La sera è calata sul Villaggio della Foglia ed è tempo di andare a dormire per tutti. In particolare, per Harumi, è il momento di chiudere gli occhi, di lasciarsi andare al caldo abraccio delle coperte, alle lusinghe di un Morfeo non particolarmente lusinghiero con lei. I sogni sono la voce dell’inconscio, l’espressione dei desideri, ma anche l’eco di ricordi lontani, sepolti nella memoria. Ed appena la piccola si troverà ad abbandonarsi al sonno, qualcosa non va come dovrebbe. I cassetti della memoria della piccola Principessa della Luna s’aprono, privi del controllo a cui sono sottoposti durante la veglia, per richiamare alla bambina suoni, odori, sensazioni di giorni passati, che non è in grado di raccogliere a sé in altri modi se non sognando. I colori della stanza in cui si trova sfumano verso il buio, le palpebre pesanti che calano sugli occhi la portano placidamente nell’oscurità più assoluta. Ed è in quel momento che una piccola lucea ad intermittenza le sfarfalla davanti, nelle più profonde tenebre. “Bip, bip, bip” Un suono familiare, che accompagna la comparsa ritmica e flebile di quella lucina bianca che brilla dietro le palpebre della bambina. Piccola, rannicchiata in un’incubatrice, ma non le è dato sapere in quali condizioni si trova. Il corpo è spento, privo di vita, tutto quello su cui può fare affidamento è quel suono costante, inarrestabile e continuo. Quella che lei potrà riconscere come la colonna sonora della propria infanzia. E non c’è molto altro se non quella lucina che danza al ritmo della sonorità di ciò che la tiene in vita, allo stesso ritmo del battito di un cuore. Incapace di muoversi, di agire o interagire con l’esterno. Persa nel nulla e nel vuoto come se stesse fluttuando in assenza di gravità, ma rinchiusa in una bara di vetro da cui le è impossibile uscire. Libera e, al tempo stesso, prigioniera inconsapevole. Non una voce, non una presenza, unicamente il rassicurante suono della macchina che monitora il suo battito cardiaco e quelle luci, con cui, pur essendo costretta a tener gli occhi chiusi, può identificare il mondo, vederlo sotto la propria personalissima prospettiva. [ Ambient per Harumi ]
Bip, bip, bip. Se per alcuni può risultare fastidioso il ripetersi incessante sempre dello stesso suono per te che sei abituata, che sotto sotto sai che da quel suono dipende la tua stessa esistenza, è confortante. Ti accompagna, ti culla e ti tiene compagnia. Sei con qualcuno, anche se nessuno è lì. Ci sono i tuoi tanto amati colori a renderti felice, a farti sentire come caldamente abbracciata. Ed è tutto così rilassante, così premuroso è quel flebile suono che si ripete ancora e ancora e ancora. Almeno finché qualcuno non si muove, aggiungendo colori confsionarti e caotici a quella lenta e cadenzata danza. Una porta che si apre. Uuna porta pesante, di metallo. L’hai già sentita altre volte, ma questa volta in particolare è aperta con maggiore violenza, come se la mano che la stesse spingendo fosse mossa da un’emozione che, adesso che riesci a decodificare qualcosa in più sul mondo esterno, riesci a riconoscere come rabbia. Non puoi vedere, ma i colori ti aiutano a capire cosa sta accadendo, ti aiutano a vedere, benché tu sia momentaneamente cieca ed inconsapevole. Delle persone entrano. I suoni dei loro passi. Li senti a coppie. Due coppie di passi camminano normalmente, mentre uno sembra star venendo trascinato. Un corpo viene lanciato via, dall’altra parte della stanza ed il portone si richiude. Senti un pianto sommesso, rassegnato che ti raggiunge le orecchie immediatamente. Poi un tocco, sulla tua bara di vetro. Un toco leggero, che si tradurrà come tante piccole scintille di colore che ti accarezzeranno la pelle in maniera quasi paterna. E la sua voce, la voce che hai già sentito, il tuo adulatore, colui che ti ha identificato col nome con cui adesso ti fai chiamare. < Mia principessa… Dormito bene? > Ti domanda, il suo tono adulto può lasciarti intendere, ora che hai più esperienze chiuse nei cassettini della tua mente, che si avvicina alla quarantina. È più adulta di quella di Kaori, di Azrael, di Raoku. E accarezza la piccola teca di vetro in cui sei rinchiusa, mentre passi, urti e l’aumentare di quel sommesso pianto riempiono la stanza. [ Ambient per Harumi ]
Quella mano continua ad accarezzare il tuo piccolo guscio. Un fruscio causato dallo sfrugare delle rachitiche dita dell’uomo contro il vetro, che viene coadiuvato con delle parole, stavolta non rivolte a te. < Uccidilo. Davanti alla nostra Principessa. Sacrifica questo sacco di carne alla Luna. > Sembra ordinare a colui che è entrato in stanza con lui e quel che ne segue colorerà tutto l’ambiente di un rosso scarlatto ed acceso. Il suono di una lama che viene sguainata, delle urla di dolore e, poi, il silenzio più assoluto.non perché tu lo abbia mai effettivamente sentito anni fa, ma per le nuove esperienze che hai fatto ti sembrerà di distinguere un qualcosa di diverso dai soliti colori. Un odore. Il metallico e ferroso odore del sangue che fuoriesce a sprazzi cremisi dalle vene di colui che ha urlato e si disperde sul pavimento. Un insieme di ricordi ed esperienze che ti permettono di dare sempre più forma ad essi. Puoi comprendere che quel che sta accadendo è profondamente sbagliato. Che qualcuno è appena morto nella stessa stanza in cui sei rinchiusa e che quell’uomo sta continuando ad accarezzarti. < Mia Principessa, quanto vorrei che tu potessi gioire di questo sacrificio. > Ti dice l’uomo, riprendendo a parlarti, ad adularti, informandoti che quella persona è morta per te e solo per te, senza che tu lo volessi davvero. Ed i tentativi che fai per muoverti, per aprire gli occhi paiono non servire a nulla, ancora una volta. Quel di cui ti accorgi è che il ritmico suono che accompagna le tue giornate diventa più rapido, più intenso ed insistente. Bip, bip, bip. Il tuo cuore pare rispondere alle emozioni che stai provando, accompagnato dal familiare suono del macchinario che ti tiene in vita. < Ti piace, vero? > Ti domanda ancora l’uomo, appoggiando anche l’altra mano al vetro, continuando quel lento accarezzarti attraverso il vetro < Lo faremo ancora e ancora. E per renderti ancora più felice ora voterò davanti a te questo ragazzo a te, mia Principessa. > Termina, allontanando finalmente le mani da quel guscio, per muoversi chissà dove, forse in attesa di un assenso che non puoi dargli, ella tua posizione di impotenza e sonno che pare non volerti abbandonare. [ Ambient per Harumi ]
L’uomo non perde particolare tempo a farti sapere cosa potesse intendere. Non parla molto, ti lascia solo immaginare cosa sta accadendo. Ed intanto puoi comprendere che è in quel guscio che è nato tutto. La tua impossibilità di esprimerti correttamente, forse persino la tua insensibilità al dolore. La tua ignoranza nel mondo esterno, i tuoi incubi e la tua confusione. È tutto chiuso lì, in quel guscio. Ma tu non sei insensibile. Il suono della macchina ti aiuta a capire che le tue emozioni sono reali. Che il tuo cuore risponde alle tue stesse emozioni battendo più velocemente o più lentamente. È tutto reale e ti appartiene, come appartiene ad ogni sigolo essere umano. Ed è mentre queste considerazioni ti assalgono che senti una persona inginocchiarsi e l’uomo che ti ha sempre affascinato ed inquietato cominciare la propria omelia. < In nome della Luna io ti accolgo nella famiglia. Sotto il nome di Tsukuyomi, sotto gli occhi della Principessa io ti benedico. > E dopo queste poche e semplici parole ti pare di sentire qualcosa di alquanto strano, come pezzi di un puzzle da mettere in ordine. Lo scalpitio di un fuoco che si accende, qualcosa che viene scaldato ed un sonoro urlo di dolore, seguito da una risata sguaiata da parte di quell’uomo che chissà cosa sta facendo a due passi da te, bloccata nel tuo piccolo e stretto guscio. Odore di bruciato, odore di carne bruciata, per la precisione. Qualcosa che viene scaldato fino a fondere. < La Luna tornerà a splendere, mia Principessa. > E’ a te che torna a rivolgersi l’uomo, lasciando qualunque cosa stia facendo per tornare ad accarezzarti con maggiore insistenza. Puoi persino sentirlo tremare di chissà quale emozione mentre strofina le proprie dita contro il vetro in maniera a dir poco maniacale. < Quando sarai pronta, mia Principessa, diverrai la regina perché la Regina stessa entrerà in te. Sono così emozionato. Il momento giungerà presto. > [ Ambient per Harumi ]
La notte avanza ed il tuo corpicino è ancora avvolto tra le coperte, mentre la tua mente è intrappolata in quel guscio di vetro. Non è, tuttavia, la realtà. Quello è solo un sogno. Un ricordo confuso, forse mai accaduto realmente, forse la tua mente sta soltanto mettendo insieme dei pezzi confusi di quel periodo passato nella più totale insensibilità con l’esterno, ricollegandoli e riconfigurandoli attraverso le nuove esperienze fatte. Quelle esperienze ti stanno rendendo umana, viva, non un oggetto nelle mani dell’uomo che ti ha creata e che ti sta idolatrando. Ma lui non sta adorando te, Harumi, no. Sta idolatrando la sua divinità. Sta ammirando la sua creazione, atta ai suoi scopi. Non è te che adora, è solo ed unicamente se stesso ed il lavoro che sta compiendo utilizzandoti come oggetto. È questo quel che riesci a percepire dalle sue parole. Ed infine, data la tua forza di volontà, la tua piccola figura riesce ad aprire gli occhi per vedere una singola immagine sfumata. Il bianco accecnte delle pareti, l’uomo che sta accarezzando il tuo guscio non è altro che una sagoma nera dai tratti indistinti, ma quel che vedi è il ragazzo. Colui che ha urlato, che è stato marchiato. Non ne riconosci nessun dettaglio in particolare se non uno soltanto, quello che potrebbe aiutarti a ricollegare tutto quel che hai sentito fino ad ora. Quel ragazzo non ha più un volto. È una figura nera, un insieme di ombre, privo di un viso proprio. Al posto del suo volto, di quello che un tempo era il volto di un essere umano v’è una mezzaluna. Ancora qualche alito di fumo si libera dal punto in cui essa s’attacca alla carne sottostante. Gli copre quasi la totalità della faccia, impedendoti di vedere i pochi altri lembi scoperti, ma lasciando abbastanza vivida in te soltanto l’immagine di quel freddo gesso bianco a forma di mezzaluna che, da adesso, è la sua nuova identità. Un soldato in un esercito. E prima che tu possa far qualcosa, guardarti altrove, ti ritroverai catapultata alla realtà. Sveglia, sudata, le lenzuola sfatte da movimenti inconsulti compiuti durante il sonno, frutto dei tuoi sforzi nel muoverti da quell’universo onirico che ti ha appena respinta. E non sai se è successo davvero, se è solo un insieme raffazzonato di ricordi, se qualcosa nel tuo cervello sta cercando di dirti qualcosa. Quel che sai è che non è tutto frutto della tua immaginazione e ti ha lasciato un segno piuttosto indelebile, seppur non visibile: quelle mani. La sensazione di quelle mani che ti toccano, senza che tu possa fermarle resterà lì ancora per un po’, finché non sorgerà nuovamente il Sole, dandoti l’ineluttabile sensazione che tutto ciò che hai appena vissuto non è poi così distante dalla realtà che ha segnato il tuo passato. [ end ]