Risveglio

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21:48 Karitama:
 Una figura esile e smagrita, una camicia sporca di colore a tempera e un pantalone nero consumato sulle ginocchia. Fogli, spartiti e matite sembrano aver invaso quella che forse tempo fa era la camera di Karitama Ishiba. Quel pianoforte, che non ha smesso di far vibrare le sue corde per un tempo tanto lungo quanto rapido, finalmente tace al centro di quel cumulo di tentativi falliti. <…13,14,15…> solo la voce dell’Ishiba sarebbe udibile nell’aria della casa, flebile dietro la porta di ciliegio. Sulla destra il pianoforte, alla sua sinistra una pila di piatti sporchi, segno di una segregazione volontaria all’interno di quelle quattro mura in preda al caos, e lui al centro, porgendo le spalle alla porta, con le gambe a formare un perfetto incrocio sulla carta che cela il pavimento legnoso e freddo, intento a contare quei pezzi di ceramica azzurrina con un sorriso compiaciuto. <… 46. Sono davvero 23 giorni che non esco?!> esclamerebbe divertito da quella visione, di cui solo ora sembrerebbe interessarsi davvero, e con un tono in realtà non troppo stupito o scosso. Lasciando cadere le stanche spalle verso il suolo e posandosi con ben poca grazia su quei frammenti cartacei scroscianti sotto il peso del corpo sfinito, ora è finalmente libero di riposare. Un prigioniero, ecco cosa era diventato quell’artista maledetto dalla sua stessa arte. Maledetto dalla ricerca di qualcosa di vano e probabilmente frutto solamente di una fervida immaginazione. Sotto le palpebre pesanti e segnate da notti insonni, cadrebbe ora in un sonno terapeutico cullato dal suono delle corde, scosse da martelletti stanchi, che ancora invadono le sue spossate membra, e ora anche i sogni.

21:48 Kaime:
 Finestra, una finestra rivolta verso il nulla…questo è quello che si palesa alla vista della giovane ballerina, la quale, come giorni innumerabili, andrebbe a poggiar i gomiti di entrambi gli arti superiori sopra il davanzale della finestra della propria stanza. Occhi che si specchiano nella riflettente superficie vitrea, ma spenti tendenti più all’ocra che al solito dorato, mentre i capelli, lisci e setosi, andrebbero a ricadere lungo schiena e spalle della sarta, andando ad incorniciare quel niveo ed angelico viso, tenuto dritto solo mediante le mani, poste al mento, mentre le dita andrebbero a catturare le guance corrispondenti. Non ha mangiato, non ha bevuto…non ha vissuto quest’oggi, non avendo missioni, non avendo impegni e…non avendo vita, in quanto questa era dietro una porta da lei invalicabile, chiusa per lei come può essere chiusa quella del paradiso, al quale non è capace di ascendere. Il piccolo Shiro sarebbe posto sul letto, acciambellato e con il musetto posto sotto le zampine, dormiente e annoiato per la mancanza di attenzione da parte della padroncina. Non indossa nulla di molto elegante, solo una maglia a maniche lunghe con un tema a righe orizzontali, dal color alternato rosa e crema, larga sul collo, mostrando fino all’inizio di entrambe le spalle, ma accollata sul davanti, mentre le maniche, molto lunghe, darebbero via di fuga alle sole falangi. Le gambe son legate in un aderente jeans blu notte, ove nessun taglio o strappo sarebbe presente. Piedi scalzi e calze bianche che van nascondendosi all’interno del vestiario. La sedia ove ella è posta si trova con lo schienale rivolto verso la sua sinistra, mentre le leve inferiori son poste quasi a formar una ‘x’, puntando solo le punte dei piedi al suolo, in quella posizione che in questo momento non le porta felicità, non le porta soddisfazione, non le porta vita…e ogni secondo, scandito da quell’orologio appeso al muro , è eterno…è logorante.

21:50 Karitama:
 Oscurità, vuoto, silenzio. In pochi secondi le note della sua nuova opera lo cullerebbero nel piano onirico, luci e figure variopinte danzano sulla melodia che tanto aveva ricercato e tra queste ne sembra distinguere due più familiari muoversi in quello che, dal canto suo, percepisce come un bosco di ciliegi in fiore al chiar di luna. Nel roseo prato, ricoperto dal manto di quelle chiome smosse dalla brezza, danzerebbero un esile figura smeraldina e una slanciata figura corvina. Ne distinguerebbe solo l’accennata forma e le chiome animate da quel calmo ma incessante moto vorticoso e surreale. D’improvviso nella folla ne noterebbe una terza, più dettagliata e seduta ad un pianoforte nero come la pece al centro della folla. Il lungo crine cremisi scenderebbe come sangue sulle spalle scoperte. La carnagione diafana sarebbe completamente fasciata dal seno un giù con un vestito nero come il piano, lungo oltremisura e strascicato al suolo. Karitama distinguerebbe solamente questo. Il volto, coperto da un velo nero, andrebbe ad alzarsi per incrociare gli occhi cremisi, lasciati trasparire luminosi sotto il tessuto pece. Un lago sangue vermiglio andrebbe a fuoriuscire da sotto di lei. Il prato in pochi istanti diverrebbe solamente una distesa di nulla rosso e le figure danzanti finirebbero accasciate a terra per poi disperdersi come cenere. Una nota discordante, un sussulto, un grido soffocato in gola romperebbe il silenzio della sala e ancora una volta il sonno dell’artista. Balzando in piedi correrebbe verso la porta in ciliegio. Per la prima volta quel demone aveva attaccato anche altri. In quel mondo si trovava anche la sua principessa. Nei sogni fino a quel momento erano stati solo loro… perché anche Kaime stavolta? Raggiungendo la porta agguanterebbe con forza il pomello argenteo andando a girarlo e a uscire. Il rumore della porta risuonerebbe nella casa, e un grido riecheggerebbe forte: <KAIME>.

21:51 Kaime:
 Le ore passano e l’amorevole madre più di una volta è andata ad accettarsi della salure della figlia, preoccupata per il suo fare, ma ormai abituata. Quella mancanza, quell’astinenza la sta lentamente facendo ricadere in un vortice oscuro…non come quello da cui è riuscita ad uscire, ma un vortice più subdolo, in cui lei non riesce a capire nemmeno cosa stia succedendo, figuriamoci come rimediare. Nuovamente quelle nocche che van a bussare a quello stipite, con un tocco gentile, delicato, proveniente da una madre che mai si potrebbe credere essere una formidabile shinobi, ma, proprio durate quel bussare, quell’urlo, quello straziante grido, come un tuono che preannuncia un temporale, un vaggito disperato che compie un bambino alla ricerca di ossigeno…come Lucifero in caduta libera, piangendo per aver deluso il suo amato. Non vi son rumori, se non il riverbero di quell’urlo, che si ripete infinitamente in un tempo tanto minuto che nemmeno un cronometro potrebbe scandire, non vi son ragionamenti, non vi son pensieri…vi è solo adrenalina, un’adrenalina che porterebbe il cuore a battere caoticamente e ad una velocità innaturale, quansi da farle sentir dolore, occhi che si spalancano e mani che, distaccatesi dal viso, andrebbero a far leva sul marmo del davanzale, così da darsi la spinta in uno scatto che, senza l’utilizzo del chakra, sarebbe molto più goffo. Le leve non avrebbe la forza giusta per compiere una corsa ad una velocità già così elevata, tanto da farla quasi cadere, se non fosse per l’arto superiore sinistro che, postosi a terra, darebbe un’ulteriore spinta a quella corsa, che quasi andrebbe ad investire la figura materna. Ora vi è solo quel breve corridoio…infinito, sentendo sotto i piedi il legno leggermente piegato, gravato del peso della ballerina, la quale, preoccupatissima, andrebbe a urlar disperata…<KARIM!!!>, mentre un’unica lacrima le taglia lo zigomo destro alla sola vista di quella figura, di quel corpo…di quel viso.

21:52 Karitama:
 Le urla si alternano in quel corridoio vuoto, le iridi dei fratelli finiscono per incrociarsi a pochi metri. Da giorni non sentiva più quella voce, erano passate troppe ore dall’ultima volta che l’artista aveva visto la sua musa. Con le gambe tremanti, la gola ancora ferita da quell’acuto straziante e gli occhi pieni di paura, non riuscirebbe a chiosar altro. Una lacrima a segnargli la gota e il cuore, che fino a quel momento sembrava fermo in un tempo di pietra, quasi ad esplodergli nel petto. Quel demone che ancora lo perseguita ha voluto dirgli qualcosa. Quel sonno tanto agognato, in un’agonia durata quasi un mese, era stato il nuovo portale che lo ha portato ad incontrarla. La melodia trovata, il luogo perfetto, le uniche persone a lui care… e poi lei. Quel sangue, come ad agguantarli, quasi a volerli portare via da lui. Chi è quel fottuto mostro? Demoni danzanti hanno invaso la sua vita dalla prima volta che mise mano su un pianoforte… ma lei è diversa. Lei ha qualcosa di più reale rispetto agli incubi che lo hanno torturato durante la sua ricerca. La donna in rosso è capace di vederlo, di incontrarlo, ma non di parlargli. Quelle infinite melodie che lo ispirano vengono sempre da lei. Lei è stata capace di seguirlo fuori dai sogni, lo ha guardato con gli occhi dei passanti e forse anche attraverso quelli di Anaka. Lei è reale. È reale e cerca qualcosa in quell’artista maledetto. Le lacrime scendono scroscianti in quegli istanti che ancora li dividono materialmente. In così tanti giorni era riuscito solo a comporre la melodia, ma questo non aveva impedito alla rossa di ritrovarlo, mentre in un’istante in contatto con Kaime aveva forse trovato un minimo di pace, o forse solo una verità parziale.

21:53 Kaime:
 Una corsa infinita quella della ballerina, la quale, giunta finalmente alla soglia della camera del suo amato fratello, andrebbe a lanciarsi verso di lui in un breve slancio, andando a portare le mani intorno i suoi bicipiti, portando le mani alle sue spalle, andando ad intrappolare nella morsa delle due estremità degli arti superiori quella stoffa bianca, stringendo quel fratello, stringendo le sue carni, le sue membra, affondando il viso nel suo petto, incurante del fatto che quella camicia sia sporca di pittura variopinta. Quel profumo, più acre del solito, a causa della reclusione, non la disturba, anzi, se ne riempirebbe i polmoni, ritrovando, anche se diversamente, il profumo del suo paradiso, cominciando, lentamente, a piangere, con vari singhiozzi che le fanno sussultare le spalle, lacrime che vanno a bagnare il petto del suo Karim, avvertendo il suo respiro, il suo cuore battere. Le labbra sarebbero irregolari, mentre il labbro inferiore sarebbe ostaggio della dentatura. Occhi chiusi, quasi a voler fissare quel momento nella memoria e il suo animo che trova pace, pace dovuta a quel pianto ristoratore, un pianto che conservava dentro da ventitre giorni…cinquecentocinquantadue ore….un milione di battiti senza senso, e che solo ora, con il suo calore che le penetra le membra, sembrano ritornare a cantare di felicità, mentre le gambe si farebbero molli e quasi non reggerebbero più il suo peso, ancorandosi ancor più forte alla sua colonna, incurante del fato che questo possa provar dolore o meno…non sarà mai un dolore paragonabile a quello vissuto da lei.

21:53 Karitama:
 Uno scatto di quella principessa sul pavimento in ciliegio e si ritroverebbero uniti, in un abbraccio eterno, o almeno lungo quanto il tempo che li ha tenuti divisi. Sono sempre stati lì, nella stessa casa, a posare le estremità sullo stesso legno, eppure sono stati separati per così tanto. Gli animi dei due fratelli sembrano danzare all’unisono in un moto perpetuo e ordinato. Le lacrime a bagnare l’altro, i cuori così vicini da scontrarsi e le mani dell’artista che ora andrebbero a cingerla al centro della schiena, in una stretta forte che quasi le toglierebbe il fiato. Si appartengono e si sono sempre appartenuti, non possono esistere come singolo, ma solo come unità, nell’arte che li contraddistingue. <Mi sei mancata principessa> un sussurro a rompere quei pianti, parole chiosate a quell’ orecchio coperto dal crine smeraldino. Perdendosi in quella lunga chioma non smetterebbe di stringerla, tanto per affetto quanto per proteggerla. In quel momento la paura smetterebbe di torturarlo, senza però liberarlo completamente. L’ immagine della sua bambina riversa ed esanime in un lago di sangue putrido lo lascia ancora impietrito e spaventato… ma per ora non c’è da pensarci. L’unica cosa che riesce a pensare è proteggerla da tutto, anche se gli costasse le mani.

19:10 Kaime:
 Dita che premono sulla sua schiena e la stringono al corpo di quel suo angelo, di quel suo diavolo. A stento riesce a rimanere conscia, a fatica riesce ad udire quel sussurro che le fa mancare un battito e le fa rialzare il viso, rigato da delle salate lacrime che le annebbiano ancora la vista. La gola è secca, ma tenta comunque di chiosar quel <anche tu…>, per quanto quasi inudibile. Non ha alcuna intenzione di distaccarsi da lui, ma deve sapere la motivazione e l’esito di tale prigionia. <perché sei stato chiuso qui dentro per tutto questo tempo?> chiederebbe, con la fatica del pianto e con ancora dei singhiozzi che le rendono difficile la formulazione delle parole. Attenderebbe dunque il suo dire, inebriandosi, nel frattempo, di quel profumo che per troppo tempo era rimasto solo come ricordo nei suoi sogni. Lingua che andrebbe, istintivamente, a catturare una goccia salata che le sarebbe giunta nell’angolo destro delle labbra, riempendosi la bocca di quel sapore che nasconde felicità. La presa andrebbe ad alzarsi, spostandosi dietro il capo del fratelli, incrociando, all’altezza della di lui nuca, i polsi, posti a ‘x’, quasi a simular la posizione di un lento, in cui i due danzano al ritmo dei loro cuori e delle loro parole, estraniati dal tempo e dallo spazio, non importandole se la madre stia vedendo la scena e volesse abbracciare il suo amato figlio, non importandole se, a causa delle urla, Shiro andrebbe a sobbalzare e correre verso quel ragazzo a lui estraneo…non le importa nulla, neanche di se stessa, ma solo di lui, solo del suo principe e del suo amore per la sua ‘principessa’.

19:11 Karitama:
 I cuori che batterebbero all’unisono, le lacrime che si fonderebbero in quel contatto tra i due, le braccia strette che unirebbero quei due animi da troppo tempo separati. La risposta della sua principessa risuonerebbe forte in quella mente tormentata, ferita da demoni ora sopiti nel profondo di quell’anima crepata dai colpi di quelle creature. Tutte le melodie, tutti i dipinti, tutti i mostri nati in quel periodo di segregazione danzerebbero in quell’abbraccio, segnando ogni millimetro della pelle dell’artista e della ballerina. <Avevo qualcosa da scrivere…> chioserebbe piano. <Era tornata a cercarmi e potevo solo scrivere per liberarmi…> continuerebbe sentendo le gote ricoprirsi di quella lacrime di felicità. Le braccia andrebbero a scendere incrociandosi al limitare della schiena per tenerla ancora più vicina. Sentirebbe le lacrime bagnare il petto e i singhiozzi della sua sorellina susseguirsi affogati nella seta che lo ricopre. Il suono soffocato del pianto che li lega in quel momento risuonerebbe forte in tutto il corridoio, ignorando qualsiasi cosa possa provare ad interrompere quel momento troppo atteso dai due, mai stati capaci di vivere separati. Karitama ripasserebbe in pochi istanti tutte le ore passate in solitudine tra quelle quattro mura bianche, tutti quegli incubi vissuti con la donna in rosso senza possibilità di fuggire, senza possibilità di rivedere la sua amata sorellina.

19:12 Kaime:
 Le lacrime andrebbero a prosciugarsi, quasi il corpo non possa più produrne, andando ad ascoltar il dire del fratello. La testa andrebbe a distaccarsi dal petto dell’artista, rialzando gli occhi arrossati verso il viso scavato del fratello e andrebbe, alla di lui volta, a replicar, andando a sorridere, arricciando le rosee e snudando i denti…<allora? perché non mi fai sentire quello che hai scritto?> chiederebbe infine, mentre il piccolo cucciolo andrebbe a sedersi a garrese, dietro le gambe della giovane, scodinzolante e con la boccuccia aperta e la lingua da fuori, andando ad aspettare il suo turno per ricevere le coccole da quel ragazzo che non ha mai incontrato prima. Le mani di lui andrebbero a cingerle i fianchi, subito sopra il fondo-schiena, mentre ancora attenderebbe una sua reazione, senza lasciarsi guidare dal proprio istinto, il quale la spingerebbe a baciarlo, abbracciarlo e giacere con lui…abbraciandolo come le notti passate con lui, fin dall’infanzia, notti in cui spesso ha combattuto con la sua metà ferale, facendo, fortunatamente, prevalere sempre il suo raziocinio. Poi quella frase riverbera nella sua mente, quel LEI, andando, in seguito, sperando di palesar un tono rilassato e per nulla iracondo: <scusa ma…lei chi?> chiederebbe, infine, attendendo da lui risposte, attenzioni e quel contatto fisico che tanto la fa sentire viva.

19:13 Karitama:
 Il volto di Kaime si allontanerebbe dal petto dell’artista, incrociando le iridi ambra con quelle indaco del fratello. Le lacrime comincerebbero a fermarsi, forse perché già versate tutte, e i due rimarrebbero per qualche istante immobili. Alla domanda della sorellina gli occhi dell’artista andrebbero a muoversi lenti verso il basso, tentennando prima di rispondere. La paura di intrappolare anche lei in quell’incubo lo assilla ma sa di non poter fare a meno di rendere partecipe la sua musa di quel tormento. La donna in rosso cerca qualcosa, qualcosa che l’Ishiba ancora non comprende e che potrebbe mettere in pericolo anche le persone a lui più vicine. <Sono molto stanco ma dammi qualche minuto e sentirai la mia nuova opera…> chioserebbe piano con un tono flebile e udibile solo per lei. Un sorriso forzato ma apparentemente naturale andrebbe a segnare quel volto scavato e ferito dalle notti insonni, almeno fino alla domanda su di LEI. Lo sguardo si spegnerebbe in un istante, il sorriso si trasformerebbe in una lampante smorfia di rabbia e il respiro diverrebbe sempre più lento e profondo. Nel tentativo di celare la rabbia e frustrazione proverebbe a sforzarsi di mantenere un’espressione che preoccupi il meno possibile la sua principessa. Questo non è il momento di metterla in pericolo e di addossarle problemi che non merita. <Non è nessuno principessa… Solo i miei strani sogni da creativo.> sussurrerebbe stringendola nuovamente e posando il volto all’ incrocio tra il collo e la scapola per celare il proprio volto e rendere più credibile la risposta data. <Mi sei solo mancata bimba> concluderebbe imprigionandola in un forte abbraccio quasi a volerla proteggere.

19:14 Kaime:
 Occhi che si riflettono in quelli di una cromatura differente, ma possessori della stessa anima. Occhi che andrebbero, lentamente, a seccarsi, annullando, come se non fosse mai avvenuto, quel pianto liberatorio dei due. Labbra che si muovono lente, scandendo parole, quasi ognuno dei due volesse farne tesoro e portarsele dentro per sempre. Dita che stringono le membra dell’altro e ora quel viso, poggiato sulla propria spalla, affondando in essa gli occhi. Sentendo quelle parole, la giovane cercherebbe, dandogli i giusti tempi, di farlo indietreggiare, secondo proprie direttive e guida, verso il di lui letto, facendo decidere al suo Karim se volesse utilizzarlo o meno. Non vorrebbe forzarlo, quindi in caso facesse resistenza nessun passo verrebbe svolto, ma pensa sia il caso, dato anche il suo aspetto al quanto sciupato. Intanto il piccolo Shiro verrebbe richiamato dalla madre dei due angeli, troppo superiori per vivere in un mondo malsano come quello mortale, e nel quale, per diverse ragioni, andrebbero a soffrire, quasi fossero incompleti. La giovane non sa come comportarsi, non sa quali atteggiamenti usare, in quanto è la prima volta che il fratello ha preso la decisione di prendersi un lungo periodo di clausura, e non sa di cosa questo abbia bisogno al momento. Forse avrà fame, avrà sonno…ma lei non lo sa. Non sa nemmeno cosa sia giusto per lei, figuriamoci se conosce il bene di colui che ama.

19:14 Karitama:
 Sentendo Kaime tentare di portarlo verso il letto, l’artista proverebbe a muoversi rompendo per qualche istante la stretta che li ha uniti fino a quel momento. Posando la mancina sulla parete alla sua sinistra, per usarla come sostegno a quelle gambe stanche e tremanti, tenterebbe di tenersi eretto per poi stringere la mano di Kaime e portarla verso il centro di quella stanza in preda al caos, quel caos che lo stesso artista ha generato nei giorni di isolamento volontario. I passi si alternerebbero lenti e insicuri a causa della mancanza di sonno e dell’adrenalina ormai scemata che gli aveva permesso quello scatto felino verso la porta qualche istante prima. Quel moto delle leve inferiori, con non poco sforzo, permetterebbe all’artista di raggiungere il centro di quelle quattro mura segnate da pennellate sconnesse e segni di piccole incisioni incomprensibili, probabilmente causate dal lancio del piccolo leggio di metallo ora poggiato sul pianoforte candido al centro della stanza. Un piccolo sguardo cadrebbe rapido sui piatti ammassati al suolo per poi guidare con la mano la sorellina verso la coda del piano, quasi a volerle chiedere di sedere su quello strumento tanto grande quanto delicato e armonico. Se le si fosse seduta andrebbe quindi a spostare la seduta foderata in pelle per posizionarsi dinnanzi ai candidi tasti di avorio lavorato e vi poserebbe le esili estremità pronte a suonare. <Ti è mancata la mia musica?> chiederebbe sorridendole appena, mostrando la candida dentatura in un’espressione quasi divertita.

19:15 Kaime:
 La giovane, che voleva guidare il fratello nella sua stanza, viene, invece, guidata da quest’ultimo verso il pianoforte…unica cosa che in quella stanza si trova al proprio posto ed in ordine. Per un sol istante andrebbe a vedere quei piatti, ma tacerebbe al riguardo, anche se è lei colei che dovrà farsene carico. Giunta allo strumento, la giovane, come ha sempre fatto, andrebbe a fare una piccola riverenza verso quel complesso di tasti policromatici, corde e tamburi, per poi, posta all’altezza della coda, andrebbe, con un piccolo balzo, accompagnato dalle mani, dopo aver lasciato la presa di Karitama, poste sulla lignea superficie. Facendo leva sugli arti superiori tenterebbe un movimento che la porterebbe a porsi con il fondoschiena su di esso. Quella domanda andrebbe a presenziare pesante tra i due, ma una domanda a cui andrebbe a seguire una risposta celere quanto sincera…< perché dovrebbe essermi mancata? l’ho sempre avuta nella testa e nel cuore>. Detto questo, mentre il fratello si accomoderebbe, lei andrebbe a raccontargli un po’ della sua nuova vita, delle sue esperienze: < sai, da quando sono a Konoha sto vivendo a casa di Azrael, insieme a…> cominciando a contare sulle dita della mano destra, partendo dal mignolo <…sua figlia, suo figlio, sua madre e a volte la sua fidanzata, o qualsiasi cosa si siano detti di essere> direbbe, ridacchiando appena per le ultime parole verbiate, analizzando, in seguito, la prossima novità da spiegargli, lasciando da parte il suo orgoglio di esser divenuta un membro del clan e di aver preso un ruolo in un’importante e fondamentale corporazione e, ultima delle soddisfazioni importanti, il suo lavoro come sarta.

17:05 Karitama:
 Con le candide dita a sfiorare i tasti del piano, senza ancora provare a suonare, muoverebbe il piede destro sulla pedaliera per sfruttare quello dei tre presenti atto a smorzare il suono al fine di poter ascoltare le parole della sua principessa non smettendo di suonare. Alle prime parole di Kaime il sorriso dell’artista diverrebbe sempre più sincero sentendo il nome di Azrael e la sua particolare situazione familiare. <Quindi è davvero bella come ti aspettavi Konoha?> chiederebbe alla sua musa dai capelli smeraldini. <In questo periodo ho anche completato la melodia che Azrael mi ha commissionato in cambio dei suoi insegnamenti, manca solo il pagamento ora> concluderebbe divertito cominciando a muovere rapidamente le estremità sui tasti candidi del suo strumento. <L’unica cosa che non so è se sia adeguata alla situazione che immaginava e alla donna a cui la vuole dedicare. Come ti sembra la sua fidanzata?> chioserebbe cominciando a far risuonare delicata una nuova melodia tra quelle candide mura. Le note danzerebbero leggere in quell’aria segnata dal forte odore dei piatti mischiato alla fragranza di tempere e pastelli a cera consumati. La melodia sarebbe nuova, romantica ma per nulla malinconica, anche se ancora incompleta vista la mancanza del testo che Azrael aveva chiesto di poter scrivere di suo pugno. Suonando lascerebbe alla sua principessa la possibilità di rispondere, commentare o reagire alla musica tenendo un sorriso naturale e soddisfatto sulle rosee.

17:06 Kaime:
 La giovane andrebbe ad ascoltare quelle note iniziali, chiudendo gli occhi, andando a muovere impercettibilmente il capo, cullato da quella melodia. Gli occhi andrebbero ad osservar quelle dita che, magistralmente, scrorrerebbero tra tasti bianchi e neri. Quelle domande poste, poi, la porterebbero, con ancora quel sorriso che mai si scemerebbe, come fosse un tatuaggio indelebile, porterebbero la ballerina a replicare celermente…< La fidanzata? Si chiama Kaori Hyuuga, è il primario, credo, dell’ospedale di Konoha> direbbe, per poi andar a continuare il suo dire con le sue impressioni sul villaggio sopracitato: <Konoha è bella, soleggiata. I prati sono fioriti, il cielo è limpido, però…gli Hyuuga sono un po’ inquietanti. Hanno degli occhi completamente bianchi…forse potrebbero piacerti, ma la prima volta che li ho visti mi sono un po’ inquietata.> verbierebbe, ridacchiando, andando, in seguito, assecondando la musica, a liberare qualche basso vocalizzo, per quanto molto astratto, non sapendo dove andrebbe a porsi un ipotetico testo e con quali tonalità…ma lo ha sempre fatto, rendendosi complice in un’opera troppo perfetta per non goder di farne parte.

17:06 Karitama:
 Senza interrompere quel moto perpetuo delle esili dita, ascolterebbe ancora la sorellina immaginando la ridente Konoha soleggiata e piena di prati. Nella mente dell’artista viaggerebbero, nel giro di pochi istanti, migliaia di idee diverse e decine di luoghi inimmaginabili dove dipingere o dai quali prendere ispirazione. <Kaori… Kaori Hyuuga> ripeterebbe dopo aver sentito quel nome dalle candide labbra di Kaime. <È un nome molto particolare. Significa profumi intrecciati. Forse dovrei cambiare questa nota…> direbbe interrompendo quel moto delle mani per agguantare con la mancina una matita dal parquet in preda al caos e avvicinandola allo spartito per modificarlo appena. <…con questa> concluderebbe continuando quella semplice correzione. Lasciata cadere la matita nuovamente al suolo e dopo aver rimesso lo spartito sul leggio scheggiato, poserebbe nuovamente le dita affusolate sui tasti in avorio per dare nuovamente inizio alla melodia. <In che senso hanno gli occhi bianchi?> chiederebbe ripensando alla frase detta poco prima di quella repentina modifica all’opera. <È cieca o è un doujutsu?> concluderebbe portando le iridi indaco verso quelle ambrati della sua bellissima principessa in attesa di spiegazioni.

17:07 Kaime:
 La giovane andrebbe a fermare quei vocalizzi, così come si sarebbe fermata la musica, volgendo lo sguardo al fratello e vedendolo correggere delle note…forse per qualche motivo collegato al nome di Kaori? Non le è dato sapere. Quella matita, una volta lasciata cadere nuovamente al suolo, sarebbe causa di una battuta da parte della principessa…<ma poi chi pulisce qua? Non crederai mica che ci pensi io?> direbbe, cacciando la rosea lingua dalle labbra, andando a fare una piccola linguaccia a quel fratello, cercando di smorzare quella frase così che l’artista non possa risentirsene. Una nuova domanda le verrebbe posta e, rapidamente, andrebbe a rispondere, così da poter ascoltare nuovamente quella voce, che troppo a lungo non l’ha cullata durante le notti in cui l’ha lasciata da sola…<penso sia un doujutsu…insomma, è un medico, non credo sia cieca e, soprattutto perché so che è una stimata consigliera e kunoichi, suppongo ci veda…altrimenti finge bene> direbbe, ridacchiando infine, con un’ilarità prodotta dal suo stesso commento, andando, infine, a scendere dal pianoforte e, se il fratello lo permettesse, la ragazza, abbracciando il di lui busto da dietro, andrebbe a porre le proprie gambe all’esterno rispetto quelle del futuro Ishiba, portando il mento sulla spalla destra dell’altro, così da non limitar i movimenti di lui durante quel suo suonare e, allo stesso tempo, inebriarsi del suo profumo e del calore che le donerebbe, sentendo le vene pulsanti sul suo petto…

17:07 Karitama:
 Al sentire le parole della sua principessa una leggera risata sfuggirebbe da quelle candide labbra schiuse, portandolo ad incrociare nuovamente lo sguardo con lei. <Da quando chiedo a qualcuno di sistemare il Caos che creo ogni giorno? Ci vivo così bene!> esclamerebbe con ilarità senza smettere di suonare. <Peccato non sia ceca, sarebbe stato molto più bello ascoltare le mie note senza la vista> continuerebbe incurante della mancanza di tatto nelle sue parole. Sentendo Kaime dietro le proprie spalle staccherebbe solo ora le estremità dai bianchi tasti per posare entrambi i palmi sulle leve inferiori della ragazza sfiorando quella candida pelle levigata. Carezzandola volterebbe lo sguardo verso di lei, ora tanto vicina da riempire i polmoni dell’artista con quel profumo inebriante, e schiudendo piano le candide le sussurrerebbe <Mi sei mancata davvero tanto bimba> lasciando poi cadere il capo verso sinistra e posando la nuca sulla sua spalla. Bruciando quei pochi centimetri che separano i due volti stamperebbe un delicato bacio sulla gota della sua principessa per poi lasciar cadere pesanti le palpebre a celare e iridi ormai troppo stanche per vivere ancora i momenti di quella giornata. Cullato dal cuore che pulsa nel petto della ragazza cadrebbe rapidamente in un sonno terapeutico, ora più tranquillo perché non più solitario, cullandosi in quell’abbraccio. [END]

17:07 Kaime:
 Nulla di quello che avrebbe detto il fratello ha importanza, non darebbe importanza al suo modo di vivere nella confusione, non darebbe retta a quel commento, forse un po’ troppo cinico, le importa solo di quella carezza sulle sue leve, le importa solo di quel viso sulla propria spalla sinistra, di quel bacio sulla gota, che andrebbe ad arrossarsi come la gemella, vittime di un’innata emozione e quelle parole, che le scalderebbero il cuore, le andrebbero a rasserenare l’animo, spegnere la mente e…quel sonno. Le braccia andrebbero a cingere il di lui busto, non smuovendolo e, chinato il viso sul suo, un bacio sulla grancia destra del pittore, al limitare delle labbra, andrebbe ad esser donato, un bacio che le basta al momento, un bacio che le serve solo per sentirlo suo, mentre la sua foce, come un sussurro trasportato dal vento, andrebbe ad intonare la ninna nanna che la madre cantava ai suoi due figli, i suoi due angeli, la sua principessa e il suo ‘ometto’, che si è sempre posto a difesa della prima, e resterebbe lì, anche in eterno se servisse, abbracciata all’unico uomo che nella sua vita vuole avere, l’unico tassello che completa la sua anima…il fonema senza il quale non può essere pronunciata la frase ‘ti amo’. [END]

I due fratello, dopo un lungo periodo in cui non si erano più visti, a causa di un momento di ispirazione, ma allo stesso tempo smarrimento dell'artista, si ri-incontrano e passano dei momenti insieme, finendo abbracciati, con lui dormiente e lei che lo sostiene, cantandogli una dolce melodia per rasserenare il di lui sonno.