Giocata del 31/07/2018 dalle 00:42 alle 02:20 nella chat "Ospedale Distrutto [Kusa]"
[Recupero e Riabilitazione. Stanza] Da parecchi giorni ormai si è risvegliato in quel letto di ospedale. Le bende ancora coprono la maggior parte del suo corpo, soprattutto nel lato sinistro dello stesso. L'abilità del personale medico è stata superba nel rimetterlo in sesto. Tutte le ossa che erano rotte ora sono salde. I muscoli lacerati o stirati ora sono perfettamente funzinanti anche se, data la lunga degenza e le condizioni di arrivo, molto deperiti. Appoggiato alle stampelle che gli sono state date, insieme al consiglio di non muoversi se non per esigenze estreme, Komosinar si alza lentamente dal proprio letto guardando già verso la finestra. I movimenti sono lenti. L'espressione sul suo viso è palesemente sofferente, accentuata da quel pallore naturale che comprende anche i capelli così come le sopracciglia e le ciglia stesse. Gli occhi celesti sembrano voler uscire dalle orbite, scavate dallo stato di malessere ma testimoni di un precedente stato di forza. Una volta in piedi il degente barcolla. Le stampelle premono contro le ascelle. Le gambe vacillano nel tentativo di cercare un equilibrio. Qualche secondo di paura in cui le palpebre massimizzano la propria apertura. La stabilità, e poi, il respiro che torna regolare. [Recupero e Riabilitazione. Stanza] Qualche profondo respiro mentre saggia la resistenza delle proprie gambe e quindi ecco che, spostando la stampella destra in avanti, cerca di far seguire a quella la gamba omolaterale. La veste bianca dell'ospedale che lo ammanta lasciando scoperta solo una sottile striscia sulla schiena - striscia che solo i più attenti potranno vedere considerato il pallore generale della pelle del giovane uomo - si sposterà ondeggiando ed accarezzando il corpo nudo di lui sotto di essa. Un profondo respiro e, quindi, un altro movimento del supporto, questa volta il sinistro, anch'esso seguito dalla gamba nello stesso lato. Sembra ancora difficile. La mascella si serra ingrossando la debole muscolatura ai lati della stessa. Uno sbuffo esce dal naso ma quello sguardo celeste come il ghiaccio continua a fissare il vuoto oltre quel vetro. Un altro passo. Ancora una volta si spinge più in là, guadagnandosi mezzo metro per volta. Uno sbuffo di vento. I vetri traballano un poco, solo un leggero fremito. Una foglia che sbatte contro la finestra. Un leggero sussulto. è tutto apposto...
[[Recupero e Riabilitazione. Stanza]] Che diavolo... è successo... Komo?..> si domanda ora con un filo di voce continuando a portare lo sguardo celeste fuori da quella finestra. Un altro movimento della stampella, ancora la destra, seguita dalla gamba omolaterale e, quindi, la stessa operazione per le mancine. Giunto finalmente alla finestra avvicina il proprio volto fino quasi a toccare il vetro con il naso. Un leggero sbuffo andrà a disegnare un cerchio apannato sulla lastra altrimenti trasparente. <come sono arrivato qui?> di nuovo con quel filo di voce si porge un nuovo interrogativo abbassando poi lo sguardo per controllare le proprie mani, tremanti ed instabili su quelle stampelle <guarda... le mie mani...>. Chiude gli occhi per qualche istante. Le ciglia si inumidiscono appena e poi, lentamente, si riaprono. Lo sguardo torna alla finestra, quindi al cielo <perché questo male...> domanda al cielo. Ancora una volta una folata di vento. Ancora una volta una foglia batte sul vetro ma, a differenza della precedente, non lo coglie di sorpresa e, anzi, sembra lasciarlo impassibile. [[Recupero e Riabilitazione. Stanza]] Rimane su quel vetro per qualche secondo, sospinta e schiacciata dal vento che, poi, cambiando improvvisamente direzione, la caccia da lì. Lo sguardo celeste si sposta su di ella, seguendola pigramente per qualche istante fino a quando questa non scompare. Dietro di lei la luna crescente.
<La Luna...> soffia piano
<la foglia...> aggiunge. Il tremore delle mani si fa sempre più forte. Lo sguardo celeste nuovamente si abbassa su di loro e, quindi, cerca di voltarsi per quanto gli è concesso in cerca dell'appoggio più vicino. La stampella destra si sposta leggermente indietro mentre il peso passa sulla mancina. Ancora uno spostamento della destra in una rotazione che vorrebbe vederlo con il fianco omolaterale in direzione di quel letto che da soli pochi secondi ha abbandonato. Per la terza volta ancora quella stampella si muove. I piedi vacillano. La stabilità con loro. Un movimento quasi rapido e, a giudicare dall'espressione, doloroso della gamba sinistra per mantenere l'equilibrio.
<dann...> un esclamazione soffocata di dolore. Stabilità. Tutto è ancora fermo.
[[Recupero e Riabilitazione. Stanza]] Per la quarta volta quella stampella si muove e, finalmente, il letto si trova nuovamente di fronte a Komosinar. Un leggero passo con la mancina, poi l'altra gamba raggiunge e, finalmente, le stampelle vengono abbandonate lasciando che si appoggino al letto così come il loro utilizzatore che, letteralmente, si accascia su di esso cadendo di faccia. La vita appoggiata al lato del letto stesso. Le ginocchia che puntano verso terra senza però toccare il suolo formando, invece, un angolo che permetterà alle sole punte dei piedi di avere contatto con il suolo. Il respiro ancora si fa affannato. Lacrime furtive questa volta riescono ad evadere dalle scavate orbile e, anche se solo per qualche goccia, riescono a bagnare il copriletto.
< perché... io non ricordo... perché...> sentenzia, quasi volesse convincere se stesso. Le mani, dopo quei pochi secondi di riposo, tentano ancora di sollevarsi cercando la parte opposta del giaciglio. Si aggrappano al copriletto con tutta la forza che hanno, riuscendo però a mala pena a stropicciarlo.
<Komoooo...> ripete la prima parte del proprio nome o, forse, del nome di qualcun'altro...
[Recupero e Riabilitazione. Stanza] Ancora una volta qualche secondo è necessario affinché si passi alla fase successiva che, per qualsiasi altra persona sana, sarebbe stata normale. Con un minimo di sforzo, le gambe ora si piegano avvicinandosi ancora un po' al letto, spingendo via le lenzuola e facendole frusciare contro la veste che, a sua volta, fruscia contro le bende che ancora sono presenti sulle gambe. Posizionate per bene le punte dei piedi a terra, il paziente impaziente spinge con la forza che gli rimane facendosi scivolare sul letto. La tunica si tende premendogli sul collo nella parte posteriore ed allargando la scollatura - quasi inesistente - sul davanti. I lacci che tengono chiusa quella veste da ospedale si tendono ma, a quanto pare, reggono. Ora che anche il bacino si trova su quel letto, egli rotola appena per mettersi a pancia sopra. Qualche respiro profondo denota lo sforzo fatto per arrivare a quella posizione, oltre allo stato di sconforto nel quale si trova. Ancora qualche movimento per nulla aggraziato e, quindi, eccolo parallelo all'asse del letto. Le coperte sotto di lui completamente sgualcite. Le ciabatte ancora ai piedi. Le braccia e le mani tremanti per lo sforzo di stare sulle stampelle. [Recupero e Riabilitazione. Stanza] Il respiro torna a regolarizzarsi. Piano piano i piedi si muovono andando a scalzare le ciabatte che sono rimaste calzate mentre saliva sgraziatamente sul letto. Un tonfo. Due. Ciabatte a terra e, con qualche movimento delle mani, ecco che anche le lenzuola vengono recuperate insieme al copriletto che, tutto sgualcito, presto tornerà a fare la sua funzione. Trasciando i tesuti dalla propria destra verso la sinistra, lentamente, il paziente tenta quindi di coprirsi. Gli occhi celestti iniziano ad arrossarsi. Quella breve veglia notturna sembra già voler volgere al termine. <eppure non ricordo... il perché... di questo dolore> afferma ancora una volta con un filo di voce, guardando il soffitto mentre la luce della luna continua ad entrare nella stanza, riflettendo sulle candide lenzuola e sulla sua pelle diafana. La testa si volge ancora una volta alla finestra. Di fronte ai suoi occhi le stampelle malamente appoggiate al letto ed il vetro da cui entra quella luce. Sullo sfondo quella luna crescente. <non voglio più questo dolore> direbbe di nuovo perdendosi con lo sguardo verso il cielo e, lentamente, addormentandosi. // END