di quel corpo pallido, coperto solo da un lindo lenzuolo bianco e dal silenzio s'issa l'urlo di un infante. Il vagito che viene da quella stanza è l'unico atto di amore, di quell'amore furioso che corrode l'anima. Il tramonto dell'ansia s'annoda con il calore di un misero verso. Come può, la vita, dare tanta speranza ad un tocco di carne da macello? Lo sdegno di Ren è solo uno spettatore ignorato nello sciornarsi di episodi. Una nullità. Un narratore. "Fermati, Kurona. Non ti stanno ascoltando." E' solo un commento che nessuno ascolta, mentre delle mani s'accingono a slegarla, a tirarla su di peso dai bicipiti trascinandola su un banco di ferro forato. < Sei contenta? > La voce della donna al suo fianco, rimane solo questo. Una voce dal viso offuscato e dalla montatura squadrata con un riflesso tanto forte, da obbligarla a schiuder quei pozzi di brace. E' ancora frastornata dall'operazione subita, e dagli occhi -continua a veder uno strato opaco, come aflitta da cataratta. Il getto d'acqua tiepida sul corpo le contre i muscoli, la spinge a stringer piano le spalle. Le cosce. Persino il ventre - da cui parte una fitta lancinante. E' Ren che cerca di piegarsi, toccarsi il ventre - rantolando senza emetter rumore. Ma nulla, in Kurona, si muove. < E' un Uchiha. Come avevamo pianificato. Dovresti esser contenta. L'esperimento è riuscito. > E' riuscito? E allora perchè è così triste? Il muoversi del carrellino su cui è posta s'accompagna al suo chinarsi con il capo di lato, cercandola. Cercando quel corpicino innocente e pallido. Quegli occhi rosso fiamma. Le ciocche d'ebano che si sciolgono con l'acqua passata sulla fronte, sudata, tirandosi indietro. < {Dov'è?}> Piangente, finalmente parla. Un filo di voce rotto, affogato tra gocce saline che le rigano il viso. Dov'è? Dov'è quel corpicino? Dov'è mia figlia? Inspira a fatica, ma il fiato per cercarla c'è. E lo fa in modo disperato e patetico, fino a vederla - alla base della stanza. S'istinto si alza appena la vede, lascia che i quadratini posati sul petto acerbo si strappino nella mossa. Come si ama, un frammento di se' stessi? Cosa si prova ad esser madri? Non capiremmo. Non capisce neanche la Seimei, nel suo tirar un sospiro di sorpresa. Di spavento. <{LASCIALA!}> Lo strillo smuove la camerata dei laboratori Uchiha, molti dei genetisti dell'epoca - ambivano a ricreare il gene perfetto. Molti, invece, ambivano a trovar il metodo meno dispendioso per ricrearne una perfezione nuova. Soggetta alla perfezione del venerabile Sasuke, ma rinnovata. <{NON TO-CCARLA!}> Ed ogni sillaba strappata ad una gola arsa, è un centimetro che le strappa quella creatura alle proprie mani.

09:46 Ren:
  [Riva del Lago] Quando arriveranno i momenti gioiosi? Quando arriverà il trionfo? Lo sfumarsi dei freddi laboratori, delle urla di Kurona, lasciano spazio al silenzio più tetro mai sentito. Una stanza devastata dove la Seimei, si trova ad osservare solo un punto di vista. Tacendo.
Una tela fatta di acquerelli, il viso rigato- e man mano che scendono, lasciano una sfumatura sempre più lieve. Fino a scomparire in fondo alla guancia. E quindi, è questa la cattiveria. Potrebbe macchiare ogni sua lama del rosso del sangue, eppure, eppure non si sentirebbe tuttavia abbastanza sazia. Forse è così che nascono i figuri che più di tutti hanno fatto del male. Forse è così che nasce la cattiveria stessa. Per eguagliare il dolore, che mai ti sembrerà eguale. “Mozzateste” dal sangue incrostato sulla lama dall’ultima battaglia al Tanzaku-Gai, riposa come un amante stanco tra le lenzuola bianche del letto, che riflettano il calore e la facciano sentire coccolata durante le notti in cui, parlando chiaro, mai riposerà davvero su quel letto. La schiena si ricurva, i capelli disordinati discendono il viso incorniciandolo d’un pallore che sa di decesso- non solo mentale, ma anche fisico. Ed è lo stesso pallore che l’avvicina ad esser non troppo diversa da una creatura eterea. A tratti così forte da incutere timore. A tratti così debole, da seminare pena, pena e dolore. Tira su con il naso in un moto di silenzio, richiude le labbra e posa il viso sulle ginocchia raccolte. Ciondola, s’abbraccia—alla fine, ci siamo solo noi, per noi stessi, no? Le manine decorate da quel motivo a spirale d’un rosso acceso, tengono strette le ginocchia al petto e le permetton di dondolarsi, cullarsi lentamente, contro la parete fredda, così che narcotizzi la furia. E la lasci, solamente, spompata. Come un guscio vuoto. E forse sarebbe stato il momento più opportuno per accovacciarsi, stringersi a se stessa, come il vano tentativo di raccoglier le schegge di quel che è rimasto di Ruko. Di Kurona. Di Icaro. E sprofondare nel sonno che dura giorni, giorni interi di silenzio che provengono dalla stanza di Reclusione. Ma il tip tap dei passi, ne celeri, ne così lenti da manifestare il desiderio di non farsi sentire, rimbombano sul legno della porta spaventandola. E’ Yukio. E’ Yukio e la vedrà un’altra volta in queste condizioni. Potrà sentirlo anche zero ventuno, uno scatto dietro la porta come se la sua presenza fosse stata ben notata da qualsiasi bestia si celi nella stanza. E’ come se stesse arretrando contro la parete opposta, in cerca di un angolo in cui infilarsi come un dannato ragnetto, dove nascondersi e non farsi vedere. I piedi che scivolano sul terreno, le mani che si posano sulla parete parallela alla porta, a nascondere il viso, a rannicchiarsi a terra. Più bestia che donna, fino a ficcare le unghie nella parete e tentare di scavarci dentro, lasciando solo unghiate nere, di sangue. Il cigolio della porta, le arresta il cuore. <…> No, non lo guarda. Ma percepisce il suo odore. Non è ne Yukio, ne Totoro. E nessun’altro si permette di entrare quando lei è dentro. La canottiera strappata su ambo i costati, lievemente sudata, s’appiccica e arriccia sui fianchi, calando dalla spalla destra. Così minuta- così fragile. E’ ossidiana nelle mani del fato, e più i giorni la levigano, più sembra sgretolarsi. Rendersi debole. Così debole, da vergognarsi. "Mi ricordo questi giorni. Sparì dall'Okiya per molto tempo." Il brusio inesistente di Ren, niente più di un pensiero ad accompagnare la scena, lascia spazio ad un cambio di prospettiva dove, dall'altro lato della stanza, c'è oramai uno spettro nero e bianco; Katsumi? Può essere lui? Ricorda, ora. Ricorda l'ossessione della Geisha di tenerlo sotto controllo. Il fiato strappato al suo petto quando, quel bambino, riportava in ogni sua movenza a quel che Katsumi, qui, stava diventando. < Mi piace...tantissimo...> ...< La tua tela, è più bella di quella volta. > La tela. Che tela? Ren nella sua psiche, si ritrova davanti un intimo spettacolo - quel prurito. Il grattar psicotico della follia che l'ha resa Icaro, chi voló troppo vicino al sole. E lei, che realizzatasi essere burattino di un uomo, suo padre, affoga nelle voci che le starnazzano in testa senza lasciarle respiro. Contusa. Graffiata. Come un passerotto dalle ali rotte che non fa' altro che saltellare. E allora perché, Nemurimasen? Perché tutta questa affinità, per poi abbandonarsi? Mentre lei piange tra le sue braccia, lui, sembra in un bilico tra il volerla distruggere, o risanare. Ma alla fine, chi siamo noi per definire che questi non siano sinonimi? Quasi può sentire il petto contro la guancia. Il battere del cuore. Un calore differente, da quello che sentirebbe Ren. Come vestire una pelle nuova. Tra le sue mani, tesa come la corda d’un violino che scivola, emettendo solamente immane dolcezza, schiude le labbra. Rosse come il vino speziato, in un movimento rapito, dall’immersione nei pensieri che fanno risuonare la voce di Katsumi come quella d’un pifferaio magico. < Non ti abbandonerò, questa volta. Neppure quando pregherai per farla finita..ti risponderò. Andrò avanti..ripassando la tua tela come più..desidero. > La voce di Katsumi, di Nemurimasen, di quella creatura - e le sue labbra. In qualche modo, sembra stia parlando a se stesso, e non alla bianca signora. Quella bambola che stringe tra le mani. E questa promessa, alla fine, l'hai mantenuta? Si ritrova prigioniera, sotto le sue labbra - e di nuovo colta dalla pesante. Il sonno. Oh - no, ci risiamo.

10:03 Ren:
  [Riva del Lago] E la stanza a scacchi sembra volarle via dalle dita lasciandola con una macchia di stupore sul viso; ci fu qualcosa tra l'insonne e Kurona? Nulla che Ren potrebbe capire solo vedendo o percependo qualcosa dal petto di quella donna. Il conforto nell'abbandonarsi alle braccia di qualcun altro, alle sue cure, alle sue decisioni. In parte capisce la leggerezza, certo, ma perché lui? Perché un rapporto così discordante? Scuote il capo, metaforicamente - trovandosi a riaprire gli occhi nella magione dell'hasukage. Alla fine, qui Kurona ha vissuto al fianco di suo marito per anni - facendo capolino all'Okiya una volta ogni tre giorni. Conosce già quel rapporto, conosce già molte cose del passato della sua signora - eppure questi ricordi, sembrano tutti delle novità. Forse perché li vive dai suoi occhi? Forse perché, li vive nella sua pelle - come se fosse ancora vicino a lei. Quando le labbra livide di quel giglio che lui addita come "dea" si schiudono, la gola ha un sospiro mieloso; la pelle si tende lungo la gola disegnando un solchetto proprio all'inizio del petto dove una nicchia di sangue scivola, riposa. Era così bella, prima di esser marchiata dagli inferi. Prima di sentire il male sotto pelle crescere - come una fame che non sai sfamare. E' una dea? A quella domanda non sa rispondere - non lo fa. Se solo sapesse, itsuki, quanto male ha creato Kurona. Quanto ha giostrato. Preteso. E' una di quelle donne morbose - dall'attenzione meticolosa per quel che è proprio e quello che invece /deve/ esserlo. <Lo sono?>...<Di più.> Malliflua, quel mezzotono si mantiene. Al pari della più infame tra le carezze. <Cosa pensi che io possa essere, per te?> Una maestra. Una madre. Una fidata. Una guida? Come un velo di ghiaccio le ciglia bianche si abbassano e sostano sul suo viso, incoraggiandolo tacitamente a parlare. Ed il ribollire del tabacco accompagna un tuono, le spezza il viso in un lampo livido che ne accarezza la carne. < Una Dea, un'entità, un'eremita... Potresti essere anche il Rikudo Sannin, la leggenda, ma al momento io posso vederti solo come qualcuno che può darmi un potere che difficilmente otterei in altre maniere... Sei il diavolo? Chi lo sà, ad ogni modo, sono certo che dovrò darti qualcosa in cambio... >...<Ti prego Itsuki, non pensare che la pericolosità di una persona venga dal suo grado d'umanità.> Le labbra color del vino si appoggiano di nuovo una contro l'altra, cercando il suo sguardo nella stanza. Seria ed al tempo stesso, sinistramente divertita. <E' proprio la mia umanità, la parte di me da temere. Proprio il mio esser fragile. Proprio la mia capacità d'innamorarmi. La mia capacità di soffrire.> Quella nicchia all'angolo delle labbra si solleva, crea una grinzetta scolpita - una fossetta adorabile. <Perchè credimi. Ogni palpitazione di questo cuore nero, che sia d'amore o sofferenza, può darmi l'impulso sbagliato. E più sono devastata quì -- > L'indice, soave, picchietta due volte sul suo cuore. < Più faccio in modo che sia devastato anche il terreno che calpesto. > Chirurgica, quando spiega - si sposta, lasciando l'opuscolo sul tavolo. Fruscio di pelle e vestiti che si sposta dal centro della camera - di nuovo verso la porta. < Sìì umano. Ti rende instabile. Imprevedibile. E questo, fa paura. > E lei, quel pettirosso - ha un fremito al centro del petto. Umani? Si, maestra, ma cosa vuol dire in realtà, essere umani? Non è forse, da quel che denotiamo, essere volubili e fragili? Soggetti d'abuso. Distrutti e ricostruiti in un modo così arcano e cosi... Affascinante ? Se è questo esser umano, allora temo di non volerlo essere, o forse - in qualche modo - mi parrebbe di esserlo già stata. In una vita passata che posso sfiorare solo con le dita. Ma non lo ricordo. Non ricordo niente.

10:26 Ren:
  [Riva del Lago] [A5]
È come esser legati ad una sedia ed esser costretti a guardar il film della propria vita - e come potrebbe rimanere insofferente a tutto quello che le passa davanti agli occhi? Gli ultimi brandelli di un piccolo Itsuki, di un amabile corvetto con il capo chino davanti alla sua maestra, sua madre, sua amata - svaniscono come sabbia umida tra le dita. Un alone d'incomprensione per un rapporto che è iniziato in modo deleterio ed è finito anche peggio di quel che si poteva aspettare. Sembra voler prendere un respiro. Chiudere gli occhi. Come se qualcosa di stancante la stesse affliggendo dentro - e continuando a pugnalarla. "Esattamente, mia signora, a cosa mi servirebbe questo?" Parole che non lasciano la bocca di Ren, alla volta dell'insonne- ma piuttosto vorrebbero raggiungere quell'anima. Quell'esistenza contorta come un nodo a lisca - che fu la Beta dei Kokketsu tanto tempo fa'. Una kunoichi in ritirata dal suo stesso mondo. Alone bianco di discordia, di beltà. Si strugge per comprendere la volontà, ma a dire il vero, la risposta sembrerebbe delle più semplici esistenti: Per non morire. Vivere nei ricordi di qualcuno, è pur sempre l'unica scappatoia per l'immortalità, escludendo l'esserlo fisicamente. Perché viver due volte, effettivamente, s'è oramai la vita stessa t'ha consumato? Come un abbraccio troppo stretto, lei s'è gettata tra quelle fiamme - e loro, di tutta risposta, l'hanno corrosa. Quando le palpebre si riaprono, come se un secondo facesse la differenza - lo scenario è completamente diverso. Nuovo. Il vecchio tempio Kokketsu è pregno di estetismi in riferimento allo yomo-tsu-kuni; Il mento si leva, l'aria sembra profumare di ferro. È tutto viola, nero, verde. E l'effige pentacolare dei maestri del sangue nero è l'unica immensa ombra tra le vetrate. <Come potresti esser malvisto da noi, se tutto cio che abbiamo è..> La voce che s'affievolisce, accompagnata dall'esternarsi della mano sinistra, il palmo verso l'alto, che indica in un cenno morbido e lento, tutto ciò che gli circonda. La cattedrale. L'unico possedimento dei Kokketsu, son i loro fratelli. Lei ha lui. Lui ha lei. E l'Arufa. Solo tre persone, posseggono quel potere in tutto il mondo. Il groppo che si muove, fa scivolar saliva bollente giù per la gola, in pieno silenzio. Le gambe nude che riportano vergognosamente la pena più grave di Hyena Kokketsu; kanji e rune, senza alcun criterio di logica. <Non puoi esser chiamato Mostro, al capezzale degli Oni. Qui sei parte di noi.> .. <Qui sei nel posto a cui appartieni. Per me sei un fratello anche se..> Le labbra rosse, opacizzate, si tendono appena, amare. Gli occhi stretti ad una fessura magra, normalmente grandi per esser occhi a mandorla. <Anche se capisco, che non è quel che t'interessa. Non fa niente. Anche io ho preso coscienza ed abbracciato quel che sono.> La voce della bianca signora - finalmente così calda da suonare le corde della nostalgia di Ren - rimane immobile e silente, una volta più delle altre, congiungendo metaforicamente le mani in grembo per poter ascoltare. Rasetsu, o meglio, Ryuuma - il Jonin Rosso - così giovane da non poter nemmeno ricordare di averlo mai intravisto così. Deve esser appena entrato nella famiglia? Oh se solo sapesse, ora, quanto primeggia questo potere. <Sai, cosa c'è peggio d'un mostro?> .. <Un mostro che sa di esserlo. Un assassino che si proclama artista. Un pazzo, furibondo, che scende a patti con se stesso, trovando l'equilibrio nella sua follia. Quando prendi coscenza di quel che sei, ed ami quel che fai.. Finirai per trovar dolce ed amorevole un corpo martoriato. Finirai per amare nel modo sbagliato. Finirai per farle male, perchè arriverai a supporre che sia stato meglio così. Perchè se la uccidi tu, non potrà farle più male nessuno. Arriverai a capire, solo dopo, d'aver amato nel modo sbagliato, di non poter--> La voce che si spegne, flebile come l'ultimo atto di vita d'una fiamma. Sta parlando di lei, ora. Sta parlando del suo amore, troppo sbagliato. Troppo perverso. <Non poter stringere, tra le tue stesse mani--quello che ami, Rasetsu.> Lo chiama in causa, facendo morir quel nome, sulle sue stesse labbra. Solo ora, dopo troppo tempo, ne concede gli occhi. Occhi che sporadicamente, prendon sfumature di pura sofferenza. D'accidia, paura, sconforto. <Perchè le tue mani son fatte per uccidere, e non per amare.> Parla a lui o a se stessa? Probabilmente non c'è differenza. Eppure ode il cuore di Kurona aver un paio di battiti; Adora di Rasetsu questo lato deviato. Il lato di lui, più vicino a lei, ma che non si vergogna di mostrare. E mentre lo osserva fuggire - sembra tutto sfumarsi in una scena adiacente. Molto tempo dopo - una scena ambientata sempre quí. Sempre nel tempio. [...] <..allora, bentornata, Kurona. Che fine avevi fatto? Anzi- che fine avete fatto tu e l'Hasukage? Sono rimasto solo, mi sono sentito solo in questo tempo. Il tempio è vuoto e sono l'unico utilizzatore del Sangue Nero, qui dentro.> La voce del Rosso talmente frizzante da proiettarle un sorriso sul volto. È facile nascere in una famiglia già impostata - come sarebbero i Seimei. Ma i Kokketsu - oh i Kokketsu avrebbero dovuto imparare ad amarsi, nella necessità di costruire qualcosa di coeso. E incredibilmente, lo hanno fatto. <Io.. Ti sono mancato, invece?>  Le palpebre basse, decorate con la solita cicatrice -un misto tra due Kanji precisi- sulla parte destra- lo seguono con il morboso interessamento a qualcosa che é dannatamente tuo. Come si guarda un figlio. Come si guarda una parte di se stessi proiettata fuori dal corpo. <Sei mio fratello.> Breciare improvviso nel silenzio, in cui alza la testa ed estende quei filamenti ad accarezzare Ryuuma. Non è solo. Le è mancato. Il collo si allunga, come uno stelo di fiore- ad osservarlo bene. Così come cercherebbe di raccogliere tra le dita una di quelle ciocche cremisi, rigirarla come magma tra indice e medio creando un inevitabile spirale. <Come lo strazio mancherebbe all'inferno.> E stremata, se solo non si sposterebbe il rosso, vi si poggerebbe sul petto. Non un vero abbraccio. Non una ricerca di conforto. Eppure - è così. < Sono così stanca. Sono così stanca di portar avanti le ricerche dell'Arufa. > Su di loro. Sul perchè. Sul come. Lo spiraglio di sangue guarda al di la del varco d'ingresso del tempio dove nessuno passa - neanche per puro sbaglio. Forse per questo, sono così soli? I kokketsu sono sempre stati nessuno, in questa terra. Sono sempre stati per pochi eletti. E si muovono come ombre alle sole loro regole. < Non li selezioneremo. Moriranno gli indegni. Voglio farlo anche a Konoha. Voglio che il gene arrivi ovunque, al costo di uno sterminio. > Tra le labbra impiastricciate di miele, lascia andare il kiseru sull'altare tentando di infilar le falangi tra le ciocche rosse di Rasetsu- perdersi in qualcosa che forse qualche tempo fa - doveva aver avuto con Kiryuu. E che poi è svanito nel nulla. Sangue. Famiglia. Territorialità. E forse alla fine dei conti, questo è solo un abbraccio.

10:53 Ren:
  [Riva del Lago] Tutto sembra tramontare su uno sfondo bianco - su un pavimento di piastrelle lucide dove i piedi di Ren battono un ritmo indeciso, spaesato; Hai capito il senso di tutto? I volti. Il calore. L'odio a sormontare il petto, dilaniata da un mostro che non ha mai voluto conoscere da vicino. Il paesaggio è tanto neutro da riempirle gli occhi di piombo e lasciarla un attimo acciecata. Si para quelle pozze di ferro con il braccio, sollevato quel che basta per occultare il viso atarassico. Dove siamo ora? Dubita sia un ricordo, non esiste un posto tanto bianco da annullare il confine tra cielo e terra. Si muove di qualche passo, qualche tonfo elegante decretato dai sandali lignei contro il pavimento. Forse ha voluto farle capire qualcosa, qualcosa di specifico? Si strofina le tempie con la punta delle dita, come se potesse magicamente estrapolare verità che non ha saputo vedere fino ad ora. E rimanere nella pelle di Kurona, le ha dato un torpore malevolo e serafino al tempo stesso - mhn - come se potesse in qualche modo, apprezzare se stessa ed avere potere decisionale. Anzi, di più. Potere sugli altri. Essere un mentore. Essere una guida. La voce nella testa di qualcuno come la bianca aveva saputo fare con tutte loro, lei - e le altre maiko. "Ren, sei quí." Dei passi lenti, come lo strusciare di una serpe - la introducono con la voce pregna di fiele che ha sempre avuto per le sue bambine. E quel bianco ha un fremito incerto. Un glitch sembra voler avvisare il lettore di non andar avanti in questa storia - distorcendo la scena in una visione nera e cupa. Dove Ren ha due teste e Kurona, sembra voler svanire da un momento all'altro. E gli occhi di piombo si fanno vuoti, adoranti, la cercano con la smania di chi nel vuoto, ha sentito la voce d'un morto. E tant'è. Il capo a destra. A sinistra. Le ciocche sono fiamme che le frustano il collo e il mento, rimettendola nella posizione di far riflettere il bianco idilliaco sul suo viso. "Chissà come diventerai da grande, bambina mia. Ti ho lasciato il meglio di quello che possedevo. Ed anche il peggio." La sua mente. E come la rossa si volta - percepisce il calore del corpo della bianca spandersi sulla schiena - dai lombi, alle spalle. Il taglio ferino che s'ammorbidice, le labbra annaspano parole che non vogliono uscite. Scuse? Suppliche? Cosa sceglierai a questo giro? E le dita di Kurona che si muovono inesorabili sulle spalle, sul collo, sul mento. Quel crine bianco, come un manto di neve, a scivolarle addosso fino ad occultarle la vista. In un certo senso non ne ha bisogno - sa già esattamente com'è fatta. Nel suo qipao nero, con l'effige Kokketsu; si muove a cercarle le mani, accarezzarle come un innamorata che trova rifugio nel proprio amato. O nella propria amata. < Madre io non sono adatta. Io non posso rendervi fiera. Io non posso sopportare i vostri sentimenti. La vostra mente. > E la risata, le labbra rosse dietro l'orecchio - la lasciano finalmente andare. La raggirano con passi lenti e ciondolanti, come se avesse il mondo intero tra le anche e sapesse soggiogarlo a suo piacimento. Storce le labbra, come chi ha la battuta pronta sempre, finendo per fronteggiarla. E la rossa che l'ha inseguita con gli occhi. La perseguita come una maledizione cercando l'ironia nella situazione, o nelle proprie parole. Si sfiora il viso - il collo - lì dove le dita di Kurona hanno bruciato la terra sotto il loro passaggio. "Non è vero. Lo sappiamo entrambe che la tua mente è forte. E niente giochetti, come hai fatto con papá." L'ennesimo glitch, l'ennesima distorsione. Sta parlando Ren, o Kurona? E le orecchie della rossa non vogliono sentir oltre. Ma oltre l'ovattato delle mani posate sui padiglioni, a premere, la voce è ancora lì. La tormenta. La punge. Punge carne nuda e scoperta, ancora fragile alle pugnalate. E come se si volesse parare, chiude gli occhi e scuote il capo - rigettandola. < Non so di cosa tu stia parlando. > Ma la risata continua - sottolinea quanto siano false le parole di Ren. Per sé stessa, per Kurona. E prima che possa dire niente la bianca la tirata a terra, schiena contro quel pavimento di specchi. Si riflette. Riflette il profilo di Ren distorto dalla paura. Dal ricordo che ha voluto cancellare. "Guardami Loto. Guardami, purezza." E le mani affusolate di Kurona si fissano sull'apice della camicia di lino, chiusa fino all'ultimo bottone. Ha già visto questa scena. L'ha vista per un miliardo di lune. E il rumore dei bottoni strappati dalle loro asole, il profilo di nudità che si riflette su quel pavimento - costringendola a guardare, ovunque lei giri lo sguardo. "Ero così stanca di combattere. Non fa' per me. Io osservavo. Osservavo in silenzio e mi beavo di quel che accadeva." Morbida la voce mentre le dita spaziano oltre, sfiorano i seni - il ventre, l'ombelico. Lo sa, in qualche modo - sa come vedeva il mondo. Alla stregua di un sogno, di una visione alla quale non apparteneva. E lei, come un giglio meraviglioso e sfregiato al tempo stesso - la osserva come si osserva una proprietà oramai ceduta a qualcun altro. La ama. La ama? Si potrebbe dire da quei braceria ardenti che la fissano. La violentano. E la bocca sfiora il solco tra i seni con una delicatezza disarmante - e il dolore alla schiena non esiste nemmeno. Zitta. Rimane zitta - incapace di difendersi da lei. Dalle sue parole. Papà? Oh, ora ricordo. Papà amava che lo guardassi negli occhi mentre - mentre lui. Lo devo guardare, o mi spaccherà di nuovo le ginocchia. Gli occhi di piombo scivolano in quei rubini densi, si getta nel magma del vulcano di quelle pallide fessure. "Non avere paura. Sarò sempre con te, Ren. Staremo per sempre insieme. Quando hai paura - pensa con la mia testa. Non morirò mai - se tu continuerai a ricordarmi." Non lo farò mia signora. Non dimenticherò. Non dimenticherò mai. E le labbra - quelle esangui - affogate nel vino speziato di Kurona. Si lascia distruggere. Si lascia rimettere assieme da un solo bacio, dalle sue mani. /Ora ricorda di papà, fa' male/. Chi? Di chi deve ricordare? /Papà amava che lo guardassi mentre--/ Non importa, non ha più importanza, non sei più quella bambina. /Dimenticherò di nuovo?/ No, non hai bisogno di proteggerti. Sanguina. Drena lo sporco. Nessuno è puro come te. /Madre, pura? Io non sono nessuno./ Cambierà. / Cambierà ? Cambierà. [end]

Es-tu sereine ou fais-tu juste la guerre?
Tu n’es pas parfaite,
ton erreur reste humaine.










(estemporanea)
Scusate il lasso di tempo, ma è stato difficile, parecchio.
Si collega alla giocata in cui Hanae (Nemurimasen) travasa i ricordi di Kurona nella mente di Ren. Soffro.