Conoscenze e buoni propositi

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09:46 Yuukino:
  [Spiaggia di Chumoku] E’ mattina. Una delle tante che non ha la benché minima pretesa di essere né migliore, né peggiore. Yuukino, come suo solito si è svegliata quando ormai il cielo era già piuttosto illuminato con la stessa voglia di vivere di un bradipo. Si era sistemata di tutto punto, indossando un costume da bagno in due pezzi color viola avvolgendosi poi in un kimono color avorio decorato con fiori di lillà. Non si era truccata: d’altronde per fare un bagno avrebbe solo rischiato di farsi colare sul viso mille colori diversi rischiando di passare per una caricatura di sé stessa e dopo aver giusto bevuto una tazza di the fumante era sgusciata fuori dall’alloggio dove si ritrova a passare le proprie giornate sull’isola di Chumoku. Si era diretta alla spiaggia con passo svelto, come di chi non vede l’ora di sprofondare le proprie membra nell’acqua cristallina e godersi una giornata di puro relax e non aveva potuto ignorare la presenza della nebbia; eh già, perché mai godersi il mare? Forse non si è ancora illustrata la sua proverbiale fortuna (si fa per dire). <Non m’importa> si era detta fra sé e sé, continuando ad avanzare con la speranza che, una volta raggiunta la soffice spiaggia, tutto quel biancore che rendeva il sole una palla enorme e luminosa, quasi visibile ad occhio nudo, sarebbe svanito. Eppure ora è qui, con le espadrillas nella mano sinistra, i piedi appena affondati nella soffice e candida sabbia con gli occhi fissi in direzione del mare ma di esso solo il fragore delle onde che, fosse assente, non parrebbe nemmeno di essere in riva all’acqua. Un fragore lontano, quasi mistico. E lei lì, in piedi, a cercare di scrutare oltre la nebbia mentre una leggera brezza soffia sul suo volto, infrangendosi sulla sua ampia fronte e muovendo leggermente le ciocche della sua frangia che scende lungo i lati del viso incorniciandolo fin appena sotto la mascella. In mezzo a quelle corvine ciocche si intravedono lunghi orecchini in oro, tondi. Posa dritta, ferma: la pancia, piatta, sostiene un tronco dal voluttuoso seno che allarga leggermente i bordi del kimono mostrando in parte la pelle chiara e l’ombra prodotta dalle clavicole appena sotto al sottile collo. <Non ci posso credere> si dice, cercando di convincersi che in realtà ci sia ancora una qualche speranza che, appropinquandosi alle onde, quella nebbia si sarebbe diradata.

10:04 Yosai:
  [Spiaggia] Il sole dev’essere sorto da tempo, quella coltre lattiginosa che tutto avvolge ha preso ad illuminarsi sempre di più. Sta iniziando a scordarsi com’è fatta, quella stella che proietta la sua luce sul mondo. dev’essere qualcosa di più di quella palla di un grigio un po' più luminoso stagliata li a una certa altezza. Si si perde in pensieri, ma è su quella spiaggia da troppo tempo per non perdersi in pensieri. È arrivato alla fine della prima sessione di allenamenti della giornata ed è stremato. I piedi sono scalzi, indossa calzoni corti al ginocchio che lasciano libera la gamba nerboruta e definita, una canotta avvolge il torso possente, lasciando libere le spalle rotonde e le braccia. Ben visibile è quell’intrico di segni nero-rossastri che gli decorano proprio le braccia e le spalle, arrampicandosi sui trapezi e colorando la parte inferiore del collo da toro, si immergono nella canotta poi, celando il disegno completo. Il volto pallido, lucido e affilato è decorato da un accenno di barba e incorniciato dalla chioma scura. Una lunga cicatrice parte da sotto lo zigomo sinistro per poi alzarsi, salvare l’occhio e terminare sulla fronte. Roba vecchia. Non se ne cura. Lo sguardo, blu come l’oceano che ha davanti, rimane piantato davanti a sé. Ansima. L’ampio torace si gonfia tirando il tessuto della canotta e poi si sgonfia ritmicamente, la bocca è schiusa. Prende grandi boccate d’aria. Stà camminando lungo il margine interno della spiaggia, lontano dal bagnasciuga. Scorgerebbe quindi la figura della giovane kusana vedendola di spalle, rivolta verso il mare. Istintivamente si ferma, piegando di lato la testa incuriosito, come i cani. Farebbe quindi per avvicinarsi. Non presta particolare attenzione a fare piano. Non è da lui. Ma ad attutire il suo incedere verso di lei dovrebbe essere la sabbia sotto i piedi, unita al rumore antico e costante del mare. Coglie solo l’ultima frase, giunto a un paio di metri da lei <a cosa non puoi credere?> la voce è si maschile e inevitabilmente dal tono piuttosto alto, ma non profonda. Più melodica. Probabilmente l’unica cosa che colloca la sua età intorno ai vent’anni e non intorno ai trenta. Lo sguardo si posa avido sulla figura di lei. Cerca i dettagli. Calzature in mano, pelle soffice, capelli lunghissimi, liscissimi, nerissimi. È alto una quaresima, quindi è costretto a guardare tutti dall’alto.

10:20 Yuukino:
  [Spiaggia di Chumoku] Nella sua testa mille pensieri stanno prendendo forma, mille insulti al tempo ed alla necessità di trovarsi su un’isola avvolta su tutti i lati dal mare perfetto affinché si vadano a creare quei banchi di nebbia così fastidiosi. La kusana, poi, non è nemmeno tanto abituata a quella condizione atmosferica viste le sue origini. Gli occhi ancora fissi in quell’ammasso di umidità che, a dirla tutta, non sarà nemmeno la soluzione perfetta per i suoi capelli lisci e perfetti: fortuna vuole che la loro pesantezza non consente un’increspatura così rapida. Sul viso una smorfia a metà tra rabbia e insofferenza, con i bordi della bocca, fine e rosea, leggermente inclinati; narici che si allargano a ritmo cadenzato come di chi sta inspirando abbastanza ossigeno per poter lanciare un grido, un ululato. E’ così presa da quella condizione che nemmeno si accorge dell’arrivo di Yosai: vuoi per la sabbia che attutisce i suoi passi, vuoi per la nebbia che permette di scorgere le figure solo a distanze ravvicinate ma, quando alle sue orecchie giunge quella domanda, quella voce indubbiamente maschile nonostante la melodia delle sue corde vocali, ecco che Yuukino viene come risvegliata da un sonno profondo, da un incubo, semmai. Ed in quei istanti non è la ragione a prevaricare quanto l’istinto ed il suo, parliamoci chiaro, non è quello coraggioso e robusto di una kunoichi esperta. Senza alcuna volontà il braccio sinistro, che fino a poco tempo fa teneva strette le espadrillas, si inarca per poi spostarsi verso l’alto; le dita andrebbero quindi a perdere la presa delle scarpe che quindi scivolano nell’ammasso di umidità e aria che la circondano ed il tutto in un movimento velocissimo che non le da nemmeno il tempo di accorgersene. Un brivido le corre veloce lungo la schiena, andando ad arcuarla spostando in avanti il baricentro del suo corpo; le spalle si alzano in un grosso sussulto ed i piedi, fino a pochi millesimi di secondo prima confiscati nella sabbia, lasciano la base su cui sono appoggiati in un vero e proprio balzo su sé stessa. <AAAAAH> anche la voce non si risparmia di essere trascinata dall’istinto in quello spavento di un rumore inaspettato. Intanto, per lo stesso motivo, il suo viso andrebbe a girarsi in direzione dello sconosciuto seguito, a breve distanza, dalle ciocche che in parte svelano maggiormente il collo, le altre, quelle a sinistra, coprendo in parte il viso per la forza e velocità con cui si gira <MA CHI….?> “sei?” Forse è questa la continuazione della sua frase ma non fa in tempo ad uscirle dalla bocca forse perché la mente è impegnata a non perdere l’equilibrio di quella posa quasi plastica che sta iniziando ad assumere mentre il corpo cerca di riprendersi dal balzo appena effettuato.

10:40 Yosai:
  [Spiaggia] Ecco qualcosa che non si aspettava. Tutto si sarebbe aspettato tranne di far paura… ovviamente è completamente inconsapevole di come apparire alle persone. Un energumeno alto una quaresima più simile a una quercia che a un uomo che ti compare alle spalle non deve essere un bell’episodio, insomma bisognerebbe almeno avvisare che arrivi l’albero da dietro. Son problemi altrimenti. Sta di fatto che la voce della kusana gli trapana i timpani con una violenza tale da fargli serrare le palpebre nascondendo lo sguardo blu oceanico e portare i palmi delle mani a coprirsi le orecchie <MACCHECCA…> tuona spalancando gli occhi alla fine di quel grido, istintivamente furioso, quando si trova davanti il viso angelico della giovane, che sta tra l’altro tentando di perdere l’equilibrio. Tenta di ignorare il fischio alle orecchie che lo attanaglierà probabilmente per tutta la giornata e prova ad allungare rabido un braccio nerboruto per afferrare con le dita spesse il braccio di lei, poco sotto la spalla, giusto per accertarsi che non cada, qualora ce ne fosse bisogno. Qualora riuscisse interromperebbe subito il contatto, riportando il braccio disteso lungo il fianco. Potrà sentirla la pelle sempre troppo calda del konohano, lei, sul braccio. Passato quell’attimo di preoccupazione tornerebbe la rabbia <ma che diavolo di modo è?> alzerebbe una mano per massaggiarsi un’orecchio <hai la voce più affilata di un kunai per la miseria> impreca socchiudendo un occhio per il fastidio. Con lo sguardo torna però a guardarla, ma quella panoramica si blocca d’istinto alla scollatura del chimono. Sgrana lo sguardo il giovane, sentendo immediatamente le guance avvampare e deviando immediatamente lo sguardo sugli occhi di lei. Sui quali manterrà lo sguardo a costo di spezzarsi il collo taurino che si ritrova <sono Yosai> quasi volesse rispondere a quella domanda fatta a metà che gli è arrivata <Mi dispiace, non posso aiutarti con gli allenamenti, ho appena finito, ma forse posso offrirti qualcosa. Vieni.> risoluto. Da per scontato che lei sia lì per lo stesso motivo di lui. Colpa della sua rigida bussola morale e comportamentale. Le dona un ultimo sguardo blu dall’alto della sua statura, per poi voltarsi ed aspettare di essere seguito.

10:57 Yuukino:
  [Spiaggia di Chumoku] Succede tutto piuttosto in fretta. Lei che riacquista un contatto diretto con la sabbia sotto ai propri piedi, un contatto piuttosto traballante. Le scarpe intanto, attratte dalla forza di gravità, ricadono a terra conficcandosi tra i granelli attorno al proprio kimono: pochi centimetri e l’avrebbero presa in pieno ma fortunatamente le orecchie dell’interlocutore potranno (momentaneamente) essere risparmiate da un’altra reazione sopra le righe della kusana. Sente poco dopo una presa sul proprio braccio, forte abbastanza da fermarla dal vacillare e darle il tempo di riancorarsi a terra. Le ciocche, impazzite per pochi attimi, ritornano a ricaderle lungo i bordi del viso sottile. Gli occhi blu come il mare profondo della ragazza andrebbero quindi a fissarsi sulla figura da albero secolare di Yosai non senza dover allungare un po’ il collo ed alzare il volto verso di lui: non è così bassa, anzi, nella vita spesso ha avuto a che fare con persone decisamente più basse e, per appartenere al genere femminile questi 176 cm sono piuttosto importanti. Eppure si sente come una formica di fronte ad un elefante che, nonostante l’arrivo non preannunciato, l’ha “salvata” da quella che poteva essere una figura di… una brutta figura. <Scusa è che…> e si guarda un attimo attorno come a riportare l’attenzione sulla nebbia che li avvolge e far capire che, in quelle condizioni, vederlo con largo anticipo, quanto basta per non essere colti di sorpresa, era un’impresa piuttosto ardua. <… non ti ho visto arrivare> andrebbe così a finire la frase con una voce decisamente più regolare, melodica e fine. Nota, o forse se lo sogna, che l’altro, per un attimo, ha poggiato lo sguardo sulle proprie forme, proprio quelle che si ritrova sopra al torace ma, abituata com’è di interloquire con appartenenti al genere maschile senza mai avere un contatto diretto di sguardi, potrebbe anche darsi che se lo stia sognano, motivo per cui non ci da nemmeno troppo peso. Lui si presenta mentre lei sta ancora cercando di capire cosa sia successo negli ultimi 3 secondi quindi, più confusa che sicura risponde <… io sono Yuukino>. Sulla faccia le si dipinge uno sguardo misto tra incredulo e stupefatto: chi mai sarà questo figuro? Allenamento? Aiuto? Offrire qualcosa? <C…come? Non capisco di cosa… sì, ok, ma…> farfuglia nel mentre cerca di seguirlo dapprima con lo sguardo e poi con il corpo; è uno sconosciuto e, per quanto ne possa sapere, potrebbe anche condurla verso l’inesorabile fine dei propri giorni eppure, la kusana, in perfetto suo stile incosciente, inizia a seguirlo per bloccarsi solo qualche attimo prima e abbassarsi a raccogliere le espadrillas da terra in un movimento quasi goffo in cui, con le spalle, cerca di trattenere il kimono che, per ovvie forze di gravità unite al suo piegarsi in avanti, andrebbero a scoprire ancor di più il seno e sarebbe decisamente imbarazzante continuare quel giochetto con uno sconosciuto alto mille metri e largo poco più della metà. <posso solo sapere… dove?> cerca di aggiungere mentre si da una spinta in avanti per rimettersi in piedi pronta a seguirlo fintanto che il suo campanello (quasi inesistente) di pericolo non dovesse risuonarle nel cervello.

11:17 Yosai:
  [Spiaggia] Effettivamente in quel turbinio di fili neri sparsi ovunque se l’è perso il colore degli occhi di lei. Colpa di quelle maledette forme che riesce a non guardare solo perché è mattina e ha ancora le energie di prestar fede a quella rigida educazione marziale che ha ricevuto. In equilibrio su un filo. Sorride a quelle scuse <colpa mia> risponde in modo più calmo e musicale <non ci penso mai che sua maestà l’oceano attutisce i rumori> fossero stati ninja si sarebbero uditi da chilometri probabilmente, ma possono ancora vivere la spensieratezza di essere umani, e non macchine da guerra. <è un piacere, Yuukino> commenta quando ormai si è voltato, donandole solo la coda dell’occhio sinistro mentre si avventura dando le spalle al mare. In realtà basterebbero dieci passi per raggiungere la sua meta, ma la ragazza è curiosa, bramosa, fa domande. Si non ci fa minimamente caso al velo di timore nella voce di lei <la> rivela indicando un mucchio di cianfrusaglie tra la nebbia e la sabbia, che pian piano vanno a definirsi come una grossa felpa nera, un pantalone di tuta abbinato, un asciugamano scuro appallottolato alla meno peggio, quattro enormi fasce zavorrate da agganciare a caviglie e polsi e una scatoletta portapranzo grossa quanto una scatola da scarpe, due scarpe da ginnastica poco più avanti. Arriverebbe poco distante dal mucchietto di cose per poi buttarsi a sedere sulla sabbia, decisamente poco elegante. Più simile a un grosso felino intento a giocare che ad un essere umano. Finirebbe comunque seduto a gambe incrociate, per poi guardarla, questa volta dal basso cercando di nuovo il suo sguardo ma incappando, per effetto della prospettiva stavolta, di nuovo nelle sue forme prosperose. Stavolta potrà notarlo bene lei, il colore delle gote tingersi di rosso vivo, ma lui comunque allunga il braccio al suo fianco e picchia due volte sulla sabbia alzando due nuvolette “siediti” il gesto <ti va?> si questa volta chiede, forse perché si è reso conto di essere stato un po' brusco <non mi capita mai di fare la terza colazione insieme a qualcuno. Con questo tempo in pochi vengono a cercare il mare> confessa scrollando le grosse spalle per poi allungare un braccio pieno d’inchiostro verso il box portapranzo e poggiarlo davanti a se <hai… fame?> sembra titubante, e in realtà lo è, ma lei non lo conosce abbastanza da capire l’importanza di quel gesto per lui. È gelosissimo del suo cibo. Eppure si prodiga. <Non volevo spaventarti> si sforza di alzare di nuovo lo sguardo, schivando con tutte le sue forze le forme di lei per cercare lo sguardo di lei, qualora riuscisse a trovarlo, distenderebbe le labbra sottili in un sorriso tanto ampio da snudare la bianca dentatura, donandole un sorriso.

11:37 Yuukino:
  [Spiaggia di Chumoku] Afferrate al volo le scarpe con un gesto quasi plateale di inchino seguito da uno slancio in avanti come se stesse ballando ecco che la nostra fanciulla si ritrova di nuovo in piedi e, non si sa bene se per incoscienza o automatismo, lo segue nella direzione intrapresa <Più che altro, qui, non ci viene mai nessuno> aggiunge quindi dopo aver ripreso una compostezza per poi guardarsi intorno come a voler cercare la prova di quanto appena detto: peccato che con la nebbia, anche laddove non fossero soli, sarebbe difficile averne la certezza. Certo è che nel raggio di qualche metro l’unica cosa che nota è un ammasso di vestiti, della roba che, se non fosse la direzione intrapresa dall’interlocutore, penserebbe essere un cumulo di roba buttata lì, a caso, da qualche maleducato. <Piacere mio… Yo… qualcosa>. Non ha prestato la minima attenzione alla presentazione in quanto ancora presa con i problemi di equilibrio e solo ora, composta nella sua camminata leggiadra e precisa, con le spalle ben dritte e composte e con passi iniziati dalla punta dei piedi, si accorge che è proprio il nome ad esserle sfuggito <Scusami tanto, non ricordo il tuo nome…> eppure lo segue. Difficile dirsi se sia incoscienza o eccesso di sicurezza in sé stessa: chi la conosce, sa che si tratti più della prima ma, da fuori, lo sguardo piuttosto composto farebbe pensare diversamente. Quando ormai i due sono vicini a quell’ammasso di roba che sembra uscita da una palestra ecco che scorge l’altro gettarsi a terra, sulla sabbia: e lei che credeva chissà dove l’avrebbe portata. Lo sguardo poi segue la gestualità dell’uomo fino a posarsi su un scatola porta pranzo prima di sentire l’invito di lui. Tornerebbe così a guardarlo e stavolta certa che prima ancora degli occhi ci sia qualcos’altro che attiri l’attenzione dell’altro. Così lei tira un sospiro piuttosto profondo come di chi è ormai ci ha fatto l’abitudine e non si cura nemmeno più di questi momenti. <La… terza?> domanda quindi con stupore senza nemmeno tentare di nascondere un’espressione talmente incredula da sembrar quasi imbarazzo. Lei, che prima di uscire di casa si è bevuta solamente un the, si ritrova in compagnia di una montagna che si accinge a mangiare per la terza volta in quella mattinata. <Fame? No… ma se avessi qualcosa da bere…> Sfacciata come sempre non si cura di averlo appena conosciuto e chiede ciò che più le interessa. Segue poi l’azione di lui piegando il corpo in avanti ed appoggiando la mano libera alla sabbia per accompagnare quel movimento che la porterebbe a sedersi parzialmente sul fianco destro con le ginocchia raccolte ed il busto in parte flesso in direzione del ragazzo: le gambe incrociate non sono da lei, non con chi conosce da… pochi minuti. Bisogna pur mantenere un finto decoro, no? E così, adagiata come la sirena di Copenaghen, si rivolge nuovamente a lui, incurante di come lo spacco del chimono si sia aperto mostrando la gamba sinistra liscia e setosa: <Non ti preoccupare… semplicemente credevo di essere qui sola…> per poi alzare lo sguardo blu intenso e osservare gli attrezzi dietro di lui <…ed invece pare che tu sia venuto qui per allenarti!>. Sembra quasi una barzelletta: insomma, davanti a sé c’è un uomo talmente imponente che ci si chiede se necessiti davvero di allenamento: quello che dovrebbe fare lei, invece di bersi the depurativi e passare le giornate a passeggiare come una bussola che ha smarrito il nord. Tornerebbe quindi a sorridergli mentre la mano sinistra si libera delle scarpette in tela, lanciandole a pochi centimetri di distanza dal proprio corpo. <e mangiare> aggiunge infine ritornando a posare gli occhi dapprima sulla scatoletta, con la speranza che abbia qualcosa da bere per lei, prima di tornare sul viso rosso peperone di lui e ricambiare un sorriso: non pieno, non ancora, senza the non andiamo avanti!

12:02 Yosai:
  [Spiaggia] La tiene sott’occhio, non con sospetto, anzi. Sembra più che altro avere difficoltà a distogliere lo sguardo. È affascinato dai modi di lei, eleganti e sbarazzini, curiosi e composti, è una contraddizione in termini quella donna! Quando la sente chiedergli il nome inclina ancora le labbra, lasciandosi andare in una risata melodica <ahahahah> socchiude gli occhi <Yosai> le ricorda ricomponendosi <da oggi in poi sarai Yuukino, la smemorata della spiaggia> Annuisce scherzando con lei. Quando lei ricambia lo sguardo lui sembra immobilizzarsi di colpo lì, seduto a gambe incrociate. Comincia ad inclinare il busto verso di lei, come una torre di Pisa che lentamente si piega, avvicinando pericolosamente il viso a quello di lei. È un movimento lento, non imprevisto, lo sguardo si mantiene su quello di lei. Arriverebbe fino a meno di un palmo di distanza da lei, prima di fermarsi, e snudare di nuovo un bianco sorriso <ma tu guarda! Hai gli occhi come i miei!> gemelli di occhi <e poi è un piacere parlare con una donna dell’altezza giusta senza spaccarsi il collo ogni volta> mentre lo dice si ritrae, tornando al suo posto, dritto sulle sue gambe incrociate. Effettivamente lei è molto alta per le persone normali, ma probabilmente insieme rispecchiano quella giusta proporzione tra uomo e donna. <allora> alza le braccia fino al plesso solare per poi sbatterle con vigoria tra di loro, scrollando di dosso la sabbia che si è accumulata sulle dita. Apre quindi il box portapranzo, che ne esce una nuvola di vapore, profumo di spezie, forse troppo forti per quell’ora della mattina, la prima cosa che estrae, da un apposito reparto, è un termos che porge a lei, sollevato dalla sua scelta di non prendergli il cibo <thè verde> glie lo lascerebbe tra le mani, qualora lei volesse accettarlo, per poi concentrarsi sul contenuto della scatola. Dentro ci saranno una cinquantina di ravioli di carne al vapore. <vengo sempre qui per allenarmi! È il mio posto preferito> volge ancora lo sguardo cercando il suo. Da quando ha notato il colore dei suoi occhi sembra completamente disinteressato a altro se non il viso affilato di lei, e quegli occhi nei quali tuffarsi. Non distoglie lo sguardo, ma le sorride <è noioso da soli, ma ci si concentra bene> ammette tornando poi a concentrarsi sul cibo, afferra con le mani un raviolo di carne grande quanto il pugno di lei <si è la terza, la prima in realtà è un po' di thè prima della corsa, poi c’è la seconda colazione e poi l’allenamento e poi la terza. È la versione giapponese e gigantesca di un hobby. Si ficca un raviolo intero in bocca, e ci mette un po' a masticarlo, ma è educato e non parla mentre mastica <Tu? Cosa fai nella vita? Cosa ti porta su questa spiaggia?> effettivamente fatta in un tono diverso sembrerebbe un interrogatorio, ma lui è amichevole nel tono, quasi giocoso, sicuramente curioso.

12:22 Yuukino:
  [Spiaggia di Chumoku] Quella che poteva sembrare una domanda lecita dal suo punto di vista, viene considerata una smemoratezza dall’altro. Eppure davvero non ricorda di averlo udito per intero quel nome o, cosa ancor più probabile, non l’ha memorizzato perché troppo intenta a non cadere a terra e riempirsi di sabbia ogni lembo del kimono: d’altronde, un abito così è pieno di posti nascosti dove accogliere granelli di sabbia, di quelli che ti ritrovi in parti del corpo che non sapevi nemmeno di avere. Alla risata di lui nonché al nuovo appellativo, si porta una mano davanti alla bocca lasciandosi sfuggire una risatina soffocata, quasi impercettibile <Va bene, Yosai hai vinto tu: non posso di certo spacciarmi per una memoria ambulante> e bisogna pur ammetterlo di non aver mai avuto tutte queste grandi doti di memoria sebbene abbia acquisito una spiccata abilità nell’interpretare il mondo che la circonda forse anche grazie al fatto che i genitori sono stati abili ninja e lei, sebbene poco incline alla lotta ed alla dimostrazione del proprio valore guerriero, ha inconsapevolmente acquisito alcune capacità più fini che richiedono un’elaborazione mentale di ciò che la circonda. Ma questo flusso di pensieri si interrompe non appena si accorge della sempre maggiore vicinanza dell’altro. Un viso che diventa sempre più massiccio e definito nel proprio campo visivo potendo scorgere anche i pori della pelle, le rughe di espressione attenuate dalla giovane età e le sopracciglia folte e piene: lei invece si ritrova con un viso quasi di porcellana, come di chi nella vita ha dovuto subire davvero poco e dove la massima fonte di dispiacere era il bicchiere di porcellana preferito che cade a terra in mille pezzi. Una fronte ampia e che ripone l’attenzione su quei occhi blu profondo incorniciati da folte ciglia e sottili sopracciglia. Un naso piccolo leggermente appunto, labbra non del tutto carnose e un mento quasi spigoloso. Rimane immobilizzata a quella vicinanza mentre lo studia cercando di non lasciar trasparire quella sensazione di leggera ansia per la difficoltà nel capire cosa poteva succedere. Le spalle, che fino a pochi secondi prima si erano leggermente alzate, d’istinto, si rilassano non appena lui chiarisce il motivo di quel gesto e la kusana scioglie così la tensione accumulata in una leggera risata, quasi afona, mentre rilascia attraverso le narici, l’aria accumulata in quei attimi di suspence. <S..sì effettivamente abbiamo occhi decisamente simili…> breve pausa mentre scorre con lo sguardo lungo il collo taurino di lui, sul corpo decisamente massiccio per poi ritornare ad osservarlo <e finalmente non mi devo sentire io la montagna della situazione> aggiunge lasciandosi sfuggire un sorriso come di chi può tornare a sentirsi normale e non la giraffa dal collo lungo pronta ad osservare tutti dall’alto: non che la cosa le dispiacesse, parliamoci chiaro. Ritorna in sé quando l’altro le porge il termos e non può lasciarsi ad un’espressione rilassata anzi, quasi grata di poter avere qualcosa da sorseggiare. Afferra quindi l’involucro caldo quasi come se le fosse stato donato qualcosa di prezioso <Mi piace già il tuo senso pratico: uscire e portarsi dietro il necessario per non dover rientrare troppo di fretta…> ma poi lo sguardo viene inesorabilmente catturato da tutta quella quantità di ravioli carne e no, non riesce a trattenere la propria perplessità <E quella sarebbe… la colazione?> domanda mentre indica col mento in direzione del contenitore, verso quelle delizie fumanti. Non chiede altro mentre cerca di calibrare la situazione e di imporsi di pensare che un gigante del genere non potrà di certo accontentarsi dei pasti della kusana, ovviamente. <Io? Sono venuta qui per allontanarmi dal mormorio cittadino, dalla gente che urla, da mia nonna in preda a scleri di onnipotenza> alza quindi le spalle mentre cerca di ricacciare nel proprio inconscio tutto quel tripudio di rumori che sembrano quasi riaffacciarsi mentalmente <Insomma, per rilassarmi un po’…> taglia corto mentre ritorna a guardare il termos <Hai una tazza?> che domande. D’altronde è cresciuta senza che le manchi alcunché pertanto è convinta che chiunque al mondo giri con un set intero di tazze anche per andare a trovare il vicino.

12:44 Yosai:
  [Spiaggia] Di nuovo scrolla le spalle grosse e dipinte nel sentirla sulla questione della memoria. Non gli importa, ci scherza sopra. Annuisce di nuovo con vigoria quando lei conferma la questione degli occhi, si l’ha percepita quell’ansia. Ma preferisce ignorarla. Non reputa di avere un brutto viso, è affilato e ben squadrato, un naso dritto, senza gobbe. Il suo problema sono le due grosse cicatrici che lo sfregiano, il taglio verticale lungo la parte sinistra che per poco non l’ha cecato, e il taglio orizzontale sulla fronte. Non sono belle cicatrici, risaltano sull’incarnato del giovane come linee più scure, sono nette, ma non hanno segni di cucitura almeno. Alza di nuovo le braccia dipinte per infilarsi le mani tra i lunghi capelli e legarli in un cipollotto di fortuna con un elastico che teneva sul polso sinistro. Non si cura di quel tatuaggio che gli dipinge entrambe le braccia e si immerge nella maglia. <e perche dovrebbe dispiacerti? È bello essere grossi. La tua altezza è perfetta. Chi dice il contrario non capisce niente> netto, come in tutte le cose, un bel complimento. Ma lo dice con una naturalezza tale che si intuisce che lo da per scontato. Non da rimarcare. Annuisce al dire di lei sul rilassarsi, infilandosi un altro raviolo sano in bocca. <è un posto perfetto per questo. Soprattutto quando non c’è vento> risponde quando è riuscito a deglutire abbastanza da non sputarle tutto in faccia. La guarda negli occhi, la cerca con costanza, come se avesse paura di leggere la voglia di andarsene. Quando lei gli chiede una tazza lui smette di masticare, gli pianta lo sguardo nel suo e lo sgrana, sorpreso, inclinando il capo di lato, incuriosito <Tazza?> what is tazza? Yo no ablo tu idyoma. Si lascia andare in un’altra risatina, a bocca chiusa perché sta masticando, <cammina! È pulita! Stappa e bevi che è buono, lo coltivo io> uccidendo la metà delle piante. Ma meglio non dirlo. Lascia un attimo di silenzio per poi mandarlo in frantumi di colpo, con quella voce melodiosa ma forte, sicura <Sei dell’isola? Io di Konoa> annuisce cercandone di nuovo lo sguardo blu per immergercisi.

13:00 Yuukino:
  [Spiaggia di Chumoku] Le cicatrici di lui le ha ben viste ma ci è passata sopra. Non è una cosa nuova vedere delle cicatrici non quando tua madre ha passato la vita a curare ferite di ogni sorta ed essere l’unico medico dell’isolato: motivo che ha condotto in casa loro diversi feriti lungo tutta l’infanzia di Yuukino. Certo, quel genere lì, sul viso, così lunghe e vistose, non le aveva mai viste eppure non potrebbe mai osservarle con la curiosità malata di chi quei segni li disprezza. In realtà, ciò che attira maggiormente l’attenzione della nostra fanciulla sono quelle linee nere che solcano le braccia di lui e che si tuffano all’interno delle maniche per spingersi chissà fino a quale altezza rappresentando chissà cosa: lo conoscesse meglio probabilmente sarebbe la prossima domanda ma questo non accade; piuttosto glielo si legge in viso quella curiosità di chi vuol sapere di più ma la rigidità della propria educazione le impedisce di indagare troppo. Piuttosto torna a considerare presente il termos che ha tra le mani che le riscaldano le lunghe e affusolate dita rendendole sempre più tiepidi e riuscendo a farle dimenticare la nebbia che li avvolge soli in quella spiaggia. <Oh> alza lo sguardo. Quella specie di mezzo complimento sull’altezza la riporta alla realtà e non può che ricambiare con un sorriso <L’ho sempre pensato seppur molti, io dico per invidia, abbiano criticato queste mie proporzioni non sempre motivo di vanto… almeno, fra le donne> specifica alzando la spalla destra per poi muovere lo sguardo sul fisico di lui come a sottolineare quando invece il konohiano non dovrebbe avere tutti sti grossi problemi: per gli uomini, nella famiglia da cui lei proviene, è più semplice convivere con quelle proporzioni. <Oh… va… bene> esita per un attimo quando viene a scoprire che non avrà mai una tazza così porta la man destra ad aprire il termos per poi avvicinarlo al viso. Prima però avvicina il naso per sincerarsi si tratti davvero di the e soprattutto per iniziare a scoprirne il sapore attraverso l’olfatto. Fatto ciò, dopo aver esaminato che non si tratti di veleno, andrebbe a portare i bordi del termos alla bocca prima di alzarne l’altra estremità per permetterle di mandare giù un sorso di quella bevanda calda e, apparentemente, apprezzabile. <Quindi sei un coltivatore di the?> andrebbe a chiedere dopo aver preso una sorsata e aver riportato il contenitore in grembo afferrandolo con entrambe le mani <E soprattutto, riesci a tenere in vita delle piante così esigenti?> ignara dei metodi da lui utilizzati per lo scopo di ottenere una bevanda calda. <No no, vengo da Kusa… sono qui con i miei genitori per…> si blocca un attimo, alza la mano destra a mezz’aria facendo un cenno come di chi sta cercando di rimuovere del polline in avvicinamento <…per cose da… genitori>. Non ha ben chiaro il motivo del loro momentaneo “trasferimento” o semplicemente cerca di ignorarlo <E tu, come mai su quest’isola?> andrebbe ad aggiungere, ora incuriosita da quella figura appena conosciuta.

13:24 Yosai:
  [Spiaggia] Si prende un attimo per godersi quello sguardo sui segni che gli dipingono tutta la parte superiore del corpo. Ed è anche abbastanza infame da aspettare che lei finisca di guardarli e torni a cercare lo sguardo di lui, per farle capire che ha capito che è curiosa <è un’aquila> semplice e diretto, non sta a spiegare tanto altro, non esiterebbe a mostrarlo se non la conoscesse così poco e se quella non fosse una storia così dolorosa <è una lunga storia, ne parleremo> magari si. Ci spera, si intravede in mezzo al blu dei suoi occhi insieme ad una nota di pudico dolore che per ora tiene per se, ma che gli vela un attimo lo sguardo. Scuote vigorosamente il capo al dire di lei <lascia perdere, è tutta invidia, vai benissimo> e si infila un altro raviolo in bocca <piuttosto..> si lascia scappare con la voce attutita dal raviolo, e prima di continuare finisce di masticare e deglutisce, fatto questo, con la mano pulita allunga piano il dito, indice verso di lei, fino a poggiarlo sul fianco di lei e premere leggermente, potrà provocare al massimo un po' di solletico, o un po' di fastidio, a seconda delle sensibilità, ma nessun dolore, anzi, una delicatezza che non gli si addice <dovresti allenarti un po'> annuisce <hai una massa grassa bassissima, da fare invidia> se non sul petto, si intende, fa invidia pure quella effettivamente, ad avercene di petti così <ma dovresti mettere su un po' di massa magra, muscoli!> annuisce <un minimo> il tono è tranquillo e quelle parole sono consigli, non critiche. Sorride quando lei gli chiede il mestiere <no, sono un boscaiolo> ammette. Molto più adatto, ma che c’entra? <non è un normale thè verde, lo senti? È più intenso, ha un aroma più forte, no?> aspetta conferma <perché è un particolare tipo di thè selvatico. Ci sono alcune foreste nel paese del fuoco particolarmente riparate e adatte alla sua crescita. E la pianta è più rustica e meno bisognosa del normale thè… per quanto comunque abbastanza delicata, infatti ne ammazzo una quantità spropositata> ecco, diciamola tutta. Quasi dispiaciuto lo sguardo quando ne parla, vorrebbe migliorare come coltivatore… vorrebbe fare tante cose. Quando scopre che lei è di Kusa di nuovo sgrana lo sguardo <davvero?> cerca conferma <Conosci Kouki-sensei? È una special Jounin del tuo villaggio, mi sta facendo lezione in accademia!> esclama euforico, come se gli abitanti di kusa dovessero conoscersi tutti <una lunga storia, la mia> ammette facendosi serio, con la voce profonda, e distogliendo lo sguardo da lei per concentrarlo su un raviolo < sono tornato al villaggio di Konoha da poco e ho scoperto che gran parte delle istituzioni ninja si sono spostate qui. Così le ho seguite, con l’obbiettivo di iscrivermi all’accademia>Annuisce, con lo sguardo che si fa determinato. <Ti piace?> chiede poi, cancellando i pensieri seri e indicando con un cenno del capo il termos nelle sue mani.

13:40 Yuukino:
  [Spiaggia di Chumoku] Fortunatamente non è stato necessario fare quella domanda ma allo stesso tempo non è nemmeno così simpatico sapere che il proprio sguardo ha illustrato in lungo e largo la curiosità verso quel disegno, quel tatuaggio che si intravede sulle sue braccia. Così viene a scoprire di cosa si tratti e, a dirla tutta, non è che si aspettasse un rapace da un fisico del genere quanto più un… bosco di montagna? Ovviamente questi pensieri si riversano sull’espressione di lei che assume delle sfumature di incredulità seppur abbastanza celata, quel sentimento di chi non è del tutto convinto che ciò che si è appena udito corrisponda alla realtà. <Beh, non ti preoccupare, nel senso… le storie vanno raccontate quando esse hanno voglia di essere svelate> eehhhh? E questa vena filosofica da far rabbrividire qualsiasi vecchio del villaggio? Beh diciamo che a istruzione la nostra forse futura kunoichi non è messa così male: certo, parliamo di insegnanti privati che si recavano ogni giorno a casa loro portando conoscenze non solo circoscritte al villaggio di Kusa, s’intende. Ma ecco che non fa in tempo ad esprimersi che si ritrova un dito di lui nel fianco e, d’istinto, senza riflettere, il suo corpo sussulta per una breve frazione di secondo <mh?> un mugugno corto a labbra serrate accompagna quella reazione involontaria prima che i propri occhi ricadano in giù ad esaminare il proprio fisico nel mentre lui espone la sua teoria. Beh, non c’è che dire: ha proprio ragione e non può, in quell’attimo, non dare uno sguardo anche al fisico di lui, decisamente agli antipodi; è un bel fisico, un petto, maschile, decisamente interessante tanto quanto il proprio, bel collo, saldo, capace di tenere su un viso che, seppur segnato dalle cicatrici, nasconde delle forme certe e sicure. Si riscopre così, la kusana, a rimirare l’altro mentre coglie il suo discorso: lo osserva curiosa come di chi cerca di trovare dei difetti su una persona che, parliamoci chiaro, dà nell’occhio. <Sì effettivamente dovrei fare qualcosa per scolpire un po’ di più questo fisico> risponde distogliendo la propria attenzione ed il proprio sguardo affascinato dal corpo di lui <Questa è allenata ma…> dice mentre con la mano libera dal termos indica la propria fronte come ad intendere che mentalmente è decisamente più in forma <…avrei effettivamente bisogno di allenare anche il mio corpo. I miei non hanno mai smesso di sottolineare come, alla mia età, loro erano già dei Jonin e niente…> alza le spallucce. Non le è mai interessato fare le cose di fretta e dimostrare all’intera famiglia di essere precoce e, sotto sotto, non si sente nemmeno appartenere a tutti quei parenti che colgono ogni occasione per vantarsi dei propri traguardi. <Kouki-sensei? Sì, ne ho sentito parlare in casa… ma non la conosco di persona> anche perché, di alcune persone, è la loro fama a precederli. Intanto la mano libera si abbassa per chiudere il termos così da poterlo riporre sulla sabbia, dritto. <Quindi segui l’accademia… beh> si ferma e per un attimo fissa lo sguardo dietro le spalle di lui, nel vuoto <dovrei farlo anche io>. Ed in quel “dovrei” si nasconde una volontà che, seppur tardiva, è la conclusione di un percorso di conoscenza di sé stessa durato decisamente a lungo. <Certo che se frequenti anche tu, potresti distrarmi con questi ottimi the> aggiunge indicando col mento il termos mentre ripone nuovamente i propri occhi blu in quelli del suo interlocutore lasciandosi sfuggire, stavolta senza sforzi, un sincero sorriso dovuto anche all’apprezzamento di quanto appena bevuto.

14:00 Yosai:
  [Spiaggia] Quelle parole sulle storie gli annodano il cervello mandandolo in confusioni, ancora una volta inclina leggermente il capo, curioso, come se stesse dicendo qualcosa di strano. A naso però le da ragione, annuendo. La ascolta, la osserva, come se la stesse valutando, incuriosito da ciò che nascoste e da ciò che mostra, dalle potenzialità che intravede in quella persona. Alla successiva confessione di lei ne cerca di nuovo lo sguardo, condividendo un sorriso amaro <già, i ninja all’età mia sono nati, sono diventati leggende e magari capita che siano anche morti. Sono stato fermo al palo anche io, troppo tempo appresso ai miei mostri> assottiglia le labbra, serra i denti contraendo i muscoli della mascella che si muovono sullo zigomo, lo sguardo, seppur nel suo, sembra perdersi in antichi ricordi. Prima di tornare da lei, più sereno. Le labbra si rilassano e si piegano in un sorriso <prenderemo in mano il nostro destino Yuukino. E qualsiasi cosa decideremo della nostra vita l’avremo decisa con la consapevolezza dei nostri anni e delle nostre esperienze, e non con l’avventatezza dei bambini.> una frase profonda che fuoriesce con una voce quasi più buia ma pervasa di convinzione, motivazione. <e se dovresti farlo anche tu, allora lo farai anche tu. E io non ti distrarrò coi miei thè, al contrario. Questi ti saranno indispensabile quando comincieremo a sollevare qualche pesetto. Dissetano come niente> Annuisce convinto ficcandosi un altro raviolo in bocca. <e poi…> parla ancora a bocca piena, deviando lo sguardo a lasciarlo vagare verso il cielo <chissà che non riusciremo a farci un nome, tu col tuo cervello, io con i miei muscoli, da qualche parte> Ridacchia al pensiero per tornare a guardarla. Non gli sono sfuggiti gli sguardi di lei che studia il suo fisico, quel complicato intrico di fasci muscolari che scavano disegni e ombre sinuose che si fondono con quelle del tatuaggio che lo decora <in due si fa comunque meglio> Lo ignora, che siano di due villaggi diversi, se ne è completamente dimenticato, a suo agio com’è.

14:18 Yuukino:
  [Spiaggia di Chumoku] In mezzo a loro un alone di cose non dette di sofferenze di lui che lei riesce a captare come in un sogno; dolori lontani che si lasciano studiare attraverso quelle cicatrici prima ancora che dallo sguardo di chi ha vissuto mille vite eppure è ancora giovane ed acceso da una fiamma di ardore. Una cosa che, lì per lì, pare accomunare i due. Non che siano giunti a quel punto allo stesso modo e, se dobbiamo dirla tutta, la nostra kusana non ha patito grosse sofferenze, il suo vissuto non l’ha formata tanto quanto il suo studio. Conosce molte cose, ma per lo più sulla base di ciò che altri hanno riportato in scritti, manoscritti e pergamene. Lei invece si sente pronta, ora, tardi, al passo successivo. E’ lì per rispondergli con una frase di incoraggiamento riguardo alla loro età ma è lui stesso che lo fa ancor prima che la kusana ne abbia la possibilità perciò la mora si limita ad allungare l’indice in direzione di lui, chiudendo a pugno tutte le rimanenti dita, accompagnando quel gesto da semplici parole <Ben detto, Yosai! Magari abbiamo proprio evitato la nostra morte per delle scelte che a certe età non andrebbero mai fatte…>. Eh sì, perché l’esperienza porta anche questo. <Ok ok> alza quindi le mani a ciò che l’altro aggiunge <Forse hai ragione: dovrò allenare anche questo fisico, prima o poi.> e sorride divertita. Una gioia che prova nell’immaginare sé stessa a fare sforzi maggiori che quelli di alzarsi dal letto o piegarsi a raccogliere qualcosa per terra. <Chissà che il nome non sia già in noi e dobbiamo solo scoprirlo> aggiunge a ciò che egli le ha detto per poi ammiccare senza discostare il proprio sguardo dall’altro. Un’espressione che lascia trasparire una certa malizia contrapposta ad una frase che pare sincera: antipodi che di tanto in tanto convivono in questa kusana dai capelli nero pece. <In due viaggiare arricchisce maggiormente> finisce così la frase di lui, alzando le spalle prima di andare ad aprire nuovamente il termos e portarlo, con la destra, alla bocca per berne un altro sorso lasciando che quel liquido scorra giù e riscaldi dapprima la gola e poi lo stomaco. La figura davanti assume tratti sempre più curiosi e, sebbene viga in lei un profondo rispetto per il suo passato, certamente dall’altra la voglia di capirci qualcosa in più si fa viva: sul viso si dipinge così uno sguardo simile a quello di un allievo che osserva il proprio maestro con quella voglia di imparare ma col rispetto di lasciare che l’altro si esponga senza forza troppo la mano. <Beh, a furia di terze colazioni così, non ho dubbi che ci metterai poco a raggiungere certi obiettivi> afferma infine indicando con le sopracciglia inarcate quei bocconi enormi di ravioli di carne. <Se posso chiederti… cos’hai avuto modo di apprendere finora in accademia?> domanda infine mentre si accinge a richiudere nuovamente il termos per evitare che il calore del the si disperda nell’aria circostante.

14:52 Yosai:
  [Spiaggia] La ascolta, la osserva, ha raggiunto una sintonia che non si aspettava di raggiungere con lei. In comune non hanno solo gli occhi, ma una scelta da fare. Sorride profondamente nel sentire quelle frasi, quasi rasserenato, e quell’accenno sul nome gli lascia addirittura un’altra risata divertita, se non fosse per quell’ammicco successivo, che quasi lo pietrifica, facendogli avvampare di nuovo le gote <c..che ne sai, magari si!> ha perso quel piglio deciso, inarrestabile che non caratterizza solo le sue movenze e il suo apparire, ma anche la sua voce. Lei ha la strana capacità di piegarlo, e questa cosa lo stuzzica, lo stimola. Quell’accenno sulla terza colazione lo riscuote dai suoi pensieri, e d’istinto afferra un raviolo e se lo ficca in bocca <dovresti vedere il pranzo!> parla ancora a bocca piena, completamente a suo agio ormai. Si perde per un attimo a immaginarseli, insieme, spalla a spalla a sostenere il peso del futuro. Sorride di nuovo, contento <ho imparato ad utilizzare il chakra!> esclama euforico, mentre lei potrà vedere la pelle d’oca sugli avambracci solo al ricordarsi l’ebrezza di avere quell’energia in corpo. <poi alcune conoscenze che credo i ninja dovrebbero avere e una tecnica per schivare> commenta, risponde limpido, non ha da nascondere. Torna a guardarla. Rimarrebbe li con lei a parlare e ad ascoltarla almeno fino alla fine dei ravioli. Incurante del tempo che passa. [/END]

15:05 Yuukino:
  [Spiaggia di Chumoku] Un incontro, quello in spiaggia, davvero interessante. Quella mattina si era alzata con una gran voglia di rilassarsi in pace e silenzio e non avrebbe mai potuto prevedere che in realtà avrebbe ritrovato lo stesso una pace interiore anche interagendo con qualcun altro. Sarà, forse, la non appartenenza alle sue conoscenze da tempo immemore o quelle sue cicatrici, o quella foga nel mangiare senza sentirsi minimamente in soggezione a farlo di fronte a lei. Sarà quel suo modo di parlarle, indicarla, toccarla senza chiedere permesso e fare il tutto nella maniera più naturale possibile. Si ritrova a pensare a tutto ciò con una certa serenità ritornando alla realtà non appena lui le risponde. Ne ascolta le parole e si diverte quando le sue gote reagiscono a ciò che lei ha da dire, alle sue gestualità che potrebbero apparire anche maliziose dal di fuori. Si ritrova così ad immaginarsi quella montagna mentre si scaglia su nemici che per ora sono presenti solo nelle loro menti, nelle loro fantasticherie di chi si ritrova ancora agli albori di quello che potrebbe rivelarsi un lungo viaggio pieno di esperienze che possono toccare aspetti della vita dai più disparati toni. <Se questa è la colazione temo di poter immaginare che il tuo pranzo racchiuda una quantità di cibo che io consumo in una settimana> dice lasciandosi sfuggire una leggera risata, divertita. Si sente più rilassata, ora, la kusana. I muscoli del corpo non sono più così pronti a reazioni istantanee e basate sull’istinto. Ascolta le sue parole in merito a quanto imparato e, solo ad udirle, si sente pervadere anch’ella da un fremito, quello tipico di quando si ha intenzione di fare una cosa ma bisogna anche saper attendere che quel momento giunga. <Oh, non vedo l’ora di provare quell’ebrezza che tanto mi è stata narrata… ma esserne artefici…> e si interrompe lasciando che il brivido lungo la schiena visibile anche dall’esterno con un movimento ondulatorio, prima del busto e poi delle spalle, spieghi esattamente il proseguo. Torna poi di nuovo a guardarlo, ora affascinata da quel tripudio di muscoli che celano qualcosa di più profondo che non le è dato conoscere ma che sa essere lì, da qualche parte, celato e pronto ad essere anche solo parzialmente condiviso. E lei, bramosa di conoscere di più sull’accademia si lascia rapire da quei racconti immedesimandosi in quell’esperienza che probabilmente ben presto caratterizzerà anche le proprie di giornate. <Sei forte…> si lascerebbe sfuggire, a mezza voce, quasi come lo stesse dicendo a sé stessa mentre negli occhi si andrebbe ad accendere una passione. Ed è così che Yuukino andrebbe a farsi rapire dai discorsi, interagendo e mimando le proprie volontà mentre intorno a loro, pian piano, la nebbia andrebbe a lasciare il proprio spazio a nuvole che ogni tanto si scostano per lasciare che il sole illumini i loro visi, i loro pensieri, le cicatrici e le speranze. [/END]

Yosai e Yuukino si incontrano, si conoscono, fanno merenda e condividono i loro buoni propositi