Cose che succedono {sfreeze per chiusura}

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15:46 Kurona:
  [Sequoia] E' qui che è morto Hiashi, giusto? Mentre il sole picchia debole, tra le foglie della foresta della morte, lei ciondola a tre metri da terra attaccata al ramo tozzo e rugoso d'una sequoia. Ne è passato di tempo, per pianger sul latte versato; è cambiato così tanto, in un lasso talmente esteso, da ricordarne a stento il viso. Gli occhi. L'odore. Così a stento ricorda Irou. A stento ricorda chiunque altro. E' come esser costantemente al centro d'una ressa, dove ti sembra d'amar chiunque ti tiri una spallata. In modo fugace. Intenso. Con ricordi che macchiano quanto il vino rosso su un telo bianco. Cigola, e sembra quasi che sia solo vento tra i rami più alti del bosco. Ed invece è lei, appesa a testa in giù, con una chioma bianca ed incolta che è già troppo tempo che fa' a cazzotti con la spazzola. Parecchio che non si vede in giro, mhn? Sarà l'improvvisa intolleranza alla vita, come un fantasmino pronto ad accettar quel che deve succedere non facendo nulla più che recepire e assimilare. Non sa' nemmeno perchè è tornata, con i suoi allievi, in queste terre. La schiena si muove, i lombi prima incordati si rilassano per una frazione di secondo, solo per poi contrarsi di nuovo, almeno fino a quando il corpo non ha preso il giusto andazzo per tender le gambe ed abbandonar del tutto il luogo in cui era prima appollaiata. Si lascia cadere, stendendo le braccia all'esterno per aver il pieno controllo del suo equilibrio. E' il tessuto della camicia a far un improvviso chiasso, come un lenzuolo che svolazza in balia del vento, seguito solamente da un tonfo deciso. Vestita come una borghese. Una camicia bianca, aderente tanto da tendersi sullo sterno e tra le scapole dove una fondina vuota disegna perfettamente la curva delle spalle. Una gonna a tubino antracite, con lo spacco sulla coscia chiuso da una cinghia dove dovrebbe aver sede un kunai. < Oye Tsuki, lasciami sola. > Pigola lamentosa, quando l'ombra di una delle sue maiko fa capolino tra gli alberi, diretta a Konoha. La guarda, indispettita; <[T] Ho delle nuove, non le vuole sentire, Kurona-sama?[/T]> E lei, che d'altro canto può solo storcer le labbra quando si parla dei suoi figli, le fa cenno d'andare via. Non ora. Non quando viene a far visita ai morti. [CK ON]

17:46 Azrael:
 La pace. Era giunta la pace. Per tre anni aveva vissuto null’altro che quella. Ha sfiorato la felicità ben più di una volta, per poi ritrovarsi nuovamente in balia delle onde. Intento ad oscillare sempre più prossimo agli scogli, allo schianto. La notizia ricevuta il giorno prima lo ha gettato in uno stato di ansia ed agitazione, costringendolo ad una lontananza forzata da tutto ciò che ama, almeno per qualche ora. Sa che, quando è in quelle condizioni, non può rischiare di esplodere, non può dar sfogo a quel che gli si annida sul fondo dello stomaco, del cuore e dell’animo. Non può. È per tale motivo che si è diretto nella Foresta della Morte, il luogo ove – ancora infante – fu abbandonato dalla sua vera madre, destinato alle cure degli animali selvaggi che ne avrebbero fatto il loro pranzo, se solo non fosse stato graziato da null’altro che una coppia di civili, di agricoltori che si spinsero laddove non avrebbero mai dovuto, ma che permisero quel giorno la vita di colui che adesso è simile ad un Dio. Cammina, lento, per il sentiero principale della Foresta. Gli alberi e le loro fronde impediscono al Sole di filtrare in tutto il suo splendore, portando solo qualche sprazzo di luce, qualche filo dorato che fa risplendere le foglie, dando alla selva un aspetto tetro, ma al tempo stesso pregno di malinconia. Indosso porta una camicia nera, allacciata sino alla base del collo, un paio di pantaloni del medesimo colore, di ottima fattura, cuciti su misura unicamente adatti al suo corpo, ed infine delle scarpe in pelle, lucidate, il cui piccolo tacco posto alla base del tallone segna il terreno su cui sta percorrendo i propri passi. Al fianco destro si presenta il fodero di un’arma, in particolare una katana, il cui manico è color avorio, intarsiato di striature dorate che lo percorrono sino all’elsa. Il crine corvino è scompigliato, ricade disordinatamente sul volto diafano, coprendo talvolta gli occhi d’onice. È teso, le labbra sono strette in una linea dura, la mascella contratta e le orecchie ben tese ad ogni suono. La brezza che smuove le foglie, il flebile verso di qualche animaletto, lo scricchiolio della corteccia di un albero. Poi, una voce. Ua voce che immediatamente lo porta a voltarsi verso la sua fonte. Orientativamente potrebbe calcolare che vi sia un centinaio di metri tra di loro. Non gli èp possibile comprenderne ogni singola parola, ma tanto gli basta per capire di non essere da solo in quella Foresta. Non sa di preciso perché quella consapevolezza lo allarmi tanto, probabilmente è unicamente colpa del suo stato d’animo, ma mentre ci riflette su si scopre già in corsa verso l’obiettivo. Le leve inferiori, celeri, si alternano tra le fronde, i cespugli, le radici, scansando quel che potrebbe essergli d’intralcio con la consueta rapidità ed eleganza che lo contraddistinguono da sempre. Solo le punte delle calzature sfiorano il suolo, facendo assomigliare quella corsa al volo di un uccello che plana rasoterra, più che ad un vero e proprio essere umano in movimento. La mancina sosta sul manico dell’arma, pronta a sguainarla qualora fosse necessario ed in pochi istanti si ritrova al cospetto di una figura dal crine candido, intenta a parlare con un’altra persona. La vista, per nulla minacciosa come aveva supposto, lo porta a raddrizzarsi sulla schiena, allentando la presa sul’arma, ma senza far cadere la mano nuovamente lungo il fianco. < Chi siete? > Non si sta affatto rivolgendo alla figura che non conosce, ma a quella che gli pare più familiare, per chissà quale motivo. È su di lei che sono puntati gli occhi scuri, verso di lei che è rivolto il busto e verso di lei che indica il manico della katana, ancora carezzata dalle lunghe ed affusolate falangi del Nara. [ C on ]

18:04 Kurona:
  [Sequoia - Piedi] Ad appunto parlar di tempo, con lui - quanto ne è passato? Tsuki, che è una donnina dai capelli color nocciola e lo sguardo che tende ad un verde cangiante, è la prima a girarsi in direzione del tessai. Tant'è il tempo bruciato da quando ha sentito una netta differenza di potere, che quasi trema all'avanzare del sadico. Guarda in sua direzione e si congeda, come detto poco prima, abbassando diligentemente il mento in direzione di Kurona per poi sparire verso la città della foglia. S'è presa un attimo forse troppo scarso per piangere chi amava, eppure, non si rivolge ad Azrael severa - tutt'altro. Sta zitta, con le labbra socchiuse, lasciando che il vento le accarezzi il viso portato allo scoperto e non più bendato come ai tempi d'oro - dove la fame di potere le corrodeva le pareti dello stomaco. Le cosce sfilano, il viso si rifà a lui sporcato a ciocche bianche di capelli che si riversano come una cascata dietro la schiena inevitabilmente retta. Una donnina in miniatura. <?> Lo ha già visto, ed il cipiglio d'un quesito le aleggia sul capo seppur chiusa nella sua bolla estraniata. Come un alieno sul pianeta sbagliato. Quanti anni sono passati, da quando le aveva fatto lezione? Lui, Furaya. E poi la strada spianata per l'arte del tatuaggio, dell'anatomia. Gli occhi come fiaccole in mezzo ad un arazzo fatto di luci e ombre s'aprono piano, serafica, cercando di scavare tra ricordi e incubi. < N a r a ? > Lo pronuncia piano, come se dovesse veramente testare il terreno. Allora piano si volta, lasciando che la scollatura della camicetta metta in risalto le venature nere che prima erano accuratamente nascoste. Mai stata un bel vedere, dopo la grande depressione. E' come qualcosa d'utopico insolentemente macchiato dal suo fardello. I passi cantano sconfitta, mentre s'avvicina a lui, allargando le mani e mostrando i palmi in chiaro cenno d'esser disarmata, ed ovviamente non una minaccia. Sono circa sette anni, o forse dieci, che non si vedono. E Kurona, proprio come Azrael, si porta dietro tutta la conseguenza del tempo. Gli occhi vispi ora sono spenti. E i capelli neri, un tempo, ora son bianchi come la neve. Labbra piene come ciliege che dopo tempo immemore, dato a cementare una presenza relativamente ostica, si aprono a proferir parola. < Allora i miei uccellini cantano le giuste canzoni. > Scadenza le virgole spezzando il cruccio con un sorriso melenso, quasi nostalgico. < Sono Kurona Hanabutsuji. > [ck on]

18:34 Azrael:
 la sensazione di conoscere quella figura che, eterea, s’aggira nella foresta diventa ancor più pressante nel momento stesso in cui le loro iridi si incrociano. L’altra giovane si allontana e, con la sola coda dell’occhio, il Tessai nota la direzione che sta intraprendendo. Konoha. Il pensiero che qualcuno possa introdursi tra le mura della Foglia proprio in questo momento lo pungola nel profondo, portandolo a reagire irrigidendo nuovamente la mascella, assottigliando gli occhi scuri sino a trasformarli in due sottili linee di pura oscurità. Non la insegue, non ne ha alcun valido motivo, ma la certezza che vi siano i suoi soldati a sorvegliare le mura esterne del villaggio lo portano a rilassarsi sensibilmente. Tutto ciò che resta in quella maledetta selva sono loro due. Un fresco alito di vento smuove il crine covino del Nara, il cui cognome viene scandito dalle rosee altrui. Il fatto che conosca il suo nome non lo sorprende affatto, d’altronde la sua fama ha viaggiato quasi più dello stesso Tessai. Il non aver ricevuto una risposta immediata, tuttavia, lo porta a muoversi, un passo dopo l’altro, in sua direzione, giungendo a fronteggiarla con meno di un metro a dividerli. Da quella distanza riesce ad osservarla meglio. Il sole irradia riflessi argentei scontrandosi con la sua folta chioma, i vestiti disegnano un corpo esile, quasi emaciato. Le vene nere che le screziano la nube pallida gli ricordano le qualità più pregiate di marmo e gli rivelano un’informazione per nulla irrilevante. Kokketsu. Solo i Kokketsu sono portatori di quei segni indelebili, del sangue nero che gli scorre sottopelle. Ella afferma di aver ricevuto il canto di alcuni uccellini, facendo chiaramente riferimento a qualche informatore che chissà quali notizie le hanno rivelato sul conto del Nara stesso e la presa sulla katana si fa più salda, scandendo inesorabilmente lo scorrere del tempo che passa senza che egli riceva una risposta precisa, ma solo qualche vago riferimento, qualche insoluto enigma. Quando, infine, la risposta arriva, il Nara si ritrova a spalancare gli occhi, un misto di sorpresa e sollievo gli modella i tratti del volto e la mancina abbandona definitivamente il manico della katana, tornando a lambire il corrispettivo fianco. < Fin troppe sorprese in questi giorni, per uno che le sorprese non le tollera affatto. > Le risponde in un primo momento, lasciando che la propria voce, bassa e profonda, riempia il silenzio formatosi tra di loro. < Quantomeno questo avvenimento è parecchio gradito. > Aggiunge, subito dopo, con gli angoli della bocca ad incurvarsi per formare un sorriso appena accennato, tagliente, ma per nulla minaccioso. < Sei molto cambiata, Kurona. Cosa è successo? > Doanda, infine, senza mai scostare lo sguardo da quello di lei, incatenando le proprie iridi al di lei volto, fortemente interessato a quanto lei avrà da dirle in proposito, al punto tale da tralasciare due punti che gli preme molto chiarire. In primo luogo quali sono le notizie di cui questi uccellini le hanno cantato e, inoltre, perché sono interessate ad introdursi a Konoha. [ C on ]

19:13 Kurona:
  [Sequoia - Piedi] Cosa è successo? E' una domanda troppo aperta, richiederebbe una risposta assai lunga e del buon sakè ad accompagnarla. Gli occhi si socchiudono pigri, nello sguardo d'un maneki neko sornione tanto da lasciar intendere di non aver nessuna intenzione di tener il broncio al mondo, ma di lasciarselo scivolar addosso, come un buon kimono prima d'affogare nel tatami. Il Nara si scioglie, forse è la tensione che lo incorda prima di che Kurona si palesi per chi effettivamente è - invece di chi è diventata. Tant'è che usa il suo nome da nubile, piuttosto che da consorte di Yukio. Il capo s'abbassa diligente, lo saluta migia, posando ambo i palmi delle mani alla base del ventre ed incassando le spalle minute. < Una sorpresa è una sorpresa, Azrael. > Lo ammonisce, bonaria, per quanto lui l'abbia definita una sorpresa gradita. Gli occhi si serrano verso il villaggio della foglia - senza più alcun tempo per salutare lo Hyuga che per un breve periodo, è stato il miraggio abbandonato d'una normalità. Per quel che riguarda gli uccellini - oh beh, parliamo di Kurona che il potere, nel tempo, ha cercato sempre di prenderselo per le vie traverse dell'estrema conoscenza. Ora, più che un tempo, è una caotica figura posata. Nei suoi capelli. Nelle sue cicatrici. In quelle vene livide che risalgono il seno pizzicato dall'esser madre, oramai, molto più che donna, fino al collo. La giugulare. La vecchia iena che l'accompagna deve pur esser lì, da qualche parte, stanca ed assonnata per il viaggio. Ad ogni modo, flemmatica, si sposta - solo dopo averlo salutato con il dovuto rispetto - per incamminarsi in direzione di Konoha. <Cosa è successo?> A specchietto gli rivolge la domanda, aprendo gli occhi vermigli. Come testine di spillo, infami e persuasive, che s'infilano nella carne e tendono a scavare. Forse questa che si sono appena rivolti è la domanda del secolo, cosa è successo, a tutti? <La guerra.> E' una delle risposte, a quella domanda. <La gente> E' la seconda -e la mancina, ne tiene il conto. Infatti l'indice svetta piano, con l'unghietta che le sfiora il mento. La violenza. La smania. Tutto quello che per strada ha perso, come pollicino. Le labbra si schiudono, come se volesse dire ancora qualcosa, ma poi optano per serrarsi e stare zitta. Non cadiamo in vecchi, complicati, discorsi. <A te, che è successo? Anche il tuo volto è cambiato.> Come latte e miele, calda - la voce di chi non potrebbe mai prender collera. <Le rughe tra le tue sopracciglia sono più profonde. Ed i nervi ... > Lascia in sospeso, come se volesse lasciargli intendere senza dir nulla di presuntuoso. Eppure sembra una molla pronta a saltare. [Ck on]

16:20 Azrael:
 Cupa e silenziosa è la Foresta della Morte, capace di fa da perfetta cornice ad un incontro così inatteso e sorprendente. È proprio sul concetto di sorpresa che Kurona si sofferma, ribeccando il Tessai che si scopre sorridente come mai si sarebbe aspettatpo di poter essere in un momento come quello. < Allora ammettiamo che tu sia una sorpresa e basta, dunque un qualcosa che io detesto. Mi hai anche appena correto, un’altra cosa che io detesto. Sei proprio sicura di non essere venuta qui appositamente per morire, Kurona? > E’ una minaccia, certo, ma è anche palese il sottile modo di scherzare del Nara che, chiaramente, non sta facedo altro che stuzzicarla tanto quanto lei sta stuzzicando lui. Sempre meglio che essere così teso da rischiare un raptus d’ira se anche solo una brezza di vento dovesse soffiar più violenta tra le fronde. La guarda allontanarsi, voltarsi per rispondere alla propria domanda ed egli permane fermo, immobile, ma con le labbra incurvate in un sorrisetto divertito, un’espressione decisamente più rilassata, che gli distende i tratti sino a farlo sembrare quello di un tempo, prima che le cose dette ed eumerate dalla stessa Kokketsu avessero effetto su di lui. Sospira lungamente, passando la mancina tra i folti capelli neri, tirandoli all’indietro per far sì che ricadano, poi, di nuovo disordinati dinanzi al suo volto diafano. Le iridi d’onice si soffermano sulle esili dita della donna, risalendo poi sul volto, sulle labbra che articolano parole che soltanto dette da lei hanno il potere di sembrare veritiere, mentre proferite da chiunque altro risulterebbero unicamente ridicole. E poi, nuovamente agli occhi. Ne segue i movimenti, camminandole al fianco per ritrovarsi spalla contro spalla con lei, sebbene la differenza d’altezza li differenzi, col capo inclinato verso il basso per poterla scorgere meglio. Esile, sottile e fragile. Del tutto opposta a lui, alto, possente e minaccioso. È una dicotomia che ha sempre trovato estremamente interessante poiché è proprio nella maniera in cui i loro fisici ed i loro caratteri sono diametralmente opposti, che si valorizzano invece le somiglianze più piccole ed inisibili. Le dita affusolate e curate, le voci calde e melodiose, l’innegabile ascendente che caratterizza entrambi, il carisma. E l’enorme sofferenza che entrambi si trascinano dietro. In questo sono profondamente e tristemente simili. < Il tempo. > Risponde, scandendo quella parola e rendendosi conto da sé di quanto suioni amara. < Il ticchettio dell’orologio mi tormenta da sempre, si potrebbe dire. Più passa il tempo, più si aggiungono elementi a cui devo fare attenzione, responsabilità, errori altrui che rischiano di inficiare la sicurezza di ciò che amo. > La donna certamente non potrà comprendere in pieno il riferimento, ma davvero quell’assordante ‘tic tac’, lasciatogli da Kenbosho oramai più di quattro ani prima, lo abbia portato a riflettere su quanto in un solo istante possa scandire ben più della differenza tra giorno e notte. In un secondo muoiono e nascono persone. In un secondo iniziano e terminano guerre. In un secondo Azrael potrebbe perdere il controllo. Ed è proprio di questo che avrebbe bisogno, il controllo. < L’idea che il destino del mondo possa essere cambiato in peggio da persone inefficienti e poco dotate di intelletto mi disturba. Vorrei avere la possibilità di dominare su ogni cosa, quantomeno saprei sempre che va tutto bene. > E’ un discoso un po’ complesso, magari per alcune persona potrà persino parere inadatto ad un nija che, teoricamente, parteggia per i ‘buoni’. Ma Kurona non è mai stata così tanto superficiale, il Nara confida molto nella sua comprensione. < Cosa avete da fare a Konoha? Per entrare avete bisogno di un permesso, tanto vale chiederlo a me. > Termina, seguendola passo dopo passo, senza mai allontanarsi più della distanza che permetterebbe il passaggio di un sottile alito di vento. [ C on ]

17:05 Kurona:
 Il vento che scivola tra i capelli è tutto quello che rimane d'un estate che svanisce via, com'è giusto che sia. Sposta le prime ciocche che solitamente s'accostano alle guance di porcellana fino a rimescolarsi agli altri capelli, creando un fiotto bianco latte lungo la schiena. Lo lascia parlare semplicemente, spostando di tanto in tanto, le iridi sulla fiancata che alla fine lui decide di donarle, issandole per guardarne il profilo corrucciato. Alla fine il tempo tocca tutti, chi più chi meno, ed Azrael non ne è sicuramente esente. Eppure Kurona, nel suo culto d'amor per il bello, riesce senza sforzo alcuno a trovar qualcosa nel Nara d'apprezzare silenziosamente. Gli occhi, fiammelle opache di brace viva, si stirano piano, serafiche, proprio mentre un sorriso aleggia migio sulle labbra esangui. Le piega, delicata come un coccio di cristallo, andando andar lo spettro d'una risata sbuffata via dal petto quando lui le indica la giusta via della morte. E mentre cammina, il rintoccar di quel ticchettìo, è scandito dal ciondolare ubriaco dei fianchi, appena pizzicati di carne morbida ben stretta nei pantaloni che si porta addosso. Rigorosamente neri. La mancina scivola, mansueta, sbottona il colletto alto della camicia lasciando penzolare solo una catenella d'oro portante l'effige dei Kokketsu, suo clan madre; s'infossa, non appena i due bottoni vengono liberati, nella conchetta che collega la gola al petto, lasciandola libera da restrizioni. <Oh no, morire non è nei miei programmi. Non oggi, caro.> La voce appena arrochita dal tempo risulta comunque calda, femminile, sebbene sfregiata da un silenzio quasi costante- è chiaramente ironica mentre lo dice, tant'è che quel sorriso s'allarga, fino a mostrare una linea pallida di denti. E cammina, al suo fianco; sapesse Azrael quanto sente suo quel che sta dicendo, ma lei non lascia intender nulla - in espressioni quasi atarassiche quando il sorriso, convenzionale, si spegne sulle labbra lasciandoci un broncio da bambina. Come se non fosse mai veramente cresciuta, sotto certi versi. Come se l'amarezza della vita, in tutte quelle parole che hanno scandito, l'avesse colpita e ricolpita fino a lasciarla tramortita a terra. E allora, quando il Nara finisce di parlare, mentre i piedi calpestano il suolo dirigendosi altrove, lei issa la mancina a trovar nel portaoggetti il suo solito kiseru. Lo sfila, preme appena l'anulare nel bracere dove il tabacco umido stanza, pregno d'una sostanza dolciastra e ambrata. <Hai senza dubbio la possibilità di dominare su tutto quello che t'appartiene, non lasciar che gli altri ti facciano pensare il contrario.> Quando riapre bocca, a silenzio venuto meno, lo fa issando gli occhi per guardarlo. Lo scandisce, senza alcun remore di apparir invadente; non le importa semplicemente, è passato così tanto tempo da quando ogni cosa era un cruccio sulla sua fronte, che ora, anche se dovesse errare in qualche modo, diverrebbe qualcosa di passeggero. Qualcosa di totalmente irrilevante, per il suo palato raffinato. La linguetta passa sulle labbra che piano piano, prendono colore quando l'innata vien a mancare. Se prima la pelle era come marmo, venata di nero, ora affiora il pallore naturale. Ed il rosso ciliegia delle labbra. Lo fa per non spaventare nessuno, dovesse incrociare qualche buon anima, ovviamente. I capelli danzano come petali in primavera, voltando solamente il mento in sua direzione. < Non hai bisogno di titoli. Di mansioni. > Spiffera piano, come se fosse un segreto. < L'unico che può decidere la gradazione di controllo che può e deve avere, sei tu. Il resto è una deviazione mentale che ti sei imposto. > Le ciglia folte s'abbassano, come un gattino mansueto - o come una vipera pronta a saltare. Ma non fa' nulla, se non aprir un sorriso. La mancina s'allungerebbe, senza imposizioni, verso il mento del Nara. Tra pollice e la nocca dell'indice, neanche volesse issarlo su un piedistallo. E lei, sorniona come una statuetta del buddha, non farebbe altro che alzargli il mento. Un movimento fluido, flemmatico. <Un ninja del tuo rango.> Scandisce, come miele, fuori dalle labbra. <Non dovrebbe star al servizio di nessuno.> Tanta potenza, tanta capacità. Dovrebbe esser libera di far il buono ed il cattivo tempo, secondo i propri preconcetti. Fosse riuscita, lascerebbe andar il mento dell'altro - camminando, come prima, senza voler distanziarsi. Per rispetto. Il kiseru finalmente tra le labbra ne ovatta la voce e ne distorce le parole, atresì nitide. <Mhn.> Mugola, su quel che dovrebbero esser i convenevoli per cui è effettivamente approdata a Konoha. Lascia andar quel discorso, troppo ostruso per esser trattato con così tanta facilità - e getta un occhiata alle sue dita, cercando l'anello dell'Akatsuki. <Yukio convoca l'Akatsuki. Vi stavo cercando.> Preludio d'una zaffata dolciastra che le esce dalle labbra, densa come un fantasma. Se è tabacco, è sicuramente aromatizzato. Le pupille, pozze di petrolio, divengono il centro abissale d'una corona rossa. Dilatate. <Abbiamo saputo dei Bijuu, e io cercavo voi. Mentre le mie ragazze, cercano il Rikudo Sannin.> Abbassa le ciglia, distogliendo lo sguardo da lui per osservare la strada - < Ne parliamo davanti a del sakè? > [ck on][innata descrittiva: off]

17:57 Azrael:
 Le parole, si dice, se le porta via il vento. Questa dicitura, per come la pensa il Nara, non è propriamente corretta in questo caso. Le parole che stanno pronunciando i due, i fonemi che si susseguono formando significanti disparati e altalenando tra serietà e tagliente sarcasmo, non volano via, bensì tutto ciò resta sospeso tra di loro, avvolgendoli come fosse un drappo di leggerissima stoffa, trasparente. O il semplice fumo aromatizzato di un kiseru. Kuronaa non solo comprende il suo peculiare modo di scherzare, ma lo asseconda, proseguendo con battute altrettanto pungenti, che portano il Nara a scoprire la dentatura candida in un ennesimo sorriso, per poi smuovere appena le rosee sottili in un sussurro basso, roco. < Allora non farmi arrabbiare, non è l’autocontrollo ciò che mi ha reso famoso. > Si provocano e si minacciano, ma al tempo stesso camminano uno di fianco all’altro come fossero amici di vecchissima data il cui legame è stato persino più resistente dello scorrere di quel tempo tiranno cui il Tessai ha precedentemente fatto riferimento. Il suo volto non è affatto neutrale, si lascia anzi andare ad ogni singola emozione da lui provata. Non trova alcun motivo per cui dovrebbe celarle o trattenerle, dal momento in cui quel genere di discorsi, intrapresi con quel genere di persone, lo sa bene, sono la sua debolezza. Lo fanno sentire a casa, per certi versi. Lo hanno sempre fatto sentire compreso. Ed è una parte di lui tanto quanto lo è il suo piacere nel crescere le nuove leve della Foglia. Yin e Yango. Bianco e nero, due emisferi in cui non può non esserci anche solo una minima stilla dell’altro. I passi proseguono placidi, lo sguardo d’onice indugia soltanto per un istante sul cambiamento fisico della Kokketsu, le cui costrizioni date dai vestiti vengono gradualmente meno e la cui pelle torna al pallore brillante di cui era in possesso prima che lo stesso sangue nero ne infettasse la circolazione. Le sue attenzioni sono tutte per ciò che la donna ha da dire. Ella gli parla della libertà, di quella stessa libertà che Akendo stesso gli propose di inseguire e di raggiungere, quando entrò a far parte dell’Alba. La di lei mano si solleva per sfiorargli il mento e, nel momento stesso in cui ne sfiora la pelle, la macina del Tessai scatta verso l’alto, per cingerle il polso con le proprie dita. Così sottile, tanto da permettergli di chiuderlo completamente tra le falangi. Preme leggermente i polpastrelli sulla cute altrui, ma la lascia are. Le lascia sollevargli il viso, ma senza mai smettere i guardarla in viso, assottigliando lo sguardo e lasciando che un fiato sottile gli fugga dalle labbra. Non può ricordare, dato il sigillo che Akendo gli ha impresso, quello che i due hanno passato da un punto di vista personale. Non può rimembrare la loro amicizia e quel che ne è conseguito, ma il ricordo del rispetto che prova nei suoi riguardi è vivo e bruciante nella sua mente, tant’è che, se fino ad ora ha ascoltato in religioso silenzio, al nominare dell’organizzazione del Rikudo le pupille si dilatano e le labbra si contraggono appena. < Cos’è successo ad Akendo? > Non gli importa dei Bijuu, non gli importa del fatto che Yukio voglia riunire l’Alba, ma del possessore del Rinnegan gli importa in maniera viscerale, quasi istintiva. < Non sono più parte dell’Akatsuki. Ne conservo ancora le insegne come il mio più caro fra i ricordi, ma sono dovuto andar via. > Non ha rifiutato la prospettiva di riunire quella che, se consideriamo alcuni membri in particolare, è stata la sua famiglia per un importante lasso di tempo. < La minaccia dei Bijuu è grande, ma non così tanto da scomodarsi tanto. La mancanza del Rikudo Sennin è qualcosa che mi preme molto di più. > Prosegue nella camminata al di lei fianco, senza mai sbilanciarsi sull’accettare o rifiutare proposte di cui, chiaramente, ha bisogno di parlare con Kaori, su cui ha bisogno di riflettere attentamente. La destrorsa, tuttavia, si solleva sino ad arrivare innanzi al petto senza neanche che il Narea lo voglia, con la mano opposta che la raggiunge per accarezzare pigramente l’anulare destro, ove stanziava quello stesso anello che conserva in casa come fosse una reliquia. Per quanto riguarda il discorso che lo riguarda più personalmente, però, non ha ancora risposto e decide di farlo ora, anche per distogliere l’attenzione da quel gesto involontario. < Non avere nessuno che ha controllo su di te vorrà irrimediabilmente dire non poter controllare nessuno a tua volta. Ho servito la Foglia per molti anni e ora sono il suo fiore all’occhiello. Non ho bisogno di stare agli ordini di qualcuno perché sono loro ad aver mortalmente bisogno di me. > Chiosa, allungando la mancina a poggiarsi sulla spalla di Kurona, arrestandone il passo e quasi pretendendo che ella si giri per fronteggiare il suo sguardo d’onice. < Casa mia e del buon saké, ti alletta come proposta? > Conclude per terminare ogni discussione che non dovrebbe in alcun modo essere ascoltata da altrui orecchie e che, quindi, richiede certamente una maggiore riservatezza. [ C on ]

18:25 Kurona:
 In realtà le parole di Kurona non son semplici scintille lanciate al vento, non potrebbe mai aver lo spessore della carta pesta; un ninja come lo è Azrael, un ninja con tale potere e tal intelletto, è semplicemente pericoloso schierato ciecamente da un lato. Minerebbe ad una fragile stabilità tra male e bene, dove l'altalena danzante potrebbe pender in modo determinante da uno dei lati. E' qualcosa che non può succedere. Parole che lascerebbe voler via, come foglie in autunno, con la stessa identica pesantezza con cui lascerebbe volar via delle parole di convenevoli a fine o inizio giornata. Le palpebre intenzionate a mirar la fine del bosco della morte calano, spente, sugli ultimi alberi allungati ad adombrar il terriccio battuto della zona d'addestramento, tetri come scheletri che appaiono e scompaiono sotto un tempo che non sa' di niente. Ne dolce, ne' salato. E mentre le parole divengono spilli nella gola e fiori posati sul ventre, quasi si perde - avvertendo grave, la sua mano a fermargli il polso. S'arresta il passo, per mezzo attimo, come se vacillasse ad un contatto fisico non ben calcolato. Quasi si rompe, quella maschera di porcellana senza reazioni - ma dopo aver vacillato, tira fuoriosa le redini di un battito mancato - ma tuttavia inesistente. Torce solo il collo verso di lui, guardando la sua mano avvolta attorno al polso. Può sentirne gli sfregi, piccoli e sottili. E le vene, come corde d'arpa, che s'intrecciano ai nervi costantemente tesi. Tuttavia, non ci mette becco. Lo calcola, questo si? Mi trattiene per curiosità, mi trattiene per intolleranza? Quando gira gli occhi a privarne il contatto al nara, le labbra si posano morbide al boccaccio del kiseru, fedele compagno dell'illusionista. Tira, la brace scoppietta, mentre le parole di Azrael son la culla dove adagiarsi. Il giusto arazzo di fili da tirar al proprio telaio. Lei lo ascolta, silente, pizzicandosi il labbro tra gli incisivi in modo distratto. Fugace. < E se le persone iniziassero a seguirti perchè in te vedono il giusto messaggio? > Azzarda alle sue parole sulla libertà. Come se volesse camminar in punta di piedi attorno ad un falò danzante. Luminoso, colorato, caldo - ed al tempo stesso terribilmente pericoloso. < Dico, Azrael. > ... < E se non fosse come pensi tu? E se esistesse la possibilità di aver qualcuno sotto il tuo comando, solo perchè morirebbe per te? > Solo perchè ci crede. Solo perchè sei te. Solo perchè il carisma di Azrael, potrebbe portarlo ben più lontano di questo paese. Allora s'arresta - lo fronteggia come lui le impone. La spalla sotto la sua mano è minuta, ma regge il peso del rinculo imposto. E allora si volge verso di lui, lascia che lo sguardo d'un rosso vitreo gli danzi addosso. Come fuoco e carbone. Le ciglia si sollevano e -- < Ho capito. > Volubile, come un lenzuolo fresco che t'avvolgi attorno in mezz'estate. Il capo si china di lato, lasciando che lui riprenda fiato dopo le sue parole. Ma la destrosa, impegnata con il kiseru, s'abbassa sotto il mento e mansueta, si spingerebbe fino a far tintinnare l'anello contro il bracierino. Rumore metallico, improvviso, che attira una folata d'uccelletti che s'issano in volo spaventati. Lascia che lo stormo s'estingue per infilzar luciferini gli occhi nei suoi. < Questo posto ti sta comodo, mhn, Nara-san? > Gli ha fatto notare come stringe l'anello, e quasi fa pensare a nostalgia. A senso del dovere. < Il venerabile Rikudo sta bene. Ehf - > Sbuffa, mielosa, guardando lungo il tragitto < Del resto, ne parliamo a casa - prima che perdi il controllo quì in mezzo a tutti. > Lo prende bonariamente in giro, con mezzo sorriso sulle labbra, mentre lo seguirebbe. [fine primo tempo (?)]

Droppata(1)