{a plot twist}

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con Ekazu, Ren

17:26 Ren:
  [Tenda Ekaren] Dire che ci pensa è oramai un eufemismo, sono giorni che non parla con nessuno - nemmeno con Pomyu. E' un riassestarsi di quella maschera di porcellana che è capace di vestire con un eleganza atipica. Antartica. Ciocche color corallo che sfiorano il collo allungato mentre se ne sta con gli avambracci posati sulla base lignea di un tavolo che è, a conti fatti, un quattro per quattro dove due persone contemporaneamente ci starebbero, si, ma solo gomito a gomito. La tazza che posa di fronte al mento fuma ancora - aroma di caffè macinato nel mortaio in pietra che si porta dietro praticamente ovunque, lievemente più allungato di quello che conosciamo noi sicuramente. Ombre bianche che danzano sotto al naso, sul viso, lasciano sulle labbra il preludio di quel che andrà bevendo di lì a breve. Come è potuta crollare la maschera, per un infimo uomo? Sembrerebbe scindere, o almeno provare, la sua anima da quella della fu' Kurona - eppure - quel dono, la martoria. La sente. E per qualche ambiguo riflesso, sembra star attendendo anche lei qualcosa. Deve aver appena smesso di scrivere, dal punto che ha la man dritta lievemente sporca d'inchiosto e la solita aria stanca. Esile e abbozzata; ci sono graffietti di una caduta che le colorano il costato parzialmente nudo - ed il segno di qualche botta che si trascina dietro da un paio di giorni. L'uomo, l'uomo che è oramai indissolubile parte della Seimei, cammina avanti ed indietro per la tenda adibita a due brandine parallele pochi passi più in la del tavolo, tra cui vige una tendina bianca. La stessa tendina, lievemente sciupata, che separa la zona notte da quella adibita a bagno, con tanto di doccetta prettamente rustica. Non ha dato personalità alla tenda - non lei per lo meno. Anzi, sembra costantemente sul punto di partire - con una piccola borsa contenente per lo più penne, inchiosto, fuuda e sì - anche qualche vestito. Retina e gonna bianca, sporchi di terra, gettati di lato. Come se l'opzione di dar fuoco a tutto fosse ancoora valida, da qualche parte nella sua testa. Eppure -- eppure no. La fragilità è un pregio. E lì dove ci sono crepe, presto o tardi, colerà oro fuso. Sposta la mancina alla tazza, il busto piegato verso il tavolo si rizza appena andando a cercare con il palmo la montatura degli occhialetti d'oro posati sul tavolo. Da qualche parte. "Mi ha fatto fuori--" Pomyu sdraiato sul letto di Ren, sembra soppesare il trascorso burrascoso con Itsuki. Sconvolto. L'ha ucciso veramente? Un filo di fumo gli lascia la bocca e si spande sotto una finestrella il cui drappo è stato arrotolato, sicchè da far entrare un minimo di luce. Si, lo ha fatto. E ha passato dodici ore in completo silenzio. E quest'ambizione che le solletica la pancia? Le brucia nel polsi, quei polsi perlacei che ora son rivolti totalmente ad una tazza di caffè nero, amaro. [ck on]

17:50 Ekazu:
 Il vociare dell’accampamento attorno a lui. Chi porta i feriti nella tenda medica cosi da evitare ancora, ulteriori, perdite di vite umane. Chi invece, indaffarato nell’alzare nuovi alloggiamenti per i Ninja impegnati in guerra. Un sottofondo preoccupato, teso. Tuttavia, quasi ovattato per quanto distante. I passi lenti, cadenzati, a saggiare il suolo sterrato del sentiero che lo porterebbe alla tenda con Ren. Niente a che vedere con la sua bellissima Magione di Oto, ovviamente. Ma per ora, gli andrebbe bene. Indosso una felpa decisamente oversize rispetto al suo corpo minuto, ma allenato. Scendendo, un paio di semplici pantaloni neri, costretti da fasciature, anch’esse nere, all’altezza delle tibie. Ai piedi, semplici e classici calzari ninja, chiusi in punta. L’Armatura è in tenda, poggiata sul lettino. Non è lì per combattere, anzi. Quasi come un bisogno, un continuo cercare di colmare una mancanza forse per troppo tempo sottovalutata, è lì per Ren. ‘’ Torniamo ad Oto quanto prima ‘’. Insieme, però. Non ci pensa, neanche ci arriva a sfiorare certe idee. Per lui è tutto naturale, scontato. Ma non lo è. In mano, mentre prosegue tra quelle numerose tende, un sacchettino marroncino, di quelli economici.Due porzioni di gelato in vaschetta, con annessi cucchiaini. Pomyu, poverino, completamente snobbato. Lo sguardo bicromo, tagliato dall’arronzato alternarsi dei ciuffetti corvini, intravedono l’accenno di quella recinzione in legno, bianca. Non è molto, ma ha avuto poco tempo a disposizione. Con il piedino, ad aprire il cancellino della loro proprietà. Qualche passo, e la stoffa della tenda ad aprirsi. Il sacchettino che delicatamente va a poggiarsi sul tavolo, affianco al caffè. Una rapida occhiata verso Pomyu, sul letto. < .. erano finiti.. > la libera che intanto inizierebbe a scartare, mostrando solamente le due porzioni. [ chk: on ]

18:06 Ren:
  [Tenda Ekaren] Vestita come chi arriva da qualche parte - sebbene sia uscita solamente questa mattina per andar a recuperare qualcosa da mangiare per pranzo. Probabilmente un omelette e dei gamberetti per Ekazu? Probabilmente sì. Un corsetto alto in velluto, nero, che s'allunga sul petto nel disegno d'un pentacolo costruito dai lacci. Sotto semplici pantaloni da kunoichi color antracite, stretti fino a sopra l'ombelico da una zemplice zip d'argento. Aveva anche un haori - giusto poco tempo fa' - che ora riposa inerme sullo schienale della sedia rappresentate solamente un occhietto stilizzato. Ciocche sciolte, fatta eccezione per la metà del capo raccolta in uno chignon adorabilmente disordinato. Ha questa sorta di costante rigore - anche quando fondamentalmente, parrebbe esser in preda al chaos. Come in questo momento. Sono gli occhi a decantar stanchezza, dove la palpebra calata a metà lascia solo una mezza luna di ferro a deambulare per la tenda alla ricerca di qualcosa. Di qualcuno. Un penny per far muovere labbra esangui che ora, come da due giorni a questa parte, rimangono blindate. Neanche potesse uscir qualcosa d'inopportuno. Forse, dietro a quel sangue che ribolle, si rivela esserci un fondo di paura. Non è l'ambizione a deteriorarci? Ciglia folte, fulve, che rimangono basse a guardar il proprio riflesso color pece nella schiuma ambrata del caffè. Pomyu invece ciondola, con le gambe accavallate - spostando il testone verso la schiena ricurva della rossa. "Uhn?" E' la voce di Pomyu a dare il bentornato ad Ekazu mentre lei, con il collo chino a cercar qualcosa nella superficie nera, finirebbe per alzarlo solo in seguito. <...> Lo osserva entrare e - per qualche frangente, quella sagomina monocromatica, getta una spugnata su tutto. Tutto. Le spalle dalla curvatura morbida si riassestano, cercando di tirar sotto il palmo della mano dei fogli su cui ha smanettato per notti intere. Spezzoni di storia passata, presente e - futura? Le labbra s'increspano appena, si smuovono, ma l'uomo la batte sul tempo. "Perchè dannazione a me non prendi mai il gelato?!" Il disappunto del morto è tanto forte, tanto tetro, da stringerlo nelle spalle e farlo girare sul letto in un cigolio di molle acuto, manco fossimo nella prima guerra mondiale. < Hai preso il gelato -- > Finalmente delle parole, sfiatate come se fosse un sollievo. E mentre questo poggia il sacchetto sul tavolo lei scansa il caffè, rubandone un sorso, issandosi dalla sedia per corveggiare sulla preda. Il gelato. <...> Un versetto le esce dalle labbra, sfilando dal sacchetto i due cucchiaini. < Ti devo chiedere delle cose - > Incalza il discorso con un filo di voce, il classico filo di voce che avrebbe un adolescente che chiede al padre di uscire al sabato sera con le amiche. Iridi basse, asettiche, scivolando con le terga sul bordo del tavolo - fino a staccare i piedi nudi dal tappeto e lasciarli oscillare, mansueti, nel vuoto. Non le farà male tutto questo gelato? Le ciglia si sollevano sulla vaschetta, la sua, posandola sulle cosce. Pronta a metter su uno o due chili. [ck on]

18:29 Ekazu:
 Le manine, guantate di leggero tessuto nero, a tener aperto con le dita il sacchettino. Ren che estrae i due cucchiaini. Gli occhi, ancora puntati sul morto, quasi a sbeffeggiarlo in una rivalità implicita – non così tanto implicita -. < non è colpa mia.. > aggiunge, fisso su di lui, mentre il sacchettino rapidamente abbandona la scena, gettato pigramente ai piedi del tavolo. Infierisce, gongolando. Ma in viso, sempre impassibile, completamente privo di qualsivoglia cenno. Dall’altro, gli occhietti si spostano sull’Armatura, ancora lì. Per fortuna. Ne afferra uno, di cucchiaino. Le iridi, diverse tra loro, si portano su di lei. < avevo fame.. > sbiascica quasi. Lei seduta sul tavolo di fronte a lui. Il cucchiaino nella destra, scettro della bramosia dell’Uchiha, è pronto per affondare nella candida crema. Il visino si abbassa su quell’onda dolce di sapore. Le labbra si schiudono, affamate. Qualsiasi movimento, che sia l’avvicinar del cucchiaio in plastica al gelato, o il deglutire affamato, cessa di esistere. < .. dimmi > la destra ancora ferma a mezz’aria. La testolina che lentamente si riporta nei piombati di lei. Ne percepisce la sfumatura tesa nelle parole, ma in un certo senso si è abituato. Ren decisamente non spicca di sfacciataggine. Sarà qualcosa di poco conto. Un inezia che magari la preoccupa, ma che potrebbe risolversi in pochi secondi, magari. Ma si, sarà sicuramente così. La mano riprende la sua corsa. La plastica del cucchiaino ad affondare nel gelato bianco, al limone. Una cucchiaiata, rapida e decisa, che in pochi secondi passa dalla vaschetta alla bocca. < è buono.. > atono, ma smorzato dal cercar di non farsi congelare il cervello dal freddo del gelato.

18:43 Ren:
  [Tenda Ekaren] Effettivamente appare così - tra le parole che non hanno alcuna inclinazione cercherebbe d'affondare anche lei la punta del cucchiaino in una delle montagnette suinose del gelato, tirandone su una quantità misera, ma atta a soddisfare la golosità, più che la fame. Effettivamente è buono, concorda con un cenno della testa che vede qualche ciocca aranciata decollare sulle tempie per sfiorare le gote pigramente impreziosite da lievi e fitte lentiggini, sparse e caotiche. Le ginocchia lo pungolano distrattamente, come farebbe una bambina che lascia i piedi ciondolare senza badare se cozzano o meno contro qualcosa. E nonostante il suo sguardo addosso, tiene quei proiettili fissi su un punto poco definito della schiena di Pomyu che ora, offeso come poche cose sulla terra, s'è ridotto ad esser solamente un ammasso di bronci, borbottii e fumo grigiastro. Batte un paio di volte le palpebre, lasciando che il cucchiaino penda dalle labbra, verso il basso, tirato dalla mano che prima lo sorreggeva. Soppesa un attimo cosa chiedere, cosa dire, ma a dire il vero non riesce a delineare in mente un discorso che la faccia apparire meno pietosa di quel che è. < Ti sei mai innamorato? > Vaga, ma vago è il suo esser ordinario. Invero il punto fisso del discorso c'è, ma è vago anch'esso. Non saprebbe come sciornare la situazione in modo che appaia 'normale' - o quanto meno qualcosa che rimanda ad una situazione tipica, per una diciottenne. Come stalleattiti si levano le plumbee, guardando alla volta della tenda spenta della doccia dove qualcuno, ha messo degli adesivi di gomma a forma di zampine di gatto. Improvvisamente la palpebra cala in una fessura, abbandonando il bordo del tavolo e infilzando il gelato per poi abbandonarlo sul tavolo, accanto all'Uchiha. Gli da le spalle, alla volta della manopola dell'acqua, aprendola e direzionandola sul caldo, lasciando che una fiammella s'accenda sotto una sorta di "boiler" meccanico, rustico. < Tipo... Di /Lei/ eri innamorato? > [ck on]

19:12 Ekazu:
 E ora come ora, quel buonissimo gelato artigianale, cremoso, candido nella sua perfezione, sarebbe la sua priorità. Lei intanto è lì. Lui, convinto di qualche turbe da niente, continuerebbe ad affondare il cucchiaino. Il boccone, mandato giù con cautela così da evitare congestioni varie, immediatamente viene rimpiazzato da una nuova ondata di sapore. Pomyu, in background, non lo disturba. Anzi, in quei fugaci e brevi istanti in cui il boccone sempre più si avvicina all’essere inghiottito, lo guarda di striscio. Dispettoso, ma in quel viso fermo, immobile. E questi sono i pensieri che ora, in questi attimi di pace, tingerebbero la mente dell’Uchiha. Il bianco del limone, Ren lì, e Pomyu indispettito sul letto. Un oasi di tranquillità, regalatasi dopo le tempeste dei giorni passati. Ma parlando di tempeste, ecco il fulmine. Le palpebre calano, accompagnando gli occhi da dall’alto si puntano su di lei. Ne segue i movimenti. Uno sfiorarsi, nella loro così ridotta distanza, a cui per ora non viene data importanza. No, mai. < .. uh > interdetto, con la sinistra che ancora regge la vaschetta, anch’essa bianca. Il cucchiaino, affondato nel gelato, rimane in piedi, in equilibrio. L’altra mano, ora libera, che pigramente affonda nei capelli. Le dita si intrecciano nel crine corvino, scostando i ciuffetti scalati dal viso. < no, .. > risponde alla prima domanda di lei. Schietto, diretto. Lo scrosciare dell’acqua ora tra i due. Il fischiare della fiammella sotto il boiler. Il gelato di lei sul tavolo. < non credo sai .. > decisamente, non era amore quello. Neanche odio. Semplice desiderio di potere, di pura e semplice debolezza nell’essere controllato da chi è più forte. Una nota, quella, che avrebbe imparato a diffidare. Forse l’unica capace di piegarlo realmente. Il cucchiaino che riprenderebbe il suo tragitto gelato bocca. Esattamente come prima. < perché questa domanda > chiede, prendendo adesso quello che era il posto di lei. Il dorso della mano, incurvata nella presa dello scettro, scansa appena il gelato di lei. Il sedere che solo in parte andrebbe a poggiarsi sul legno del tavolo. Una sola delle gambe sospesa in aria, mentre l’altra ancorata al suolo. Il mezzobusto ruotato in sua direzione. La osserva, ora. Curioso. E intanto, continua a mangiare. [ chk: on ]

19:31 Ren:
  [Tenda Ekaren] Se immaginiamo Ekazu come chi viaggia leggero - Ren non è da meno. E' un corollario di tomi che parlano esclusivamente di politica e storia, fatti reali e zero chiacchere romantiche. Una donna che si veste di un raziocinio ineluttabile e con esso come unica uniforme, si palesa all'emozione tanto curiosa, affascinata, quanto ignorante. E mentre si scansa da quei metri quadri di cucina, mentre s'asciuga il polso bagnato dal getto d'acqua sul corsetto, sfila con il pollice lungo la zip mantenendo un silenzio necessario per ascoltar l'uomo parlare di Kunimitsu, la signora che aveva decantato a Kurona come la sola e unica, come sua anima ed ombra - sempre lì. Sempre nel suo orecchio come il grillo di pinocchio. Lo osserva di sbieco, da sopra la spalla, mentre Pomyu allo scrosciare della doccia e l'incalzarsi d'un discorso a lui scomodo, getta la cicca della sigaretta dalla finestrella arrotolata da cui entra, di tanto in tanto, un baffo d'aria. Ekazu potrebbe rispondere alle sue domande? Forse no, effettivamente. Forse le sfumature d'amore che l'altro può aver captato sarebbero più simili alla necessità di sopravvivere. L'amore che si proverebbe per chi ti lascia in vita, invece che pestarti come una formica sotto il piede. La zip del corsetto fende l'aria mostrando i pochi lividi che risalgono la schiena. Un bianco roseo uniforme corrotto da sfumature contuse, in via di guarigione oramai. La punta delle dita sfiora il centro tra i lombi, dove dei piccoli graffietti sembrano lasciar posto a del pigro rossore. < Sono una stupida. > Perchè ci penso. Perchè provo vergogna a parlarne. E il viso riflette le sfumature più deboli della frustrazione. E' solo un sussurro, mentre di schiena - si volge verso la tendina. E' solo una siluhette acerba. Fianchi acerbi e la vita stretta d'una adolescente che ancora deve raggiungere la fioritura. Sfila il bordo dei pantaloni occultandosi, dietro quel drappo, per poi lanciarli sul letto. "Ora arrivo..." Pomyu risponde a nessuna domanda, alzando appena la schiena dal letto cigolante e posando i pantaloni di lato. Tace, affogando immagini e visioni che l'alienano dentro al profumo d'acqua e una crema al gelsomino che le aveva insegnato /Lei/ a fare. < Ho delle immagini. Nella testa. > Lo spiffero che vien dall'acqua è basso, ma udibile, quasi come se la vergogna d'esporsi fosse un pugnale al petto. < Delle immagini che riconducono ad un ragazzo, l'amante della mia signora. Credo lui fatichi a vedermi, perchè gli ricordo cos'ha perso. > Espira, sfilando gocce d'acqua dalle labbra. < E invidioso? Sei mai stato invidioso? > Quella - oh - quella è un emozione che conosciamo tutti. Anche Ren. [ck on]

20:05 Ekazu:
 Un amore che, semplicemente, non sarebbe mai esistito. Un sentimento, una ‘’debolezza’’, che quasi sembrava essere contaminata dalla stessa aria del Suono. La più nobile delle sfumature dell’animo umano destinata ad appassire al violaceo malessere di Oto. Tutto oppresso, sigillato nel potere, dolore. Ogni cosa è nata, e fin da subito persa nei corridoi dei Laboratori. E’ un qualcosa che, nonostante l’età, mai ha potuto sperimentare. Non era amore, forse qualcosa di più simile alla .. devozione? Devozione verso chi, potenzialmente, potrebbe schiacciarti. Verso chi, in un secondo, ti ha donato un nuovo potere, una nuova vita. Ma ritornando al gelato, è veramente buono. Le poche cucchiaiate si susseguono, rilassate. Pomyu è ancora li, senza gelato. La pelle candida di lei si mostra nei suoi lividi, disegnati come acquerelli su tela bianca. Lascia passare, non si preoccupa. E’ una Shinobi anche lei, sono ferite all’ordine di poco conto. Lo sguardo ne saggia le forme, la curva che sinuosa lentamente si nasconde dietro la tendina, a quanto pare di una qualità tale da garantire la privacy della Seimei. Purtroppo. La silhouette che, in gesti rapidi ed eleganti, si libera dei pantaloni. La testolina che segue questi nel loro volare sul letto. Il dire di Pomyu. Gli occhietti, tagliati a metà dal mezzocalare delle palpebre, ad incrociare quelli di lui. Minaccioso, mentre le guanciotte ancora gonfie assaporano il gelato. E si ferma proprio su quei pantaloni neri, li a qualche metro. Forse, un po’ più del dovuto. ‘’ anche io.. ‘’ pensa. Quante immagini, veloci e confuse, che come pugnalate lo hanno martoriato. < non mi ricordi lei > aggiunge, tra una boccata di gelato e l’altra. Sono diverse, molto. < certo.. > entrambi i piedi che tornerebbero a saggiare il terreno, la vaschetta di gelato che si poggia a fianco a quella di lei. La sinistra che, intorpidita dal freddo, si apre e chiude, a tentar di ripristinare la giusta sensibilità. Pochi passi, attorno al tavolo, a cercar di trovare una bottiglia d’acqua, un qualcosa da bere. Ma niente, solo il caffè di lei. Qualche secondo immobile, a fissare la cucinina della tenda. Quasi potesse farla cadere vittima del più temuto dei Genjutsu. Pomyu probabilmente non capisce, ma è normale. < sono invidioso di chi è forte.. > si puo’ definire invidia, quella? Anche lui è forte, in fin dei conti. Ma quanto? Di chi è realmente invidioso? Forse della stessa Kunimitsu lo era? Di Wooaki? Dei Kage? < .. di chi si sveglia la mattina, e pensa di poter controllare ogni cosa.. > no, l’acqua lì non c’è, arrenditi. E intanto, l’acqua scorre.. L’ombra elegante di lei, spezzata dal tessuto della tendina, a danzare sotto le goccioline della doccia. Istintivamente, riporterebbe lo sguardo lì. Poi su Pomyu, ad accertarsi di non essere visto forse? Poi nuovamente su di lei. [ chk: on ]

20:24 Ren:
  [Tenda Ekaren] Sotto il getto quei filamenti arancio tramutano in rosso sangue, s'impegnano a tal punto - tirati indietro - da scivolar sulla fronte e tra gli occhi obbligandola a socchiuderli. Come se avesse un cinema al di la delle palpebe, ogni volta che le chiude una sfilza d'immaigini la tormentano. Lei la tormenta. Come se volesse, in qualche modo, comunicarle d'uscire dalla corazza di porcellana che s'è costruita addosso con il favore del tempo e degli eventi. Ed invece ha vacillato, vacilla tutt'ora, nella convinzione di divenire più forte in futuro. All'ennesimo sospiro risente il gelo dei laboratori Uchiha tormentarle i lombi, dove il getto della doccia scende incandescente - o meglio - d'un caldo fumante quanto basta da creare una leggera patina di vapore nella tenda entro breve tempo. Le gocce sulla tenda bianca la rendono lievmente umida, si muove di tanto in tanto, quando si sposta a prender nel palmo una noce di quella crema al gelsomino. < Perchè, tu non lo sei? > La domanda sorge spontenea, ascoltando solo i passi dell'altro muoversi in giro per la tenda. <{Esci.}> Il fiato non esce, eppure qualche sillaba ven sciornata verso Pomyu che scocca uno sguardo lapidale verso l'Uchiha e la sua ricerca disperata d'acqua. Il cigolio del letto si fa' appena più grave, mentre s'issa e si volge verso l'ingresso, scostando appena il drappo d'entrata per uscire. E da lei non è uscita neanche una parola, anzi - è proiettata vero il far scivolare la crema profumata sul corpo, emettendo una leggerissima schiuma. Non ricorda lei? Lei chi? Ci pensa, e pende da Kurona a Kunimitsu - ma in ogni caso la risposta sarebbe la stessa. < Chiaramente no. > Come un automa, affoga ad occhi chiusi in disegni d'un altra mano. Espira piano, urlandosi - 'esci dalla mia testa'. E la bocca, invece, sporca d'un tono soffuso; < O mi ubbidiresti se ti chiedessi di venire quì con me. > [ck on]

20:48 Ekazu:
 Entrambe le ginocchia si flettono. Le manine che lentamente, quasi non volesse disturbare l’altra in doccia, andrebbero a cercare tra i vari alimenti, le conserve o quanto di solito si trova in un cucinino, l’acqua. Ma niente. L’arsura. E quel vapore che intanto creerebbe una appena accennata nebbiolina nella tenda, non renderebbe le cose facili. L’umidità gli si posa addosso. La condensa che, su quella carnagione pallida, ne farebbe brillare i lineamenti affilati. Il profilo, donato al povero Pomyu ora sfrattato dalla sua stessa tenda, è nascosto dal ciondolare del crine nero pece. Una rapida occhiata al sentire i passi di lui. < dove stai andando.. > le mani ancora a frugare < .. il gelataio ha chiuso > aggiunge, poco prima di arrendersi ad una caccia che è destinato a perdere. Le gambe nuovamente si distendono, riportandolo in un alternarsi rilassato e compassato, al tavolo. Il sedere nuovamente a posarsi sul legno. I gelati, intanto, che inizierebbero a sciogliersi. < si sono forte.. > Certo che lo è. E’ fortissimo. Non quanto loro però. E questo, per lui è un problema. Un enorme problema. Entrambi gli occhietti a fissare la vaschetta. La destra che col cucchiaino inizierebbe a giocherellare distrattamente con quella massa bianca poco più che liquida. Cerchietti, sagome, forse addirittura uno Sharingan si stagliano affogati nel gelato sciolto. Come chi, al telefono, prende appunti sul nulla. Ma eccolo quell’invito. < mh > Il visino, arrossato a chiazze dalla temperatura e dall’umidità, torna a sollevarsi. La mano, di riflesso, si arresta in quel suo giocare ipnotico col gelato. < a fare cosa scusa > domanda. Giusto così, per non fraintenderla. < ti serve un asciugamano > chiede, senza lasciar intendere alcun intonazione. Ha capito. Certo, ma così. Dal nulla. Ma lei è lì, sotto la doccia.

21:19 Ren:
  [Tenda Ekaren] Scivolano le dita lungo il profilo del collo, lì dove passa la carotide; è normale sentirsi strangolare senza aver nulla al collo? A conti fatti no, razionalmente parlando, eppure le si stringe il groppo ogni volta che si ferma a pensarci. Com'è stata trattata. Come ha intenzione di trattarla. Come una bambola da baciare e pugnalare ogni qual volta lo desideri. Obbligarla a guardarlo per poi - gioire? Conferirsi il titolo di fallimento emotivo. Il pugnetto della destra si chiude, posando solamente il fondo sulla parete lignea da cui sbuca il doccino. Il capo rivolto in avanti, il collo scoperto che lascia scivolar via la schiumetta profumata. Come pettirosso orgoglioso, vorrebbe prender /lui/, quell'amabile corvetto, dal collo ed affogarlo nella marea di nulla che la obbliga a provare. Le nocche sfilano, si muovono pigramente, si flettono. 'Si, lo sono..' Ed anche lei conclude la frase allo stesso modo. Ma non abbastanza. L'arroganza non è di certo uno dei pregi che la distingue, anzi. E' sempre stata mansueta. Al suo posto. Con il capo chino pronto ad annuire o negare al proprio padrone, o padrona, qualsiasi cosa egli comandava. E allora - questo desiderio d'alzarsi, da dove è nato? Forse l'esser di Itsuki stesso, quasi reso al proprio cuore, al proprio esser caotico. Forse - sì - forse è quello. O forse è stata la bianca signora, a darle una spinta tra le fiamme. "A quanto pare, non sono ben accetto-" Il digrigno di Pomyu, mentre scansa la parete della tenda, lascia intendere che non vuole più quel dannato gelato. Ha lasciato il pacchetto di sigarette a Ren, però, ilchè vuol dire che si farà un giro entro il perimetro permesso. Cinquecento metri, probabilmente. I geta battono un passo svogliato, il testone d'orso si piega a sorpassare la tenda senza tirarsela dietro e il primo biascico è; "Ohee-- dove si beve in sto cesso di paese?!" Molto raffinato, direi. Il vapore. Il gelato sciolto. Ren adora quando si sciolgono i bordi, ed ogni volta che Ekazu compra il gelato, è lì che passa il cucchiaino - lasciandogli tendenzialmente solo la parte centrale d'attaccare. Da sotto la doccia uno sbuffo, e poi l'ombra scura della sua siluhette che si scansa appena dalla posizione - poggiata al muro - per creare uno spazio di fallace intimità. < Voglio solo che rimani con me, quì. > A stento si sente, ma lui non è uno stupido. Quasi sembra voler affogare nello scroscio il proprio subconscio capriccioso, puntando i piedi su un dispetto che trascende l'orgoglio e si eleva a qualcosa di più. Il rifiuto assoluto per qualcuno, che a conti fatti, non ha mai voluto far parte della sua vita. Il capo si china appena, si sposta dal getto d'acqua. < Ti stavo parlando di quel ragazzo, ricordi? > Abbozza muovendo appena le labbra, petali che si sfiorano l'un l'altro emettendo un discorso impastato di voce appena arrochita. < La mia signora mi ha lasciato le sue memorie. E continuo a non capire. Ogni volta che lo guardo, m'imbarazza. Vorrei sotterrarmi. > Sfila parole, cercando in Ekazu la soluzione, o la risposta, ad un dilemma. < E ogni volta che lo sfioro. Penso di volerlo per me. Ma non è mio, questo pensiero. Non mi appartiene, non mi appartiene provare qualcosa. Non m'è mai appartenuto. > Sta zitta, issando la mancina per scansare i capelli e passar un po' di quel sapone tra la ciocche. Li rende disordinati come non sono praticamente mai, facendo ciondolar il cordino che prima li teneva legati, ora inerme al polso. < Voglio sentire quello che sentiva lei con lui. Voglio provare anche io. > La coda dell'occhio osserva le ombre dentro la stanza, dove Pomyu è oramai andato in cerca di un bicchierino di sakè. E l'ombra di Ekazu, nella cucina, non è nulla di definito. Lo osserva, curiosa, giusto prima di buttar la testa sotto l'acqua. [ck on]

22:10 Ekazu:
 Il raffinato Pomyu a fare da sottofondo ai due. Abituatosi quasi alla sua presenza, neanche si stupisce. Le urla, la sua volgarità gli scivolerebbero addosso. Quantomeno ora sono soli. Si ma perché? O meglio, qualche idea ce l’ha, ma.. perché? Dalle parole, no. Lei non vuole un asciugamano. Le curve della sagoma nera, ombrata dalla tendina della doccia, risplende nelle sue curve. Le nota, perfettamente. Ma il vantaggio di quel viso, di quella sua totale incapacità nel mostrare qualsivoglia emozione, sta proprio non lasciar intendere nulla. < grande Pomyu.. > bisbiglia, sussurra pianissimo tra se, mentre il frusciare del tessuto della tenda sollevato dal gigante si assesta. La vede muoversi. ‘’ Ti voglio qui ‘’ La lascia concludere, ed è qui che tutto prenderebbe un senso. Ha ereditato i ricordi della sua Signora? Lei? Ricorda del bacio? Rapidamente, lo stesso pacchetto di sigarette lasciato a Ren verrebbe immediatamente rapito. Un bastoncino di tabacco, lungo e dal filtro rigido, si posa sulle labbra socchiuse dell’Uchiha. L’accendino dalla tasca dei pantaloni. Il pollice a scivolare, e poi il fuoco. Un pesante respiro immediatamente esalato, così che il fumo possa confondersi con il vapore caldo della doccia. Il pacchetto torna sul tavolo. Il bastoncino, senza ausilio delle mani, rimane abbracciato dalle labbra. Gli occhietti si socchiudono, infastiditi dal fumo. < in che senso ti ha lasciato le memorie > il parlato strascica quasi, le labbra non si muovono liberamente evitando così che la sigaretta possa cadere a terra. I passi si muovono in sua direzione. Che è nuda, per ora, neanche gli interessa. La sinistra, delicatamente, andrebbe ad afferrare il lembo di tendina, così da scoprirla. Vuole parlare. Vuole chiarire questa situazione. O almeno, voleva. Nell’esatto momento in cui i due non sono più separati da tessuto o qualsivoglia sottile barriera.. quello è l’esatto momento in cui l’Uchiha sembrerebbe nuovamente dimenticare il discorso Kurona. Le si presenterebbe lì, sotto la doccia. Dinnanzi a lui, quella porzione di intimità a lui concessagli. La folata di vapore caldo a prenderlo in pieno. I ciuffetti corvini si adagiano, appesantiti ed umidi, sulla pelle arrossata. Lo sguardo, ancora socchiuso, ne saggia le forme disegnate dallo scorrere gentile dell’acqua. Il pollice e l’indice a chiudersi attorno al filtro. Un ultimo, profondo respiro. Il mozzicone che, con precisione chirurgica, verrebbe lanciato fuori dalla stessa finestrella da cui Pomyu prendeva aria. Un passo. Lo spazio regalatogli che, senza indugi, lo farebbe suo. Strano a dirlo, ma di prepotenza. L’acqua che intanto gli scorrerebbe addosso. Il crine si adagia, lungo e irregolare, sul viso. I vestiti ancora lo proteggono dal bagnarsi. L’altro passo. La distanza tra i due si accorcia ulteriormente. La destra che scansa i capelli bagnati, cercando di mostrare all’altra il viso. Ancora un altro passo, e se l’altra non avrebbe indietreggiato, oramai i corpi sarebbero in un contatto per ora limitato solamente dai vestiti di lui. Ancora per poco, mi sa. ( cit. del player ). L’altra, di mano, che col dorso guantato, ora umido, quasi ruvido in quel tessuto pregno d’acqua, che col dorso andrebbe ad accarezzarne il viso. I respiri si fondono. E’ un implicito cercar conferma. < cosa sentiva lei con lui > chiede. Vuole sentirselo dire, chiaramente.

22:50 Ren:
  [Tenda Ekaren] Passi. Silenzio. Passi. Tutto attorno all'acqua diviene ovattato e distante. Le palpebre socchiuse mentre getta il capo all'indietro, lasciando che l'acqua scorra dalla fronte - trascinando la schiuma via dai capelli, lungo la spina dorsale. Il fiato mansueto si perde nelle proprie parole. Se solo imparasse a mordersi la lingua ogni tanto - se solo evitasse di buttar fuori di getto tutto quello che vuole e che pensa sia giusto ottenere. Questo dispetto mosso contro chi, poi? Contro il proprio intelletto. Contro l'es, che da dentro, le sussurra all'orecchio d'infangare le memorie che non le appartengono e che, di fatto, l'hanno spinta solamente a credere di non aver un anima, in questo guscio vuoto. Poi finalmente qualcosa di muove, abbassando le mani a levar via dal viso i rimasugli dell'acqua che ancora scorre alle sue spalle. < hn. > Un cenno d'assenso, un solo verso mentre le note del tabacco arrotolato sfilano via dalla sua sagoma per riempire in poco tempo l'area. Inspira, quel che basta per muovere il fragile costato ad issarsi, abbassarsi. La palpebra marchiata con il triangolo si mostra sotto uno dei pochi lembi di luce che oltrepassano la doccia. Le ciocchette mozzate sulla spalla che si scansano pesanti, da dietro i padiglioni con due anellini d'oro a metà dell'orecchio che di tanto in tanto, ciondolano emettendo un debole clangore. Non lo vede più, improvvisamente - dov'è andato? Deve essersi arrabbiato. < Ha deciso d'essere immortale in questo modo. Ha sopportato di morire, in favore d'un bene maggiore. Ma non di esser dimenticata, suppongo. > Un sussurro, più verso se' stessa - che verso Ekazu. A dire il vero, l'esser mistico che era la signora bianca - è tanto criptico da non poter capire cosa c'è dietro a quel gesto. Se era un imposizione a lei. Se era egoismo. O la paura di morire. Il martirio non sempre porta leggerezza con se. La mano sinistra s'allunga, dita smaltate di rosso che sfiorano le travi della parete lignea appena scurita dall'acqua. Tortura con l'unghia le vene - mentre son solo passi. Niente parole. Una colata di piombo, tanto gelido - quanto sarebbe una valle innevata. Brancola nel buio. <...> le labbra si schiudono e tra le lentiggini, fiorisce il bieco rossore della realizzazione di ciò che è sbagliato. < Scusami Ekazu - > Lo dice in uno sfilarsi di parole dalle labbra, come un sospirarsi di sillabe che escono trascinate fuori. Atone. Falangi che mollano la parete per sfiorar quei due petali che ha per bocca. Minuta, d'un rosa pallido che s'intona all'incarnato. E poi il tirarsi della tenda. Alza la testa di scatto - guardandolo avanzare. Deve aver esagerato? Immobile, nella sua posizione - sfila con il tallone solamente a fargli spazio. Sotto il getto d'acqua. Fiamme ammansite sul capo che lentamente crollano - criniera leonina - finendo per circondare il viso. Frusta le gote, il collo teso. Sono le cosce a muoversi, fino a posar le spalle a quella parete. L'acqua. I vestiti. La pelle bagnata. Lo osserva schivando il suo sguardo, se non per abitudine, ora per mera vergogna. Abbassa appena il viso come la colpevole buttata al patibolo. < ... > La domanda che viene è complicata, e invece che rispondere, solleva la mancina a posar l'avambraccio sullo sterno, o meglio, appena più sopra. < L-L'ho detto. > L'ha detto? Davvero? Forse l'ha solo pensato. E poi quello sfiorarsi. Quelle dita. Le labbra si schiudono - aggrottando appena le sopracciglia verso l'interno della fronte. No, non l'ha detto apertamente. Si scioglie piano, dalla posizione, un muoversi impercettibile delle spalle - il danzare delle clavicole che si muovono contro la carne pallida - il viso si scosterebbe piano, contro la sua mano. Le labbra tenterebbero di posarsi contro il pollice di quell'arto che s'è spinto a tanto. Carezzarla. Il muoversi di chi non ha idea di cosa succeda. E in qualche modo, recondito, ne è spaventato. Un -- bacio? Si può definire così. Lo osserva, affogando nel rossore che le decora il viso. Un bacio privo di schiocco, anzi, quasi inesistente. [ck on]

23:26 Ekazu:
 E di Kurona, riparleranno. Per forza. E’ un qualcosa che non puo’ darsi per scontato. Devono parlare, capire. Ma non ora. Ben altri sono i pensieri, le priorità. In quell’aiutarla a sentire ciò che Kurona sentiva con Itsuki. E’ un animo caritatevole. Entrambi sotto lo scorrere incessante dell’acqua della doccia. Lei completamente spogliata dei vestiti. Lui lì, come una molla pronta a scattare. Il ruvido del guanto gli vieta di percepire il contatto con la pelle di lei. Gli occhi, il suo solo osservarne i movimenti, compensa il tutto. Le labbra di lei, carnose, così tanto, troppo, provocatorie a baciarlo appena in quel suo accarezzarla. Un bacio sordo, silenzioso. Uno strusciare quasi quel musino arrossato. Le iridi, tra loro cosi in contrasto, abbassate su di lei. Ne percepisce l’imbarazzo, il rossore in viso. Lo scorrere dell’acqua sui lineamenti sono una tortura. Continua, implacabile e costante, ad accarezzarli. Ad unirli. E’ Ekazu. E’ l’Uchiha 404, esperimento tolto ai test causa il suo fallimento. Ma prima ancora, è un uomo. Rapidamente, la sinistra aiuta la destra a denudarsi di quel tessuto. E viceversa. Il braccio di lei, piegato sullo sterno, che ne accentuerebbe le forme, acerbe dalla giovinezza, ma presenti. I dentini si serrano. La mandibola si squadra, nervosa. La felpa che, immediatamente e di impulso, andrebbe a morire sull’armatura poggiata a letto. La sinistra che immediatamente priva del tessuto la gemella, e viceversa. Le mani, ora nude, andrebbero sul collo di lei. I pollici, i palmi, e le falangi ne saggerebbero la forma, l’essere così fragile eppur così dannatamente bello. E in quel accarezzare, cosi leggero eppur morboso, continuerebbe a cercare gli occhi di lei, seppur la Seimei tutto farebbe per evitare il contatto. L’indice che dal collo, lentamente risalirebbe lungo quella pelle arrossata dal calore della doccia. La punta che gentilmente si fermerebbe sul mento di lei, cercando dunque di farla girare verso di lui. Lentamente, senza costringerla. Un movimento che se accompagnato porterebbero i due visi a distanza minima. I sospiri si fondono in una nube di tensione. L’altra, di mano, intanto scende. I polpastrelli quasi la solleticano. Ora è lui che gioca, mossa da qualcosa di ben più umano. < mi vuoi > domanda, le labbra che si schiudono sfiorando solamente quelle di lei. Il busto a premere su quello di lei, riducendo ad ora le distanze a zero. I muscoli, non imponenti ma tonici, a poggiarsi sul fisico di lei. Arriva all’altezza dello sterno. Le dita che, decise ma senza ledere – per ora – in modo alcuno all’altra, ne afferrerebbero il polso del sinistro. Lo sposta, lasciando che l’altra si mostri pienamente. Manca poco, pochissimo.

00:07 Ren:
  [Tenda Ekaren] Come tutto cambia in pochi, scarsissimi, secondi? Gli occhi con cui guardava Ekazu qualche attimo fa' - non sono gli stessi con cui lo sta guardando adesso. Sfiati d'aria e vapore che l'accarezzano, la gettano sul fondo d'un bicchiere di latte tiepido nel quale ha tutto il piacere di affogare. E se lui getta una maschera atona per mostrar uno spiraglio di carne sotto l'armatura - la ricalca come uno scultore - lei ne segue i polpastrelli infrangendo quello che l'acqua aveva creato con tanta minuzia; i torrenti pigri che le solcavano il viso si dirottano, s'infrangono contro le sue dita, scivolano tra le labbra appena schiuse che anelano al suo respiro come farebbe un mendicante di vita all'ultimo soffio d'aria. Il respiro addensato dal vapore che si sposta dalla sua bocca, a quella di quest'errore che le si staglia davanti. Probabilmente, l'anziano e maledetto giudice che è un Seimei, mai comprenderebbe l'essere ambizioso che è un clone. A tutti gli effetti una copia di qualcos'altro al fine di ricreare, non di ambire ad una grandezza veramente propria. E quest'errore, quest'errore che si muove a toccar con polpastrelli incerti - sembra avere finalmente niente di sbagliato agli occhi della rossa. La consapevolezza d'esser ingiusta le annebbia la mente eppure - ogni volta che la sfiora, come adesso che si lascia pilotare dalle sue dita ad accostar il viso al suo, non riesce a veder al di là del proprio egoismo. E' un broncio quello che incontrano le labbra d'Ekazu. Un broncio meraviglioso, da bambina capricciosa. Un broncio che decreta esplicitamente di voler battere i piedi, pur d'ottenere qualcosa. I muscoli incordati vanno muovendosi, finalmente - come la minima scintilla su un mucchio di paglia secca. Si muove, risponde - quella mano che abbandona lo sterno, che si voleva coprire, scivola di lato. E la domanda riecheggia baritona nella testa. Lo vuole? Espira ed il petto ha un tremito, mentre uno strascico d'acqua le abbandona il mento, insolente - si prende gioco di lui morendo tra i seni e scivolando verso il ventre. Fino a morire nello scarico. Efebica, nel suo esser bianca e rossa. E dove le dita passano il rossore dell'acqua sulla carne sembra sbiadire per qualche attimo, ritrovare ristoro. A dire il vero - ogni suo tocco - la distrugge. Distrugge un muro eretto per delineare un rapporto di gemellanza, si, ma ogniuno nel suo parallelo. Nella sua orbita. E se si scontrassero, cosa succederebbe? < Sì. > Le corde vibrano, d'un tono che è zucchero per le orecchie di chi è debole. Labbra che si sfiorano, è l'inferiore a solcar il suo, fino a trovar una nicchia sicura nella fessura tra le sue labbra. Ciocche corvine bagnate tra le quali le dita della mancina libera passerebbero. Disegna con la punta delle dita la mandibola serrata. Pelle contro pelle. Il tricipite che poggia sulla sua spalla alzandosi di qualche centimetro con l'allungarsi delle punte. Un esperimento fallito. Come si può definire così degradato chi pensa e, finalmente, comprende di essere? Lascia che il getto d'acqua scivoli nel vuoto, spingendo con il gomito la manopola per chiuderla. Ora basta. Non respira - ed è colpa dell'acqua, o forse di Ekazu? Ma c'è qualcosa, che le ronza nella testa, che la convince di non può far a meno di quella bocca. Le iridi lo sfiorano, come stilettate nello stomaco. Corone di piombo fuso per far proiettili che sorgono dalle ciglia, lo sfiorano luciferine. Un baluginio d'occhi che incontrano quelle bicrome meravigliose. E tra acqua e fuoco si lasciano divorare affabile. Farebbe forza sul tricipite, sulla sua spalla, sollevandosi quel che basta per stringer le cosce attorno ai suoi fianchi. Lo avvinghia, incrociando i polpacci ad altezza dei suoi lombi. E quella mano che prima gli carezzava i capelli ora, sarebbe il riflesso della sua. Piloterebbe il mento a rilassarsi, a collidere con le labbra. E lo sguardo che gli aveva regalato morirebbe dietro quel gioco che mostra il sigillo che la lega a Pomyu, ora lì fuori da qualche parte. Labbra che si chiudono, si riaprono, lo sfiorano con la punta della lingua. Solo alla fine, tra gli incisivi pallidi, gli pizzicherebbe appena il labbro. Un attimo. E poi lo lascia andare. Dita tra ciocche d'ebano che afferrano, tirano appena verso l'alto. Poi un sussurro sulle labbra e -- l'attesa è finita. [ck on]

00:49 Ekazu:
 E gli basterebbe quella parola, quelle sole due lettere a porre fine ad ogni riflessione, dubbio, domanda. ‘’ Si’’ E’ finita lì. Un solleticare sulle labbra lo tenta, come una fiera per una vita tenuta in gabbia pronta adesso ad uscire, a sfogarsi. Oramai non vi sono barriere. I capelli, pregni d’acqua, si smuovono tra le dita sottili di lei. Il volto, ancor più affilato dalla mandibola serrata, ad esser ancor di più stuzzicato. Il busto che si contrae ai movimenti di lei. Muscoli che nel contrarsi, ancor di più si esalterebbero sotto il tocco di lei. Il tricipite sulla spalla. Le gambe a stringersi al busto. L’addome che la spinge verso il muro. Entrambe le mani che la sorreggono da sotto. Le unghie quasi affondano nelle cosce di lei. Le spalle che, nel sorreggere il peso, si mostrano contratte. Il Marchio, piegato dai muscoli, spicca sulla schiena pulita, in quel bianco soffocato dal caldo rossore. E lui starebbe lì. Lascerebbe continuare il gioco, se così possiamo definirlo. Al stuzzicare di lei con la lingua, lui risponde. Un bacio passionale, gli umori e i sospiri si uniscono in un danza che lascerebbe ben poco spazio all’immaginazione. Gli occhietti, coperti dall’adagiarsi pigro delle ciocche corvine bagnate, in quel bacio rimangono chiusi, quasi vogliano assaporare ogni singolo istante. Col petto la spingerebbe verso il muro. Il desiderio della carne ora è incontrollabile. Si unisce a quello di lei. Le spalle la avvolgono. Il musino, ora tutt’altro che impassibile, passerebbe dalle carnose di lei, al collo, poi nuovamente su, poi chissà dove. Un impeto di passione incontrollato. Uno stuzzicarlo, invitarlo ad unirsi in una danza, che inevitabilmente lo ha portato a questo. Un turbine di piacere in cui le iridi bicrome si riaprirebbero nuovamente. Ad ogni stimolo, ad ogni minimo contatto punta quelle di lei. Che sia imbarazzata, o finalmente libera da ogni sigillo, continuerebbe. Chissà per quanto tempo saranno lì. Chissà che proprio l’Uchiha, scomodo forse, non la porti su quelle brandine improvvisate. Forse toccato dal fare di lei, forse mosso da qualcosa di più forte. // END

Viaggi. Gelato. Arrivare a otto azioni ogni tanto è dura.
Durissima.