Le palpebre andrebbero a calare e, in pochi istanti, l’abbraccio di Morfeo ti accoglie al suo interno, dove, inizialmente, il buio attanaglia la tua mente e la tua vista, avanti la quale, dal nulla più assoluto, andrebbero a palesarsi dei soffici e fragili petali rosati, di ciliegio, che lentamente andrebbero a ricoprire uno spazio non ben definito, un tappeto rosato dove i passi sarebbero gioiosi e ovattati, se solo tu possa camminare. Ti senti bloccato, ti senti impossibilitato a poter muovere un solo muscolo, divenendo un infausto spettatore di quello spettacolo a cui non puoi sottrarti. Lentamente la tua visuale andrebbe ad aumentare, riuscendo, con la vista periferica, ad identificare dei ciliegi in fiore, alti circa due metri dalle ampie chiome che, sottoposte alla leggera brezza, andrebbero a rilasciar quei petali come fossero figli troppo maturi per aver diritti su di loro, cadendo ad un ritmo particolare, cadenzato, che sol quando una melodia comincia, melliflua, a sollevarsi potrai riconoscere quella melodia che per lunghi giorni ha accompagnato la maledizione che attanagliava la tua anima, la tua arte, la tua fantasia…imperfetta.
La musica continuerebbe, lenta, in una sorta di mantra, quasi questo mondo volesse metterti a tuo agio. I tuoi tentativi di muoverti andrebbero ad esser nulli, ma ciò non ti scoraggia, anzi, ti rende solo in grado di osservar cosa andrebbe a succeder in seguito: Una figura di violacea, seduta sullo sgabellino apposito del pianoforte, andrebbe a suonar, sapientemente, la melodia rieccheggiante nella zona. Il suo aspetto, anche se indefinito, andrebbe a raffigurar una sagoma di un ragazzo snello, dai capelli disordinati e spettinati, che cadono, quasi, sulle spalle, solleticandole ad ogni movimento degli arti superiori. Altre figure andrebbero ad esser, ormai, presenti: una femminile, alta circa un metro e settanta, lunghi capelli, silhouette delicata ed esile, la quale, formata da una energia di smeraldin fattura, andrebbe a muoversi, in un walzer viennese, con un giovane alto circa un metro e ottanta, dalla muscolatura asciutta, o almeno così lo si capisce dalla sola sagoma, il quale, magistralmente, come la figura con cui è impegnato nella danza, andrebbe a muoversi con la sua energia nero-petrolio, come se queste due figure fossero impegnate in una relazione sentimentale, come se un amore inscindibile fosse presente tra le due figure, come se un filo tiene in vita i loro due cuori facendo basare il battito dell'uno con il moto dell'altro. Queste figure, però, non sarebbero le sole. Altre figure, ma mano, giungendo dall'aldilà degli arbusti, andrebbero, congiungendosi, a danzare. Decine di figure maschili, dall'aspetto impreciso, dai tratti generici, andrebbero a congiungersi e cominciar una danza con altrettante figure femminili, anch'esse indistinte, dotate, però, di ampie e lunghe gonne, unica caratteristica che può diversificare i due generi, entrambi composti da pura energia bianca, lucente, legate, l'una all'altro, come per lo stesso sentimento dei due etero-cromatici ballerini.
Il ballo continuerebbe per un tempo indefinito, secondi, minuti, ore...non lo sai ma la pesantezza di quel loop infinito andrebbe, infine, a perdere alcuni fattori: la musica andrebbe a distorcersi, in cui alcune note andrebbero ad esser sbagliate, altri andrebbero ad esser suonate con una tonalità diversa. Poi tutto accade improvvisamente. Le figure bianche, lentamente, vanno, dai piedi al capo, a divenire rosse, come se dei fogli di carta stessero assorbendo del sangue presente sul pavimento e, una volta divenutene sature, andrebbero ad esplodere nella suddetta sostanza, sporcando, data la posizione e il numero delle figure, ogni singolo petalo di rosso, non formando immagini raccapriccianti, non palesando un lago di cremisi liquido...semplicemente vi sarebbe un cambiamento cromatico della scena, e non solo. La figura viola, il pianista, andrebbe a mutare, come la musica, rendendosi sempre più scura, più tetra. Il violaceo andrebbe a scurirsi, nelle tonalità di viola, fino a divenire completamente nera. La sua figura andrebbe a modificarsi, assumendo sembianze femminee, dal décolleté prosperoso, ma ricadendo nella media standard, così come i fianchi e la vita, leggermente più sottile. I dettagli non sarebbero visibili fino a quando non si alzerebbe dalla seduta e comincerebbe un lento incedere. Tacchi neri con un tacco alto circa cinque centimetri, indossati alle estremità di lunghe gambe spoglie ed intraviste dallo spacco presente sulla destra della lunga gonna di quel vestito pece. Questo è un vestito intero, che andrebbe a ricoprirla dalla scollatura, orizzontale, che andrebbe a coprire le forme e sarebbe principio di lunghe maniche, che aderiscono i lunghi arti superiori, troncate ai polsi, dove affusolate e nivee mani andrebbero a palesarsi, aggraziate e delicate, decorate unicamente da dello smalto cremisi sulle lunghe unghie. Cremisi come la capigliatura, lunga e cadente sulle spalle e schiena, spoglia ma non visibile dalla tua posizione e...gli occhi. Rossi come rubini, freddi come il ghiaccio, ma che cercano di comunicare, cercano di esprimere un concetto che non provien dalle rosee, le quali, come tutto il viso, fatta eccezione, appunto, per gli occhi, sarebbe coperto da un velo nero, che, con la poca trasparenza, può dar sfoggio solo della sagoma del viso, ma non dei suoi particolari. Il suddetto sarebbe ricamato con un tema particolare e costante: lungi e sottilissimi rametti verticali, dove trovano ospitalità foglioline e farfalle. I suoi passi continuano, sicuri, sfoggiando una classe forse superiore a quella della tua principessa, fino a trovare a passare tra le uniche due figure rimaste, le uniche colorate. Durante quel cammino un solo gesto verrebbe svolto: gli arti superiori andrebbero ad esser divaricati proprio mentre passerebbe tra quelle figure e, al minimo contatto, queste andrebbero a esplodere in sangue, l'una con un getto verso le proprie spalle, fermandosi, infine, al loro posto, come se stesse aspettando un tuo avvicinamento, come se volesse metterti alla prova...
Tutto è divenuto rosso, tutto è divenuto un inferno senza grazia, senza arte, in un pavimento di vermigli petali dove non hai la capacità di deambulare, dove i tuoi piedi non osano varcare una invisibile barriera. Caduto sulle ginocchia, dove le tue urla possono avere effetto solo su di te, la femminea figura riprenderebbe il suo incedere, lento, fiero, dove gli arti superiori andrebbe, lentamente, a pendolare ad ogni suo passo, come i capelli, ondeggianti, anch'essi, ad ogni suo movimento. I passi continuerebbe, avvicinandosi sempre più alla tua posizione, fino a giungere a circa un metro da te, ormai inginocchiato. Lei ti guarderebbe dall'alto in basso, con i suoi occhi cremisi, ma più dolci, più empatici, mentre andrebbe, anch'essa, ad inginocchiarsi, portando il suo fondo-schiena sull'insenatura tra polpacci e talloni. Messasi in tale posizione, andrebbe, a portare la mano sinistra sotto il velo, probabilmente all'altezza della bocca e, una volta che la svelasse nuovamente, il pollice andrebbe ad essere sporco di sangue, con un piccolo taglio lungo il sopracitato polpastrello, per poi avvicinarlo al tuo viso, dove una carezza andrebbe a esserti donata, sporcandoti il visino con una lunga linea che porta fine al tuo incubo, le cui uniche scene rimanenti sarebbero la 'evaporazione' di tutto, tranne di quei due corpi cromatici, i quli andrebbero si a sparire, ma grazie una disgregazione in un infinito fluire di farfalle e...gli occhi si aprirebbero. Ti trovi, nuovamente, nel tuo letto, indossando il tuo candido pigiama, le rosse lenzuola e...una sensazione di umidità, una goccia calda che scivola giù verso lo zigomo destro, una goccia rossa, calda e...reale.[end]