Un legame fatto di sangue

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11:18 Yosai:
 Le nuvole si rincorrono in cielo come cavalli impazziti, spinte dal vento, al di là del vetro della tua stanza. Ma tu questo non lo noti. Diamo un po' di contesto. Dove ti trovi? In una delle tante stanze dell’ospedale di Konoha, che era una delle tante stanze dell’ospedale finchè non ci sei entrato tu. Adesso sembra un quadro di Picasso. Il letto è al centro della stanza. Lontano da qualsiasi tipo di oggetto o parete. Non c’è traccia del comodino portaoggetti se non per qualche scheggia di legno qui e la. Le sbarre hanno assunto forme strane e contorte. Una grossa crepa corre lungo il vetro della stanza. Alla parete c’è un quadro storto e dal vetro frantumato e sulla porta, che per ora è chiusa, c’è il buco di un grosso pugno. Non ci sono altri oggetti se non una vecchia sedia su cui sono appoggiati i vestiti logori e strappati con cui sei entrato. Non è stata una notte facile per nessuno. Lo testimoniano i due shinobi che ti sorvegliano inconsapevolmente, posti come stipiti all’ingresso. Per il resto? Giaci nudo nel letto al centro della stanza. La pelle è completamente fradicia di sudore. Sudore che ha coinvolto anche lo scomodo materasso dell’ospedale e il cuscino. Il letto è completamente disfatto al punto che anche il coprimaterasso risulta divelto dal materasso, dei due cuscini in dotazione uno è per terra con una vistosa chiazza di sangue e sudore. Hai calciato via il lenzuolo che adesso per chissà quale grazia di dio si arrampica sulla gamba sinistra fino a coprirti la zona pubica. L’altra gamba e tutto il resto del corpo sono scoperti, evidenziando i fasci muscolari che anche a riposo spingono e tirano così tanto la pelle da dare l’impressione di volerla squarciare per fuoriuscire nella loro massima forma. La luce che entra dalla finestra gioca con le loro forme. Mostrando l’irruenza e la possanza di ogni centimetro di quel corpo. Sono visibili anche i quadricipiti enormi, ma soprattutto sono visibili le cicatrici di cui il tuo corpo è ripieno. Spicca sulla perfezione del tuo corpo la cicatrice più grossa di tutte. Un immenso squarcio dai contorni irregolari corre dal pettorale sinistro fino al basso ventre destro. Coinvolgendo anche una parte del becco della gigantesca aquila che ti colora la schiena e le braccia. Gli occhi son celati al mondo, eppure sotto le palpebre, si muovono in un sogno irregolare. Hai tremiti, singulti. Ti muovi nel sonno contraendo i muscoli. La giugulare scorre sotto la pelle ben visibile come un’enorme fiume, ben visibile. Segno dell’irrequietezza. Ma dove sono i segni di ciò che è successo stanotte? La gamba coperta dal lenzuolo bacchiato di sangue e sudore è bloccata da un tutore all’altezza del ginocchio e tutta la parte inferiore del volto affilato, da sotto al naso fino al collo, è chiusa da una maschera nera e rigida. Il resto sono lividi e tagli sanguinanti che sembrano essere stati medicati alla meno peggio. Hai fatto tanta resistenza che il personale medico si rifiuta anche solo di passare vicino a quella stanza. I capelli sono completamente inzuppati dal sudore, sul cuscino, risplendono di un sinistro rossore. Il resto è respiro irregolare, sobbalzi nel sonno e movimenti inconsulti d’un corpo nudo.

11:37 Tayuya:
 Non è di buon umore, ma quando mai lo è? Tanto per cambiare ha il viso contorto da un’espressione incattivita, gli angoli della bocca rivolti verso il basso e lo sguardo ferale assottigliato. È di pessimo, pessimo umore. Ogni cosa le sta creando un atroce fastidio, dal semplice rumorino di sottofondo al vociare intenso di qualche passante, ma il vero problema qual è? Suo fratello. Da quando lo ha visto per la prima volta non ha smesso di pensare a lui e alla rabbia che cova verso quel ragazzo. Odio, rancore, invidia. Poteva mai provare un sentimento normale verso l’unico familiare che si è ritrovata dopo anni di solitudine? No, sia mai. Indossa il solito kimono corto e bianco a mezze maniche, stretto in vita da un obi rosso scuro che si lega dietro la schiena con un nodo e due lunghe code, al di sotto del kimono indossa un paio di pantaloncini neri ed attillati lunghi fino a metà delle cosce. L’obi è largo, tanto che le parte al di sotto del seno e si conclude alla vita della ragazza, e le gambe, dal ginocchio in giù, sono coperte da un paio di scaldamuscoli lilla, calze bianche che ricoprono i piedi e scarpe nere. Le mani sono coperte da un paio di guanti neri a mezze dita e legato all’obi c’è il coprifronte di Konoha bene in vista. Aspetto minuto e gracile, appena un metro e mezzo di altezza per la piccola tredicenne, estremamente esile che pare un fuscello, con lunghi capelli rosa leganti in una grossa coda alta tramite un nastro azzurro, e la frangia che le circonda il viso insieme a qualche ciuffo laterale al volto… occhi taglienti e ferali di un azzurro così limpido che sembra aver rubato tale colore al ruscello più puro esistente di montagna. Ma di purezza lei… ne ha ben poca. È ironico quanto lei si senta somigliante al fratello, un vero peccato che se non fosse per quel suo orgoglio potrebbero persino andare d’accordo, ma sfortuna per lui, lei è fedele al padre all’incontrario di lui. Come osa andare contro al genitore, al Demone? Come osa, nonostante questo, coprirla con la sua ombra agli occhi del padre? Stringe i denti e si lascia sfuggire un ringhio mentre snuda i denti e mette in mostra i canini più lunghi della media. Ha saputo di quello che è successo e lei è quella che deve controllare come sta il fratello. Non in maniera affettiva, sia chiaro, ma giusto per un resoconto dettagliato sulle sue condizioni fisiche e il suo probabile recupero, non che qualcuno glie lo abbia detto ma le voci corrono e i suoi doveri non sono cambiati. E’ per questo che questa giornata è così nera, perché lei è costretta a muoversi per i corridoi dell’ospedale, alla ricerca di una stanza e di un fratello che spera muoia, ma in realtà ha in mente altro. Tutto quello che sa che sia accaduto è frutto della sua immaginazione, speculazioni e basta, ma forse è quello che le serve. Raggiunge la stanza dove hanno portato il gigante e ai due shinobi posti all’ingresso non rimane che dire qualche frase che giustifichino il suo essere lì. Alla fine a loro che importa? Di armi non ne ha e l’ospedale è controllato, una visita che sarà mai. Non bussa e aprirebbe solamente la porta della stanza senza curarsi di non farsi sentire e poi rimarrebbe per un po’ di tempo appoggiata allo stipite della porta con la spalla destra, le braccia incrociate e lo sguardo azzurro e tagliente che vaga per quel luogo. Un disastro. Ci sono schegge di legno sparse, crepe sui vetri, del letto non ne parliamo è in uno stato pietoso. E lui? Occhi chiusi, un lenzuolo tattico che copre le zone intime e un corpo nudo che mette in mostra cicatrici e fasci muscolari che farebbero invidia a chiunque. Non a lei però, sia chiaro. <Sei vivo.> una piccola costatazione con voce bassa e controllata, occhi che vengono alzati verso il soffitto… in che condizioni sarà il soffitto? E poi torna a guardare lui sdraiato nel letto. Un animale ferito che non si lascia avvicinare, lo si capisce da quelle ferite ancora per niente curate come si deve. Compirebbe un passo all’interno della stanza distaccandosi dallo stipite e poi chiuderebbe la porta alle sue spalle facendo più rumore possibile. La grazia le si addice solo all’apparenza. Lo osserva, sospira sbuffando aria dalla bocca, perché… perché le sembra di rivedersi prima di un anno fa, prima di essere mollata a Konoha. <Yosai.> lo chiama con quel tono basso ma imperativo, sembra tuonare da quella piccola cassa toracica che la ragazzina si ritrova. <Che prezzo hai pagato?> sembra una domanda tanto messa a caso, eppure vale molto. Si adatta ad ogni tipo di situazione che potrebbe essere accaduta, eppure sembra lasciar intendere che ella abbia intuito qualcosa ed è quasi certa che il ragazzo possa comprendere. E lei chi sarebbe?

12:14 Yosai:
 Di solito è la paura ad agitare i sogni di chi si trova nelle sue condizioni. E così potrebbe sembrare sia anche per te. Movimenti repentini, scatti dei muscoli e tanto sudore, le iridi si muovo incessanti sotto le palpebre. Movimenti inconsulti che vengono però guidati anche dagli stimoli esterni. Una voce nel nulla, come un ronzio. Un tonfo pesante. È la porta che si chiude ma tu non lo sai. Cos’è che ti richiama al presente, a te stesso? È il tuo nome. Lei ti chiama in quel modo perentorio, ma nella tua voce non è una voce di donna. È un boato demoniaco. Lo stesso che ti ha assordato quella notte. Quell’ululato selvaggio del capobranco che ha dato il via al vostro combattimento e al quale hai sentito il dovere di rispondere. Qualcosa che ti ha squarciato l’anima. Con un altro spasmo, più violento, spalanchi gli occhi che per un momento sembrano brillare di una luce rossa. Ogni fascio muscolare si contrae esplodendo sotto la pelle <nnnnnhhh> urli violento, ma il tutto è attutito dal tutore rigido che ti copre la bocca. Scatti seduto contraendo l’addome. Sgrani lo sguardo, dipinto in un’espressione feroce, e per un attimo nel volto di lei, scorgi quello del genitore che vi unisce. Non sai quanto vicino ci sei andato. Pura rabbia emani da quegli occhi. Pura rabbia popola i tuoi sogni. Nient’altro che violenza. Non paura. Sei ancora in uno stato di semicoscienza quando porti entrambe le mani alla protesi della mandibola. Anche solo sfiorare quella protesi ti genera fitte profonde. Ma non sembra importante. Capisci ben presto che le due estremità all’altezza della mascella si congiungono con una fascia elastica dietro la nuca, così alzi ancora le braccia fino a consentire alle mani di strappare quella fascia afferrando quella protesi e scagliandola lontano contro la parete. Una qualunque, indipendentemente che ci sia lei o meno in traiettoria. Ansimi alzando e abbassando l’ampio petto. Le labbra schiuse ma i denti serrati. La mascella fratturata fa un male incredibile ma sei sicuro che se lasciassi andare i muscoli per loro conto non riusciresti più a chiudere le due arcate dentali. A questo serviva il tutore che hai scagliato via e che ti impediva la parola. Non fai altro che piantare sulla figura di donna lo sguardo blu. Hai tutta la parte della mandibola piena di sangue rappreso, e un grosso accumulo di sangue scuro ti gonfia uno dei due lati del volto <Tayuya> rispondi alla sua chiamata senza distogliere lo sguardo. Una voce impastata ma profonda come l’inferno, a cui s’aggiunge il fatto che praticamente devi spingere le parole in mezzo alle due arcate dentali senza separarle. E questo conferisce alle tue parole sembianze ancor più animalesche. Rimanendo seduto testi il tuo corpo. Non controlli un solo muscolo e anche solo mantenere quella posizione ti fa tremare gli addominali. Non senti più la gamba sinistra e la parte inferiore del volto <Che ci fai qui?> una domanda lecita. L’hai vista una sola volta e adesso te la ritrovi al tuo capezzale. Non c’è nessun alto. Nessun tuo sensei, nessun amico. Questo dovrebbe parlare più di te che di lei. Ma d’altronde questo sei. Solo alla fine. <Non importa ciò che ho pagato, importa cosa ho guadagnato.> ringhiando la squadri. Probabilmente hai perso tutto e se le cose dovessero andare come è giusto che vadano potresti addirittura esser segnato come mukenin. Ma non sembra importarti. Non adesso che ancora senti sulla pelle l’ebbrezza di quel potere raggiunto. Tieni lo sguardo blu su di lei assottigliando ora lo le pupille <ma a te che importa? Perché sei qui?> Stai ancora ansimando e quello sguardo ha tanto dell’animale e poco dell’umano. Ma è una caratteristica che ormai hai capito essere condivisa. Sarà in grado di cogliere lei quel qualcosa in più che la nottata ti ha regalato?

12:46 Tayuya:
 Il suo sonno è agitato ma a lei non importa, ha parlato comunque senza interessarsi che egli possa aver sentito o meno. E’ pronta a ripetersi, è pronta a stare in quella stanza ad osservarlo se necessario. Ma perché è qui? Perché lei e non qualcun altro? Perché è quello che sono, soli entrambi, chi per scelta e chi no, chi magari desidererebbe altro, e chi invece ha fatto di tutto pur di seguire i suoi istinti. Sogni e desideri si mischiano, si scontrano e poi vengono brutalmente dilaniati e gettati in pasto ai demoni. Rimane ferma ad osservare con aria scura e gelida quell’ammasso di carne e muscoli, ne annusa il sangue e ne contempla le ferite, quelle cicatrici che in parte condividono ma lui non può saperlo. Cosa sta sognando, cosa rende il suo sonno così agitato? Il dolore o la rabbia, l’eccitazione o la paura. No, non pensa ci sia paura in lui, sono troppo simili. Il ragazzo apre gli occhi di scatto, uno sguardo animalesco e ferale, quel blu che si tinge di rosso anche solo per un istante ma non sfugge all’occhio attento della bambina. In silenzio lei attende e ne segue i movimenti con attenzione, registrandoli nella sua memoria perché poi le saranno di aiuto. Lui si libera di quell’impedimento che probabilmente gli causerà solo dolore e forse potrebbe anche peggiorare le sue condizioni, ma del resto non le importa… lui è libero di agire come più gli pare. Il tutore viene scagliato via con ferocia, raggiunge una parete e si accascia a terra privo di animo, e la ragazzina ne segue con lo sguardo la traiettoria. Silenzio. Torna a guardarlo. Solo ora il ghigno di lei si apre snudando quei denti così simili a quelli del ragazzo. Gli fa male parlare, il suo corpo probabilmente scosso da fitte di dolore, ma a lui non importa… a lei non importa, quindi stanno bene così, a fissarsi e studiarsi. Non sa cosa egli veda attraverso i suoi occhi, non sa cosa ci sia nella sua testa, può solo intuirlo. Chi è lei che si permette di venire al capezzale di questo gigante? Non è un’amica, non è una sensei. Lui è solo… e lei? Si avvicinerebbe di qualche passo mentre lui pronuncia il suo nome. Voci profonde, ringhi che provengono dal sangue e dall’inferno. Lei cammina tranquilla per avvicinarsi al letto del ragazzo, non le fa paura e non lo teme, lo sguardo puntato in quello di Yosai, e lei… che appare così piccola di fronte a lui, sembra che venga inglobata dalla sua stazza, soffocata da quella sua ombra. Si fermerebbe al lato del letto sollevando un poco il mento con fare orgoglioso e testardo, si fa beffe di lui con lo sguardo mentre gorgoglia la gola mentre si prepara a rispondere a una domanda più che lecita. <Sono venuta a vedere come stai. Ti sei battuto con lui?> inclina la testa da un lato mentre lo osserva. Sono solo voci, solo intuizioni, ma è palese che si sia battuto con qualcuno, e quel qualcuno… chi era? Non può esserne sicura, ma da come lo vede, se lo sente nelle ossa come un presentimento, se poi ci si aggiungono le voci e ciò che sa, allora le manca solo che lui lo dica. Il ghigno si affila ancora di più nel vederlo conciato in quella maniera… ah, lei se la sarebbe cavata meglio, non senza fratture o ferite, è chiaro, ma sicuramente meglio di lui. Perché… perché la sua ombra continua ad essere più importante? La rabbia ribolle e lo sguardo si affila, ferale lei ringhia nuovamente in risposta del fratello. <E dimmi… cosa avresti guadagnato secondo te?> più forza? Più potere? Maggior consapevolezza? Ci ha guadagnato che forse lui ha potuto vedere una persona che lei non vede da un anno e la gelosia ora si fa più forte. Alimenta l’odio e il ghigno diventa solo un’espressione arcigna. Non può tacere oltre, non può continuare a fare quello che deve senza esporsi, senza rivelare, senza stargli… vicino. Ribrezzo alla sola idea. <Io so chi sei tu. Io so chi è tuo padre… ma tu non sai chi sono io.> lo fissa dritto negli occhi, lasciando a lui una breve pausa per cercare di trovare dentro di sé quelle sensazioni che possono portarlo a comprendere anche da solo, basandosi sull’istinto. Sull’odore. Appoggerebbe le mani sul bordo del letto, su quel metallo contorto con poca delicatezza, di colpo e si sporgerebbe verso di lui per mettere il suo viso a una distanza davvero infima dal suo. Bestia contro bestia, inclina leggermente la testolina da un lato. <Sono qui perché tu rimani un ammasso di muscoli senza cervello, da qualsiasi angolatura io ti guardi… eppure la tua ombra continua a soffocarmi.> stringe la presa su quel metallo, che cigolerebbe inesorabilmente, uno sfogo della sua rabbia.

13:22 Yosai:
 Resti seduto con la schiena completamente curva in avanti, e il capo leggermente sollevato per ascoltarla. Assimili la voce di lei. La prima frase la reputi semplicemente una menzogna. Ti ha quasi spaccato due costole neanche una settimana fa, come può adesso interessarsi a te? Ma i ragionamenti si interrompono alla domanda che viene posta. Una domanda che ti porta a digrignare e deformare ogni singolo muscolo della tua faccia in un sorriso che non lascia speranza alla luce. È un sorriso troppo simile a quello del Demone Rosso per non essere notato. Un sorriso che schiude le porte della ferocia <Si> mormori spingendo quel monosillabo tra i denti. Profondo e gutturale <Ho affrontato il mio Demone Rosso, l’ho colpito e l’ho fatto sanguinare>. È tuo ora? È sempre stato il tuo Demone. Il Tuo obbiettivo. La Tua ossessione. Parli con una gioia innaturale di ciò che è successo. E come ti ha ridotto lui in cambio? Di questo non ti importa perché due mesi fa quando l’hai visto la prima volta a mala pena riuscivi a vederlo. Ora puoi schivare i suoi colpi. E sferrarne altrettanti. Non riesci a sostenere quel sorriso per troppo. Il dolore diventa presto insostenibile. Ogni parte del corpo ti duole e ben presto anche rimanere seduto diventa un problema. Ti volti lentamente, con torcendo la schiena su se stessa e digrignando i denti dal dolore. Ti accorgi ben presto che il telecomandino per gestire il letto e chiamare i soccorsi è stato strappato via. L’hai strappato via tu e hai cercato di strangolarci chi ti avvicinava. Non te lo ricordi? <alzami lo schienale del letto. Non ce la faccio più a stare sdraiato> le ringhi contro. L’alternativa sarà alzarti in piedi e girare nudo per la stanza. Ammesso che tu sappia starci in piedi. Ascolti la seconda domanda <è la seconda ci incontriamo e ho la sensazione che finirà come l’altra volta. Tu mi farai un sacco di domande, non ti piacerà come rispondo e ti incazzerai con me> Per adesso le domande ci sono. Sostieni quello sguardo <Non te lo so dire cosa ho guadagnato. Sarà ciò che dovrò scoprire appena uscito da qua. In tanto due promesse mi sono state fatte> non ghigni solo perché non ci riesci <tre> ti correggi. Anche se la terza ti piace assai di meno. Inarchi lentamente e faticosamente il sopracciglio quando lei si fa più vicina. La ascolti e non parli. Ti prendi qualche momento di silenzio, la lasci in sospeso. Semplicemente nel farsi più vicina allarghi le narici come un animale ed inali il suo odore fino a riempirti i polmoni. Arcigni fiori di montagna. Un odore fresco e selvatico come sarebbe il tuo se non ci fosse puzza di sangue rappreso e disinfettante ovunque <Hai ragione. Dimmi ciò che vuoi che io sappia di te, allora, e poi ti farò una domanda> commenti osservandola avvicinarsi come un predatore. Ma essendo predatore anche tu, ferito o no, non hai paura. Anche se dovresti <potresti cominciare dal rivelare come mai ti interessa tanto sapere di ieri sera, se vuoi> parli con voce sempre più ringhiata. Soffri, anche se i tuoi occhi non lo danno a vedere. Il tuo sguardo blu cade sul suo gesto, su quella stretta che sbianca le nocche. Ascolti quella voce spinta tanto vicino che ne sente il fiato fresco. Ti sforzi di ghignare ancora, anche se fa male, sporgendoti fin quasi a sfiorarle il naso <vorrà dire che qualcosa nel tuo sguardo non funziona> ghiaccio nel mare, cielo nell’oceano. Ringhi contro ringhi. T’allontani un poco <in che senso la mia ombra ti soffoca? Mi hai conosciuto pochi giorni fa. Faccio quest’effetto? Che sia l’inizio di ciò che invidi a tuo padre? Quella capacità di provocare il terrore anche solo con la propria presenza? Chi lo sa.

13:48 Tayuya:
 Non è una menzogna, non la sua. Davvero le interessa sapere come lui stia, poi che lei sperava di vederlo morto è tutta un’altra questione. Lo osserva in quel letto di ospedale, tutto teso per cercare di rimanere seduto dato che il letto non è stato messo nella giusta posizione per aiutarlo a mantenersi in quel modo. Le interessa? No. Sa solo che così si farà solo più male, magari proverà più dolore con quei muscoli tesi e le ferite aperte e mal curate, e questo le basta. Piccola speranza che gli venga qualche infezione magari. Però le parole che vengono usate da lui fanno vibrare le corde vocali della ragazzina, un ringhio basso e profondo, gutturale che le percorre la gola fino a sfociare in un tuono animalesco verso di lui. Snuda i denti bianchi, rabbia da quello sguardo. È troppa da poter trattenere. <Non è Tuo.> ah. Così stanno le cose allora, lei che muore di quella gelosia per i motivi sbagliati, lei che prova rabbia perché lui ha osato far sanguinare il padre. Scandisce quelle tre parole tonando e rivendicando qualcosa che non può essere solo suo… perché la realtà di come stanno le cose è troppo difficile da accettare. Non aggiunge altro a quelle tre parole, ma lascia chiaro il segno che c’è molto dietro di essere, dietro a quello sguardo glaciale che gli dona. In silenzio lo osserva cercare qualcosa che non trova e poi accoglie quel ringhio e quella specie di ordine e lei, infame, solleva il mento assumendo un’aria sostenuta, orgogliosa e superiore. <Non è un mio problema.> non lo aiuterà a stare più comodo, lo osserverà mentre tende ogni suo muscolo e a lui decidere se alzarsi… se ci riesce, con una gamba fuori uso e tutte quelle ferite. Non è comunque un suo problema. <Dipende da te il modo in cui finirà questa conversazione.> dipende sempre tutto da lui, anche quando era solo un nome e un’immagina descritta nella sua mente, anche quando ancora a mala pena sapeva della sua esistenza. Dipende sempre da lui. <Io sono già incazzata con te. Sta a te vedere se peggiorerai o migliorerai le cose.> ghigna, snuda i denti e solleva un sopracciglio, è come se lo stesse sfidando ma in realtà il suo tono e quello sguardo non lasciano nemmeno il tempo di replica. Lei sta dettando delle regole, sta provando a soffiare via quell’ombra. Lo ascolta e si incuriosisce inevitabilmente… quali promesse? Cosa gli è stato detto? <Che promesse?> lo domanda è chiaro che lo avrebbe fatto, ma se lui non ne avesse voluto parlare allora non avrebbe tirato in ballo l’argomento. Dunque attende le sue risposte, si, perché le pretende e intanto lo osserva dritto in quegli occhi profondi come il mare. Potenti, indomabili. Lui sa di sangue, e le piace, annusa quell’odore come se servisse a rilassarla o curare le sue ferite. Un balsamo che le percorre il corpo come brividi di piacere. Lui non ha paura, lei nemmeno, si sfidano senza riuscire a prevalere l’una sull’altro, potrebbe essere davvero diverso da così? Lui parla, si avvicina… quel naso a sfiorarle il suo. <Non montarti la testa. La tua ombra non mi fa paura, è solo soffocante. Perché mi nasconde allo sguardo di nostro padre.> e questo non lo può accettare. Ciò che ha detto però, vale molto. Nostro padre. E con questo ha detto tutto, senza rispondere alle domande precedenti che le sono state poste perché questo risponde a tutto. La rabbia che affiora e quel naso vicino… lei scatterebbe, veloce come la prima volta, lui nemmeno se ne dovrebbe accorgere ma lei andrebbe a mordere con violenza e rancore il naso del ragazzo troppo vicino. La forza della sua dentatura andrebbe al di là di un semplice morso. Un animale scattoso. Premerebbe con forza i propri denti sul setto nasale altrui, imprimendo la forza necessaria che servirebbe per ferirlo, farlo sanguinare, cercherebbe non si spezzare ma almeno di incrinare quella cartilagine. [Tentativo morso al naso]

14:23 Yosai:
 Stupido tu che ci hai provato a chiedere una mano. Ci sono certe persone verso le quali devi imparare a provare odio a pelle, perché non ricambieranno mai con altro. È forse questo che ancora ti separa da lui. Sei ancora troppo buono. Come l’Inuzuka che hai deciso di salvare mettendoti nei guai. Come l’affinità elettiva che nutri verso quella che ancora una volta si rivela essere una mocciosa che ci gode ad essere cattiva con te. Riuscirai ad indurirti abbastanza da non provare altro che odio? Eppure quelle tue parole hanno incrinato le dighe del contenimento dell’altrui rabbia. Ascolti quelle tre parole, il modo in cui vengono proferite verso di te, percepisci la conferma che stavi cercando. C’è qualcosa che lega lei e il Demone Rosso. Quando ti arriva la risposta alla tua richiesta di aiuto sorridi amaro. Amareggiato non da lei ma da te stesso. Sei una continua delusione. Ma imparerai ad indurirti. A provare gioia nella sofferenza altrui. Forse è davvero questo il tuo destino. Rotei gli occhi al sentire quelle risposte. Noiose. <Non è vero, lo sai benissimo che niente potrà migliorare le cose.> Questo perché tu sei convinto che ci sia qualcosa da migliorare quando lei da quando l’hai conosciuta ti urla a gran voce il suo odio verso di te. Quella domanda ti incrina di nuovo le labbra in un ghigno animale. Col cazzo che otterrai così facilmente le tue risposte. Anche perché qualcosa di più importante subentra tra di voi. Percepisci quella rabbia. Percepisci quella vicinanza ma soprattutto percepisci quella rabbia. Le ultime due parole ti sconvolgono i sensi arrivandoti come un pugno in faccia prima ancora che arrivi quel morso, che comunque arriva. Arriva perché lei ha deciso di accanirsi. Arriva perché sei debole, ferito e sconvolto, allarghi le pupille e sgrani lo sguardo, prima che un’ondata di dolore esploda dal tuo naso. Il movimento così repentino ti porta a spostarti all’indietro. E lo fai troppo tardi è vero, ma lo fai con una violenza tale che se lei non lascerà la presa per tempo le scelte saranno due, trascinarla con te nel movimento oppure che ti venga staccato del tutto il naso. Se invece il morso fosse semplicemente istantaneo l’unico a subire le conseguenze di un movimento tanto repentino saresti tu. Finendo per contrarre tutti i muscoli del corpo verso l’indietro, sbilanciando tutto il peso verso il fianco opposto del letto con un’irruenza tale che finiresti per rovinare senza appello fuori dal letto, sbattendo violentemente con la schiena, nudo come un verme. Di nuovo sconfitto. Digrigni i denti finchè non impatti sul pavimento, anche con il ginocchio distrutto, spalancando la mandibola e liberando nell’aria un urlo furioso e gutturale, e forse anche quel movimento con la mandibola ti crea altrettanto dolore. Senti le lacrime assalirti gli occhi è qualcosa che non hai mai provato prima. Non ti sei mai ridotto in quello stato e tutte quelle ferite tutte insieme non le sopporti. Ma soprattutto non sopporti la frustrazione di non poter reagire a quella ragazzina davanti a te <CHE HAI DETTO?!> con lo stesso tono di voce dell’urlo, ti rivolgi a lei con una mano che va a tastare il naso, mentre il tuo sangue ti finisce in bocca e l’altra va a sostenere il ginocchio chiuso nel tutore. Hai la vista offuscata e non riesci a muovere un muscolo. Anche tentare di tenere il capo alzato dal pavimento per guardarla è impensabile. Ti senti svenire ma resisti al richiamo delle tenebre. Ti gira la testa dal dolore e hai lo stomaco capovolto. Vomiteresti se ne avessi le forze. Che vita di merda, caro mio.

14:52 Tayuya:
 Lei non riesce a guardare al di là del suo rancore, è come se un velo denso e scuro la renda circa e sorda davanti a tutto e tutti. Vede l’ombra, vede il rancore, l’invidia… per lei, lui, è solo un nemico che ha imparato ad odiare negli anni. Che pena se si pensa che di anni lei ne ha ben pochi in confronto. Il bello è che farebbe ancora in tempo a cambiare, migliorare o peggiorare, comunque la sua mente e il suo animo sono in continuo mutamento e tutto sta a come gli eventi si evolveranno. Ma al momento tutto quello che lei riesce a respirare è solo odio e frustrazione. non può trattenere tutta quella rabbia e prima o poi dovrà esplodere, eppure c’è qualcosa che ancora la frena dal devastare tutto, mandare a quel paese villaggio, fratello, persone, legge e regole e quel qualcosa sono gli ordini con i quali il padre l’ha lasciata. Non può essere un animale selvatico e libero come vorrebbe, deve sottostare a qualcosa che continua a frustrarla per poter agire come il Demone vuole. E se fosse quello il problema? Certo, lo è, ma ancora è troppo piccola per arrivarci. Ghigna osservandolo. <Niente potrà migliorarle… per il momento.> non si chiude una porta, una piccola possibilità, come un punto di luce oltre quel velo che inconsapevolmente sa che c’è. A lei non vengono date delle risposte e quel suo ghigno si specchia con quello affilato del ragazzo, e si osservano come due mostri simili che tutto sommato potrebbero trovare la questione molto divertente. Una sola persona potrebbe però realmente divertirsi nel vederli. Due cuccioli che lottano. Quella rivelazione giunge e lei sa che fa male, sa che è qualcosa che il ragazzo non può gestire, è qualcosa che colpisce duro e basso, toglie il respiro, fa divampare il sangue nelle vene. Il morso che giungerebbe è spietato e istantaneo, non intende aggrapparsi a quel pezzo di carne sarebbe un mordi e fuggi, dunque lui nel tirarsi indietro non farebbe altro che procurarsi solo più dolore. Lei, in silenzio, osserva. Ha per la bocca il sapore del fratello, quel suo sangue che è riuscita a strappargli e lo gusta con novizia di attenzione. Lui? contrae i muscoli, scatta all’indietro, si fa del male e cade dal letto, con la grossa schiena ad impattare contro il freddo pavimento. Nessuno verrà, nessuno entrerà. Oh… la sente quella furia, quel dolore, quella rabbia e lei chiude gli occhi e ghigna snudando i denti. Compie un profondo respiro respirando l’aria di quell’urlo animalesco… lei scioglie la presa dal fianco del letto e riapre gli occhi. Lo sente urlare e lentamente aggirerebbe il letto per raggiungere il corpo a terra del fratello. Lui giù, lei in piedi. È così che dovrebbe essere. Senti quei denti, i suoi, che digrignano, la mascella che si schiude, quella voce… soffre. Lei raggiungerebbe il fratello fermandosi al suo fianco e un metro scarso di distanza, perché non lo teme, poi si lascerebbe andare col sedere a terra sul pavimento. Così si mette seduta a gambe incrociate affianco al ragazzo, posa i gomiti sulle ginocchia e incurva la schiena in avanti, il viso viene accolto dalle mani aperte e rivolte verso l’alto che come una coppa fanno da cuscinetto al mento. Lo osserva con calma… non sente più tanta rabbia ora, come se si fosse liberata finalmente di un peso, e poi il vederlo in quello stato le procura un immenso sollievo e una profonda soddisfazione. Dunque sarebbe davvero lui quello che suo padre ha scelto? Nemmeno riesce a contrastare un suo morso. <Ci senti benissimo.> risponde lei glaciale col sorriso affilato e lo sguardo assottigliato. Osserva quel corpo scolpito accarezzandolo con lo sguardo, lascia passare infiniti attimi di silenzio. <Ma tu lo sai cosa significa essere soli? Essere… abbandonati.> ridacchia appena raddrizzando la schiena e portando le mani alle ginocchia, sciogliendo quella posizione assunta poco prima. <No che non lo sai. Tu nella tua vita hai sempre avuto qualcuno che ci tiene a te. Qualsiasi cosa tu faccia o dica, hai sempre qualcuno che ti guarda.> anche da quella posizione sente la sua ombra oscurarla, soffocarla… niente da fare, non riesce proprio a liberarsi di lui. Eppure è proprio quello che lui le ha chiesto: raccontarsi e lei lo fa, senza menzogne e senza filtri, snudando i canini pronunciati ed esprimendo tutta l’invidia, la rabbia e la tristezza che cova dentro di sé da quando è nata. È questo quello che lui potrebbe vedere, uno spiraglio… ed è qui che dipende da lui per come si evolveranno le cose: miglioreranno o peggioreranno?

15:25 Yosai:
 In fondo ogni giorno passato senza perdere qualche punto vita è un giorno perso, giusto? Percepisci il pavimento freddo sotto la schiena indolenzita, le schegge di legno sparse sul pavimento premere contro la pelle, i muscoli gemere ad ogni respiro ma soprattutto il ginocchio e la mandibola lanciare fitte di dolore da mozzare il fiato ad ogni battito del cuore accelerato. Hai bisogno di cure e invece sembra che le provocazioni per la tua fragile psiche non siano finite in un continuum distruttivo partito la notte precedente. Che bel momento hai scelto, Tayuya, per rivelarti stacchi un attimo la mano dal naso per osservare le dita rosse. I canini hanno lacerato a fondo e in bocca hai il ferro del tuo stesso sangue. La testa gira ad ogni fitta del ginocchio e gli occhi sono più lucenti che mai, eppure non una lacrima viene versata. Non oseresti. La osservi avvicinarsi. Non hai la forza di mascherare quel dolore. La sua voce ti arriva come ovattata, eppure comprensibile. Non cogli quel sorriso, fai a mala pena lo sforzo di rimanere sveglio. Eppure ogni tanto sgrani lo sguardo e inizi a guardarti in torno con ossessione. L’istinto animale ti costringe a notare come tu sia in una condizione di pericolo. Non puoi stare steso li per terra. Devi alzarti. Ma come? Non c’è niente in quella stanza se non la vecchia sedia dall’altra parte. E comunque non hai la forza di muoverti. Di nuovo socchiudi lo sguardo pensando alle parole di lei. Lasci passare qualche momento di silenzio <Quindi si tratta di questo? Invidia? Vorresti tu le attenzioni che Akuma mi riserva?> lo chiami per nome. Puoi farlo ormai. Che poi quali sarebbero quelle attenzioni? Uccidere il padre e la madre, promettergli altre morti di persone care e inviare una sorella che si diverte a picchiarti soprattutto quando non puoi reagire? Non ha senso farglielo notare. <E se non fosse così? E se questa volta fossi tu a guardare una persona che non conosci con gli occhi annebbiati da ciò che provi?> Con uno sforzo che sembra di aver sollevato una montagna tenti di piantare i gomiti e di alzarti un poco. Fatichi a tenere la testa dritta <Se vuoi le sue attenzioni, se è così tanta la rabbia che provi verso di me, perché non mi fai fuori e gli porti la mia testa? Avrai dimostrato che sei tu la più forte e ti sarai tolta di mezzo la mia ombra> Non è una provocazione. Non solo almeno. C’è del serio interesse a capire cosa la muove a dimostrare tanto astio senza compiere un gesto definitivo.

15:54 Tayuya:
 Ha scelto proprio un bel momento lei per agire, per rivelarsi, per vomitare tutta la rabbia che prova verso di lui, e perché? Per infierire? Forse, probabilmente è così. Una vena sadica e poco onorevole ma a lei non importa un fico secco. Se ne frega. Se ne sta lì ad osservare un fratello mal messo che non ha possibilità di difendersi o scontrarsi con lei ad armi pari… per il momento almeno. Non ha dei piani precisi, non ha obiettivi suoi, perché lei risponde solo alle parole del padre e tutto ciò che vuole è compiacerlo per essere guardata, e questo cosa comporta… comporta che deve ubbidire, comporta che non deve togliere ciò che il Demone vuole. È questo il suo grosso limite e lei non vede quanto sia proprio questo a metterla all’ombra del fratello. Osserva quel sangue che cola dalla pelle del naso, finisce tra le fauci del ragazzo, poi passa al corpo non sentendosi minimamente in imbarazzo per la sua nudità. Le ferite, il sangue, il dolore, i muscoli tremolanti per la tensione e lo vede il dolore di lui che mal riesce a nascondere mentre lei si trova in una posizione di vantaggio. Dominare su un animale ferito, che soddisfazione darebbe? In realtà alcuna o a quest’ora starebbe infierendo più del dovuto, però dimostra quanta differenza ci sia tra i due. Perché suo padre non la vede? Ad ogni modo poserebbe con disinteresse una mano sul fianco del ragazzo, i polpastrelli ne accarezzerebbero i muscoli con una delicatezza che non le appartiene. Pensa perduta nei suoi stessi ricordi, nelle sue emozioni che lei ha deciso di vivere intensamente. È lui quello in pericolo perché per lei è questioni di attimi per agire… basta una risposta sbagliata, un movimento non permesso, un’emozione troppo forte. Come ora, dopo che ha sentito le sue parole, la mano posata sul fianco ora si chiude a pugno, così forte che le unghie feriscono il proprio palmo. Pronta a colpire. <Come fa a non vedere? Io sono molto più forte di te. Eppure…> quell’ombra l’avvolge, non prova paura ma solo rabbia nel sentirsela così addosso in maniera quasi opprimente. Stringe i denti serrando la mascella, un gesto che li fa digrignare tra di loro. Il suo gelido sguardo tormentato e fisso sul proprio pugno che poggerebbe ancora sul fianco del fratello. Potrebbe picchiarlo, colpirlo… certo lei sfogherebbe la sua rabbia su una persona ferita, ma del resto lo ha colpito anche quando stava bene e gli lo aveva chiesto proprio lui… non si fa problemi a colpirlo quando sta bene e nemmeno quando sta male. Cosa vorrebbe? Solo essere vista. Lo sguardo scatta di colpo sul viso altrui quando sente le parole successive. Lei… annebbiata? <Quello che provo è così forte che nemmeno immagini.> ringhia con parole gutturale che le raschiano la gola profonda. <Tu non capisci.> il pugno si solleverebbe e poi verrebbe portato contro il fianco del ragazzo, ma non c’è tutta la sua forza in quel colpo l’ha trattenuta quasi tutta solo per cercare di colpirlo e donargli solamente una piccolissima scarica di dolore. <Non posso portargli la tua testa, andrei contro a ciò che vuole.> vuole lui, non può permettersi tanto. Si morde il labbro inferiore, il canino lacera ancora una volta quel labbro martoriato facendolo sanguinare… un rivolo scorre lungo il mento fino alla sua estremità. Cosa c’è di più semplice di questo, di una bambina che cerca le attenzioni del proprio genitore? È normale, è quasi naturale che ciò avvenga, perché le manca un pilastro ma comunque si è molto lontano da comprendere nozioni di pedagogia in un mondo simile. Meglio che non le venga chiesta la sua storia, potrebbe tradire molto più di quanto non vorrebbe, forse dovrebbe lasciare la stanza.

16:39 Yosai:
 Prende forma piano piano la ragazzina davanti a te. Non nel corpo ovviamente, quello l’hai visto benissimo da subito. Nei tratti caratteriali che lei ha sempre celato. Inizia a lasciarti entrare. Ed effettivamente è un continuo di emozioni simili. È la violenza il metro dell’affetto. Più ne ricevi, più sei apprezzato. Almeno nella testa di lei, e forse anche in quella di tuo padre, visto il tipo di attenzioni che ti ha dedicato Ascolti le sue parole in silenzio, cercando per prima cosa di rimanere sveglio e in secondo luogo di mantenere il cuore ad una pulsazione normale. I battiti così alti generati dalle continue scariche che il tuo corpo ti dona ti stanno facendo scoppiare il torace. Non ti fidi di quel contatto anche quando è lieve. Sobbalzi lasciando istintivamente scattare i muscoli per cercare di ritrarti. Lo sai che quel tocco ti farà male. Tenti di allontanarti da quei polpastrelli ma lo fai ad una velocità ridicola per lei, e quel cazzotto arriva e impatta su fianco che sembra legno. Senza un filo di grasso, eppure esposto, vulnerabile. Ti contorci <nnh> non puoi celarlo. È un pugno infimo rispetto a quello che hai finto di ignorare la prima volta che l’hai ricevuto da lei. ma sei distrutto adesso. Sei l’ombra di te stesso. Inizi ad avere un colore cadaverico in fronte e tra il naso lacerato e la mandibola fratturata, fai fatica a respirare. Non rispondi subito. Sembra ti ci voglia del tempo per mettere insieme i pensieri e tutto il tempo che passi in silenzio, lo passi a cercare lo sguardo di lei, appena presente nel tuo campo visivo da steso <Tu vuoi fare ciò che vuole… cos’è? Tenermi d’occhio? Impedire che mi faccia ammazzare? Controllare se miglioro a sufficienza?> se andare contro il volere del padre non è un’opzione, non rimane molto tra cui scegliere. Quindi è questo che sei. Una cavia. Serri i muscoli della mandibola, o almeno hai quello stimolo, ma stai perdendo sensibilità in quella zona. Rabbia fluisce nella tua anima. Ma devi portare avanti il tuo discorso <Ma non sei d’accordo con il suo giudizio> tenti di sorridere, tra sangue e dolore riveli le zanne insanguinate per un momento <è questo che ti fa incazzare così tanto> Resti sulla difensiva con lei, si vede dai muscoli pronti a scattare, tremanti e incerti <Perché, se hai una stima tale di Akuma da…> hai perso il controllo del ginocchio che ti ha regalato un’altra fitta di dolore abbastanza forte da spezzarti il fiato <…da non poter andare contro il suo volere, metti così tanto in dubbio il suo giudizio? È più facile disobbedirgli o cercare di capire perché la pensa così?> Domandi diretto a lei cercando di nuovo di portarti lentamente sui gomiti, per poterla osservare meglio <Quanto tempo sei rimasta con lui?> Non si sviluppa in poco tempo un simile legame. Assottigli lo sguardo, il blu dei tuoi occhi sta perdendo di vitalità. Eppure un istinto primordiale ti impone di rimanere vigile. Non sapresti nemmeno identificarlo. Ma per quanto appiattito, lo sguardo resta su di lei, sveglio ancora. Schiudi di nuovo le labbra a fatica <Sai, non credo che ti libererai tanto presto di… tutto questo… Lui…> La raucedine alla gola ti stimola in automatico un colpo di tosse <chough> Che però è deleterio e ti genera una nuova ondata di dolore. Crolli di nuovo con sfinito <Lui ha promesso…> Ghigni solo al pensiero delle parole di tuo padre rimbombarti in testa. Per poi contorcerti in una nuova smorfia di dolore.

17:07 Tayuya:
 La violenza è il metro dell’affetto. Non sa se sia proprio quello che anche il padre sostiene nella sua mente, ma per la ragazzina è così. Perché non ha conosciuto altro per anni, e se essere ridotta in frantumi vuol dire farsi vedere, allora lo accetta. Si mostra in maniera assolutamente sincera in tutti quei sentimenti che non riesce a trattenere, che sono di dolore e rabbia, sofferenza e invidia. Quanto di più corrosivo esiste al mondo. Quel pugno viene dato, per niente forte ma sa che per come è messo significa qualcosa. Lui è sempre meno presente, ma del resto non si preoccupa ancora della sua salute, le interessa però che rimanga sveglio perché non ha ancora finito di parlare con lui. Suo fratello teme il suo tocco, o se non è paura è comunque disagio, perché sa di non poterla contrastare ora come ora. Lei sorride in maniera affilata e lascia che il sangue coli dalla ferita che si è procurata al labbro. Sono state dette molte cose, almeno per lei, e lui ha tutto il tempo di metabolizzarle ed elaborare delle risposte. Ascolta i rantoli dei suoi respiri, osserva la maniera in cui si contorce… e infine finalmente parla. <Non voglio, devo… cioè, lo voglio anche, umpf.> sbuffa scuotendo la testa. <E’ complicato. Dubito che tu capisca.> perché lei stessa è confusa, nel pieno della sua crescita sia fisica che psicologica, piena di dubbi, domande, ormoni, emozioni, sensazioni. <Non devo dire un cazzo a te su cosa vuole lui.> vorrebbe dire esporsi un po’ troppo, ammettere di essere lì non solo per il fratello, ma anche per fare da spia, non c’è solo lui ma anche il villaggio. Controllare le mosse, spostamenti… nemmeno si sofferma a domandarsi perché. Se ne vale la pena. Snuda i denti in basso ringhio come una bestia che cerca di zittirne un’altra imponendo la propria forza. Eppure lui continua a parlare e a centrare diversi piccoli punti che la rendono sempre più nervosa e carica di rabbia. Un altro suono gutturale le esce dalla gola, un ringhio sommesso. <Tu sei.> si blocca per gonfiare il petto e soffocare un impeto di odio. <Tu sei quello che lui ha scelto.> stringe il pugno destro e con furia quel colpo cala ma non sul fratello bensì su se stessa. E’ un pugno ben assestato che ella si autoinfligge sulla coscia destra. Un rumore sordo, lei abbassa la testa per nascondere il viso e quel pugno rimane così infossato nella sua gamba, una pelle rosea che ben presto si arrossa. <Mi pare ovvio che non sono d’accordo!> sbotta urlando contro di lui rialzando il viso e puntando il suo glaciale sguardo sul suo volto. <Metto in dubbio il suo giudizio ma non intendo andargli contro in questo! Io non sarò come te, io non gli disubbidirò. In questo modo capirà chi è davvero degno delle sue attenzioni!> ansima mentre lo fissa negli occhi ricolma d’ira, fa passare molti istanti di silenzio dove a regnare sono solo i loro respiri affannosi. Non vuole nemmeno cercare di capire perché il Demone la pensi in quel modo, vorrebbe dire andare troppo in fondo anche in se stessa e non vuole affrontare ciò che potrebbe trovarci. Distoglie lo sguardo per osservare la propria mano destra che ora rilassa aprendo il pugno, quella stessa mano la passa al di sopra della zona che si è colpita, massaggiandola con rabbia. <Fino ai miei 12 anni. Fino… all’anno scorso insomma. Poi mi ha… lasciata in quell’istituto da sola, e io ho raggiunto il mio livello attuale con le mie sole forze. Mi sono fatta da sola.> non dice il motivo, non dice cosa c’è dietro… lo fa semplicemente passare per un abbandono e basta. Come un giocattolo rotto che non serve più. Quella rabbia poi sembra lentamente appiattirsi come se tutte le sue forze la stessero abbandonando, forse perché ora stanno prevaricando altri sentimenti, più dolorosi e tristi. <Cosa? Cosa ha promesso?> torna a guardarlo con sguardo ferale posando le mani sulle ginocchia e attende una risposta da lui questa volta.

17:48 Yosai:
 Effettivamente al meno in questo lei riesce. A tenersi nascosta alla luce del sole. Non sa che tu hai già tutti gli elementi. Che vostro padre ha confessato che quell’attacco era un richiamo per lui. una delle tante mollichine messe sulla tua strada per incontrarlo. E questa informazione aggiunta a quella emersa oggi, del legame che la obbliga ad eseguire gli ordini del padre e al fatto che sai della sua presenza la notte dell’attacco fanno di tua sorella non solo una chuunin decisamente peggiore di quanto sospettavi, di quello non ti importa, fanno di lei la diretta responsabile dopo Akuma della morte di tua madre. Tutto questo non hai la lucidità per collegarlo. Sei concentrato sulle sue parole, e quando ascolti le sue prime frasi semplicemente tenteresti di allungare il braccio scolpito del fianco al quale lei si trova, lo alzi cercando di raggiungere il volto di lei sottile come una lama. La mano è grossa, il movimento è lento. La volontà di evitarlo basterebbe forse da sola ad impedire che quel tocco avvenga. Ma qualora avvenisse la stringeresti all’altezza degli zigomi con le dita lorde di sangue <Capisco invece. È il legame uguale e opposto a quello che io coltivo per lui> mormori, ringhi, gutturale e sempre meno comprensibile ma tenteresti di tirarla in avanti un poco. Il volto trema, squassato da comandi che non può eseguire, ma lo sguardo blu resta su di lei <Sento il dovere ineluttabile di andargli contro, e al contempo è la mia brama più sordida> Forse è davvero qualcosa di simile che avete in comune. Forse i deliri del dolore ti stanno richiamando a te anzitempo. Allenteresti la presa, qualora fosse riuscita, senza renderti conto che sul suo viso e sulla tua mano, il suo sangue e il tuo si sono uniti. Lasceresti la mano crollare sul pavimento duro e freddo. Ormai hai la netta sensazione che sia la pelle a bruciarsi da sola. La febbre si sta alzando, le fratture che hai rifiutato ti venissero curate stanno dando problemi. Stai iniziando a sudare. La pelle s’è fatta lucida sui muscoli scolpiti. Ascolti la sua successiva frase annuisci. Con difficoltà <Sceglierai di chiederti perché stai agendo contro ciò che pensi facendo ciò che ti è stato ordinato o di chiederti perché sia stato scelto io…> nel primo caso metterà in discussione il rapporto con suo padre, nel secondo caso sarà costretta ad approfondire il rapporto con te. Nel caso di una non scelta rimarrà oppressa in quell’oscurità finchè non ne sarà oppressa del tutto. Ma non c’è una domanda alla fine della frase. Perché l’importante non è sapere la risposta, è fare la domanda. L’ultima risposta ti porta a sgranare lo sguardo. mentre sbatti di nuovo la testa contro il pavimento. un barlume di vita si accende <dodici anni…> ripeti a fatica è per questo che il loro legame è così stretto. Il tuo invece lui l’ha stretto nel sangue. <E…e…> che fatica <e ti manca…> forse sei tu che fai fatica a far percepire i punti di domanda, forse non vi sono domande qui... la ascolti <Io…> come cominciare? <…Mi ha promesso uno scontro mortale… al tempo debito... con la debita…cornice> ansimi ti rivolta il sapore metallico del sangue sempre in bocca. <Tutto questo pesto o tardi finirà anche per te... E se sei fortunata avrai un padre da tornare> Le annunci la promessa che il suo mondo, tutto ciò che ama è appeso a un filo, e alla volontà di quel genin nudo come un verme e sofferente. Sopprimilo ora, Tayuya e avrai un padre a cui tornare, oppure guardalo risorgere e preparati alla possibilità di perdere tutto per rinascere anche tu, libera nella violenza, come è giusto che sia.

18:31 Tayuya:
 È così che stanno le cose… lui ha tutti gli elementi lasciati a spizzichi e bocconi affinchè possa collegare le varie cose. Lei è lì, è forte, ha la forza di un Chuunin ma non le interessa il grado in sé, la fascia, il riconoscimento, no… a lei interessa essere forte e potente. Per questo non si preoccupa di essere una pessima kunoichi, di essere una pessima abitante di Konoha, se mai lo è stata, per questo non si preoccupa del resto. Non è ancora abbastanza lucido lui per comprendere che lei c’era quella notte, in quell’attacco, ma di certo non potrebbe mai capire, non avendo gli elementi, che sia stata proprio lei ad aprire le porte al padre. Al massimo potrebbe semplicemente comprendere che lei c’era e non ha fatto nulla per fermarlo, del resto niente fa pensare che lei sapesse cosa voleva quel Demone quella notte… o forse, forse quel legame stretto col padre potrebbe fargli capire che lei sapeva. Non importa ora, lui è troppo sofferente per collegare i pezzi e lei di certo non farà il puzzle per lui. Osserva il braccio che lentamente si alza e la mano, troppo grande, che si avvicina al suo volto… non lo teme, per questo non si sposta o lo ferma, lo lascia fare perché tanto sa che non può farle nulla. La presa sul suo volto è comunque forte e salda, nonostante tutto… le preme gli zigomi e l’attira leggermente a lui. Lo lascia fare, glie lo permette e non distoglie lo sguardo da quello del fratello. Lascia che il sangue la macchi, lascia che il loro sangue si unisca. È davvero grande la mano di lui… sembra quella del padre. Lei invece è piccola, completamente diversa da loro. Che sofferenza. Non ci sono parole per rispondergli… solo lo ascolta e lo lascia parlare, lei in silenzio attende solo il momento in cui lui molla la presa e il suo braccio finisce per schiantarsi al pavimento. <Andargli contro.> mormora sommessamente come se stesse su un altro pianeta in questo momento. <Hai la fortuna di essere guardato… e vuoi andargli contro.> non può concepire una cosa simile, non può. Forse è qualcosa di normale per chi ha sempre e comunque qualcuno accanto che gli voglia bene, invece lei deve elemosinare le briciole da qualcuno che preferisce dedicare il suo tempo a una persona che non ne vuole sapere di lui. Certo è uno strano legame che li accomuna, qualcosa di simile che entrambi provano… un desiderio devastato in due da diversi sentimenti. <Devi essere proprio stupido, o forse no… tu ti puoi permettere di infischiartene delle sue attenzioni, avendone già da altri.> ha avuto una madre, un maestro, ha amici che lo sostengono. <Lasciamelo.> lo chiede a lui come se lui potesse farci qualcosa, ma no non dipende dal fratello… non può lasciarle il padre. E quello della ragazzina è un ordine tanto quanto una supplica. <Perché… perché ha scelto te?> lo domanda direttamente a lui, sorvolando la prima parte di quella duplice scelta non volendo ancora mettersi in discussione con il padre, non accettando di privarsi dell’unico legame che ha… per quanto malato sia. Lo guarda… lo osserva. Non si rende conto di quello che lei stessa sta facendo, ovvero ricercare un legame anche con il fratello per il semplice fatto che è lì, presente, e non chissà dove da un anno a questa parte. Il ragazzo è lì, lo può toccare, vedere, le ricorda il padre tanto stimato, ed è dura mettere d’accordo i sentimenti contrastanti. Dodici anni, annuisce guardandolo negli occhi. <E’ l’unico legame che ho.> è una semplice e lapidaria risposta al quella domanda non posta. Se le manca. Alla furiosa ricerca di attenzioni, è così assetata da accettarne di qualsiasi tipo se mai dovessero arrivare. Gli occhi azzurri si sgranano non appena ascolta quella promessa e il volto sorpreso si punta ben dritto su quello del ragazzo… uno scontro mortale? <Ma… così…> sta cercando di riflettere e lo fa ad alta voce. <Se vuole uno scontro mortale significa che non ti vuole al suo fianco, come prescelto… vuole ucciderti.> così facendo lei riavrebbe suo padre e la sua vita, si certo… sempre che lui poi non uccida anche lei o semplicemente l’abbandoni, ma nell’altro epilogo? <Ma se tu vincessi…> lei perderebbe ogni cosa. Cosa le rimarrebbe se non la rabbia e la vendetta? O… una rinascita. No, non riesce nemmeno a pensarci ora. Il braccio destro si muoverebbe veloce, troppo veloce, e la mano andrebbe ad afferrare in una morsa il collo del fratello. Stringerebbe appena sentendo quel fascio di muscoli… non le serve avvolgere tutto il collo nella sua minuta manina, no, le basterebbe premere sulle carotidi. Sono enormi, sente il sangue scorrere e pulsare sotto le sue dita e lei premerebbe iniziando a portare tutto il suo peso sulla mano contro quel collo, così inizierebbe anche a schiacciare e occludere la trachea sotto il suo palmo. Sarebbe un movimento istintivo, senza pensarci… lo sguardo fisso, occhi rabbiosi ma velati, come se non fosse presente. Il cuore batte all’impazzata e lei inizia ad ansimare senza premere ulteriormente se fosse riuscita nel suo intento di mettergli la mano al collo. Snuda i canini rabbiosa e sconvolta allo stesso tempo. <Tu non…> non dovrebbe vivere ulteriormente, ora lo avverte come una minaccia concreta. Ferma il tuo pensiero, ferma le tue emozioni… cosa stai facendo? Di colpo mollerebbe la presa come se il collo del ragazzo si fosse fatto bollente e lei indietreggerebbe ora strisciando col sedere e facendo leva con le gambe per andare ad appiattire la propria schiena contro il muro della stanza dietro di lei. Il piccolo petto si alza e si abbassa forsennatamente e le ginocchia vengono abbracciate al petto mentre continua a fissarlo. Non vuole vedere la realtà delle cose, vorrebbe dire aver subito violenze per anni per niente, vorrebbe dire divenire consapevole di essere niente per il padre, vorrebbe dire sentirsi ancora più sola di quanto in realtà già sia. O che la sua rabbia sia rivolta verso la persona sbagliata. <Tu non puoi farlo.> cosa? Non si sa, semplicemente afferma tali parole con rabbia e dolore, poi tace.

18:56 Yosai:
 Inizi a cogliere solo parole lontane con una voce confusa. I tuoi sensi vanno e vengono ma ti sforzi di rimanere sveglio, per lo stesso motivo per cui lei si sforza di rimanere li seduti. Qualcosa vi unisce. Qualcosa di tanto sotterraneo da essere ripudiato da entrambi. La lasci parlare, sbattendo le palpebre con una lentezza tale che sembra tu stia svenendo ogni volta, eppure ogni volta riapre. E lei parla, e tu ascolti, non rispondi. Non ne hai le forze? Forse, forse semplicemente lei sta riflettendo ad alta voce, c’è poco da rispondere. Il labbro a un fremito a quel “lasciamelo” anche in quello stato cerchi di sorridere, ma non ci riesci. Non esce fuori nulla di assimilabile a un sorriso. Se non un sussulto del petto, un breve sospiro, quasi delicato. A quella domanda riapri gli occhi, guardandola dal basso <De…devi scoprirlo da sola> mormori in un soffio, la frase successiva invece richiede uno sforzo sovrumano, vuoi regalargliela almeno l’ombra di un sorriso <Non è più vero.> non è più l’unico legame. Forse perché lo senti anche tu quel vincolo. Malato, contorto, violento quanto volete. Qualcosa vi lega. Anche solo la condivisione della verità. Osservi quella confusione, sorridi ancora, soffrendo, ormai non riesci a tenere gli occhi aperti <è sempre stato tuo, Tay…uya> questo è. Questo è sempre stato. Non hai niente da lasciarle, lei ha già tutto. Il Demone Rosso sta crescendo nel sangue un nemico abbastanza grande da potergli regalare la morte che cerca. Ma le attenzioni, per quanto malate e distorte, sono per lei. Di colpo, di nuovo la rabbia. Una rabbia alla quale non puoi più opporti. Istintivamente irrigidisci un minimo il grosso collo taurino, rovente e bagnato di sudore, ma ben presto devi rilasciare anche quell’energia. A lei la consapevolezza di quanto resistenti siano diventati quei muscoli anche in quello stato <do…vrai a…ammazzarmi per impe…dirmelo> il sussurro diventa sempre più leggero ma rimane strafottente mentre, in un ultimo impeto di violenza allunghi la mano tentando di alzarla, rovente e sudata a stringersi intorno ai vestiti davanti al petto. Una stretta senza forza <non…siamo solo noi due… ce n’è… un altr…> non fai in tempo a finire la frase, la mancanza d’ossigeno ti dà il colpo di grazia e il cervello si chiude al dolore. Cadi di nuovo in un sonno senza sogni, pieno di rabbia e di scatti irosi, quasi epilettici. Di sudore e di sangue. Non sarai più in grado di rispondere, indipendentemente dalla violenza che ti verrà portata. Ben lontana è la tua guarigione fisica. Inverso è il tuo percorso mentale. [END]

19:13 Tayuya:
 Non vuole più rimanere in quella stanza, non vuole più rimanere accanto a quel corpo. Nutre verso di lui un legame contorto, qualcosa che li unisce certo, ma che allo stesso tempo le fa provare ribrezzo. Era entrata in quella stanza con ben altre intenzioni e invece lui è riuscito a rovinare tutto, come sempre ancora una volta. Ora non sa cosa pensare, non sa che direzione far prendere ai suoi dilemmi… chi credere, chi volere, cosa fare. Ma ormai è troppo tardi per tirarsi indietro, e ben presto lo comprenderà anche lui non appena unirà i tasselli di quel puzzle. Snuda i denti in una smorfia di rabbia, animalesca, appena sente quelle prime parole, disprezzando la sua decisione di non darle una risposta. <Non fare il filosofico con me, non voglio scoprilo da me, voglio saperlo subito!> non ha pazienza, è impulsiva, ma non può nemmeno pretendere ora quella risposta da lui perché lo vede come si contorce nel sudore e nel sangue. Ha la febbre, scotta, ma non le importa non chiama ancora nessuno che possa visitarlo… tutto quello che fa è guardarlo e ascoltarlo. Assottiglia lo sguardo mentre lo osserva… cosa non sarebbe vero? Il legame, che è l’unico che ha? Si rifiuta di vedere il fratello per quello che è, di vedere quello che li unisce, perché ancora accecata dai sentimenti che prova. <No.> ringhia sommessamente a quelle parole stringendo i pugni contro le proprie gambe. <Non è mai stato mio.> o forse è sempre stata solo lei a rinchiudersi dietro l’ombra di quel fratello? Che abbia un altro significato inconscio… forse ai tempi, quando era più piccola, quell’ombra che le stava davanti era una sorta di protezione. Ma ora non vede altro. Molla la presa sul collo, spesso e forte, si rintana contro il muro e rimane ad osservarlo come se fosse la cosa più strana di questo mondo. Non dice più nulla lei, non apre bocca, nelle sue orecchie solo i rantoli del fratello e quello che va a dirle prima di svenire. Non comprende quello che voleva dirgli, non riesce a concepire altro che il suo dolore. <Lo so.> dice solamente, ma lui ormai non può sentirla. Sa che non sono solo loro due, ma non ha mai preso in considerazione la terza persona in questo triangolo di legami. Lo sa perché semplicemente sono state con lo stesso genitore, lo sa perché non sono sconosciute l’una all’altra. Lentamente si alza e senza degnarlo più di uno sguardo cammina verso la porta pulendosi le guance con il dorso della mano destra. Apre la porta ed esce. <Ha bisogno di cure.> solo questo direbbe ai due shinobi posti al di fuori della porta, affermando l’ovvio ma senza dare spiegazioni, dunque se ne andrebbe dall’ospedale. [END]

Yosai e Tayuya parlano nuovamente e questa volta viene detta la verità. Tra morsi e pugni ne escono entrambi provati anche se in maniera diversa.
Un grazie enorme a Yosai, non mi sono nemmeno resa conto del tempo passato!