Rebirth

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15:44 Tenshi:
 Vuoto. Nebbia. Grigio. Poi buio. E' tutto ciò che ha dentro. Si è lasciata andare. Si è completamente abbandonata alla propria tristezza. Ne è schiava. Non riesce a venirne fuori. La notte non riesce più a dormire. Se chiude gli occhi, anche solo per un attimo, rivede due lance. Due lance di legno, lunghe un metro ciascuno, che perforano il basso ventre di Onosuke. E se prova a tendere l'orecchio, sente riecheggiare le parole di Sakir: 'Norita e Chiha sono scomparsi'. E' come se il mondo, in pochi giorni, le fosse caduto addosso. E la stesse schiacciando, sempre di più, giorno dopo giorno. E la sua testa continua a ripeterle che è colpa sua. E' colpa sua se l'Aburame, adesso, ha due cicatrici sull'addome. Due cicatrici simili a due occhi che, ogni volta che egli toglie la maglietta davanti a lei, sembrano fissarla. Sembrano scavarle dentro. Sembrano divorarle le viscere. A morsi. Strappandole. E' colpa sua se Norita è sparito. Non sa più nulla di lui da settimane. Sa bene che lui scompare e ritorna quando vuole. Ma stavolta... stavolta è diverso. Sono in guerra. E, se Sakir non avesse intuito che gli possa essere successo qualcosa, non avrebbe mai detto alla rosata che lo Hyuga e la sua fidanzata sono scomparsi nel nulla. Se magari la Senjuu fosse stata più attenta, non sarebbe mai successo. Perché lei è così, vorrebbe proteggere tutti, ma poi non ce la fa. E' colpa sua. E non basta che Onosuke continui a ripeterle che va tutto bene, che non deve incolparsi di nulla. Perché lei sa cosa vedono i suoi occhi quando vengono chiusi. Lei sa cosa sentono le sue orecchie quando vengono tese. Nessun altro può saperlo, tranne che lei. Ed in questo mondo, circondata da persone che la amano, si sente estremamente sola. Perché gli altri non vedono e non sentono ciò che lei invece percepisce chiaramente. E vorrebbe trattenerli quei pensieri, afferrarli con le mani, per poi distruggerli. E' ciò che sta cercando di fare in quel momento. Su una radice, persa nella Foresta di Mangrovie, c'è lei. Indossa soltanto una felpa nera, larga, che le arriva a metà coscia. Probabilmente, non è neanche sua, come infatti suggerirebbe quel simbolo verde sulla schiena, appartenente al clan Aburame. Per il resto, ha solo l'intimo nero, coperto dalla felpa. Le gambe sono completamente scoperte. I piedi scalzi. E' piena di fango e ricoperta di fogliame. Rannicchiata sul fianco destro, in mezzo al nulla. Le gambe piegate, strette al petto, in posizione fetale. Le mani che poggiate sulle orecchie, che stringono con forza il capo, come a volerlo distruggere. Gli occhi grigi, persi nel vuoto più profondo. Forse, è proprio in quel momento che sta toccando il fondo della sua vita. [Chakra off]

15:55 Yosai:
 Le leve inferiori, possenti e scolpite, sono coperte dall’ampio, nero pantalone d’un chimono, con la stoffa infilata nelle fasciature da combattimento color cremisi che ti avvolgono la caviglia da sotto il polpaccio squadrato fino ad infilarsi nelle calzature ninja. Il torso, simile al tronco d’un albero, è coperto dalla casacca del chimono, tenuta chiusa dalla cintura costituita dal coprifronte cucito su un’elegante frappo rosso a cingere la vita sottile rispetto alle larghe spalle. Le braccia definite sono lasciate ad oscillare solide ai lati del busto, ben separate dal corpo dalla larghezza dei dorsali. La larga manica del chimono arriva fin sotto al gomito, lasciando presto spazio alle medesime fasciature che ti cingono le caviglie, lunghe dalle falangi delle dita fin sotto le maniche. Il collo taurino che emerge dal profondo spacco sul chimono sostiene il volto affilato, dai lineamenti definiti, adornato con e due cicatrici che porti con fierezza. I tuoi occhi d’un blu profondo e vivo si spostano sul luogo, i capelli, lunghi fino alle spalle stondate, son raccolti in una coda alta, per evitare che infastidiscano. Sembri la più prodigiosa delle creature che quella nebbia possa plasmare. Compari piano, alla vista di Tenshi. Prima tonfi graffiati a far vibrare la radice, poi la nebbia che si scurisce e che si addensa, fino a plasmare la tua figura, come a farti largo, restituendoti il colore e la nitidezza di una figura viva. Gonfi l’ampio torace, emanando un lungo sospiro dalle narici, come un toro, che spinge via i vapori della nebbia <Diavolo se sei difficile da trovare quando ti ci metti> La tua voce è quella d’una musica profonda. Sul viso ti si disegna un sorriso addolcito dall’affetto che provi per quella creatura. Lo sguardo blu profondo la inchioda ai suoi dettagli te li prendi, ma non diminuisce quel sorriso, <mmmh> mormori mentre fermi i tuoi passi a meno di mezzo metro da lei e lentamente pieghi le leve all’altezza del ginocchio fino a toccarti i glutei con i talloni. La mancina, grossa e solida, si apre e s’appoggia in mezzo alle gambe. Così ti pieghi al suo livello, li accovacciato come una bestia feroce. Ma non c’è ferocità stavolta. Cerchi di intercettare il suo sguardo. Null’altro, per ora.

16:15 Tenshi:
 Lei non vede nulla. Non sente nulla. Solo il vuoto della sua anima le fa da compagno in quella giornata grigia. Non sa esattamente da quanto tempo si trovi lì. Non sa nemmeno come ci sia arrivata. Forse, erano state le ore di sonno mancanti a tenderle quel brutto scherzo. Probabilmente aveva sentito il richiamo degli alberi, dolci culle in cui poter rifugiarsi. Eppure quel rifugio non l'aveva trovato. Continua a sentire la voce del ragazzino dai capelli rossi. E continua a vedere quelle lance che passano il ventre di Onosuke da una parte all'altra. 'Non volevo', continua a ripetersi. Glielo aveva detto lei all'Aburame che non voleva. E lui le aveva risposto che sì, lo sapeva già. Eppure questo non le era bastato. Quella colpa, quel masso che le comprime il petto, è troppo grande. E stringe ancora le gambe, molto più vicine al petto adesso. E non si accorge che Yosai è lì, davanti ai suoi occhi grigi. Occhi che non vedono nulla. Occhi che vorrebbe chiudere, perché la sonnolenza le sta consumando la mente. E non ci riesce. Perché se li chiude, quella scena è ancora più viva. E si rannicchia, ancor di più, quasi a voler scomparire dal resto del mondo. Il volto viene nascosto dalle ginocchia. Le mani comprimono ancora di più il capo, cercando di scacciare via i suoi pensieri. E' caduta. Giù. Sempre più giù. E non riesce a risalire. Ed il viso non è rigato da nessuna lacrima, perché ormai ha versato tutte quelle che aveva in corpo. I capelli rosa ricadono su quella radice e poi sul suolo paludoso, mischiandosi al fango. 'E' colpa tua', continua a ripetersi. Perché quei pensieri non vanno via? Perché non si rende conto che accanto a lei c'è una delle persone più importanti della sua vita? E' tutto così difficile. La vita è difficile. Il mondo è difficile. Eppure, aveva imparato ad apprezzarla, quella vita. Aveva imparato ad apprezzare anche quel mondo. Perché si era circondata di persone che le vogliono bene. Ma lei sembra non sentirli più, quei sentimenti che la legano a loro. Il suo cuore si è svuotato e riempito solamente da sensi di colpa. Il respiro è affannoso. E' in iperventilazione da quando Sakir le ha dato quella notizia. Da quando la paura di perdere qualcuno si è impossessata di lei.

16:36 Yosai:
 Tenshi non è certo una da abbandonare il suo posto in ospedale, è lì che ti è venuto qualche dubbio, vero? Quando hai scoperto che non era al suo posto. È lì che hai iniziato a cercarla. Hai rassicurato il suo superiore. Hai detto che la rosata sta bene, ha solo avuto un’urgenza. Ed ora sei li di fronte a lei. La guardi negli occhi. Intercetti il suo sguardo, ti sembra, eppure non sembra essere così. E lei si nasconde. Ancor di più. La conosci quella situazioni. Non eri forse tu nascosto dietro la tua corazza di inespressività cadaverica neanche due settimane fa? Si, lo eri. E chi l’ha frantumata quell’armatura? La rosata che hai di fronte. Ora sta a te essere all’altezza. E cosa fai? Inizi a prendere a mazzate il masso che la opprime. Come fai sempre d’altronde. E come lo fai? Semplice, constatato che lei non ti risponde, semplicemente torni a far leva sulle gambe, stendendole e alzandoti di nuovo, compi qualche passo sull’ampia radice, ancora verso di lei, la superi alla sua destra, come per andartene. E invece no, attendi di essere alle sue spalle, ti pieghi di nuovo, questa volta fino a sederti. Hai le gambe larghe che passano ai fianchi di lei. Appoggi il tuo grosso... torace con l’addome sulla sua schiena e la avvolgi con le braccia scolpite. Un abbraccio che non è morbido, a causa della consistenza lignea dei muscoli, ma che la avvolge completamente, poggi il volto alla sinistra di quello di lei, immergendo il volto nei capelli, le mani vanno a cingere le ginocchia, sopra quelle di lei. Solo ora ti rendi conto di quanto è più piccola di te. Eppure quanto più forte. Non è morbido l’abbraccio, è vero, ma è caldo e avvolgente. È chiaramente percepibile che scotti non perché stai male, quello mai. Ma la tua temperatura è più alta del solito. Questa forse è una delle poche situazioni in cui può aiutare una particolarità del genere. <che ti è capitato?> non è niente di più di un sussurro, che spingi nel suo orecchio. Hai le labbra che se non fosse per i capelli toccherebbero proprio la pelle del padiglione auricolare di lei. Quella domanda in nessun caso ti concede di stringerla di meno. Te la tieni stretta a te. Vuoi farle capire che, come è stato per te, quel masso non è da sola a portarlo.

17:00 Tenshi:
 La pressa che ha sul petto sembra non volerla abbandonare. Le parole taglienti entrano nuovamente, attimo dopo attimo, nelle sue orecchie, facendosi strada nella sua mente. Lame che perforano e tagliano tutto ciò che incontrano. Doveva capirlo, anni fa, che avrebbe dovuto affilare le unghie. Glielo aveva detto Kouki. E poi Hitomu-sama le aveva anche detto di pensare prima a se stessa che agli altri. E lei aveva risposto a quei discorsi in modo positivo, dicendo che si sarebbe migliorata. Dicendo che avrebbe pensato più a se stessa, che si sarebbe concentrata, per evitare di finire di nuovo in mezzo alla tempesta. Ma così non era stato. E solo adesso si rende conto del buio del suo cuore. Del vuoto della sua anima. Solo adesso si rende conto di quanto può essere profondo quell'abisso chiamato vita. E vorrebbe avere delle ali e volare via. Lontano. Magari per tornare all'isola di Chumoku, dove la sua vita era quasi perfetta. Dove niente poteva scalfirla. Dove niente poteva distruggerla. In quel piccolo appartamento che lei ed Onosuke chiamavano casa. Ma adesso tutto questo non c'è più. Tutto questo è scomparso nel momento in cui è arrivato quell'essere. Le ha rovinato la vita. Forse, ha rovinato la vita di tutti. Perché in una guerra, si sa, non c'è spazio per i sentimenti. Non c'è spazio per le emozioni. Perché se qualcuno scompare, non si ha nemmeno il tempo di piangere. E' questo ciò che è successo a lei. Onosuke stava per morirle tra le braccia. Tutto perché insieme avrebbero voluto diventare più forti, scontrandosi. E lei non aveva avuto neanche il tempo di rendersi conto di ciò che aveva fatto. Non aveva ancora metabolizzato che in uno scontro può accadere di tutto. Aveva solo potuto curarlo con le sue stesse mani. Quelle stesse mani che stavano per ucciderlo. E Norita... Norita è scomparso e lei non ha nemmeno avuto il tempo di chiedere aiuto. Di piangere per lui. O di andare a cercarlo. Perché la Senjuu è un ninja medico. Ed in quanto tale ha delle responsabilità. Certamente, non può abbandonare tutto per andare alla ricerca di una sola persona. Sono troppe le persone che, all'ospedale, hanno bisogno di lei. Eppure, adesso, è lì, su quella radice, con la mente divorata dai suoi stessi pensieri. E solo adesso che Yosai la stringe, si rende conto di non essere sola. Si rende conto che qualcuno ha trovato il tempo per andarla a cercare, nonostante nemmeno lei sapesse dove si trovasse. Ed i polmoni, con quell'abbraccio, ricominciano a prendere fiato. E l'Akimichi potrà sentirlo quel lungo respiro, quel battito agitato e quel petto che si alza, per riempirsi di aria nuova. Nuove parole, stavolta percepite, le arrivano all'orecchio sinistro. Non quelle di Sakir che sente da giorni. Ma quelle del gigante alle sue spalle, che le chiede cosa le sia capitato. E nemmeno lei lo sa. E, forse, nemmeno riesce a parlare. In gola ha come un groppo, che le impedisce di tirar fuori la sua voce acuta. Ma ci prova, lei, a lottare. A dire qualcosa. < Yo...sai > è tutto ciò che riesce a dire, in un sussurro spezzato.

17:30 Yosai:
 Le gambe sono piegate. Sulle ginocchia poggi le braccia che ti permettono di cingere l’intera figura della rosata, tentando quasi di darle il tuo calore. Quel sorriso spezzato ti arriva come un cazzotto allo stomaco, spezzandoti il fiato. Non puoi accusare il colpo davanti a lei, così dissimuli. Ormai sei diventato bravo. D’altronde che non fosse successo qualcosa di grave l’hai intuito dopo la prima metà della giornata che hai passato a cercare di capire dov’era. Non poteva essere diversamente. Adesso che ne hai la conferma devi starle vicino. Non conta altro. Non adesso. La stringi un po' di più, immergendoti in quel mare rosa. Ci siete solo voi due per chilometri, ma nessuno dei due è solo. <sono qui> mormori, ma è un mormorio diverso da quello di lei, il tuo, è fermo, immutabile, ineluttabile. Nessuno potrà mai impedirti di esserci per lei. Ed è per questo che resti fermo, con la testa appoggiata nell’incavo tra il collo e la spalla di lei, immerso in quel mare di rosa che ti investe la faccia facendoti pizzicare il naso quando respiri. Ma te lo tieni, certo che te lo tieni. lasci passare lunghi momenti in quel silenzio. Perché si, contano le parole, ma contano di più i gesti, e lei deve sapere che tu ci sei davvero. Solo dopo lunghi minuti in cui la lasci libera dalla tua voce, di nuovo schiudi le labbra <Fammi entrare, Tenshi-chan> la chiami come una sorella, lasciando vibrare quella corta che vi unisce e che per quanto lontana e in profondità lei sia, potrà sempre trovare legata al suo cuore, proveniente direttamente dal tuo <Che cosa è successo?> non puoi aiutarla se lei non condivide il suo masso con te. Tendi quella corta, la riavvolgi verso di te. Inizi a tirarla su, per farla riemergere dall’abisso oceanico nel quale si trova.

18:08 Tenshi:
 Vorrebbe dirgli tutto, ma non ci riesce. Qualcosa, tra le corde vocali, le impedisce di parlare. E lui la stringe, come a far sentire la sua presenza. Le mani della rosata scivolano giù dal capo. Adesso, forse, ha qualcos'altro da ascoltare. La voce di lui, bassa e profonda, che per qualche momento le fa dimenticare quella di Sakir. E la mancina si avvicina al volto di lui, per toccarlo, per capire veramente che lui è lì. Un semplice tocco le basta, per lasciarsi andare al suo abbraccio. Per lasciarsi andare a quella tristezza che le inonda il corpo. Per afferrare quella corda che lui le tende. Il respiro si calma, diventa cadenzato. Gli occhi che focalizzano ciò che ha davanti: una palude, mangrovie e le sue gambe nude. Da quanto tempo è lì? Come ci è arrivata? < Yosai > sussurrerebbe di nuovo, abbassando la mano. Se la avvicina al petto, stringendo. Stringendo in quel punto dove sente così tanto male da poter esplodere: il cuore. E' pieno di ferite. Pieno di sbagli. Pieno di rimorsi. Pieno di colpe. Cerca di risalire quella corda, ma reggersi è difficile. Non riesce a sopportare il peso del proprio corpo, seppur fragile come una foglia. Non riesce a sopportare il peso delle proprie colpe. Pesanti, come massi. Fallo entrare. Fallo entrare nella tua testa. Fagli spazzare via quei pensieri che ti stanno uccidendo. E' questo ciò che pensa in questo momento. Ma pensieri contrari arrivano veloci, impugnando una spada. E' colpa tua. Non puoi tornare indietro. In guerra, non c'è spazio per i sentimenti. Sente che la sua testa potrebbe esplodere da un momento all'altro. Sente che non può reggere quella situazione. Sente di non poter riuscire ad andare avanti. Non da sola. Perché finisce sempre con il poggiarsi sugli altri? Perché non riesce a risolvere da sola i suoi problemi? Perché è così debole? E stringe la mancina in un pugno, contro il petto. Mentre nuove lacrime cominciano a rigarle il volto. < Onosuke > un singhiozzo, un'altra lacrima < io... stavo per ucciderlo >. La prima verità è venuta fuori dalle sue labbra, seppur in un sussurro. Ha lottato per far sì che quelle parole venissero fuori. Perché non può contare sempre sugli altri. Perché potrebbe perdere tutti, da un momento all'altro, senza accorgersene. Come ha perso Norita.

18:31 Yosai:
 La osservi aprire gli occhi, sollevarsi. Non riemerge ancora. Vorresti che fossi tu la prima cosa ad essere vista. Ma no. Perché tu sai quanto possa essere faticoso da sopportare lo sguardo di un’altra persona quando l’unica cosa che vorresti è sparire. Anche lei ti ha nascosto il suo nel chimono quando ti ha abbracciato. Perché certe cose non si dicono con gli occhi, con gli sguardi, ne con le parole, ma con i gesti. E così sei lì, presente ma non visibile a lei, lasci che si renda conto della situazione. Non parli, non le racconti le ore passata a cercarla, non le dici niente. Adesso devi tacere per lei. Ti lasci toccare la mano, te la lasci prendere, quel movimento ti piega il bicipite precedentemente disteso, che si gonfia sotto la manica fino a riempirla, tendendo il tessuto, non ti importa, appoggi il palmo sul cuore di lei, con le dita che superano le clavicole <Sono qui, Tenshi-chan> rispondi di rimando. Ogni volta che ti chiamerà, tu le risponderai. Tiri ancora un poco quella corda che ti unisce a tua sorella. Contrai la mascella stringendo i denti fino a farli scricchiolare, ti fa male vederla così, ma non un’increspatura incrinerà la voce con la quale le parli, perché è l’unico appiglio che hai, per aiutarla. Senti quel cuoricino battere a mille sotto il costato <shhhhhhhhhhhhh> un mormorio lungo, interminabile, accompagnato dalla mano che è rimasta sul ginocchio di lei, che inizia lentamente a scorrere sue giù lungo la parte inferiore della gamba, dal ginocchio alla caviglia, e poi di nuovo verso il ginocchio. La puoi avvolgere con le dita quella piccola gamba, la accarezzi, con un gesto costante, ripetitivo, che dia calore e sicurezza <calmati> le mormori ancora mentre continui ad accarezzarle la gamba e a stringerle il petto contro, tenendola in un guscio protettivo formato dalle tue braccia e dalla tua cassa toracica, che ricambia il battito della rosata con il tuo, profondo e calmo. La brachicardia che ti affligge da sempre rallenta quel martellare, placido come il mare. <non è successo> non aggiungi il “niente” perché qualcosa è successo. Ma non è successo che l’ha ucciso <che cosa è successo…?> chiedi una terza volta mentre continui ad accarezzarle la gamba e a stringerla a te. Ripetitivo e rassicurante. Il tocco, come ogni cosa che ti riguarda è insolitamente caldo, soprattutto sulle gambe nude di lei, la mano non è soffice, forse non il massimo della piacevolezza al tocco, ma è solida. Indistruttibile. Sicura. Hai bisogno di capire il contesto <vi stavate allenando?> è un’opzione. <o stavate litigando?> sarebbe ben peggiore come cosa. Parli con un tono di voce mormorato e profondo, sempre uguale sperando che quell’insieme di gesti continuati e rassicuranti possano costituire per lei la bolla nella quale prendere ossigeno, la corda da tirare per riemergere.

15:50 Tenshi:
 Lo sente. Lo sente quel calore umano di cui adesso ha bisogno. Ne ha bisogno come se fosse aria. E lei respira a fondo, cercando di calmare i propri pensieri. Cercando di allontanare dalla sua testa quei fantasmi che la assillano costantemente. Stringendo quella mano possente contro il suo petto. Contro il suo cuore che martella, incessante. Gli occhi vuoti, fissi sulla palude, contornati dalle occhiaie scure. Non ha nemmeno lacrime da versare, ormai. Forse, vorrebbe solo sparire. Nascondersi. Allontanarsi da quel mondo che, forse, le vuole male. E l'unica cosa che la tiene ancora in vita sono i legami. Quella roccia di Onosuke su cui sempre s'appiglia e quella corda di Yosai che sempre si tende verso di lei. Lei è sempre lì, a contare sugli altri. Ma non fa mai nulla per loro. E' questo ciò che crede. Si sente inutile. Perché non ha potuto evitare che quelle lance trafiggessero il ventre dell'Aburame. Non ha potuto evitare che Norita sparisse nel nulla. < Sei qui, Yosai > ripeterebbe le parole di lui, quasi come un'automa senza volontà. E stringe ancora quella mano, tornando a nascondere il volto tra le proprie ginocchia. Intanto, l'altra mano dell'Akimichi le carezza la pelle nuda. Con ritmo cadenzato, caldo. Le sue braccia sono come una culla. I loro cuori sono la melodia che guida l'abbraccio. L'uno martellante, come se volesse venir fuori dal petto. L'altro lento e quieto, come se volesse compensare il ritmo del primo. < Mmm > mormora, in cenno d'assenso alle sue parole. Non è facile calmarsi. Non da sola. Ma il cuore di lui, che batte contro la schiena di lei, può sentirlo. Lui è lì. Non è sola. Può riuscirci. Può riuscire a venir fuori dall'oblio in cui è caduta. < L-lui è... crollato fra le mie braccia > parole confuse, che non rispondono appieno alle domande del genin. Perché lei continua a rivedere quella scena. E' come se l'avesse davanti. Come se non riuscisse a farla andare via dalla propria mente. Via dai propri occhi. < Noi stavamo... > cosa stavano facendo? Si allenavano, sì, ma era la prima volta che facevano sul serio. E, forse, non avrebbero dovuto. Non c'era bisogno di fare sul serio. Non c'era bisogno di fare a gara su chi fosse migliorato di più. Perché entrambi lo sono, lei lo sa bene. Non avrebbe dovuto usare quella tecnica. Se non l'avesse usata, sarebbe andato tutto bene. < Ci stavamo allenando... ma poi io ho usato quella tecnica >. Il cuore perde un colpo, mentre la scena ritorna in modo violento tra i suoi pensieri. E si nasconde ancora, affondando quel viso tra le proprie ginocchia. < Non volevo > mormorerebbe, con voce tremante. Non voleva. E se non fosse stata un ninja medico, non sa cosa sarebbe potuto succedere.

15:54 Yosai:
 Continui ad accarezzarla, stringendo il suo piccolo cuore nel tuo palmo rovente e cullandolo con il tuo, basso, grave, profondo. Mentre con l’altra mano non smetti di accarezzarle le gambe fredde, sporche, lisce. Annuisci stendendo le labbra in un sorriso invisibile. Quella piccola reazione ti testimonia che lei sta uscendo dal suo baratro, anche solo con i sensi, rimanendone all’interno ma protesa all’esterno, e tu continui a tirarla a te. Perché questo fanno i fratelli con le sorelle. La ascolti lentamente aprirsi e coinvolgerti in quell’episodio, la ascolti descriverti la scena. Non puoi sapere quale tecnica, ma sai che l’ha ferito gravemente. Tanto gravemente da spaventarla. Il sorriso piano piano muore. La lasci finire ovviamente, compi respiri lenti ma profondi, pacati come la tua essenza è in questo momento. Un mare accogliente per lei, nel quale annegare i suoi dolori. Non avrebbe senso farle notare che alla fine l’ha salvato, che molto probabilmente adesso lui sta bene, anche meglio di lei. c’è qualcosa che non si può combattere con la logica, qualcosa che riguarda l’irrazionale. Per lei averlo ferito è stato un trauma, questo lo vedi. Ma lei? lei cosa vede? <Che cosa è successo quando l’hai ferito, Tenshi-Chan?> chiedi mormorando nel suo orecchio <cos’hai provato quando hai visto le ferite che gli hai provocato?> una domanda che può sembrare infida, forse. Dolorosa sicuramente, ma che ti serve per capire davvero su quale fondo del burrone lei sia adagiata. Quell’atto ha avuto un significato, quelle ferite hanno destato un’immagine e non può aiutarla a cambiare quell’immagine se non può vederla anche lei. Senza di ciò dirle che non è stata colpa sua non ha senso, ci avrà già pensato lo stesso Onosuke o chiunque altro a questo. A te spetta il lavoro sporco, o non saresti un buon fratello. Eccolo il perché di quelle domande che iniziano a far male anche a te. Quel mare s’increspa. Il cuore per un battito accelera, quella è una crepa. Una crepa nel vederla così sofferente e nel rivivere con lei quell’esperienze. Stai empatizzando, e lei potrà capirlo, anche solo perché ha provato la stessa cosa per te, a situazioni inverse. La sensazione di condividere il dolore di qualcuno senza averne condiviso l’esperienza che l’ha generato è qualcosa di profondo. La testimonianza d’un legame intimo e forte. Per questo soffri con lei. Perché soffri per lei. Perché se lo merita

16:18 Tenshi:
 Rivive la scena, a rallentatore, come se potesse bloccarne i fotogrammi. Mani che si uniscono a formare il sigillo del serpente, chakra che si concentra nel ventre e che viene fuori sotto forma di due grandi spuntoni, puntati contro il ventre di Onosuke. Lui che non riesce a schivarli. Lo trafiggono, da parte a parte. E cade su di lei, perdendo i sensi. E lei si ritrova sola, tra le lacrime e senza un briciolo di lucidità. Qualcosa l'ha spinta a curarlo, nonostante in quegli istanti non fosse davvero in sé. La fortuna ha voluto che lei ci riuscisse. Ha voluto che Onosuke si salvasse. Ma quella stessa fortuna si è presa gioco di lei. Perché, su quel corpo perfetto, sono rimaste due cicatrici. Due cicatrici che le ricordano che non avrebbe dovuto usare quella tecnica. Non su di lui. Le dita si intrecciano con quelle della mano di Yosai, che tiene stretta al petto. Non è una stretta maliziosa, no. Tutt'altro. E' una stretta che trasmette tutto il bene che lei prova per lui. E' una stretta che le fa sentire accanto quel fratello che non ha mai avuto. Gli occhi si sgranano, impauriti da quelle domande. Perché la scena è troppo forte. Perché quel sangue lo sente ancora addosso. Non risponde subito. Qualche secondo, prima di fare un respiro. Prima di cercare di capire i propri sentimenti. < Io... > come si è sentita? Lei lo sa bene come si è sentita. Sporca. Sporca del suo sangue. Il cuore macchiato di colpe. La purezza bianca che si macchia di rosso. Un rosso scarlatto. < ...mi sono sentita in colpa e... > e cos'altro? Sa bene cos'altro ha provato. Ma è difficile dire una cosa del genere. Perché potrebbe capitare. Perché loro sono in guerra. < Ho avuto paura > la voce tremante, viene spezzata da una pausa, poi un altro respiro. < Ho avuto paura di perderlo >. Perché sì. Perché lei non potrebbe vivere senza di lui. E avergli fatto del male, per lei è stato un trauma. Perché sono in guerra. E tutti potrebbero sparire da un momento all'altro. Ma non aveva mai pensato all'eventualità che lui potesse sparire per colpa di lei. Anzi, non aveva mai pensato che lui potesse sparire. E quelle ferite le hanno reso evidente la realtà. Tutti possono sparire per sempre in battaglia. La guerra non risparmia nessuno. Vige la regola del più forte. Che sia giusta o sbagliata, la realtà è quella. E non può essere cambiata.

16:58 Yosai:
 La senti quella stretta. Le senti quelle dita piccole, sottili, fredde, impaurite cercare d’insinuarti tra le tue, opposte. Glie lo consenti mentre la ascolti. Sorridi di nuovo, osservando la nuca dorata che lei non ha ancora la forza di alzare. Sorridi perché lei ha la forza di fare molto di più. Di fare quanto di più doloroso e necessario ci sia da fare. Analizzare le proprie emozioni. E lo fa. Tenendoti la mano lo fa, come lo facesti tu con lei tra le braccia. A questo servite. Per questo siete necessari l’uno all’altra. Te la immagini quella scena, per come lei te la descrive. Ti immagini quei sentimenti. Il sorriso lentamente muore, perché per quanto orgoglio tu possa provare per lei, le emozioni che lei ti racconta son tutt’altro che positive. Ti prendi quelle poche parole pesanti come macigni, e le condividi con lei <è dunque questo che provi…> non una domanda. Una sentenza <è questo che provi quando lo guardi…> completi, ma non ancora, è poco più che un caldo sussurro la tua voce. Il gigante e la bambina, soli nella foresta di mangrovie, non hanno bisogno d’altro. Se non dei sussurri <senso di colpa e terrore> quanto può essere spaventosa la paura di perdere qualcuno che ami? La conosci. La conosci bene. Tu hai provato quella persona mentre il demone rosso piantava i suoi colpi nella carne di tuo padre. E quella sensazione, quella paura, è diventata realtà. Per lei non è stato così, ora è tuo compito aiutarla <e sono cose che non potrai non provare quando lo guarderai.> un’amara consapevolezza <Purtroppo a fronteggiare queste emozioni dovrai pensarci tu. Io posso solo esserci quando esse saranno troppo pesanti> stringi un poco quelle piccole dita e quel cuore malconcio <ma ti chiedo, Tenshi, se non fosse tutto qui ciò che puoi provare da adesso in poi guardandolo?> le chiedi, parlando in maniera lenta e profonda, senza smettere di cullarla coi gesti e di tirare a te quella corda <Se quelle ferite rimarginate significassero non solo paura e senso di colpa ma anche responsbailità, consapevolezza, sicurezza, perfino?> devi spiegarle qualcosa, non è tutto così chiaro e lei ha ancora bisogno della tua voce <la responsabilità di essere più forte, di averlo dimostrato. Responsabilità nel continuare a dimostrarlo in ogni situazione… Consapevolezza di dover essere tu a proteggerlo ora, non più solo rifugiarti tra le sue braccia ma lasciare che possa essere lui a rifugiarsi tra le tue? Sicurezza di avere un compagno che ha accettato il dolore fisico delle ferite e quello morale della sconfitta perché è tanto innamorato di te da essere addirittura felice della donna e della Kunoichi che stai diventando? Tutto questo potrebbe aiutarti?> le chiedi piano. Non sei in grado di far svanire da quella sua testolina le emozioni negative. Ciò che puoi fare è fornirle il tuo punto di vista. La stringi un poco.

17:30 Tenshi:
 Afferra quella corda. La stringe tra le mani, spessa e ruvida. Tesa, verso di lei. E risale. Lentamente. Con tutte le proprie forze. Cerca di scappare da quel buio che la sta divorando. Cerca di trarsi in salvo, sperando che Yosai riesca a sorreggerla. Perché, in fondo, lei non è mai riuscita a venirne fuori da sola. Ha sempre avuto bisogno di qualcuno che la aiutasse. Eppure, lui le dice di essere forte. Le dice di essere abbastanza forte da proteggere Onosuke. Quelle cicatrici, non sono i segni del buio in cui è caduta. Piuttosto, sono segni che dimostrano quanto si sia impegnata in quegli anni. Quelle parole sono come una dolce poesia, che ha come sottofondo una melodia speciale, creata dai battiti dei loro cuori. Quanto ha sperato che qualcuno le dicesse che lei non è una debole. E, proprio quando lei ormai se n'era convinta, ecco l'Akimichi a ricordarle che non è così. A dirle che lei non è inutile. A sussurrarle che qualcuno, là fuori ha bisogno di lei. E lei si fa carico di quelle parole. Se ne prende la responsabilità. Perché ha lavorato tanto per essere ciò che è oggi. Si è allenata a fondo per diventare questo tipo di kunoichi. Un ninja medico, che ama aiutare il prossimo. Una genin che si impegna al massimo delle sue forze, senza rendersi conto che, da un momento all'altro, si potrebbe crollare. Ma ecco che qualcuno è sempre pronto a rialzarla. Qualcuno è sempre pronto a dividere il carico che si porta dietro. Il volto si rialza. Il mondo si colora. Solo adesso si rende conto di essere ricoperta di fango. Fango che andrà lavato via. Come le sue colpe in quel momento. Il discorso del genin è come una culla, sì. Ma anche come una doccia fredda, che la desta dal suo sonno. Che le propone un altro punto di vista. Che le mette davanti agli occhi la realtà dei fatti. E quella scena, quel momento in cui quelle lance trafiggono il ventre dell'Aburame, svanisce. Di colpo. Adesso c'è solo lei che con le sue mani lo cura. C'è solo lei che lo aiuta a rialzarsi. E quelle cicatrici rappresentano chi è diventata. Quanto sia cresciuta. Perché, prima, non sarebbe riuscita a guarire quelle ferite. E, lentamente, si volta. Sposta il proprio corpo sporco di fango e fogliame verso di lui. Gli occhi cerulei hanno ripreso colore. E, adesso, si perdono in quelli color oceano di lui. Regge quello sguardo. Non ha più niente da nascondere. Perché nel suo cuore sta nascendo un nuovo germoglio. Una nuova speranza. La mano di lui è ancora stretta al petto di lei. < Lo credi davvero? > un sussurro flebile, che si leva nell'aria. Quasi come se lei volesse un'ulteriore conferma di quelle parole. < Credi davvero che io possa essere abbastanza forte da proteggerlo? >. Di una cosa è certa: non vuole più perdere qualcuno. Perché la scomparsa di Norita le ha lasciato un vuoto incolmabile dentro. E perché non vuole cadere nuovamente in quel buio.

17:52 Yosai:
 Il bocciolo di rosa, che lentamente si schiude stendendo i petali accartocciati, come il fiore di una delle piante che lei tanto bene controlla, la osservi rinascere tra le tue mani, la osservi risollevarsi lentamente, alzare il capo rosato voltarlo verso di te che sei di lato a lei, da dietro, e guardarti con quegli occhi cangianti che hanno ripreso la luce. Smetti in quel momento di accarezzarle la fredda gamba, per andare, se lei te lo consentisse, a rimettere un po' di ordine tra quei capelli rosati, scompigliati dalla disperazione. Gesti che non potranno mai avere la delicatezza di un petalo di rosa, ma che sono portati nei suoi confronti con un affetto infinito , quasi carezze. Le doni un grande sorriso quando ti guarda, sporgendoti col busto per poterla guardare negli occhi. Annuisci un attimo <meglio> mormori. Per poi ascoltarla chiedere. Quelle due domande arrivano senza che tu risponda, non subito <Vedi, Tenshi. Non conta che io sia convinto che tu sia una donna con una forza incrollabile da quando mi hai riportato indietro da un baratro dal quale non sarei potuto risalire> e nel quale tra poco tornerai, ma non lo sai ancora. Mentre parli, lentamente allenti la presa su quelle dita fino ad interrompere il contatto con il petto di lei, il braccio lentamente tenterebbe di srotolarsi come il corpo di un boa <Non conta quello che pensa Onosuke dopo che hai dimostrato di saper stare al suo fianco in missione e di essere tanto forte da metterlo in quella difficoltà> e mentre parli ti distanzi dal corpo di lei per poi flettere le gambe ed issarti in piedi, sei grosso, ma anche agile come un felino <Non contano i medici che ti stanno cercando perché sanno che potenziale hai, ne i pazienti che hanno trovato in te un medico dolce e comprensivo, non conta la tua famiglia che ha in te un membro eccellente con un futuro fulgido> le giri intorno fino a finirle davanti, i piedi all’altezza dei piedi di lei, e di colpo fletti di nuovo le gambe <tranquilla, li ho coperti> la rassicuri con un sorriso mentre tenteresti, se lei te lo consentisse, di all’ungare piano il grosso indice per toccarle la punta del naso <conti tu, Tenshi. Pensi di essere in grado di fronteggiare queste situazioni e trasformare le aspettative altrui in nuova linfa per il tuo albero? In sprone a fare continuamente di meglio?> le chiedi, guardandola negli occhi e tenendo il dito a sfiorarle il naso <sarai in grado di guardare il tuo uomo, le ferite che gli hai inferto e fare in modo che esse diventino per voi il segno del momento in cui tu hai capito che puoi essere il suo sostegno? Sarai in grado di vederci il sigillo del vostro amore? O continuerai ad averne paura?> di nuovo, dolcemente sorridi, togliendo l’indice dalla mano per issarti e porgere a lei l’arto, stavolta con la mano aperta, pronto a tirarla. Per lunghi istanti taci e sorridi <sappiamo entrambi che sei abbastanza forte.> commenti e qualora lei decidesse di accettare quell’aiuto a issarti, la tireresti su con tanta violenza da tirarla a te in un irruento abbraccio. Tentando di stringere di nuovo, un’ultima volta, quella minuta figura rosata.

18:18 Tenshi:
 La mano di lui tenta di rimettere quei capelli scompigliati e sporchi in ordine. E lei glielo lascia fare, chiudendo gli occhi e lasciandosi cullare, ancora una volta, come una bambina dal fratello maggiore. Poi, quando lui riprende a parlare, lo osserva. Osserva quegli occhi color oceano, come se fossero essi a tenerla in vita in quel momento. Le labbra di lui si muovono, in una dolce melodia. Una melodia che sembra ripercorrere tutte le tappe della sua vita. Quella vita di cui lei è la protagonista. E quel dito, puntato contro il suo naso, sembra riconfermare le parole dell'Akimichi. Deve riprendere in mano la sua esistenza. Deve decidere che tipo di persona essere in futuro. Deve vivere la sua vita appieno, senza abbandonarsi nuovamente a quel buio che la tenta. Deve prendere delle decisioni. Adesso. Proprio in quel momento della sua vita in cui ha toccato il fondo, deve rinascere. Rinascere a vita nuova. Come un fiore di ciliegio che mostra, lentamente, i suoi petali rosa. E risale quella corda. E la vede, quella luce in superficie. E sale, più velocemente, con ogni sua forza, portandosi dietro la consapevolezza che lei non è una nullità. E quell'indice, adesso, le sfiora il naso. E le infonde nuova vitalità. Le colora l'anima grigia. Le dà una nuova speranza. E lei non risponde subito alle parole di lui. Osserva semplicemente i suoi movimenti, che confermano il suo discorso. E, quando lui le tende la mano, lei la afferra, come se fosse l'unica cosa a cui appigliarsi. E si lascia tirare. E si lascia stringere. E le sue piccole mani scivolano verso la schiena di lui, stringendolo a sua volta. Un abbraccio che li lega. Una corda che si tende e li circonda. < Io non voglio più avere paura > una semplice frase, sussurrata contro il ventre di lui. Quelle cicatrici rappresentano, adesso, un punto di svolta. Simboleggiano il momento in cui lei è cambiata. Simboleggiano la sua rinascita. < Stavolta sarò io la sua roccia >. Perché Onosuke era sempre stato la roccia della rosata. Ma, adesso, tocca a lei esserlo. Tocca a lei proteggerlo. Sarà una roccia per tutti quelli che ne avranno bisogno. < E sarò anche la tua, te lo prometto >. Una promessa che sancisce un nuovo futuro. Non lascerà che accada qualcosa alle persone più importanti della sua vita. Non lascerà che quei due scompaiano. < Non voglio più essere debole > e concluderebbe il suo discorso. E per qualche altro secondo ancora, si lascerebbe cullare da quelle possenti braccia. [END]

Yosai trova Tenshi, seminuda ed impaurita, nel bel mezzo della Foresta di Mangrovie. Sarà lui che la porterà alla rinascita.

La giocata risale a qualche settimana fa, esattamente dopo che Tenshi ha quasi ucciso Onosuke ed ha appreso che Norita è scomparso.
Ringrazio Yosai per essere stato così paziente ed avermi regalato una giocata piena di feels <3