Yami e Kawaakari
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Giocata del 17/05/2020 dalle 16:07 alle 18:22 nella chat "Porto con faro"
E si ritrova sempre lì. Ai piedi di quel faro, a fissare il mare. E' come se stesse sempre cercando qualcosa in quel luogo. O qualcuno. Gli occhi blu notte brillano davanti alla distesa marina, illuminata dal sole caldo di un pomeriggio di maggio. Certo, la nebbia è sempre lì. Ma ormai lei non ci fa più caso. Perché quel grigiore è diventato la sua casa. Se ne sta seduta ai piedi del faro, con le spalle poggiate contro di esso. Le gambe sono piegate contro il petto e lo sguardo è completamente perso nel mare davanti a sé. Come se fosse in attesa. Come se aspettasse che quel ragazzo cada ancora dal cielo, come l'ultima volta. Eppure, dopo quell'incontro, lei non l'ha più visto. E adesso, ripensandoci, sembrerebbe quasi un sogno. Come se quell'incontro non fosse mai avvenuto. Sul capo, non porta più nessun coprifronte. Ha fatto una scelta. Tagliare i legami. E ciò include anche stroncare il rapporto con il proprio villaggio. Perché Konoha stava per ucciderla. Era il villaggio a comandarla come una pedina. E' stato il villaggio a strapparle via tutto. E adesso non sente più l'appartenenza ad esso. Non vuole più essere mossa da nessuno. Combatterà la guerra per sé. Per migliorarsi, giorno dopo giorno. E per dimostrare al mondo quanto si possa diventare forti da soli. Indossa semplicemente un top nero a maniche lunghe e dei pantaloni larghi, anch'essi neri, che si stringono in vita ed alle caviglie. Sulla coscia destra tiene legate delle fasce elastiche bianche che reggono il portakunai nero. Ai piedi porta delle scarpe di tela nere, logorate dal tempo e dall'uso. Il polso sinistro, al quale di solito teneva legato il bracciale rosso che Onosuke le aveva regalato, quest'oggi è libero. Nessun bracciale lo contorna. Le mani, velocemente, verrebbero portate al petto, congiungendole e formando il sigillo della capra. Immaginerebbe, a quel punto, due sfere: una nera, l'altra viola. La prima, all'altezza della fronte, simboleggerebbe la propria forza spirituale. Da cosa è composta quest'ultima? Semplicemente, dal proprio buio. E' la vera essenza di sé. Quell'essenza che per troppo tempo era stata celata agli occhi altrui ed ai propri. La seconda, all'altezza del ventre, rappresenterebbe la propria forza fisica. Essa è composta da tutti i suoi sforzi. Da tutte le volte in cui si è impegnata al massimo. Dal potere che, poco alla volta, la rosata va acquisendo. E comincerebbe a far roteare le due sfere, dapprima sul loro asse. Poi le spingerebbe, l'una verso l'altra, all'altezza del petto. Qui, in un vortice scuro, cercherebbe di unirle, formando una sola sfera: quella del Chakra. Unica parte di lei che brilla ancora. E, se il richiamo fosse andato a buon fine, quella grande forza invaderebbe ogni sua cellula. E lei ne assaporerebbe la forza. La potenza. Un respiro, prima di sciogliere il sigillo della Capra. Un respiro, prima di abbracciare nuovamente ciò che è diventata. Yami. [Tentativo richiamo del Chakra][Chakra 30/30][equip: 3xshuriken - 3xkunai - 1xcarta bomba - 1xfuuda con tronchetto sigillato] [Faro.] Seppur sia da poco tornato da quella missione in cui ha potuto salvaguardare l'essenza di due pargoli, nonché progenie dell'Hasukage, ha deciso di ritornare nuovamente verso quella zona limitrofa al villaggio della nebbia, permettendo a quel banco di non mancare, di presentarsi anche quest'oggi con quel debole alone di mistero che avvolge ed abbraccia l'intero luogo, soprattutto in prossimità del fondale marino, poco più distante. E se l'altra si trovasse ai piedi dell'immensa costruzione del faro, qualcuno sembrerebbe discendere propriamente da esso, permettendo all'estremità delle proprie leve inferiori una facile percorrenza, dato l'ausilio del chakra che è stato già precedentemente evocato. Un composto di energie fisiche e psichiche che, senza avanzare sigillo alcuno, si è proposto dapprima nel plesso solare e poi scivolare verso il basso, in quel calzari, potendo esprimersi in una rapida chiamata, in quella patina omogenea che migliorerebbe l'aderenza sulla superficie verticale. Sono molteplici le falcate che pronuncerebbe, per poi lasciare l'aderenza in un semplice fremito, in un balzo semplice, da un'altezza di [5 metri], decisamente sotto il controllo maschile. Il corpo che durante la discesa sembrerebbe coordinarsi fluidamente, per poter poi atterrare praticamente [dinanzi] al corpo della Senju, ad una distanza di [3 metri], permettendo che lo sconosciuto compaia ai suoi occhi di spalle, dopo aver inchiodato le gambe al terreno e molleggiando per attutire la caduta. Si rialzerebbe in piedi, non preoccupandosi neanche di aver eventualmente spaventato l'opposta, dietro di sé, mostrando quella lunga cappa nera che avvolgerebbe l'intera fisionomia maschile, ad eccezione del pantalone nero che poco più sopra della caviglia si potrebbe individuare, prima che mediante alcuni bendaggi candidi si riuniscono nei calzari scuri. Equipaggiamento totalmente con sé, rinchiuso in quelle tasche e sacche celate, esternando quel crine azzurro che decanta, fino a porsi lungo la schiena maschile, una volta che si è rialzato totalmente in piedi. <Uh?> Un debole tocco verbale, un sussurro delicato, nell'avvertire una sagoma, poco distante, torcendo appena il busto in senso orario e far sì che la nuca scivoli a destra, affinché la figura femminile possa rientrare nell'occhio destro, quell'ambra che pressa e brucerebbe, arde e decompone la struttura della fanciulla. Pesa quello sguardo, a causa della sua intensità, come se fosse uno spartito musicale anomalo, un'incognita a cui viene complesso il decifrare, se non quei lineamenti facciali distesi, apparentemente tranquillo. Una maschera di quella pelle diafana, nivea, e priva di imperfezioni. [Chakra On][Equip.Scheda][Rilascio del Chakra Avanzato] I pensieri sono fissi a quel pomeriggio. A quella notte. Pensieri che ritornano spesso alla mente di lei. Pensieri che si focalizzano su quella figura enigmatica, a quel mantello nero ed al Mangekyou Sharingan. Kioshi Uchiha. Caduto dal cielo, come un angelo. Un angelo che ha donato a lei la capacità di bruciare il proprio passato. Di scioglierlo completamente, come neve al sole. Un angelo che le ha mostrato la bellezza dell'oscurità. Un angelo della morte. E vorrebbe rivederlo. Fargli vedere ciò che, grazie a lui, è diventata. Eppure, la sua figura sembra lontana, quasi evanescente. Quella mano che lei stessa ha toccato, adesso vorrebbe stringerla. Vorrebbe guardare ancora quel buio, con nuovi occhi. Occhi rinnovati da quella vita senza freni. Senza catene. Perché tenere nascosto qualcosa di così meraviglioso? Perché tenere nascosta la propria natura? Se potesse tornare indietro, la tirerebbe fuori prima. Se potesse tornare indietro, non soffrirebbe più come, invece, ha fatto. Taglierebbe i legami, prima ancora che essi si formino. Così da non dover versare lacrime. Però, ormai è andata così. E va bene. Perché il suo passato le dimostra quanto può essere misera una vita vissuta solo per gli altri. Una vita vissuta senza prestare attenzione a se stessi. E sa che non rifarà più gli stessi sbagli di allora. Perché creare legami, amare delle persone, prima o poi ti distrugge. Perché lei, per Onosuke, per Norita e per Yosai avrebbe dato la vita, senza pensarci due volte. E lì, sarebbe finita la sua esistenza. Qualcuno avrebbe vissuto al posto suo. Lei non sarebbe più esistita. Che bello c'è nel vivere per gli altri? Adesso lei non lo capisce più. Perché ha capito com'è vivere per se stessa. E non c'è niente di migliore di assaporarne ogni piacere. D'un tratto, il filo dei suoi pensieri viene interrotto da un tonfo. Il cuore, per un attimo, perde un battito. Perché i ricordi tornano con violenza nella sua mente. Perché Kioshi era piombato davanti a lei allo stesso modo. E gli occhi si spostano, ansiosi, verso la figura appena caduta dal cielo. Dapprima sulle sue gambe, poi sul resto del corpo. E' vestita completamente di nero. Per qualche secondo, ci crede veramente. Crede che l'Uchiha sia tornato davvero, in quel luogo. Poi, però, lo sguardo si sposterebbe sui capelli. Azzurri, come il sereno. Il cuore tonerebbe a battere normalmente. Nuovamente, lui non è lì. E lei sembrerebbe aspettare chi non viene mai. Osserva la figura rialzarsi e voltarsi lievemente verso la rosata. Una semplice esclamazione, quando si rende conto di non essere solo. < A quanto pare, non si può mai stare soli qui > direbbe, guardando il viso dello sconosciuto, soffermandosi sui suoi occhi. Il tono è senza inclinazioni particolari. Nessuna emozione traspare dall'espressione distesa del viso di lei. Né paura, né stupore. E resterebbe lì, ad osservarlo. [Chakra on][equip lo stesso] [Faro.] Torace che andrebbe lentamente ad ingrossarsi, a permettere alle proprie narici di inglobare all'interno di sé un'alta quantità di ossigeno, trattenerla all'interno dei propri polmoni, per poi espellerla qualche secondo dopo, in un lasso di tempo comunque breve, sospirando con un pizzico di violenza, mediante un minuscolo foro presentato dalle labbra. Dopotutto deve scaricare anche quel minuscolo spostamento che stava effettuando, prima di raggiungere la zona mediante una prodezza acrobatica, seppur non ne sia particolarmente avvezzo, sopratutto in missione. Ma nonostante il termine di questa, lungo il precedente giorno, un pizzico di adrenalina continuerebbe a macinare dentro sé, come un motore silenzioso della propria volontà. E sarà proprio per ciò, che andrà facilmente a stancarsi di quella posa, nel permettere all'altra di scrutare ulteriormente la propria schiena velata da quel tessuto color pece, che la gamba destra andrà a spostarsi dal terreno, per affondare indietro alla gemella e far confluire, conseguentemente l'intero corpo, in modo tale che possa offrire il [fianco destro] alla fanciulla, la quale si potrà trovare ad [ore tre] dalla propria posizione nuova. In questo modo, anche per il cranio maschile sarà più facile ripiegare in sua direzione, contemplarla con entrambe le pupille, nel tentativo di scavare a fondo in essa, provando ad analizzare quanti più dettagli possibili, tra cui riconoscere eventualmente un effige, qualcosa che possa erigere una base, una dimostrazione della potenza e del pericolo che forse sta stuzzicando con la propria persona, con quella presenza maschile, in una distanza neanche eccessiva. Ovviamente ignaro del fatto che sia piombato in quell'area, in maniera dissimile all'Uchiha, senza rendersi conto di quel battito mancato, di quella speranza che svanisce e si perderebbe in quell'inclinazione vocale neutrale. <La solitudine.> Un sussurro che viene estromesso, nell'assaporare qualcosa che lui dovrebbe conoscere decisamente bene, in qualità di un fantasma appena ritornato alla realtà. <E' sterile, se non vi è un fine ultimo.> Non si preoccuperebbe di sporcarsi di un argomento che non gli competerebbe, quando qualcosa sembrerebbe tentennarlo debolmente. Un colpo a ridosso di quel cancello, nel proprio subconscio, quella del lupo albino che ha assaporato la scia di una nuova preda. E' un tentennamento minuscolo, ma facilmente percepibile dall'altra, se stesse guardando il Chuunin. <Quale è il tuo ruolo, qui?> Decanterebbe, permettendo alla gamba mancina di muoversi, per affiancare infine il destro, in modo tale che ora possa presentarsi [frontalmente] all'opposta, la quale probabilmente è nascosta, incastrata, in quell'abbraccio che rinchiude la propria bolla. Proverebbe a compiere dunque qualche passo, non più di un paio, per permettersi di solcare un metro e raggiungere i [2 metri] dall'altra, abbassando il cranio in sua direzione, data la differenza d'altezza attuale. Cercherebbe quasi di abituarla alla propria presenza, a far includere se stesso in quell'area che gradualmente diventa sempre più minuscola, un'area in cui è davvero sufficiente bisbigliare, in modo tale che possa essere comunque facilmente percepito dalla controparte. Il respiro risulterebbero leggero, con quelle gambe debolmente divaricate, pronte ad esprimere una possibile evasione, nel caso in cui dovesse riscontrare una particella fin troppo irascibile; altrimenti potrebbe anche iniziare a calcolare anche le prossime fasi, con quei ingranaggi che iniziano a roteare nel proprio cervello. Riesci a mantenere il contatto visivo, Yami? Quell'ambra ti stanno invadendo, soprattutto nel silenzio in cui questi si nascondono; spiano e tentano di intravedere quanto siano profondi gli opposti, quanto quella galleria dietro le palpebre siano profonde, per non finirne inghiottito come una vittima incosciente. Ancora un altro colpo intanto, nel proprio subconscio, che si scandisce, con il respiro di un cacciatore pronto a degustare la vittima sacrificale. Brama la fuoriuscita, così come quella di palesarsi all'esterno; ma quanto potrebbe resistere il genetista a quell'impulso? [Chakra On][Equip.Scheda][Rilascio del Chakra Avanzato] Si dice che gli occhi siano lo specchio dell'anima. Si dice che attraverso di essi si capisca molto di una persona. Perché gli occhi sono l'unica parte del corpo che non mente davanti a nulla. E lei i suoi occhi, di un blu che ricorda il cielo stellato, li tiene fissi su quelli altrui, anche se ancora non può vederli completamente. Infatti, è solo dopo qualche momento che la figura comincia a ruotare il proprio corpo, dandole prima il fianco destro. E lei lo studia. Cerca di capire chi sia. Cerca di capire perché non se ne sia ancora andata, nonostante le parole non troppo gentili di lei. Guarda poi quegli abiti neri, in netto contrasto con i suoi capelli azzurri. Un po' come lei. Un po' come i suoi capelli rosa, unico colore che si porta dietro. Perché essi rappresentano il suo passato. Rappresentano ciò che è stata e ciò che non tornerà ad essere. Mai. E quell'azzurro che significato avrà per lo sconosciuto? Quale sarà il significato di quei vestiti neri? Quale sarà il colore della sua anima? Lei non aspetta altro che incontrare anime come la sua. Nere, come la pece. E condividere con loro la bellezza dell'oscurità. Ovviamente, evitando di stringere quei legami che l'avevano distrutta. Solo per divertimento. Solo per piacere. Solo per mettere nuovamente in circolo nel proprio corpo quell'adrenalina che prova quando riesce a vedere negli altri il suo stesso buio. Adesso, tutto ciò che vede, è rosa contro azzurro. Due opposti, che non possono nascondere all'altro quei colori così accesi. Ed adesso alle orecchie di lei giungono delle parole. La solitudine. Quella solitudine che è riuscita a guadagnarsi con fatica. Quella solitudine che le ha donato l'opportunità di vivere meglio, senza doversi preoccupare di nessuno, se non di se stessa. Qual è il fine ultimo della sua solitudine? Semplicemente, stare bene. Sentirsi finalmente in pace con il proprio ego. Sarebbe un fine valido per quello sconosciuto che ha davanti? A lei questo non importa davvero. Non le importa più del parere altrui sulle proprie credenze. Non vuole più essere influenzata da nessuno. Le parole degli altri potranno sì arricchirla, ma non cambiarla. Perché adesso ha raggiunto la sua stabilità. Ha raggiunto un equilibrio che non aveva mai avuto prima. Tutto questo perché aveva smesso di sopprimere la sua anima scura, macchiata di peccato. L'aveva accolta. L'aveva abbracciata. Ed essa le aveva donato la vita. Come se non avesse mai vissuto prima d'ora. Come se i suoi occhi si fossero aperti solo adesso. E con quegli occhi osserverebbe ancora l'altro. Osserverebbe il suo tentennamento, come se si fosse appena ricordato di qualcosa. Qualcosa che la rosata non può cogliere. D'altronde, non era mai stata brava a capire gli altri, neanche adesso. Poi, una domanda. Qual è il suo ruolo qui? Lei lo sa. Lei sa quale sia il suo ruolo. Perché l'intero mondo si basa su di esso. E qualcuno deve pur fare il lavoro sporco. < Mantenere l'equilibrio > parole decise, che si perdono in un leggero vento caldo, quasi estivo. Mantenere l'equilibrio del mondo. Dare, per ricevere qualcosa in cambio. Lei dà la morte. E la sua vita s'allunga. Uccidere o morire, su questo è basata la realtà. Nient'altro. Adesso lo sconosciuto si volta verso di lei, permettendole una completa visione. E si avvicina, dimezzando quella distanza che prima li separava. Il suo sguardo ambrato è fisso su quello di lei. Come se anche lui stesse cercando di guardare oltre. Come se anche lui la stesse analizzando. E lei non muove un muscolo. Fissa quegli occhi, senza paura. Probabilmente, prima non ci sarebbe mai riuscita. Ma ora è riuscita a raggiungere una sicurezza tale da poter mantenere quel contatto, senza problemi. < E tu? Qual è il tuo ruolo? > replica la domanda. Koichi, qual è il colore della tua anima? [Chakra on][equip lo stesso] [Faro.] L'altra non si muoverebbe, rimarrebbe congelata in quella sua posizione, provando a non defluire via, a non cedere in quel contatto visivo, permettendo all'altrui di analizzare ed essere analizzato. Un gioco che trasuda una silenziosa sfida, una competizione che può nascere e morire, in qualsiasi istante; dovrà essere puramente loro fatica permettere che quella scintilla non sparisca via, sotto il soffio debole della realtà. Colpevole del suo passaggio fin troppo rapido, incurante degli eventi che dietro di sé si trascinerebbe. Lei, come una signora, avanza imperterrita, senza voltarsi e senza macchiarsi del suo passata. Eterea, mentre scivolerebbe in avanti e dietro tutti, nel mero tentativo di aggrapparsi a quella corda fin troppo sottile. Alcuni periscono, altri cedono dopo aver miseramente combattuto; altri ancora hanno appreso a perseguire non dietro d'essa, ma attorno, come una linea temporale totalmente differente da essere atipico, non soggetto a quelle regole, a quei fili fin troppo fastidiosi e limitanti. <Uh.> Un respiro debole, scandito da quelle labbra, mentre improvvisamente inizierebbe ad ingrigirsi maggiormente, come se fossero sotto il diretto comando di quel passeggiare maschile, sotto l'influenza del proprio capo. Una scia velenosa che s'agglomera in quel firmamento non più chiaro, ma ricco di un presagio non negativo, non obbligatoriamente, ma sicuramente singolare. Raggiunti dunque i metri prefissati, nella sua postura, non andrebbe a far altro che ripiegare il busto innanzi, a sporgersi in avanti, tentando di mantenere quanto più possibili le gambe distese, con le braccia che si spingono appena indietro, per ottimizzare l'inclinazione del torace di lui. Ed è in quel movimento calante di quel capo, di quella nuca, che qualcosa muta, che qualcosa simile ad un sogno si presenta. E' una minuscola particella di quel flusso energetico, di quella linfa che continuamente scorrerebbe impetuosamente nel proprio corpo, quanto basta per essere sospinta questa volta verso l'alto, per superare sia la cavità orale che la nuca stessa, per raggiungere la propria corteccia cerebrale. Leggera come una piuma, quella quantità sarebbe sufficiente ad individuare la cavità in cui depositarsi e riuscire ad incentivare quella metamorfosi. Una trasformazione che avverrebbe in un processo quasi automatico, del tutto naturale, seppur inaspettato, al terzo rintocco contro quella gabbia che fino ad ora lo tratteneva all'interno di quel contenitore. Uno scambio di corpi, di essenze e personalità, ove i filamenti sembrano schiarire, in una miriade di ciuffi albini, più corti rispetto al proprio compagno, e le iridi si modificano nella loro tonalità: raggiungono ordunque un violaceo molto ricco, con le palpebre che si allargano appena, nell'atto di focalizzarsi maggiormente sull'altra. Non è una trasformazione, lo si comprenderebbe fin troppo facilmente, permettendo che qualcosa possa scatenare nell'attenzione visiva. Dopotutto, in quel fugace momento, l'altra potrà percepire anche un paio di gocce bagnare il terreno, in una sequenza dapprima debole, poi poco più rocambolesca. Che sia stato proprio lui a smussare così tanto, da ripiegare anche il meteo al proprio sussurro? Le labbra che si allungano, non si preoccuperebbe di presentare un sorrisetto appena divertito, con quella dentatura candida, come la neve, che si pronuncerebbe appena. <Quale è la tua paura?> Domanda, secca e diretta. Fin troppo esplicita, come se improvvisamente potrebbe perforare con maggior enfasi in quell'oceano; rispetto al precedente, lui non avrebbe paura di inoltrarsi oltre, di affondare in quei zaffiri oscuri ed esplodere al suo interno. C'è un desiderio avvertibile, come un fuoco che aumenta dal proprio corpo, un tepore che non verrebbe arrestato, neanche dinanzi a quelle gocce che sfiorano il proprio vestiario, quella capigliatura e quel viso. Anzi, una di quelle sfortunate gocce si permetterebbe anche di trascinarsi su quel viso, bagnandone appena la gote destra, fino a ricadere lungo il mento. E lui? Totalmente instabile, da non curarsi di quella condizione, di porre il proprio corpo, sotto l'irruenza dell'acqua. Ma intanto abbia ignorato il proferire altrui? Assolutamente no, anzi avrebbe ben accolto quella missione. <Chi è che riesce a comporre adeguatamente la linea del confine?> Per sapere in quale fazione spingere, tra il bianco ed il nero, bisognerebbe esser capaci di comprendere perfettamente quale sia il centro, la metà dell'intero ecosistema. Braccia che dunque andrebbero ad affondarsi in avanti, con i palmi che sfiorano il terreno, per aggrapparsi in quella postura da quadrupede, nel tentativo di perseguire oltre, fino a raggiungere [1 metro] frontalmente all'opposta, ma senza inchiodare le ginocchia al terreno, a quel materiale sabbioso, che gradualmente andrebbe ad umidificarsi. <Sai, ho superato tante volte il limite, che oramai neanche ricordo più cosa sia.> Dopotutto è uno spettro che è scomparso e tornato più volte, dunque comprenderebbe perfettamente che l'importanza di un argine sia stato trascurato, abilmente. <Cerco il mio diamante.> Il romanticismo intrinseco della propria ricerca è decisamente palese, abbandonando effettivamente qualsiasi congettura che quel termine possa essere legato effettivamente ad un sentimento. <Il tuo nome.> Non domanderebbe, ma sembrerebbe ambire, in quella proposizione posta con cura, come se lo spartito dapprima annunciato, quello anomalo, è oramai il banco su cui l'albino danzerebbe. Il mistero la sta guardando, l'ignoto di sapere e non sapere. Creare e distruggere. Tutto o niente? [Chakra On][Equip.Scheda][Rilascio del Chakra Avanzato][2/4 Turno: Tentativo Attivazione “Sindrome: Secondo Stadio. | -2 Chakra]
Giocata del 04/06/2020 dalle 20:29 alle 20:44 nella chat "Porto con faro"
Momenti che sembrano spezzare la calma apparente del luogo. Una sfida silenziosa, una sfida di sguardi. Chi dei due sta giocando con il fuoco? A lei, sicuramente, piace il rischio. Le piace bruciarsi la pelle, con quel fuoco che si è appena acceso. L'adrenalina comincia a scorrere imperterrita nelle sue vene, raggiungendo ogni angolo più remoto del proprio corpo. L'ignoto l'attrae come se fosse una calamita. Perché, in fondo, non puoi mai sapere cosa succederà domani. E se non lo affronti, allora perché vivi? Vivere è saper giocare. Saper fare le giuste mosse in quell'immensa scacchiera della vita. Vivere è crescere. E' saper spingersi oltre i propri limiti, abbracciando l'oscurità del proprio cuore. Abbracciando la parte nascosta di sé. Uno scambio equo. La luce si spegne e tutto ciò che resta è il buio. Una trasformazione, che ti fa vivere appieno la vita. Una trasformazione silenziosa, alla quale cedi senza pensarci due volte. Adesso, quella trasformazione nell'altro è visibile. I capelli, d'un tratto, mutano il proprio colore. L'azzurro si spegne, cedendo il passo al bianco. Gli occhi cambiano tonalità, divenendo violacei. E lei osserva quel suo mutare, con occhi che brillano alla visione. Ed il proprio buio sarebbe quasi proteso verso l'interlocutore. Come a volerlo abbracciare e renderlo parte di quell'oscurità. Cosa si nasconde dietro quegli occhi violacei? Lei, adesso, lo vuole sapere. Ed il suo sorriso si distende, assumendo tratti sadici, che stonano con il colore così puro dei propri capelli. E, proprio in quel momento, come se l'altro avesse scatenato l'ira divina, il cielo piange. Qualche goccia ricade al suolo. Qualcuna le bagna i vestiti. Piove, in un'eterna danza infernale. Il sorriso altrui par essere divertito dalla situazione. E lei non si tira indietro. Lei continua a sostenere quello sguardo dal colore mutato. Continua ad ascoltare quelle parole, come se fossero la sorgente da cui trarre il proprio piacere in quel momento. Perché lei è alla continua ricerca di qualcosa che continui a far scorrere dentro di sé quell'adrenalina. Qualcosa che la porti così vicina alla morte da farla sentire, paradossalmente, viva. Ed egli spinge, fa pressione verso di lei, alimentando quel leggero piacere nato per caso. < Tornare quella di un tempo > un sussurro che si perde tra le gocce incessanti di pioggia. Avrebbe potuto dire che niente più la spaventa. Avrebbe potuto dire che, da quando è cambiata, le sue paure sono svanite nel nulla. Ma non sarebbe stata sincera con se stessa. Perché quell'unica paura esiste dentro di lei. Non vuole tornare a soffrire per gli altri. Vuole vivere per se stessa. Non vuole più essere debole. Vuole rafforzarsi, giorno dopo giorno. E poi, quando il destino vorrà, spegnersi e ritornare al nulla, abbracciando il buio eterno. Poi, un'altra domanda giungerebbe all'orecchio di lei. E la rosata riflette, cercando di trovare ciò che più esprime i suoi pensieri. Ciò che più esprime quella vita sregolata e libera. E aspetterebbe che lo sconosciuto si fosse avvicinato, prima di rispondere. Aspetterebbe quell'avvicinarsi malvagio, in una posa che le ricorda un lupo mannaro. Come se volesse inghiottirla da un momento all'altro. Eppure, lei resta impassibile. Anzi, la sua adrenalina non può che crescere, osservando come egli muti ancora. E' come se stesse aspettando di essere azzannata da un momento all'altro. Come se gli stesse silenziosamente chiedendo di donarle dolore. Per sentirsi viva. < Gli shinigami > un altro sussurro, in quella piccola area che li divide. Gli shinigami, per lei, sono coloro che compongono la linea di confine. Coloro che mantengono l'equilibrio del mondo. Coloro che sono in grado di amministrare le vite. Certo, non si parla proprio di dei. Ma di uomini. Uomini che hanno scelto di vivere in quel modo. Che hanno scelto di mietere vittime, per allungare la propria vita. E, in fondo, tutti i ninja sono shinigami. In una guerra, ci si schiera da una parte o dall'altra. E tutto ciò che puoi fare, è uccidere, per portare la tua parte alla vittoria. Uccidere per vincere. Uno scambio equo. < A che servono i limiti, quando si può vivere senza? > tono divertito, accompagnato da quel sorriso sadico che s'allarga ad ogni parola. I limiti non ti fanno vivere come vorresti. Ti tengono legato, bloccato all'interno di ideali che non ti rispecchiano. Quello, per lei, non è vivere. Quello è morire. Ingiallirsi, come una foglia in autunno, per poi cadere al suolo. < Il tuo diamante? > ripeterebbe le parole di lui, con un'inclinazione incuriosita. Poi, il busto verrebbe portato in avanti, dimezzando la distanza che prima li divideva. Il volto tende a quello di lui, adesso a mezzo metro. Il braccio destro s'allungherebbe verso il viso dell'altro. Se le fosse permesso, andrebbe a poggiare la mano sulla guancia sinistra di lui, per poi sussurrare < Yami >. Il contatto visivo verrebbe mantenuto, come a rafforzare l'intensità di quel nome. Oscurità. Buio. Yami. [Chakra on][equip lo stesso] Quelle gocce che come rugiada decadono dal firmamento grigiastro, da quel pulviscolo che oramai si concentra unicamente nell'umidità presente del villaggio, riuscendo a rendere l'intero panorama in uno scenario tanto singolare, da rendere particolare anche quel fenomeno oramai comune in quelle terre. Bagnano ripetutamente quella sabbia, rendendola decisamente più ostica da spostare, come se quei granelli umidi si riunificassero in un unico costrutto, rallentando il perseguire di quell'avvicinamento, lento e posato, seppur non manchi di lasciar trasparire un velo di ira decisamente ben repressa, come se il lupo stesse attendendo soltanto una scintilla, una vibrazione effimera, per saltare addosso all'agnello, seppur questo non si dimostrerebbe esser così tremolante ed impaurito. Quel contatto visivo che si mantiene duraturo, che non viene ceduto, come se l'intero paesaggio potesse addormentarsi, sopirsi, e trascendere, slittare in un secondo scalino, rendendo l'interazione con l'altrui personalità una priorità maggiore, a cui non si può negare lo sguardo. Famelici quelli violacei che accarezzano quelli oscuri, quel mare nelle sue profondità, ove la luce ha oramai difficoltà a subentrare. Un vago ricordo di quella luce, un riflesso che neanche si riesce ad osservare con costanza. Intermittenze che possono risaltare, soltanto se si è ben capaci di vedere, da una giusta angolazione. Fremiti, minuscoli, nel riuscire a percepire quei fotogrammi unici, in cui probabilmente si può ancora adocchiare la vecchia strada del passato, quella che l'altra starebbe perdendo, volutamente, per abbracciarne un percorso ricco d'oscurità. E la stessa decisione che rimarca la paura, il timore, rinchiuso in quelle braccia che continuano ad aggrapparsi lungo le gambe femminili, raccolte e ripiegate su se stesse. <Riesco a percepire la tua paura.> Ostenterebbe, come se non volesse affatto coprirsi di quella capacità, di quell'analisi dettata dalla postura avversa. Rinchiusa in una bolla, seppur amante del loco circostante, dalle persone misteriose che possono comparire attorno. E' ancora umana, in effetti, ben lungi da quell'entità sovrannaturali o di quelle marionette che decidono di perdere tutto per perseguire i propri scopi. Sono scelte, indirizzi che si inghiottano; ma lui non risulterebbe altro che un passante, un viandante, per quello spazio e per quel tempo, totalmente estraneo alle loro stupidi e futili regole. <Ma...> Sgancerebbe, quel distacco, risaltando quell'apertura delle labbra, su quella vocale secca che ne fuoriesce. <Se sei qui, è anche merito del tuo passato e senza di esso, forse non potresti godere questo cambiamento.> Tutto ha una logica, tutto ha un filo su cui aggrapparsi e perseguire; ed il caso altrui non farebbe eccezione alcuna. <Dimmi del tuo passato e del tuo presente.> Inchioderebbe l'argomento, mentre altre gocce ricadono su quel corpo, su quel dorso che quasi si sentirebbe appesantito dalla lunga cappa nera che sembrerebbe volerlo schiacciare verso il suolo. Ma le braccia si contraggono, come le gambe, ben pronto a sostenere interamente il peso di sé, a non demordere e cascare, soprattutto ora che è all'attenzione opposta, come un ornamento al di sopra di un piedistallo. Deve brillare, deve attirare con la propria voce e non solo. Perché il verbo non funga soltanto da melodia, ma rilasci un profumo: una scia su cui l'altra potrà percepire esaltazione nel consumare le sue note. Come droga, si alimenterà da esse e pretenderà maggiormente, per un lauto pasto, per chi è rimasto a digiuno da troppo tempo. L'ignoto ti scruta, ti analizza in ogni singola sfumatura, pronto a captare l'angolazione giusta, quella migliore per oltrepassare la barriera, la stessa che le braccia femminili sembrerebbe metaforicamente replicare, innalzare. Sigillata, in quel contesto, come se la figura d'ella fosse al di sopra di un'enorme torre, in cui può ascoltare e proferire parola, ma nulla possa scalfirla invero. Al sicuro, ma da chi esattamente? Sarà abbastanza da esserlo da se stessa? <E tu... sei una di questi?> Questi fantomatici fautori della morte, coloro che riescono a sostare nel mezzo, senza cadere vittima dell'oblio, senza avere il piacere di vivere e neanche quello di morire. Una noia perpetua, in cui non si riesce a comprendere esattamente la propria figura. Impassibili detentori del dono, pronti a strappare per ricevere, ancor meno per donare ad altri. Egoisti, puri. <Oh i limiti.> Quante volte avrà potuto percepire questo termine, nella propria esistenza? Un dogma del genere umano, di quella stirpe che non è stata maledetta dal sangue che scorre nel corpo del Goryo. Regole, codici, leggi. Continui vincoli dell'esistenza, che forgiano creature profondamente malate. <Eppure...> Riprenderebbe poco dopo, per permettersi l'onere di assumere un minuscolo quantitativo di ossigeno nei propri polmoni. <Questi servono, soltanto in virtù del fatto che bisogna spezzarli.> Un mero compito, qualcosa di indubbiamente falso. Esisti, per poter morire. Così come la luce, merita per poter far risaltare l'ombra di un dipinto. Non li escluderebbe, affatto, ma non si lascia ingannare da essi, come catene, come limitatori della propria libertà. Piuttosto come una sfida personale, giornaliera, in cui può affermare la propria esistenza ogni singolo momento. Se qualcuno esprime che non posso, io dimostro di esser capace; a volte anche senza conseguire il risultato proibito, perché potere non equivale perennemente a volere. Posso, ma non voglio. Semplicemente una dichiarazione di intenti, di potenzialità, che nessuno può reprimere, ma senza scivolare in un'ipotetica psicologia inversa. Nulla può disegnare la vita del singolo, se si è abbastanza forti da stringere la matita tra le proprie mani. <Si, proprio lui.> Ne percepisce la curiosità, ma non rivelerebbe, ancora prematuro il tempo, ancora acerbo il contatto con lei, seppur possa cogliere quella variazione, quello scioglimento delle braccia femminili, per potersi sporgere innanzi col busto, scavando nelle proprie gambe, come a voler detrarre le distanze. La mano destra che si erige innanzi, verso la bestia, la creatura che per un misero frammento scruterebbe quelle dita, come ad anticipare il tocco, attendendolo negli ultimi istanti che precedono in quella carezza. Ne saggia solo infine, percependo la differenza di temperatura; probabilmente lui ritrova delle dita calde, rispetto al proprio corpo freddo, esile nella forza fisica e sotto allo scrosciar dell'acqua. <Uh.> Non salterebbe, non tentenna, ma risulterebbe strano avvertire quella gentile presa. <A volte continuo a dimenticare di esser tornato in questa realtà.> Uno spettro che acquisisce la carne, un'entità liberata dalla volontà dell'altro, del genetista dal crine azzurro. Rilasciato, permetterebbe non solo quel delicato punto, a favore della rosata, ma un movimento drasticamente lento da parte dell'albino. Macchinoso, a primo momento, staccando i palmi dalla superficie per porsi in avanti, in una piccola sequenza, una marcia graduale, che dovrebbe quasi azzerare le distanze, ridurle in briciole, finché l'intero corpo di lui non possa quasi trovarsi a contatto con le gambe di lei, sfruttando il pericolo anche come carta a propria disposizione. Non si cura del dettaglio, apparentemente, provando a raggiungere una distanza minima e confidenziale, dalle linee intime in taluni casi, in cui le due nuche si protraggono, finché non saranno [dieci centimetri] a separare i nasi. Uno dinanzi all'altro, probabilmente ancora ancorato a quella mano, a quel palmo femminile, che ne sfiora la pelle simile a porcellana. Brucia le tappe, i segnali di conoscenza, per ambire a ciò che non risulterebbe semplice. Manipola la realtà, la distanza, affinché possano trovarsi ad una distanza effimera. Eppure quella decina risulterebbe essere dannosa, cercando di occultare quanto più possibile lo spazio visibile attorno a sé. Si prenderebbe non il primo piano, ma il dettaglio: oscura l'esterno, affinché lo sguardo di lei non possa cadere altrove. Che abbia avuto timori di ciò? Assolutamente no, ma ora quelle pupille violacee risulteranno simili a due lune, incantevoli ed illusorie. Il respiro che si ammorbidisce, prestando attenzione a quel flusso ravvicinato d'aria: si è coscienti che possa esser un'arma a doppia lama quel breve distacco. Inebriante, se non si avesse abbastanza salda l'intenzione di trattenersi, come a voler decidere di farla soffrire ancora. La cuoce, con cattiveria: non provoca dolore, non in maniera diretta ed esplicita, ma lo rilascia proprio per la sua non azione. Eppure è lì vicino, quasi come se iniziasse ad ambientarsi, a marcare il territorio nemico. E' un gioco di posizione, un traguardo che tenterebbe di guadagnare e sfruttare. Non vorrà cedere, ma l'adrenalina sta pulsando e gioca effetti non preventivati. <Io sono...> Schiude, in un sussurro, in un bisbiglio capace di bagnare le proprie labbra. Sono umide le tue, vero Yami? <Chi...Ka...Ge...> Sillaba dopo sillaba, fonema che ne segue un altro. Una nenia pericolosa, una confessione che si rivelerebbe al pari di un segreto confluito all'esterno. Sembrerebbe dissolversi anche l'aspetto di chi sia il cacciatore e chi la preda, in un tormentato intento di resistenza. Vi è minuscola forza per resistere e non andare oltre, nell'accogliere l'odore che può emanare l'altra. Eppure vorrebbe innalzare la presa, la posta in palio, con quella mano destra che si schioda dal terreno e venga posta sulla parte laterale, lungo il fianco destro, per strofinarsi con attenzione. Una premura, minima ma presente, qualcosa che potrà essere notato dalla controparte; ma a quel punto sovviene soltanto una semplice domanda. Perché sta rendendo sterile di detriti sabbiosi quel palmo, quale sarà la prossima mossa progettata dal Chuunin? Sembra che abbia la sicurezza di poter attingere al prossimo passaggio, stuzzicando ulteriormente la fantasia d'ella. Dovrà bramare quella mano, aspettare che questa si dipinga verso il corpo leggiadro e femminile. Una preparazione, che aumenta l'appetito. Spuntino? [Chakra On][Equip.Scheda][Rilascio del Chakra Avanzato][Innata ON: “Sindrome: Secondo Stadio.] Un gioco infernale è ciò che i due si apprestano ad affrontare. Entrambi svolgono il ruolo del cacciatore. Entrambi svolgono il ruolo della preda. Chi mai potrebbe spuntare quella sfida? Chi mai potrebbe ancora reggere quegli sguardi famelici, che sembrano studiarsi per capire chi mollerà la presa per primo? Eppure, sembra che non voglia mollarla nessuno. Sembra che entrambi vogliano averla vinta, quella sfida. Un brivido d'adrenalina le percorre la schiena, mentre una goccia di pioggia le solca il viso, quasi fosse una lacrima. Una di quelle lacrime che ha imparato a non versare più. Che non vuole versare più. Perché lei ha ucciso la sua debolezza. Lei ha ucciso quella parte di sé imperfetta. Ha ucciso Tenshi Senjuu. Però, è proprio di lei che ha paura. Ha paura che quella figura, docile e misera, possa venire di nuovo a galla. Ha paura che possa spazzare via quell'oscurità da cui ha creato il proprio manto. E se Tenshi risorgesse? Se quelle lacrime ricominciassero a venir fuori? Cosa ne sarebbe della sua sicurezza? Cosa della sua determinazione? Cosa del suo posto nel mondo? Cosa ne sarebbe di quella vita meravigliosa che solo adesso riesce ad assaporare appieno? No, quel modo di vivere non fa più per lei. Quell'aggrapparsi continuamente a qualcuno, non fa più per lei. Perché si è stancata. Si è stancata di essere nessuno. Di non avere le forze necessarie per affrontare il mondo. Di non essere in grado di vivere per sé. Lo sguardo continuerebbe ad essere fisso su quello altrui, mentre altre parole vengono pronunciate dalla figura di fronte a lei. Percepire la paura. Questo è ciò che vorrebbe fare lei. Percepire le paure degli altri e fare leva su di esse. E portare caos. Portare buio. E' vero, ha paura della sé del passato, ma sa bene che se lei oggi è così, lo deve solo a quei ricordi. E' proprio il suo passato che non la fa cedere. E' proprio esso che la spinge a perseguire quell'oscura strada ricca d'insidie. Perché non vuole ritornare sui suoi passi. Non vuole tornare ad essere debole. Non vuole tornare ad appoggiarsi sugli altri per vivere. Vuole solo continuare a vivere così, senza corde che la tengono legata. Senza regole ferree da seguire. Perché adesso il bruco è venuto fuori dal suo bozzolo. Ed ha spiegato le ali. Ali nere, che volano sempre più in basso, fino a toccare la profondità della sua anima buia. < Ero una debole > scandirebbe le parole in sussurri, udibili in quella poca distanza che li divide. Non c'è bisogno d'aggiungere altro. Quelle parole sono la perfetta sintesi di ciò che lei era un tempo. Come negarlo? Per quale motivo negarlo? Non ha più nulla da nascondere a quel mondo che l'ha voluta così. A quel mondo che tutt'oggi combatte, andando contro la sua stessa natura. Una natura fragile e nobile allo stesso tempo, a causa del suo sangue. A causa di quel sangue che la lega inevitabilmente ad uno dei clan più importanti di Konoha. Che la lega inevitabilmente al suo villaggio. Eppure, oggi, vorrebbe combatterlo. Perché la Foglia l'ha privata di tutto. E perché lei non è più una sua pedina da muovere a piacere. Certo, quella guerra lì a Kiri continuerà a combatterla. Ma non per il villaggio. Piuttosto, per un bene superiore: il proprio. < Adesso sono solo una farfalla che ha imparato a volare >. Quella guerra la renderà più forte. Deve renderla più forte. Altrimenti, resterà nella sua debolezza a vita. E quello non è di certo ciò che vuole. < E tu chi eri? > chiederebbe, sempre più interessata alla figura che sta davanti a lei. Il passato può essere oscuro. Ma l'oscurità può diventare sempre più buia, se solo si vuole. Ancora quegli sguardi continuano a scrutarsi, andando alla ricerca di qualcosa su cui fare leva. Di qualcosa da strappare via all'altro, a parole, con le mani, con i denti. < E' ciò verso cui la mia anima è protesa >. Verso l'essere shinigami. Un'anima nera, non può che essere volta ad uccidere. A portare via vite, che si sono dimostrate troppo deboli per quel mondo. A donare la morte ed a ricevere vita. Questo è lo scambio che regola il mondo. La legge del più forte. I forti vincono. I deboli periscono. E lei non è più debole. La sente, quell'adrenalina dentro di sé che la spinge a sopravvivere. La sente quell'adrenalina che la spingere a mietere vittime, per un semplice scopo egoistico: vincere. E non risponde alle sue successive parole riguardo ai limiti. Lei ha già espresso la propria opinione ed il discorso altrui sembra essere un giusto punto d'incontro: i limiti esistono soltanto per essere superati. La rosata, su quel porto, non ha fatto altro che andare oltre se stessa. Scoprire una parte nascosta di sé, tenuta all'oscuro in un angolo remoto dei propri pensieri. Aveva spezzato il limite. Ed aveva abbracciato la sua parte buia, che mai era venuta fuori in questo modo così evidente prima d'ora. Ha semplicemente dimostrato che lei è molto di più di una misera genin in lacrime. Lei è oscurità. Lei è Yami. Adesso, le proprie dita vengono a contatto con la pelle fredda di lui. Pelle fredda di chi sembra essere tornato dall'oltretomba. < Qual è la realtà a cui appartieni? > domanderebbe, di rimando alla precedente affermazione altrui. E lui si avvicina, lento, inesorabile, portando il suo volto a qualche centimetro da quello di lei. Le gambe della genin, lentamente si distendono, dapprima, quasi come a voler buttare giù quella barriera che li divide. Ed adesso verrebbero piegate e, con un leggero movimento, le porterebbe sotto il peso del proprio corpo, in ginocchio, così che non vi sia più nulla a separare i due. La propria mano rimane sulla sua pelle gelida, come se volesse trasmettergli ciò che lei è. Una kunoichi che non ha più paura degli altri. Lo sguardo rimarrebbe ancorato a quello violaceo di lui, quasi a non volersi più scollare da esso, finché non avrà strappato via qualcosa. Ed il sorriso s'allarga, all'idea di farsi male a vicenda. All'idea di strapparsi via tutto, in un sadico gioco di parole. < Chikage > ripeterebbe il suo nome, come a volerlo ben fissare tra i pensieri. E la mano di lui si alza, strofinandosi contro il fianco. Quella mano, fino a che punto si spingerà? Ma non importa, perché è la genin che in quel momento decide di andare oltre, consumando quei dieci centimetri che li dividono. Il proprio volto, se le fosse concesso, s'avvicinerebbe a quello dell'interlocutore. Il proprio naso sfiorerebbe quello altrui, in un gioco senza fine. La lingua andrebbe leggermente a bagnare le labbra. Ma quelle labbra non si poggerebbero su quelle dell'altro. Resterebbero così, sospese, in un lungo momento senza fine. [Chakra on][equip lo stesso] Dopotutto chi non è nato debole, incapace di porre l'orma della propria esistenza in maniera definitiva, su quel tracciato? Tutti possono andare incontro alla fragilità dell'esistenza, a quelle insicurezze che come piccole crepe si infrangono su un vetro che presto può rompersi e frantumarsi. E loro due non sono esponenti distanti da quella realtà, seppur sia decisamente singolare il modo in cui si affronterebbe tale divergenza, tale pericolo. C'è chi abbraccia il suo opposto e chi sfugge al percorso prescritto, per trovare sentieri nuovi e innovativi. La distanza misera che intanto scorrerebbe tra il duo si pone come una sfida esemplare, soprattutto per quei corpi che vengono gradualmente bagnati dalla pioggia che non smette, che non approva freno alcuno, rendendo il paesaggio dei due come poveri sprovveduti, sfortunati in quel destino dall'accento malinconico. <E quando incontrerai il tuo primo ostacolo, da farfalla, ti evolverai ancora per superare l'ostacolo?> Domanda, quasi incerto di aver compreso la metabolizzazione avversa, quell'attributo di cambiare forma, di cambiare sponda, soltanto per aggrapparsi ad una natura decisamente più congeniale alla difficoltà dinanzi. Potrebbe intravedere quel percorso, scorgerlo dalle iridi oscure e dall'intenzione precisa di avvicinarsi alle figure della morte, come se potesse essere tangibile la debolezza che fino ad ora ha presentato, indirettamente. <Posso immaginare che prima ti lasciavi circondare da persone ed ora pretendi la solitudine.> Dato il suo primo esclamare, in quella ricerca forsennata dell'assenza d'altri. <Probabilmente gli altri erano semplicemente zavorre per la tua crescita, provavano ad impiantare i loro ideali nei tuoi.> Cercherebbe di analizzare, come un medico dinanzi ad una cavia, senza conoscere i fenomeni che l'hanno colpito. Azzarderebbe, pericolosamente, provando a farsi guida di quelle iridi femminili e del suo verbo. <Eppure posso affermarti che ci siano legami che possono aiutarti, funzionare in modo tale che tu possa divenire più forte.> Un respiro, secco ma rapido. <A volte tutto si trasforma in noia, diventa fin troppo velocemente grigio.> La sua visione del mondo fino a qualche settimana addietro, ove solo ultimamente ha potuto approdare a nuovi fili colorati, a nuove intonazioni che hanno raccolto la benedizione della curiosità maschile. E chi lo avrebbe detto che quella fosse un'esclusiva delle ragazze? Fortunatamente qualcosa ha smosso la sua noia, quella pigrizia che lo stava divorando, giorno dopo giorno, secondo dopo secondo. <Io...> Prenderebbe parola, intenzionato a svelarsi, per dare il giusto valore alle parole altrui, in quel baratto necessario e fedele. <Non riuscivo a mantenere tra le mie dita la matita che mi permetteva di disegnare il mio progetto.> Metaforico ne argomenta, accedendo a quei tasselli di pensiero mediante alcuni enigmi. Misterioso, come sempre. <Ho perso la matita più volte, a volte l'ho cercata subito ed altre volte ho riflettuto se dovessi davvero cercarla od aspettare che questa ritornasse da me.> Stupido nel pensare che un oggetto possa ritornare, vero? Eppure a lui gli è accaduto, soprattutto quando ha riscontrato la trasfusione che l'ha permesso di tornare nuovamente in vita, seppur con qualche accessorio in più, lo stesso che l'altra sta adocchiando. L'altro, quella personalità rinchiusa nel proprio subconscio ed esternato, in questo momento. <La mia è una realtà che non ha concezione dello spazio e del tempo.> Disordinata, potrebbe sembrare. <Lo stesso dominio in cui mi sono perso e trovato, nuovamente, per il mio progetto di trovare il diamante.> Un recupero funesto d'ossigeno: <Il mio diamante.> Ne accentua l'aggettivo possessivo, seppur non possa ancora stringerlo nelle proprie mani, tra le proprie dita. Sembrerebbe esser sufficiente il poterlo ambire, ricercare con tutto se stesso, per concedergli il diritto di reclamarlo, di guadagnare la sua possessione. Lascia intravedere la funzione di questa scheggia, di questo frammento, come qualcosa di maggiormente prezioso, rispetto ad un minerale. Vi è altro, molto di più. Poi nota le due montagne di carne dissolversi, spogliarsi, per essere recuperate sotto il corpo opposto, rimuovendo traccia di ostruzione. Una possibilità di invadere oltre, soprattutto con quella mano che ancora detiene il contatto con la gote sinistra di lui, con quell'avvicinarsi che risulterebbe esser pericoloso. Ma per chi? E' quello il problema, quello il mistero più intrinseco. La guarderebbe decisamente negli occhi, come se voglia trovare qualcosa dentro di lei, una sintonia minima. Una vibrazione, oltre quel respiro che si unirebbe al proprio. I nasi si sfiorano, danzano, in quel contatto nuovo. Immagini che si ripercuotono nella mente di lui, rendendo una nebbia più fitta e pesante del villaggio in cui sostano, di quell'ambiente negativo, avvolti dal temporale che bagna maggiormente. Eppure lui inciderebbe, provando a ripiegare la mano destra, quella pulita per accortezza, per avvicinarsi, arrivare a sfiorare dapprima la guancia sinistra con il proprio palmo, ma affondare oltre. I polpastrelli che accarezzano in un tocco appena avvertibile la linea del mento, della mandibola stessa e poi fluire sotto l'orecchio, stuzzicando appena il collo. Proverebbe ad addentrarsi oltre, verso la nuca, verso quella capigliatura rosata, infiltrandosi fino ad accerchiare, a poter tentare di stringere appena la testa, non per ledere, ma per bloccare, fissare e lasciar intravedere l'impronta. Quella di possessione, quella di affermazione dell'essere. Labbra maschili che vengono rilasciate, si schiudono pericolosamente, soprattutto perché sono i denti ad emergere, dapprima, bianchi e splendenti, ma pronti a compiere l'atto. Non abbasserebbe quelle palpebre, provando a ridurre nuovamente il soffio d'aria e raggiungere così il labbro inferiore della fu Senjuu. Morde, è la prima cosa che farebbe, nell'intenzione di far provare un dolore minimo, ma non sprizzante di rabbia e né con rabbia. Anzi è calmo, come se volesse avere tutto sotto controllo, quello maniaco, nel voler notare l'espressione che si rifugia nel dolore, per un secondo o poco più. Perché stringerebbe, per poter spezzare, per poter avvertire un briciolo di quella riva scarlatta. Una misera goccia, con cui sporcarsi, con cui anticipare e rafforzare il momento inebriante. Il sangue, avvertito sotto l'influsso delle narici. Accentua un misero sorriso, poco dopo, soddisfatto dello sfregio minuscolo, in quell'intimità che andrebbe a rompere per primo, provocato a sufficienza e per mera volontà personale. Quasi sembra darle il tempo di ricambiare la cortesia col proprio labbro, se fosse abbastanza reattiva, prima che possa marcare maggiormente la presa, in concomitanza alla testa che affonda, contro l'opposta. Un contatto neanche troppo gentile, non più, provando a non rubare e non donare. Sembrerebbe una maledizione, invero: bacio della morte, freddo, che si stampa con coraggio e determinazione. Nulla di innocuo, nulla di casto, provando quasi a rimarcare l'intero corpo verso di lei, a volerla appena schiacciare contro la parete del faro su cui precedentemente la schiena femminile trovava supporto. Se soltanto fosse riuscito, scioglie le labbra per aprirle maggiormente, per farle aderire con maggior decisione, e passare a qualcosa di più concreto, ad una risoluzione che possa dare maggiormente soddisfazione. Appagamento, ma senza aver emesso la sua sentenza in quel marchio: difatti è il tocco di quel sangue nero, a voler raggiungere, mista all'eventuale saliva mescolata, il suo punto di ritorno, il suo veleno silenzioso. Una macchia violacea che sulla lingua di lei dovrebbe apparire, oltre ad una debole sottrazione del chakra, ad un'energia debolmente deperita dall'azione maschile. Una cicatrice temporanea, seppur quel bacio possa essere un segnale, simbolo, di qualcosa di appena più duraturo. Non sembrerebbe sbarazzarsene al momento, provando ad affondare sempre di più. Non è più una sfida, sta diventando una gara, tralasciando le sue condizioni di vittoria e sconfitta. Neanche quelle oramai sembrerebbero esistere. Il silenzio, intanto. [Chakra On][Equip.Scheda][Rilascio del Chakra Avanzato][Innata ON: “Sindrome: Secondo Stadio.][-1 PV per Contatto Innata. | Ipotetica Macchia Violacea sulla Lingua: -6 Chakra] Cambiare forma. Evolversi. Spiegare quelle ali appena formate e spiccare il volo. Sì, è questo ciò che lei ha fatto negli ultimi giorni. Si è impegnata a fondo per trovare la strada più consona. Tenshi Senjuu era stata deviata, per un bene superiore. Lei era diventata Yami per non farsi più del male. Per vivere la vita in modo sregolato. Per diventare più forte. E perché no, è pronta a cambiare ancora, ad evolversi di nuovo, pur di continuare a vivere in quel modo. Pur di continuare ad assaporare quella vita in cui le sofferenze sono solo un lontano ricordo. Perché i sentimenti negativi, quegli stessi sentimenti che la tenevano legata agli altri, quasi in modo maniacale, lei li ha bruciati. E quella pioggia che, piano, avvolge i due, sembra spegnere quel fuoco. E tutto ciò che rimane è solo cenere. < Io... punto alla perfezione > le parole ben scandite tra quei pochi centimetri che dividono i loro volti. Lei continuerà ad evolversi. Quelle ali continueranno a cambiare forma. Fin quando non sarà divenuta abbastanza forte. Fin quando più nessuno potrà scalfirla. Fin quando non ne avrà più bisogno. Si fortificherà nella propria solitudine, come avrebbe dovuto fare in precedenza. Perché le persone che la circondavano le facevano solo del male. Non direttamente, ovvio. Ma, ogni giorno che passava, la sua mente era sempre più debole. Cercava di appigliarsi disperatamente a qualsiasi cosa, ma invano. E sprofondava, sempre più in giù, perdendosi nei meandri della propria oscurità. Quella stessa oscurità che Kioshi le aveva mostrato, in quel porto. E che lei aveva abbracciato, facendola propria. Sì, gli altri erano solo zavorre che le avevano impedito di mostrare quel lato nascosto di lei. < Forse, ho solo incontrato le persone sbagliate >. Sa bene che gli ultimi incontri sono stati importanti. Sa bene che Kioshi potrebbe aiutarla a percorrere quella strada. O, forse, quell'uomo è semplicemente diventato una particolare fissazione per lei. Questo, ancora, non lo sa. E poi ascolta ancora le parole altrui, che, pian piano, vanno delineando la personalità di lui. < Sembrerebbe una realtà perfetta > senza spazio e senza tempo, dove nulla ti tocca. Quasi come la morte. Immane nel tempo. Infinita. Il nulla che si congiunge con il tutto. Quasi come una divinità. Quasi come quel pomeriggio lì al porto, fisso tra i suoi pensieri. Come quegli occhi rossi, che entrano dentro di lei, scavando tra la sua mente. Caos. Eppure, calma piatta. < Cos'è il tuo diamante? > chiederebbe solo adesso, dopo che più volte esso è stato nominato dal proprio interlocutore. Per la semplice voglia di scoprire cosa si celi dietro quegli occhi violacei e quei capelli argentei. E quegli occhi lei li guarda. Quegli sguardi si scrutano, come a volersi studiare. Come a cercare di capire chi dei due stia la preda e chi il predatore. E la mano di lui, d'u tratto, si tenderebbe verso di lei. Verso il proprio viso, sfiorandolo con tocco leggero, per poi addentrarsi tra i suoi lunghi capelli rosa. E le labbra di lui si schiudono, mostrando la dentatura candida. E quelle labbra, in una manciata di secondi, si poggerebbero su quelle di lei. Un morso, che fa presagire già il bacio della morte. E la dentatura stringe le labbra di lei, quasi con forza, nel tentativo di procurarle un minimo dolore. Dolore che arriva, adrenalina che sale. Il sorriso di lei s'allarga, con vena sadica. Questo è ciò che cercava. Ed ancora non sa cosa sta per avvenire. Ma già lei pregusta il momento, sporcandosi con una goccia del proprio sangue. E la destrorsa di lei scivolerebbe tra i capelli bianchi di lui, come a voler tenere ben salda la presa sul suo capo. E, quasi non ha il tempo di fare null'altro, perché la testa altrui affonda con più forza verso quella di lei. Eccolo, il bacio della morte. E lei schiuderebbe le proprie labbra, permettendo all'altro di fare ciò che più desidera. E potrebbe anche ucciderla, in quel momento. E lei ne assaporerebbe semplicemente il momento, in un brivido di follia. In quell'adrenalina che torna con prepotenza solo quando lei si sente vicina alla morte. La mancina s'alzerebbe anch'essa, andando a posizionarsi tra i capelli di lui, come a non volerlo farlo scappare via. E farebbe pressione verso le labbra altrui, sentendo quella forza venir meno, come se gli stesse silenziosamente comunicando che quella situazione, in realtà, allieta il suo spirito. [Chakra 24/30][equip lo stesso] I due volti sono dannatamente vicini, in una distanza che può risultare superfluo anche il saper implementare una minuscola tonalità di voce; sarà sufficiente il respiro, animato da quelle labbra che, lentamente, si muovono per poter scandire lettere, dunque fonemi. Gli stessi che si travestono da note, di differente entità, per comporre una melodia leggiadra e gentile, quelle lame che si intersecano senza fare rumore nella carne e poi si apprestano a roteare su loro stesse per farsi avvertire, in un secondo tempo. Ne intravede la determinazione, quel punto ultimo, di cui l'altra vorrebbe bagnarsi, in quella perfezione che si identifica spesso in un concetto puramente utopistico, che non permette nessun riscontro veritiero. Una bugia, potenzialmente, se non fosse che cede alla credibilità altrui, a darle il beneficio del dubbio, affinché possa pensare che l'altra abbia trovato una soluzione adeguata a quel passo, a rendere realizzabile qualcosa di così astratto e lontano. D'altro canto, come può lui giudicare qualcosa, quando potrebbe ritrovarsi a calzare un vestiario così simile e così sporco della propria convinzione? Folle, per taluni, eppure lui non cederebbe; non comprenderebbe difatti come altri possano, tanto meno l'avversa, che si dimostra esser ritenuta degna di tale confessione, di tale spogliarsi, con solo la voce e nessun gesto sconsiderato. <O forse...> Ne decanterebbe in un'altra possibilità, macchiandosi di un peccato notevole. <...non avevi ancora incontrato me.> Proverebbe a sorridere, a farsi carico di quell'egocentrismo, senza che possa pesare, senza che possa infastidire, come una sorta di provocazione all'altrui; dopotutto si potrebbe mai far una colpa di ciò? <Prima potevo essere un sole, ora sono solo un frammento di luce.> Si rivelerebbe, sciogliendosi da quell'intreccio mentale, provando a far aprire un debole spiraglio, un foro minuscolo della sua barriera. <Se tu vuoi essere oscurità, Yami...> Ne riconoscerebbe il gioco di parole, dopotutto, e lo utilizzerebbe a proprio carico: <Avrai necessità di una fioca ma viva luce, perché senza di essa l'oscurità non ha valore.> Dopotutto gli opposti si attraggono e, per simile concetto, l'assenza di uno distrugge e scompone il suo avversario. In un quadro, come puoi risaltare la luce senza l'ombra? Non esiste più un buono e giusto, un bianco ed un nero. Serve equilibrio e glielo suggerisce, impiantando una soluzione potenziale, di intravedere lo stesso albino quell'unica essenza tenue a cui potersi aggrappare, perché lui non la imprigionerà, ma le darebbe la possibilità di migliorarsi e raffinarsi. <Son curioso di vedere la tua evoluzione.> Seminerebbe, in quel gioco di nasi che si sfiorano appena, come se la corte fosse stata già impregnata di quel misero ma pungente tocco, minimo. Quasi superficiale, se non fosse per il peso delle proprie parole. <Una realtà perfetta, se sei capace di non annegare in essa.> Perché perdere la coscienza è qualcosa di così puramente semplice, da risultare fin troppo banale. Più ostico rimanere veri in quella condizione, non deturpati dall'assenza di quei dogmi che caratterizzano la realtà. Non corrotto. <Il mio diamante?> Quasi onorato di quella domanda, ricco di orgoglio. <Io non voglio come gli altri le distese di un terreno chiamato potere.> Cercherebbe di far comprendere. <Quello è fittizio, è qualcosa di diluito e poco concentrato.> Stuzzicherebbe con quella sinfonia della propria voce. <Io pretendo di guadagnare la goccia, quella concentrata ed assoluta, di potere.> Ecco perché definibile come un diamante, una gemma in cui si miscela la luce e l'oscurità, il tutto ed il niente. Non chiede se possa interessare, sembra quasi sottinteso quella richiesta: quanta curiosità è riuscito a far approdare in lei? Poi giunge quel trionfo di eccitazione, misto all'adrenalina sprezzante di quel pericolo che si incombe sulla ragazza. Il morso prima e poi il bacio, uno di quelli che rimuovono il fiato e, nel proprio caso, anche un pizzico di quel potere, di quella linfa energetica. Eppure l'altra non si distaccherebbe, ma invero accoglierebbe il cranio di lui tra le proprie mani, nell'atto di esercitare una forza capace da voler perseguire, da non rilasciare la pressione. Forse avrebbe il tempo di distaccarsi un secondo, quanto basta per permettere alla mano destra di cadere verso il basso, per avvicinarsi al fianco sinistro femminile e provare a trovare il top a maniche lunghe, color pece, avverso. Cercherebbe di intrufolarsi, avidamente, come un serpente, per poggiare la mano sulla zona lombare, premendo ulteriormente verso il proprio corpo, a voler far aderire con maggior adesione i corpi, a farli sentire ancora più stretti, permettendo a quel tocco posteriore di saggiare un'altra macchia violacea, da cui deperire altro chakra opposto. <Vuoi giocare con me?> Sussurra improvviso a fior di quelle labbra, permettendo che la mancina mano di lui si appresti a raggiungerla, nel scivolare lungo il collo, dietro la sua nuca, per poter avere quasi la premura di intrappolarla, in una costrizione che non sembra ammettere un rifiuto alla propria domanda, un esito negativo. Come se il corpo partisse prima, non riuscendo a limitarsi, affatto, provando a siglare un nuovo bacio, provando e tentando di trovare maggior supporto dall'altra: se prima presa quasi in contropiede, ora ha il tempo di risarcire il danno e farsi viziare dalle premure maschili, in quel tentativo di spogliarla delle proprie forze, per far sì che si aggrappi fino alla fine a quelle iridi violacee, a quel sorriso, a quel frammento di luce, che rende l'oscurità un panorama ancora migliore da assaporare. [Chakra On][Equip.Scheda][Rilascio del Chakra Avanzato][Innata ON: “Sindrome: Secondo Stadio.][-1 PV per Contatto Innata. | Ipotetica Macchia Violacea sulla Lingua: -6 Chakra] Ombra e luce. Sole e luna. Yin e Yang. Bene e male. Come si potrebbe scindere queste cose? Non possono essere scisse. Lei, che è oscurità, ha davvero bisogno di una tenue luce nella propria vita? Questo non lo sa, né tantomeno le importa. Perché non ha più bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi per rimanere viva. Sempplicemente, si st circondando di persone che potrebbero farle comodo in futuro. E lo sconosciuto che ha davanti potrebbe essere una di queste. Una persona da sfruttare a proprio beneficio. Se così non fosse, lei semplicemente lo allontanerebbe, per evitare di creare nuovamente legami. Per evitare di cadere nuovamente in quel baratro che la stava divorando. Non chiede di essere seguita, accompagnata lungo quel percorso buio. Ma se qualcuno volesse seguirla, allora lei ne trarrebbe vantaggio. Perché voler bene qualcuno è la debolezza più malvagia degli esseri umani. E lei se ne era resa conto troppo tardi, quando ormai aveva perso tutto. Quando ormai aveva perso se stessa. < Chikage > sussurrerebbe, guardando quegli occhi violacei, cercando di entrargli dentro, oltrepassando quello sguardo < io non ho bisogno degli altri per vivere > senza mezzi termini, con tono deciso. < Ma se tu vuoi essere quella luce, io non posso impedirti di esserlo >. Ancora non sa a cosa porterebbe quell'affermazione. Non sa quali siano le conseguenze di ciò che ha appena detto. Ma lei vuole approfittare di quell'offerta. Perché, ogni giorno, cammina verso l'ignoto. Ma ogni giorno cammina verso il potere. Quello stesso potere che anche l'altro va ricercando. Quindi, camminare insieme per quelle vie oscure, potrebbe far comodo ad entrambi. Uno scambio equo. Camminare insieme verso qualcosa di più grande, solo per soddisfare le proprie voglie ed i propri obiettivi. Ed adesso le loro labbra danzerebbero, in una giostra infernale. Pura voglia di rubarsi entrambi degli attimi di adrenalina. La mano di lui si intrufola nel suo top, posizionandosi poi sulla schiena di lei e rubandole altra linfa vitale. Un altro bacio arriva sulle labbra di lei, che vengono schiuse per accogliere l'altro. L'adrenalina che le circola in corpo, farebbe accendere in lei una nuova curiosità, stuzzicante, nel voler vedere le reazioni altrui. Ciò che la rosata vorrebbe fare adesso è attivare il proprio Chakra medico. La prima cosa da fare è cercare le due energie che compongono il Chakra ed estrapolare solamente l'energia fisica. Si concentrerebbe sulle proprie cellule, immaginandole come una connessione infinita di parti. In ognuna di esse scorrerebbe un grande flusso chiaro, il Chakra. Esso scorrerebbe velocemente, senza fermarsi mai, in ogni cellula, in ogni connessione, da ogni parte. La parte difficile viene adesso: deve cercare di distinguere le due forze precedentemente unite. Cercherebbe di delineare più chiaramente quel flusso chiaro. All'interno di esso, nonostante il chiarore emanato, noterebbe due colori, lievi: uno rosso, l'altro blu. Immaginerebbe di scavare più a fondo, di essere un tutt'uno con quel grande fiume: ecco che qui distinguerebbe chiaramente i due colori, più vividi adesso. Cercherebbe di tirare fuori parte del filamento di colore blu, ovvero quello che simboleggia la forza fisica. Rinvierebbe la parte della forza fisica prelevata verso la propria mano destra. Tutte le dita, tranne indice e medio, verrebbero piegate. Le due invece rimaste dritte, si unirebbero, con forza. Un bisturi di chakra blu, che l'altro potrebbe vedere quando lei farebbe scivolare la propria mano, dapprima sulla nuca, verso il collo altrui, cercando di lasciare in quella scia appena percorsa un piccolo taglio, evitando di affondare troppo nelle carni ed evitando anche i suoi punti vitali. < Sì, voglio giocare con te > direbbe, discostandosi per qualche attimo da quelle labbra, per poi, se le fosse concesso, affondarvi di nuovo. [2/4 bisturi di chakra][Chakra 12/30][equip lo stesso] Quando ascolta il proprio nome espresso dalle labbra femminili, mediante un piccolo respiro, avverte un brivido di piacere compatto che partirebbe dalla zona lombare fino a raggiungere le spalle, dopo aver attraversato interamente la schiena di lui. E' un fremito che si potrebbe permettere, dopo le continue gocce che continuano a ricadere sui corpi del duo, che continua maggiormente ad inumidirsi e rendersi più aderenti alla fisionomia personale. <Per vivere, è sufficiente la tua mera volontà nel perseguire avanti.> Lui ne è totalmente convinto di quelle parole, in quanto in quest'ultimi anni ha eseguito praticamente lo stesso, tranciando legami su legami, per potersi permettere di avanzare in quel sentiero senza zavorre, come continui ed interminabili passi verso un bacino acquatico. Ad un certo punto, non ha trovato il piacere di quell'acqua, non più, ma ha ritrovato quell'elemento fin troppo stretto, al punto da rendergli un annegamento rapido e relativamente doloroso. Ha staccato ogni vincolo, ogni catena, e non ha smesso, permettendosi il lusso di creare una bolla, uno scudo per chiunque, allontanato e vagabondo di quell'umanità. Avrà attraversato tutto il fondale marino, con l'intenzione di arrivare all'orizzonte, e soltanto ora ne avvertirebbe una fatica. Non quella evidenziata dalla propria esistenza, perché potrebbe vivere per sempre senza alcuno vicino, ma riscontra difficoltà nel perseguire in quello scopo. Non debole, ma abbastanza intelligente da poter tracciare nuove particelle di ossigeno, da cui rimpolpare le proprie forze e puntare ad oltranza. <Credi davvero che tu possa proibirmi qualcosa?> Provocherebbe, accentuando un debole sorrisetto, beffardo ed amaro, per poi soggiungere poco dopo: <In questa scacchiera, ognuno ha un ruolo, un modo d'avanzare differente.> Dopotutto vi sono varie entità, vari titoli che sposano la conformazione del pezzo singolo. <Eppure nulla vieta ad un alfiere di muoversi, attraversare l'intero campo, per poter miscelare le proprie forze con un'altra pedina.> Obiettivo comune, d'altro canto. <C'è chi si abbandona al termine di legame, chi si accontenta dello scambio equivalente.> Un respiro, mediocre, che infrangerebbe quella lista. <E se ti dicessi di non pensarci semplicemente?> Rompere gli schemi, rendersi ciò che non è definibile. Un totale punto ignoto, perché il nome evidenzia qualcosa, ma spesso è capace di rinchiudere la sua estensione e non permettere la metamorfosi. <E poi son troppo curioso di sapere come ti evolverai.> Una pecca, purtroppo, che si lascia trapelare, permette di evidenziare, quando avvertirebbe la mano femminile, la destra, che dal crine azzurro si sposta verso il collo, in un movimento lento e ponderato, prestando attenzione a non muoversi, ma tenerla comunque sotto controllo. Avverte il dolore, il bruciore di una lama che si evidenzia e taglia parte di quella pelle, permettendo a del sangue di sporcare la propria epidermide. <Oh.> Un vocalizzo breve, nell'atto di notare come l'altra sia un esponente del corpo medico, dato che il Jutsu lo conoscerebbe perfettamente, in quanto è all'interno del proprio repertorio. Eppure da quest'ultimo ne farebbe uscire un altro, seppur senza poter imprimere sigilli per la sua attivazione. Sarà sufficiente traslare parte del proprio chakra all'interno dei vasi sanguigni, compattarli con adeguata capacità, con l'atto ultimo di sollecitare maggiormente la risanamento di quella sezione di pelle lesa, lasciando che il sangue emerso possa sporcare, ma bloccato nel fluire altrove. Non si preoccuperebbe di far notare quelle capacità così vicina all'altra, ma rinforzerebbe il concetto di cui sia un'entità sopra ai concetti che imprigionano la realtà. <Yami.> Ne ritrova il sapore di quei baci fino ad ora scambiati, lasciando che la lingua propria possa inumidire le proprie labbra. <Le persone che mi sono accanto tendono a scomparire.> Emette, piano piano, mentre inizierebbe a far la propria mossa, sfruttando la mancina mano imprigionata sul collo femminile. Risalirebbe appena, per stringere una ciocca di capelli, quanto basta per provare a trainarla verso la [propria sinistra], dunque [la destra femminile] e creare così un primo sbilanciamento in quella direzione. Peccato che l'intero corpo del Goryo tenterebbe di seguire quell'andamento, provando non a ridurre, ma eliminare totalmente le distanze, ripiegando il proprio corpo, il proprio tronco d'uomo, sull'altra, affinché quest'ultima possa trovare nuovo appoggio sul terreno, con la schiena d'ella che si adagia sulla sabbia parzialmente umida, probabilmente salva dalla costruzione del faro che offre minima copertura, per permettersi di portarsi sopra d'ella, non preoccupandosi di schiacciarla appena, ma permettendo ai corpi di aderire totalmente e far sì che il braccio mancino possa fungere da temporaneo cuscino alla nuca d'ella. La destra intanto scivola dalla schiena al [fianco sinistro], in continue carezze, deboli e dolci, che rendono il loro ciclico epilogo in piccole strette, con i polpastrelli che aderiscono maggiormente al fianco, invogliandolo a non sfuggire, a non scappare via dal proprio controllo. Quasi un istinto di possessione, di determinare la propria persona sull'altra. <Solo le persone davvero forti riescono a starmi accanto.> Le menziona, in quanto è stato uno dei motivi per cui ha dovuto tranciare molte persone che conosceva, affinché non fossero ferite o peggio. <Ma sembri totalmente convinta nel voler giocare con me...> Emetterebbe, prima di affondare il cranio, non tanto sulle labbra altrui, non subito, ma prima addentare il collo altrui, sul versante proprio [destro], per affondare la dentatura e farle sentire la bestialità dell'albino, il quale si mostra e si ostenta crudo sotto alcune pratiche, prassi che l'altra si è meritata di ottenere. <Dunque te lo ripeto.> Un respiro, prima di tornare a fior di labbra, nuovamente, per far sfiorare le proprie con quelle altrui, nello stuzzicarla. <Vuoi giocar con me, a qualsiasi rischio e costo?> Schiude le labbra, come se la risposta potesse essere trattenuta, verbalmente, ma concessa con un gesto. Un'azione che avrebbe un altro gusto, quella del pericolo che è pronto a bruciare ed ardere. Varcherai il confine, Yami? [Chakra On][Equip.Scheda][Rilascio del Chakra Avanzato][Innata ON: “Sindrome: Secondo Stadio.][2/4 Turno → Tentativo di Tecnica Goryo “Effusio”: -10 Chakra, +10 PF.] Legami tagliati, tranciati, bruciati. E' questo ciò che rimane delle sue vecchie conoscenze: cenere. E non si pente della scelta che ha fatto. Perché quei legami la rendevano debole. La rendevano incline ai sentimenti tenui e colorati, di cui adesso non ha più bisogno. Non ha più bisogno di quei colori, perché ha tinto la propria tela di nero. Un nero buio come l'oscurità. E adesso le serve solo qualcuno che renda quel buio ancora più buio. E' per questo motivo che vuole trovare Kioshi, lo stesso che quel buio glielo aveva mostrato. Lo stesso che le aveva mostrato la bellezza dell'oscurità. Per vivere, ha bisogno del buio. Ha bisogno della propria volontà. Ha bisogno di se stessa. < Io ho detto già di non poterti impedire nulla > direbbe adesso, quasi stizzita da quella domanda. Le sembrava di essere stata chiara. L'aveva lasciato libero di fare ciò che più volesse. Forse, invece, avrebbe dovuto ucciderlo. Portare a lui la morte ed a sé la vita. Eppure, vuole capire cosa l'altro, avvolto da un velo di mistero, abbia da offrire. < Non voglio legami. Ma come ti ho detto, puoi camminare al mio fianco, fino a quando non ci uccideremo a vicenda >. Una sfida sottile, lanciata per provocare ancora l'altro. Adesso le proprie dita solcano le carni altrui, lasciando una riga cremisi. Qualche goccia di sangue scivola verso il suolo, mescolandosi alla pioggia. La vista di quel sangue la fa sentire viva. Potente. Forte. In pace con se stessa. Un brivido di piacere le percorre la schiena dorsale, nell'aver porvocato una goccia di dolore all'altro. Ma quella sensazione di piacere dura poco, perché l'altro, con un jutsu che lei non conosce, andrebbe a curarsi la ferita, come se niente fosse. Poi, sente pronunciare il proprio nome. Flebile, come un sussurro che si perde in quella mera distanza che li divide. E lei non direbbe nulla, non risponderebbe alle successive parole, volendo vedere fino a che punto lo sconosciuto voglia spingersi. Lascia che la mano altrui le stringa quella ciocca di capelli rosei e lei ne seguirebbe i movimenti, abbandonandosi per qualche momento, al volere dell'altro. La schiena si poggerebbe contro il suolo, mentre troverebbe il corpo dell'altro proprio sopra di lei. Altre parole verrebbero fuori dalle labbra di lui, mentre il suo corpo aderisce completamente a quello di lei. Sente, così, i denti di lui che affondano nel proprio collo, mentre le mani di lei cercherebbero di insinuarsi all'interno della maglietta altrui, stuzzicando le sue fantasie. Poi, le sue unghie affonderebbero ai lati dell'addome altrui, passando la sottile pelle nivea. Con tutte le forze che ha in corpo, tenterebbe di ribaltare la situazione. Cercherebbe di sollevare il proprio torace e le mani tenterebbero di spingere l'altro verso destra, quasi rotolando. Adesso, se ci fosse riuscita, lui sarebbe disteso al terreno e lei piegherebbe, invece, le ginocchia, per mettersi a cavalcioni su di lui. Le unghie continuerebbero ad affondare nella carne altrui, come se volesse aumentare in lui il desiderio. Gli occhi blu notte brillerebbero a quella visione, mentre il proprio naso andrebbe nuovamente a sfiorare quello di lui. < Ti sbagli se credi che io sia una debole > sussurrerebbe con le proprie labbra contro quelle altrui. Labbra, però, che si allontanerebbero, non lasciando possibilità di altri baci. Il torace verrebbe sollevato perpendicolarmente al terreno. Lo guarderebbe dal basso verso l'alto, in una prospettiva nuova, di comando. < Oggi noi non giocheremo >. Un sorriso sadico si disegna sulla faccia di lei, mentre le mani verrebbero allontanate dall'addome altrui. Lo sta privando dell'oggetto del desiderio, in una continua sfida di gesti e parole. E poi, se le fosse permesso, poggerebbe le piante dei piedi al suolo, per fare leva sulle proprie ginocchia e rialzarsi. Se ci fosse riuscita, farebbe qualche passo per allontanarsi, dandogli le spalle < Ciao Chikage > un tono soddisfatto e malvagio tra le sue parole, come se fosse felice di aver appena tolto le caramelle ad un bambino. E, se l'altro non avesse nulla da aggiungere, si allontanerebbe dal porto. [se END] Potenzialmente quella vicinanza sta diventando peggio di una malattia, consumando il desiderio del singolo in maniera silenziosa, come un serpente che scivolerebbe lungo quel terreno e troverebbe campo fertile, per poter seminare il picco di piacere che avrebbe, nel sentire il tocco d'ella così vicino al proprio. I corpi si ambiscono, nonostante i padiglioni auricolari possano individuare ogni fonema, ogni tonalità con cui l'altra esprimerebbe parola, in un confronto verbale che non risulterebbe neanche tale, a causa dei sussurri che vengono elargiti. Sono carezze quei fonemi, seppur impattano duramente, in un continuo dimostrarsi a vicenda della propria identità e della volontà che entrambi possiedono, in grande quantità. Probabilmente per ciò, sembrerebbe non implementare, in una prima battuta, una risposta, quasi dedicandosi maggiormente al contatto, a quel voler continuamente ambire tra le labbra femminili e quel tocco, tra il violento ed il possessivo, che permette ben presto di avvinghiarli, l'un con l'altro. Potrà avvertirla sotto il proprio corpo, ben aderente al proprio, per un lasso di tempo decisamente breve, in cui il tocco femminile funzionerà quasi come diversivo. Sente le unghie infierire su quei fianchi maschili, come se volesse stracciare la carne, lacerarla senza alcuna premura, prima di tentare una rinnovata sorpresa. <Uh?> Inaspettato, una torsione verso la [propria sinistra], in un gesto improvviso, che permetterebbe al duo di rotolare, di scambiare le posizioni, affinché possa trovarsi l'altra a cavalcioni, sul proprio corpo. Verrebbe quasi in automatico affinché le braccia rilasciassero ogni presa, ogni postura, per dirigersi con veemenza verso il bacino d'ella, ancorandolo tra le proprie dita, quasi a mantenerla ferma in quel punto, ma senza imprimere forza, nulla che possa permettere di scattare maggior malizia, più di quella che potrebbe già avvertire nell'aria. Un desiderio palpabile, soprattutto quando i nasi si sfiorano ancora, permettendole quel ruolo di dominatrice, una veste che potrebbe anche riuscire a rintracciare in quella sagoma femminile, in quell'anima totalmente buia e tetra. <Non impiantare parole che non ho voluto donarti.> Serio, d'un tratto, nel ricalcare quel ragionamento: <Ho espresso che altri siano stati deboli e non son riusciti a rimanermi accanto, a causa della maledizione del mio sangue.> Sussurra, perché non avrebbe necessità di altro, ripiegando appena l'addome, contraendolo, per tentare di avvicinarsi al viso altrui, lo stesso che invece evaderebbe, con quelle piante di lei che trovano il terreno e ne approfitterebbe per rialzarsi, sciogliendosi facilmente da quell'intreccio delle dita del genetista. Si rialzerebbe, correttamente, senza alcun freno inibitore, senza alcuna zavorra, ma sancendo potenzialmente troppe parole, per il gusto maschile, che rapidamente andrebbe ad approfittare della situazione, di quelle spalle opposte così offerte, per agire indisturbato e senza esser notato dalla controparte. Pochi sono i movimenti che impiegherebbe tra le mani: [Capra, Drago, Cane], affinché la tecnica possa attivarsi nell'immediato, prima che possa risultare troppo tardi, alzando quanto basta le proprie cosce, per imprimere le piante dei propri piedi al terreno. Indipendentemente da quel materiale, ecco che qualcosa si comporrebbe, invisibile a prima traccia, in una vicinanza capace ancora di intrappolare l'opposta, prima che possa risultare troppo tardi: tre metri cubici si plasmano, come una barriera, un cubo in cui soltanto il suo utilizzatore potrà transitare senza alcun problema, oltre il repertorio personale di Jutsu. <Yami.> Proverebbe dunque a rialzarsi, con la possibilità che l'altra possa aver quasi sbattuto contro una di quelle pareti, approfittando per cercare di ridurre le distanze e, se possibile, tentare un approccio nuovamente fisico, per poterla abbracciare da dietro, con le braccia che provano a scivolare oltre i fianchi e raggiungersi, congiungersi, dinanzi al suo ventre, mentre il cranio si impegna sulla spalla [destra], a voler mirare dinanzi. Dopotutto possono guardare l'esterno, di quella spiaggia, bagnata dalla pioggia, che viene esclusa ora dall'area del cubo creato. <Purtroppo, oltre ad aver un bel visino, hai un'essenza sicuramente interessante.> Sembra spillarle, verso l'orecchio vicino, per tentare e stuzzicare. <Non ho intenzione di ucciderti, se non strettamente necessario.> Confiderebbe, inconsapevole di quanto vantaggio possa darle con ciò. <Ma son piuttosto curioso della tua Anima e di come si evolverà.> Stringerebbe, se possibile e tutto fosse avvenuto, la presa, per farla aderire maggiormente a sé. <Sporcati le mani con chi non risulta degno di questa scacchiera.> A quel punto il cranio si sposta, si ripiega, per mordicchiarle la sezione di collo più vicina, prossima. <Tranquilla, abbiamo solo iniziato a giocare.> E le mani, a quel punto, si sciolgono, lentamente, a meno che l'altra non andrebbe a rinchiudersi in quelle leve superiori; ma intanto si potrà notare come non sia stata lei ad abbandonare lui, ma come lui abbia concesso la possibilità. Questione di orgoglio, potenzialmente. <Io sono Kawaakari.> Stiletta, infine, nel pronunciare quell'attributo, qualcosa che lo rappresenta: l’ultimo bagliore di luce che riflette sulla superficie di un fiume al tramonto. [Chakra On][Equip.Scheda][Rilascio del Chakra Avanzato][Innata ON: “Sindrome: Secondo Stadio.][2/4 Turno → Tentativo di Tecnica Goryo “Emvòlio”: Cubo di 3 metri. | Resistenza Barriera: 76.25 | -5 Pf, -5 Chakra] Adesso si troverebbe di spalle rispetto all'albino. Ovviamente, non può vedere cosa egli sia intento a fare. < Beh, volevo che sapessi che io non scomparirò >. No. Lei deve vivere. Vivere e portare via vite, per allungare la propria. Per dimostrare al mondo quanto sia forte. Quanto sia cambiata rispetto al passato. Perché quella ragazzina debole e fragile non esiste più. Adesso, c'è solo Yami. E lei sa quel che vuole. E combatte per ciò che vuole. E, mentre compie qualche passo in avanti, qualcosa blocca i suoi movimenti. La sua fronte impatterebbe contro una specie di barriera. Lo sguardo blu osserva, attento. Si tratta di un cubo violaceo, attraverso il quale può guardare l'esterno. Lei è rinchiusa lì dentro. L'altro le ha impedito di andare via. Eppure, le sembrava di essere stata chiara. Oggi, quel gioco non sarebbe continuato. Quella giostra sarebbe rimasta sospesa nel limbo, fino al loro prossimo incontro. Invece, egli sembra voler continuare. Questo un po' la infastidisce. Non le piace proprio che qualcuno le impedisca di fare qualcosa. Cosa dovrebbe fare? Ucciderlo? Ma aspetterebbe di conoscere le intenzioni dell'altro. E attenderebbe. Lascerebbe che l'albino ritrovi quel contatto ambito. Le braccia dell'altro circondano il proprio ventre, mentre il capo si insinua sulla spalla di lei. Quest'ultima non farebbe nessun movimento, permettendo all'altro di fare ciò che più vuole. E mentre il proprio corpo aderirebbe su quello dell'altro, le dita della destrorsa di lei sfiorerebbero il braccio destro altrui, risalendo su di esso, verso il collo e poi verso il viso. < Io non ho paura della morte > un flebile sussurro, ma che l'altro può sicuramente ascoltare, data la loro vicinanza. < Ma se mi impedissi di proseguire su questa strada, allora potrei uccidere io te > esclamerebbe, con tono tagliente, che sembrerebbe quasi sferzare l'aria davanti a lei. < Ti mostrerò la mia evoluzione, ma dovrai essere davvero degno della mia scacchiera >. Dovrà essere una buona pedina. Dovrà esserle utile e non d'intralcio. E quando lui scioglie la propria presa, lei andrebbe a ritrarre la destrorsa e poggiarla su quella barriera che la divide dal mondo esterno. E vi guarderebbe attraverso, osservando come ormai il sole ceda il passo alla luna. < Kawaakari > sussurrerebbe, quasi tra sé e sé < il mio opposto >. L'una riflette l'oscurità del mondo. L'altro rappresenta un tenue raggio solare che si abbatte su di esso. E quella sfida silenziosa, quel gioco infernale, chi potrà vincerla? [Chakra 12/30][equip lo stesso] Dopotutto come potrebbe non immaginarsi il fatto che imprigionarla, in quel minuscolo lasso di tempo, imprimere un temporaneo ostacolo al suo perseguire, non possa creare un debole astio, un tono vagamente stizzito nella persona altrui? Eppure avrebbe accettato quel rischio, eventualmente notevole, pur di poter affermare il proprio orgoglio, la propria presenza in quella tela opposta. Marcherebbe il proprio territorio, affinché non possa esser soppresso, inglobato totalmente dall'oscurità, come sua banale pedina. No, lui non può farsi sopraffare con così tanta ingenuità, non dopo tutto quello che ha dovuto subire. Una fioca quanto tenue luce che divampa e continua a bruciare, come lo scoppiettar di un piccolo fuoco in mezzo alla foresta ombrosa. Qualcosa di facilmente individuabile, seppur abbia un'estensione così minuscola rispetto all'ambiente attorno. E' un puntino contro un intero dominio, ma d'una capacità per erigersi così notevole da provare a sopraffare la volontà altrui, quella nel congedarsi e trattenerla con sé, almeno per scambiarsi un ultimo contatto, un ultimo approccio, in cui la tensione sembrerebbe impennarsi notevolmente. La percepisce, digerisce quel composto e proverebbe a metabolizzarlo, a proprio favore. <Non scomparire.> Quasi una richiesta, enigmatica e neanche troppo. Non pregherebbe, ma invoglia al combattimento, seppur possa risultare superfluo ed inefficace. Lo richiede, come una pretesa, come se fosse nel punto da poter quasi dettare legge, nelle intenzioni altrui; proverebbe invero a rinforzarle, a concedere maggior sicurezza di autoconservazione, provando ad influenzarla senza farlo notare, ad impiantare un seme nascosto, decisamente velato, aspettando che possa produrre il suo frutto, un giorno. <Non sprecare energie, Yami...> Un consiglio, suggerimento, alla volta di quell'orecchio così vicino al proprio: <Contro qualcuno che non ha intenzione di ostacolarti.> Anzi tutt'altro, la propria presenza dovrebbe essere un modo per esaltarla, per renderla ancora più magnifica, nella sua oscurità. Avvertirebbe il tocco di quella mano destra che risale, lenta e danzante, fino al cranio, quasi nell'atto di invogliare un pizzico di quella vicinanza, di quella stretta che sembrerebbe aumentare, d'un tratto. I corpi si allineano, neanche se volesse oltrepassarla, rendendo un tentativo stupido quanto vano data la presenza fisica dei corpi. No, non è più uno spettro, un fantasma viandante. <Ci divertiremo, insieme.> Un sorriso che si allungherebbe, sornione e sadico, in quel momento in cui dovrebbe essere giudicato, in cui dovrebbe esser calcolato degno o meno d'essere nella compagnia altrui, godersi della presenza femminile, come son riusciti fino ad ora. <Rimaniamo in contatto.> Elargisce, come un auspicio per sé e per l'altra, senza perdersi troppo in perifrasi inutili. Dunque la mano destra verrebbe rilasciata dal ventre, per risalire lentamente, se gli fosse concesso, per arrivare sulla gote sinistra, accarezzarla e premere quanto basta per farla voltare di profilo, affinché i nasi possano sfiorarsi nuovamente ed il respiro mescolarsi, inebriandoli. <Io non sono il tuo opposto.> Lo rivelerebbe, con un sussurro. <Il sole è divenuto frammento di luce, divorato dalla linea.> Quella temporale, quella spaziale, ma sicuramente logorata. <Io sono il tuo vuoto.> Come quelle due sfere combacianti, come lo Ying e lo Yang, in cui il Goryo si tramuterebbe in quella minuscola sfera all'interno dell'emisfero opposto. E soltanto se l'altra vorrà avvicinarsi, anche di poco, troverà una reazione giusta ed opposta, in un ultimo contatto, vivo e bruciante, prima di lasciare totalmente il congedo, liberarla non da quelle catene, ma da qualcosa di indefinibile. Ignoto. L'alfiere dunque potrà abbandonare nell'oscurità l'altra, non prima di averle concesso l'ultimo saluto, quello più intenso. C'è ancora quel sapore di sfida, macchiata dall'adrenalina e dal piacere per l'altra. [Chakra On][Equip.Scheda][Rilascio del Chakra Avanzato][Innata ON: “Sindrome: Secondo Stadio.][Se Exit] Corpi che si sfiorano. Corpi che si cercano, travolti da un desiderio nuovo e rischioso. Ma il rischio è ciò che tiene in piedi il mondo. Cosa sarebbe la vita senza di esso? Un'esistenza inutile, priva di brio. Priva di piacere. I due sono due facce della stessa medaglia. Per tutto questo tempo non hanno fatto altro che sfidarsi, silenziosamente, salendo su di una giostra infernale. Facendosi male. Ma regalandosi l'un l'altra l'adrenalina di cui hanno bisogno per andare avanti in quella vita forse un po' troppo difficile. Lei cerca dunque il viso dell'altro con la destrorsa, mentre le braccia di lui circondano il ventre di lei. < Non scomparirò > ribadirebbe ancora una volta. No, lei non scomparirà. Perché non è più una debole ragazzina, che scappa dal pericolo. Non è più quella che piangeva a dirotto quando qualcosa non andava per il verso giusto. Non è più Tenshi Senjuu. Lei è Yami. E si è appropriata del potere che portava da sempre dentro, dandogli libero sfogo. Dipingendo la propria anima di nero. Non scomparirà, perché stavolta ha voglia di lottare. Perché stavolta ha voglia di assaporare appieno quella vita di cui precedentemente si era privata. No, lei non scomparirà così facilmente da quel mondo. Un mondo crudele e meschino, che però ha i suoi lati positivi. Perché se hai un'anima nera nulla ti fa più paura. Ed il sangue e la guerra sembreranno solo dei giochi infernali, dove sperimentare la propria potenza. Dove sperimentare il proprio piacere. < Tu non ostacolarmi ed io non sprecherò energie >. Uno scambio equo. Uno scambio che fa comodo ad entrambi. Se lui vuole seguirla, che lo faccia. Ma non dovrà porre dei paletti lungo il suo cammino verso l'oscurità. Altrimenti, lei si approprierà della vita di lui senza pensarci due volte. Quello è quasi un patto silenzioso che lega segretamente i due. Non un legame come i precedenti. Non come Onosuke, Yosai e Norita. Si tratta di qualcosa di diverso. Si tratta di un legame buio, un legame che non tiene legati i due, ma amplifica semplicemente le loro personalità. Alle parole altrui, sul volto di lei si disegnerebbe un sorriso sadico. Si divertiranno insieme. Quella giostra non avrà ancora fine. < Seguimi lungo il mio viaggio > è ciò che risponderebbe lei riguardo al tenersi in contatto. D'altronde, è stato proprio lui a dirle di voler osservare la sua evoluzione. La mano destra di lui, poi, risale verso il volto di lei. E la rosata lo lascia ancora fare, cedendo a quei desideri nascosti di entrambi. Adesso, il proprio naso sfiora quello dell'altro e piccole scosse elettriche attraversano il proprio corpo. < Il mio vuoto > sussurrerebbe, avvicinando poi le labbra contro quelle di lui, per un'ultima volta ancora. Oscurità e luce. Yin e Yang. Bene e male. Yami e Kawaakari. [END]