Tayuya

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16:00 Yosai:
 È tempo per la fenice di risorgere dalle ceneri. Dopo esser sprofondato nell’abisso è tempo di risalire e tornare a guardare lontano. E dove guarderà il tuo sguardo oceanico, vivo e pesante da sostenere? Staremo a vedere. Tanto c’è ancora da fare per poter ripartire, e la prima cosa è riprendere il pieno controllo sul tuo corpo. Sei rimasto per giorni fuori da esso, a mala pena una coscienza capace di guadare all’esterno. Poco più che un cadavere incatenato ad un letto. Un verme nudo e febbricitante. Ma poi, un folle dottore e la sua angelica assistente ti hanno rimesso in gioco. Forse in questo Tayuya ha ragione, guardandoti: non sei niente senza il tuo corpo. La tua mente è assolutamente incapace di discostarsi dall’esperienza sensoriale del corpo. Vivi tutto in maniera troppo viscerale, sensoriale, legata alla percezione, per poter far qualcosa senza i sensi che il tuo corpo custodisce. Ma adesso sei presente a te stesso, stai guadagnando nuova forza, stai riscoprendo il tuo corpo. Sono giorni che vivi come in un sogno, a partire da quella notte, all’inizio era difficile anche solo il tentativo di mettere in fila i ricordi. C’è stato per tanto tempo solo buio nella tua mente. Adesso però, lentamente, frammenti di ricordi ti balenano davanti agli occhi, come se lo specchio dei ricordi fosse ridotto in pezzi e queste schegge ti orbitassero intorno, incontrando casualmente i tuoi occhi. Ricordi il ghigno di tuo padre deformargli il volto. Ma soprattutto ricordi la chiara sensazione di un potere nuovo, inebriante. Una sensazione tanto forte da scatenarti profondi brividi che ti fanno venire la pelle d’oca solo al pensiero. Il resto è ancora sogno. Ricordi corpi smembrati, ricordi l’Inuzuka morente, il modo in cui il suo cane ninja è stato trucidato e poi sogni. Hai sogni di corse libere nei boschi, più veloce del vento, sogni di caccie sanguinarie. Hai anche sognato Tayuya, che ti ha morso il naso, che ti ha rivelato l’indicibile… ma l’hai sognato davvero? L’avambraccio destro si alza, portando la grossa mano al volto, l’indice sfrega sul naso, hai due nuove cicatrici sul naso, due piccoli segni circolari. Sono la testimonianza che lei ti ha morso davvero, e che quindi quella rivelazione c’è stata sul serio. Stendi le labbra in un sorriso affilato. L’unica cosa che attesta che non stai impazzendo è una cicatrice. Ironico. Ma dove sei? Ovviamente te ne sei infischiato del parere dei medici. Sei al campo d’addestramento. Hai ancora l’obbligo di tornare in stanza a fine serata, ma hai liquidato le richieste dicendo che saresti uscito per una camminata. Hai portato il marchio della distruzione in quel posto. I tre ceppi di legno sono devastati. Uno giace spezzato a metà. Quello in mezzo è crivellato di grossi buchi che lo passano da parte a parte. Il terzo invece è abbozzato in più parti. Sempre nell’area, da qualche parte giacciono buttate delle enormi fasce zavorrate. Sono quattro, due per gli arti superiori e due per gli arti inferiori. Ma tu in questo casino dove sei? Hai la schiena poggiata al più integro dei tre pali da allenamento. Lo sguardo è fisso verso la foresta che si estendo poco lontano a perdita d’occhio fino alle montagne. Sei madido di sudore eppure sei vestito, non ami l’esibizionismo. Sei però a piedi scalzi. Con i piedi coperti solo dalle fasce da combattimento cremisi che avvolgono l’articolazione della caviglia dalle dita dei piedi fino al polpaccio squadrato. L’ampio, nero pantalone del Kimono copre le gambe scolpite. La solita canotta copre il torso, fasciando i muscoli come una seconda pelle e lasciando le spalle stondate e le braccia scolpite libere dal tessuto per giocare, lucide e imperlate di sudore, con la luce del sole. Il collo taurino sostiene il volto affilato, privo di tutore, dai tratti rocciosi e scolpiti. Nello sguardo color del mare brucia rovente il sole che lento s’appresta a calare. Le labbra sono schiuse. Il petto si alza e si abbassa con ritmo. Dal volto e dai capelli cadono gocce di sudore sul terreno. Hai appena terminato, o ti sei preso una pausa, chi può dirlo. Fatto sta che la tua mente si perde andando a rievocare la stupenda sensazione di libertà provata quando eri a caccia in quei boschi. È per questo che vivi. Ora ne hai contezza. Violento scorre il chakra dentro di te. Un altro dono di quella notte. Lo percepisci più fluido, più facile da condurre e da maneggiare e soprattutto da impastare.[Chakra On]

16:10 Tayuya:
 Il sole splende nel cielo sopra al villaggio di Konoha e tutto sembra bello, tutto sembra nascondere quanto è successo e quanto sta accadendo a Kiri, ben lontano da lei e dal suo interesse. Peccato che non ci sia nulla di bello che possa far sentire di buon umore la ragazzina tredicenne, ma proprio no. Dopo il suo ultimo incontro col fratello e dopo quella loro discussione, la sua mente ha iniziato a pensare, pensare e pensare… senza arrivare a nulla di definitivo e concreto. Perché suo padre abbia scelto lui anziché lei… è un mistero che ancora l’affligge, ma vuole dedicarsi qualche ora a non pensarci perché è stanca di far ruotare gli ingranaggi del suo cervello. I lunghi capelli rosa sono sempre raccolti in una grossa coda alta tenuta ben ferma da un nastro azzurro, e lei al momento si sta sistemando qualche ciuffo ai lati del viso e la frangia, forse un po’ troppo lunga dato che pare darle un po’ di fastidio agli occhi. Quegli occhi taglienti dalla forma ferale, di un colore azzurro limpido quanto un ruscello di montagna. Il viso è quello di una ragazzina, una giovane fanciulla appena affacciata alla sua adolescenza, lineamenti duri però con una pelle appena appena rosea. Indossa il suo solito kimono corto e bianco a mezze maniche, stretto in vita da un obi rosso scuro che si lega dietro la schiena con un nodo e due lunghe code, al di sotto del kimono indossa un paio di pantaloncini neri ed attillati lunghi fino a metà delle cosce. L’obi in questione è largo, le parte al di sotto del seno e si conclude alla vita della ragazza, e le gambe, dal ginocchio in giù, sono coperte da un paio di scaldamuscoli lilla, calze bianche che ricoprono i piedi e scarpe nere. Le mani sono coperte da un paio di guanti neri a mezze dita e legato all’obi c’è il coprifronte di Konoha bene in vista. Aspetto minuto e gracile, appena un metro e mezzo di altezza, estremamente esile che pare un fuscello, ma non per questo ci si dovrebbe lasciar ingannare dalle apparenze. Ha camminato fino ai campi di addestramento, questo perché quando si sente un po’ troppo scombussolata e ha bisogno di svuotare la mente, niente l’aiuta più di quel posto… o un qualsiasi altro luogo dove lei possa sfogarsi. Stringe i pugni tra loro e poi si sistema i neri guanti, in piedi nel mezzo di quel campo, col volto scuro e arrabbiato. Man mano che cammina e riflette, man mano che si avvicina al centro di quel campo, non può fare a meno di notare la figura che se ne sta seduta con la schiena appoggiata a uno dei tre tronchi. Il luogo è marchiato dal chiaro segno del passaggio del fratello, che lei ben riconosce, il quale sembra essersi rimesso in sesto anche molto velocemente. Non ne aveva dubbi. Si avvicina dunque, ancora senza timore, e nonostante tutto si disegna un ghigno affilato su quel minuto viso. Per cosa sorride? Non è dato saperlo. Raggiungerebbe la figura del gigante e si fermerebbe a un paio di metri di distanza da lui, arrivando alla sua destra, non da di fronte, e li ferma sposterebbe il peso del corpo sulla gamba destra e spavalda sistemerebbe la mano destra sul fianco medesimo come se lo stesse aspettando. Non si sono certo dati appuntamento, eppure lei si comporta come se tutto le sia dovuto, come se tutto le appartenesse con la forza della sua sicurezza. L’ombra del fratello? E’ ancora lì, su di sé, ma ora riesce a guardarla… e lei che non voleva arrovellarsi il cervello per qualche ora. <Ti sei ripreso in fretta, non avevo dubbi.> osserva lui, i tre ceppi, poi ancora lui e il suo sudore, i muscoli, il volto… e si accentua il suo sorriso nel notare che il suo morso ha lasciato il segno. Si comporta come se nulla di incredibile sia successo, dando per scontato che lui abbia ormai metabolizzato e compreso tutto quanto… avrà messo insieme i pezzi del puzzle? Non può saperlo ora e nemmeno le importa. [Chakra: On]

16:41 Yosai:
 Molto deve essere ancora ricomposto di quel puzzle, per adesso sei poco più che un collezionista di frammenti che cerca di rimettere insieme il suo specchio, per adesso c’è poco di sano in te. Quella voce ti coglie alla sprovvista. Sbatti un paio di volte le palpebre, per poi voltare lentamente il capo portando gli occhi su di lei. Una luminosa onda blu la investe, consentendoti di immagazzinare i dettagli di quella figura minuta. Ascolti la fine delle parole con cui si è introdotta. Ti limiti a premere le labbra sottili l’una contro l’altra, disegnando un’espressione di disappunto sul volto roccioso e affilato <mh> e come fai ed essere d’accordo con quella ragazzina? No, non è per quello <Mi sento ancora tutto indolenzito. Sento di non poter raggiungere il massimo dei movimenti. Muscoli e tendini tirano e gemono. Si rifiutano> Voce baritona, profonda e dalle tonalità basse al punto che potrebbero toccare direttamente il cuore, l’anima. È brutto avere il corpo che ti rema conto. Con un colpo di reni stacchi la schiena dal palo, alzandoti in tutta la tua statura. <Soprattutto quelli del ginocchio> Sei spietato con te stesso. Vuoi di più da quel corpo. È normale che sia così. <Ero convinto di averlo sognato> cosa? Ti rivolgi frontale a lei, effettivamente la tua ombra è li, sempre più lunga e scura seguendo il movimento e la luce del sole, ma non la investe. Non più? Non ora, forse. Si staglia sì nella sua direzione ma la coglie solo di striscio, proseguendo la sua corsa lungo i prati <Che tu fossi venuta da me> chiarisci cercando il suo sguardo del color del cielo, che però adesso va arrossandosi sopra di voi. Di nuovo l’avambraccio destro si alza, consentendo al tuo indice di posarsi sopra i due piccoli segni circolari che ti h lasciato. Stendi le labbra in un sorriso affilato che ti riga la faccia. Forse non tutti i frammenti sono stati uniti, forse è per questo che quel sorriso trova spazio per lei. Si che si ricorda <Ricambierò questo favore, prima o poi> Quale favore? Di quelle cicatrici, ovvio. Rimaniamo nell’onda di scambiarsi affetto con la violenza. Ci stava piacendo alla fine. La osservi mantenendoti immobile se non fosse per lo sguardo che saetta su volto di lei.<Cos’è, il tuo posto segreto?> Chiedi spostando lentamente il viso verso quella devastazione, ghignando.

17:05 Tayuya:
 Per il momento l’espressione arrabbiate rimane, ovvio, ma il ghigno persiste sulle sue labbra, snudando appena uno dei due canini. Lo trova divertente che lui sia lì, seduto a terra e sudato, questo vuol dire che si è allenato, che il corpo potrebbe essere guarito e in effetti non ha alcun tutore addosso. Lei non è medico e non sa cosa gli sia stato consigliato e permane dunque ad osservarlo. Ascolta le parole che lui le rivolge, quello sguardo di disappunto, il mugugno, il tono basso e tuonando che sembra far vibrare le corde dell’animo della piccola bestia. A quanto pare non è del tutto vero che si sia ripreso… i muscoli gemono, i tendini tremano… insomma il suo recupero totale è ancora lontano ma lui sta facendo di tutto per accelerare le cose. Si sforza? <E non ti sta bene.> afferma con sicurezza, come se stesse parlando di se stessa in realtà. È facile comprenderlo in realtà… se gli stesse bene una cosa simile sarebbe nel letto della sua stanza in ospedale ad aspettare che il suo corpo guarisca da solo. Invece lui è qui, a pretendere di più da se stesso. Come fa anche lei. Abbassa lo sguardo sul ginocchio come se potesse vederne al di sotto della pelle, dei muscoli e le ossa, per vedere come sia messo. <Pretendi di più… io non lo sopporto quando la mia mente è avanti mentre il mio corpo invece non regge il passo. Lo sento come un peso, un limite.> sbuffa. <Ma alla fine è quello che siamo: carne e sangue.> solleva lo sguardo per osservare il cielo che lentamente si tinge di colori rossastri… un tramonto che tarda ad arrivare. Riporta lo sguardo su di lui e quel sorriso di lei ancora si affila quando sente le sue parole successive… lui che credeva di aver vissuto un sogno, di aver sognato lei e le sue parole, quanto avvenuto. Eppure non era un sogno, era tutto vero e quelle parole sono state rivelate infine… sono fratello e sorella, figli dello stesso padre, ma che si legano a lui in modo diverso, in contrasto. Quasi come fosse un normale rapporto litigioso tra fratello e sorella, ma cosa c’è di normale qui, fra loro? <Io sono vera, le parole che ti ho detto sono vere, e ciò che è accaduto… era reale.> afferma osservando ogni singolo movimento del gigante che si alza stagliandosi alto e grosso rispetto a lei. Nota dal suo atteggiamento che forse non tutto è stato metabolizzato, ma non è certo un suo problema al momento… ora si limita a guardare ed ascoltare, sentendosi soddisfatta di quelle due cicatrici, che non sono altro che due fra le altre che egli possiede. <Oh.> sgrana appena lo sguardo e dischiude le labbra in un’espressione di finta sorpresa nel sentire il desiderio di lui di ricambiare il favore… un’espressione che si conclude con un ghigno, perché la violenza è l’unica lingua che lei conosce. <Vuoi quindi lasciare anche tu il tuo marchio sul mio corpo?> come anche il Demone Rosso ha fatto, ma è qualcosa di scontato avere cicatrici quando si cresce con uno come lui. <Non vedo l’ora, sempre che tu sia mai in grado di farlo ovviamente.> lo punzecchia, ghigna, si lascia andare a una piccola risata di sfida senza temerlo in alcun modo. <Questo è un campo di addestramento, cervellone.> risponde con tanto di nomignolo. <Non è il mio posto segreto, ci si viene per allenarsi. Al momento volevo solo trovare un attimo di pace dai miei pensieri… ma ho trovato te.> e quindi? Lui ha rovinato tutto? Chi lo sa. [Chakra: On]

17:48 Yosai:
 La pupilla s’assottiglia appena nel sentirla parlare. Scuoti il capo due volte in maniera lenta e controllata, confermando le sue parole, senza togliere lo sguardo da lei. Al termine di quel piccolo movimento torni immobile a guardarla, Quelle parole ti provocano l’involontario inarcamento del sopracciglio destro. È strano sentirle dire quelle parole. È strano che parole così comprensive provengano da lei, ed è strano ascoltarle in assoluto. Chi altri è stato capace di comprendere il senso di frustrazione che provavi quando qualcosa riusciva bene agli occhi degli altri ma male per te? Hai dovuto convincerti ben presto che è colpa tua che non sai darti i giusti meriti. Tante cose stanno cambiando intorno a te. Dentro di te. Chi lo sa dove ti porteranno. Lo capirai presto, quando avrai risalito il burrone e sarai di nuovo capace di guardare lontano. <Succede fin troppo spesso anche a me> sei costretto ad ammettere. Non ti piace parlare dei tuoi limiti. Ma è esattamente come ti senti in questo momento. Appesantito. Alla frase che segue le tue pupille s’allargano di colpo, quasi sorpreso. Non perché tu non fossi conscio di quanto reale sia stato quell’incontro, ma perché altre schegge di ricordi ti abbaiano gli occhi. Ricordi la rabbia di lei. Ricordi il suo stupore quando le hai rivelato una delle due promesse che vostro padre ti ha fatto, la più importante. Ricordi le sue mani intorno al tuo collo rovente. Le consentiresti di provare quel gesto ora che sei in grado di reagire? No. Odi il contatto fisico come lo odia lei. Annuisci una volta, quasi un cenno di intesa con lei più che un annuire. Ricordi soprattutto ciò che le hai detto tu. Ricordi il volto piccolo e sottile di lei macchiato del vostro sangue, prima di svenire, lo ricordi piegato su di te. Più disperato che arrabbiato. Le labbra si distendono in un ghigno quando lei ti provoca. Non tardi a rispondere. Ne saresti in grado? Chi può dirlo. Ti diletterai con lei prima o poi. Alla fine è così che comunicate. Faresti un paio di passi indietro e uno alla tua sinistra, finendo ai suoi occhi esattamente davanti al sole rosso. Una sagoma grossa come una montagna a coprirle la gioia di quel tramonto. Un gesto fatto apposta. Calcolato. La osservi con i tuoi occhi che altro non solo che uno scintillio color zaffiro immerso nell’oscurità della sagoma rocciosa e definita in controluce. <Magari adesso che mi reggo in piedi posso darti un minimo di soddisfazione in più> Ghigni allargando addirittura le braccia, già ben separate dal corpo dall’ampiezza dei dorsali, quasi a volerle mostrare il bersaglio. <Certo non è come infierire su un mezzo cadavere mi rendo conto>. Alla fine è così che andate avanti, a suon di provocazioni. Abbassi piano le braccia, tenendoti pronto con lo sguardo sulla figura. Attaccherai tu se non lo farà lei. [Chakra ON]

18:14 Tayuya:
 Perché loro si somigliano, e questo genera in lei i soliti sentimenti contrastanti. Sarebbe stato tutto più facile se fosse riuscita ad andare d’accordo con lui, se fosse riuscita a provare sentimenti normali… ma così non è. È ancora lunga la strada. Comprende comunque la sua frustrazione, comprende lui solamente perché si somigliano, solamente perché ogni tanto le pare di rivedersi in lui… certo, stazza imponente a parte. Anche lei sta cambiando… lentamente, ma sta cambiando, sta provando emozioni nuove e pian piano si pone domande in cerca di risposte. Ghigna nell’ascoltare quella risposta, nel vedere il suo stupore, la rabbia che solitamente le ribolle dentro ora non c’è o meglio… è solo una piccola fiammella che viene alimentata a mala pena dalla presenza e dalla vista del fratello. Lo lascia solo coi suoi pensieri, coi suoi ricordi, lei non dice nulla per attimi molto lunghi… ma non è intenzionata a lasciarlo divagare con la mente troppo a lungo. <Hai intenzione di ucciderlo, dunque?> Lo sguardo si fa scuro di colpo, l’espressione tagliente e ferale, il gelo, la rabbia che ora sente nuovamente divampare. Il ghigno svanisce ma snuda i denti come se lei volesse difendere qualcosa che è suo, un territorio. Certamente lui, come nessun altro al mondo, accetterebbe di farsi uccidere, quindi è scontato che abbia intenzione di difendersi per non morire… ma è ben diverso battersi per rimanere vivo e vincere senza uccidere l’avversario, dal vincere eliminandolo. <Perché?> vuole sapere esattamente a cosa è dovuto il suo odio nei confronti del padre, certo è chiaro che ci sia di fondo una vendetta per i genitori adottivi morti, ma vuole sentire le emozioni del ragazzo. Lui si stanzia davanti a quel sole e lei di rimando si sposta di un altro paio di passi indietro… metterebbe una distanza di circa 5 metri da lui e lì rimarrebbe. Ghigna in risposta a quelle parole, in risposta al ghigno altrui, si riflettono e ricercano lo scontro nonostante odino il contatto altrui… ma è il loro modo di fare ormai. <E’ più soddisfacente sfogarmi su qualcuno che può rispondere, o che divertimento ci sarebbe?> domanda accompagnando la voce ad un ringhio che viene dal profondo, dalla gola. <Non parlarmi come se ti avessi toccato solo perché ferito… ricordati che ti ho dato quel pugno quando anche ti reggevi benissimo in piedi. Ma tu… nemmeno mi avevi vista.> affila il ghigno provocandolo, giocando sui limiti altrui. Sui limiti che probabilmente ha ancora, oppure no, non può saperlo quanto sia migliorato in poco tempo. Chiude i pugni, distanzierebbe i piedi tra di loro e piegherebbe appena le ginocchia. Il piede sinistro verrebbe portato leggermente più avanti rispetto al destro e il torso ruoterebbe giusto appena verso destra. Le braccia verrebbero sollevate e piegate a livello dei gomiti, la schiena leggermente inarcata, il pugno sinistro andrebbe a protezione del volto, mentre il destro rimarrebbe a protezione del fianco medesimo e dell’addome. Sente i brividi, sente l’eccitazione. <Fatti sotto, cervellone. Fammi vedere se sei in grado di restituirmi il favore.> lei è lì, che lo aspetta. [Chakra: On]

20:19 Yosai:
 La osservi prepararsi. Resti immobile, lasci che lei trovi la distanza più congeniale. È lei a rompere il silenzio, irruenta e diretta come lei sa essere. Difficile trovare uno spirito tanto affine. Difficile spiegare la sensazione di non sentirsi un pesce fuor d’acqua. Ma non devi farlo, anche perché a lei non interessa. L’argomento è un altro, qualcosa che non ti fa sorridere. Decide di riprendere il discorso da dove il tuo svenimento l’aveva interrotto. Interrotto da lei e dal suo soffocamento. Più propriamente interrotto da te e dalla tua febbre. Ma di chi sia la colpa di quell’interruzione non importa a nessuno. È importante che si abbia modo di continuare. <Non è solo la mia intenzione. Non è solo il mio desiderio più ardente. Non è solo il mio dovere più ferreo, è anche un bisogno viscerale> Hanno già parlato di questo quando eri nel letto. Ciò che vi lega a vostro padre, il bisogno e il desiderio di compiacerlo per lei e il bisogno e il desiderio di ucciderlo per te, è qualcosa che non appartiene ad una sfera sola. È qualcosa che vi lega a quell’essere anima e corpo, che ha deviato e devierà le vostre esistenze. <Credo che per lui sia la stessa cosa> Altrimenti perché promettere uno scontro mortale in una cornice degna? <Puoi capirlo?> le chiedi arretrando anche tu con la leva inferiore destra. Aprendo l’anca e generando quindi un moto rotatorio anche del busto, della colonna vertebrale, delle spalle stondate e quindi delle braccia, una avanti, l’altra indietro, braccia che si piegano al gomito, alzando gli avambracci in maniera speculare alla sorella, ma tu non chiudi le mani. Lasci aperte le dita come artigli, ricurvi verso il tuo obbiettivo. <Perché> quasi ci pensi un attimo. Sapresti davvero dare una risposta a questa domanda? <In qualche modo credo sia stato lui a costruire ciò che mi spinge> Ancora non hai tutti gli elementi del puzzle. Non ti ricordi quando ti ha guardato negli occhi e ha ammesso che dall’omicidio di tuo padre ha steso per te una serie di molliche atte a portarti da lui. Perché se te lo ricordassi saresti in grado di ricollegare il fatto che tua sorella è stata lasciata al villaggio da lui con uno scopo e che lei era presente quella notte, e se tu ricordassi tutto adesso con lei avresti una conversazione dai toni ben diversi <Sicuramente la scintilla è stata la vendetta, ma questa faccenda mi è arrivata tanto nel profondo che ormai è qualcos’altro.> Un profondo sospiro <Non tollererei mai di non essere io a porre fine alla sua vita> potresti morirne, potresti impazzire <Riesci a capirlo?> ancora chiedi la medesima domanda prima di scattare. Premi contro il suolo con i piedi nudi, con una violenza tale da lasciare un’impronta indelebile, alzando un gran polverone. Uno scatto che probabilmente a lei sarà concesso vedere. Tu non hai mai risposto ai suoi attacchi, non può sapere quanto tu sia migliorato. Può solo osservare come lo stile sia inconfondibile. Non c’è niente di tecnico in te. Ogni fibra del tuo corpo grida la voglia di ferire l’avversario. E il tuo corpo è vasto, e s’avvicina a gran velocità. Tu senti i legamenti tirare e i muscoli gemere, ma non è niente rispetto al dolore che hai provato fino a neanche troppe ore prima. Stai imparando a conoscere il tuo corpo, le sue nuove potenzialità. Risorgi, mia fenice! T’arresti a distanza d’ingaggio piantando il sinistro al suolo e lasciando la gamba destra indietro, con l’anca aperta verso destra, la schiena avvitata nella medesima direzione portandosi indietro la spalla e quindi il braccio che viene caricato piegandosi fino ad arrivare alla spalla, per poi esser sparato in avanti verso il volto di lei, puntando a far infrangere la nocca del medio sul suo nasino. Un movimento che comincia dall’anca, che viene chiusa verso sinistra con forza, dando avvio alla catena cinetica che consente a tutto il torso di arrotolarsi verso sinistra dando sempre maggior forza a quel colpo che viene portato con tutta la forza e la velocità di cui sei capace percepisci che non è il massimo, ma per provarlo a te stesso puoi solo trovare il tuo limite e cercare di infrangerlo. <Quante porte sai aprire?> le chiedi solo dopo aver sparato il pugno. Perché non c’è miglior modo di conoscere qualcuno se non combattendoci contro. Ma perché quella domanda? [1/4 scatto, 2/4 attacco (pugno diretto al volto)] [Forza:60 Agilità: 100] [Chakra On]