[ Innata ] - Parte III - Memorie dal passato

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Giocata di Clan

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19:26 Haran:
 Torihi se ne è andata. Le due hanno parlato e la ragazza le ha detto che ha deciso di stare un po' di tempo con suo padre dopo quanto accaduto durante il loro ultimo incontro. La notizia è arrivata inattesa e piuttosto sofferta. Azumi, nel tempo, ha preso a considerare la giovane Uchiha come una figlia e vederla ora andar via da quella che per anni è stata la loro casa le ha riempito il cuore di dolore. Non l'ha fermata, però. Torihi ha tutti i motivi per voler sapere qualcosa di più sulla sua storia, sulla sua famiglia ed è giusto che voglia stare un po' col padre che tanto ha sacrificato per salvarle la vita. Così, rimasta sola in quella casa, la giovane Goryo si è ritrovata a ponderare l'idea di accettare l'invito di Nimura a trasferirsi all'Anteiku dove, pare, quasi tutti i Goryo del Villaggio risiedono. Non li conosce, non si fida del tutto di loro, ma in qualche modo sono la cosa più vicina ad una famiglia che abbia lì a Kusa. Così, sospirando, decide di raggiungere la caffetteria per prendere una decisione definitiva. Inoltre vorrebbe chiedere a qualcuno informazioni sulla loro innata. Ha imparato a mantenerla attiva, ha imparato a convivere con l'Altra durante l'attivazione di quel potere ma, concretamente, non è riuscita a capire quale sia il reale utilizzo di quella innata. Per essere pronta a tutto una volta raggiunta la caffetteria, Azumi andrebbe dunque a portare le mani all'altezza del petto per unirle a formare il sigillo della Capra. Tenterebbe di svuotare la mente, di estraniare le sue paure e preoccupazioni per limitarsi a galleggiare in un eterno istante di nulla e vuoto. La sua mente sarebbe totalmente focalizzata nel cercare di richiamare le sue energie in due punti ben precisi e distanti del corpo; verso la testa andrebbe a raccogliere le energie psichiche derivanti dall'esperienza e dalla disciplina a cui si è sottoposta nel tempo riunendole in un unico punto fino a formare una sorta di fiammella verdastra. All'altezza del ventre, invece, tenterebbe di radunare le energie fisiche strappandole dalle ossa, dai muscoli, da ogni fibra del suo corpo per accorparle tutte in una fiamma rossa e bruciante. A questo punto andrebbe a smuovere queste fonti di energia per portarle a discendere ed ascendere fino a raggiungere il plesso solare ove queste due fiammelle dovrebbero scontrarsi ed iniziare a vorticare in un moto circolare così rapido da fonderle insieme in una unica nuova fiamma di colore azzurro intenso: il chakra. Pronta a tutto Azumi va quindi a percorrere le vie di Kusa fino a raggiungere il locale meta del suo peregrinare. Varcherebbe la soglia lasciando trillare il familiare campanellino all'ingresso e, quindi, saluterebbe i due Goryo presenti dietro il bancone intenti a servire i clienti ai tavoli. Non può certo disturbare loro durante i loro turni e, perciò, decide di avanzare verso la porta recante il cartello "Zona Staff" ed oltrepassarla per ritrovarsi nel familiare corridoio che conduce ad un pratico salotto comune e poi ai piani superiori ove si trovano le stanze dei Goryo. Cercherebbe quindi di raggiungere il soggiorno, nervosamente, con la speranza di trovare qualcuno di familiare a cui poter chiedere aiuto. Magari Kankri, magari Nimura... Chiunque dovesse trovarsela davanti, comunque, la vedrebbe indossare i semplici pantaloni di una tuta; pantaloni grigi che scivolano sulle leve inferiori fasciandone le forme agili e scattanti, una canotta bianca senza maniche che avvolge il busto ed il seno piccolo ed una felpa anch'essa grigia con il cappuccio calato sulle spalle. Una calda sciarpa rossa è avvolta attorno alla gola mentre i lunghi capelli celesti son legati in due alti codini ondeggiando alle di lei spalle fino a raggiungere le gambe. [Tentativo Impasto Chakra]

19:46 Koichi:
  [Zona Staff.] Oh, questa volta sembra che il burratinaio abbia preso, colto, una nuova esistenza e si diverta a sollecitarne i fili, a crogiolarsi in quelle nuove sensazioni, in quell'avventura che attende solo d'esser intrapresa, come un libro ancora in corso d'opera. La penna scivolerebbe lentamente su quel foglio candido, tracciando la vita del Chuunin, il cui persorso sembrerebbe essere minato da numerosi episodi da vivere pienamente. <Uh.> Un semplice respiro, leggero, che verrebbe scandito dalle proprie labbra, leggermente schiuse. Una calma che non sembrerebbe appartenergli, una staticità che non coincide esattamente con il carattere del giovane, il quale sembrerebbe osservare il ripiano che avrebbe dinanzi. Mensole lignee, a varia altezza, che solcano la parete verso cui mostrerebbe attenzione, notando come ogni strumento: che possa esser un contenitore particolare o qualche accessorio del mestiere, sia totalmente al posto corretto, puliti e splendenti. Ed intanto lui completerebbe l'esito del mio impegno, così come se stesse osservando una tela appena terminata, un'opera che dovrebbe provocare una discreta dose di soddisfazione in sé. E la avvertirebbe, lasciandosi inondare in un religioso silenzio, fin quando qualcosa non sembra disturbare, minare quella sensazione attuale. <Ma dai.> Vocifera a labbra vicine, un borbottar che dovrebbe esser udibile dalle persone che son prossime a lui e non altri: il capo che verrebbe piegato lentamente, quasi come se fosse uno spostamento meccanico, verso sinistra, fin quando non potrà compiere un'angolazione di trenta gradi. Labbra che andrebbero solo ora a premersi, nell'intenzione di formulare una debole smorfia di disappunto, mentre le iridi auree andrebbero ad accarezzare su un paio di oggetti mal disposti, probabilmente adoperati dai propri colleghi, mentre lui cercava di sistemare tutto. <Un giorno vi farò capire come ci si sente in quest'istante.> Sussurra lentamente, torcendo il capo quanto basta per poter osservare coloro che sostano, momentaneamente, dietro al bancone, impegnati nel servire la clientela e non potendo indi destare l'accurata attenzione al fonema appena trasmesso. Senza dunque attender altro, scivolerà all'esterno di qual bancone, potendo attraversare tutta l'area adibita per il ristoro, tra i vari tavolini e sedie, per potersi diriger verso quella zona privata: un riquadro ove potrà lasciar decadere il fastidio che sta nutrendo in quel momento, comprensibile da quell'apatia che ora dominerebbe sul proprio volto. Passi non pesanti ma pur sempre vivi, scanditi con sufficiente forza, per far sì che chiunque sia nella prossimità della porta, quella antecedente al salotto, possa avvertire una sagoma in avvicinamento. Anche rapidamente, si potrebbe osare. Mancina mano dunque che andrebbe a galleggiare nell'aria, prima di affondare sulla maniglia ed aprirla, oltrepassando immediatamente la soglia e socchiudendo la porta con cura. Sembra quasi che abbia una discreta fretta di potersi distaccare da quell'ambiente lavorativo, per ritrovarsi solo. Almeno il proprio intento, ignaro delle altre presenze lì. In effetti, dopo aver ottenuto una minima fama all'interno di quella caffetteria, per aver appreso da Nimura prima e raffinato poi da solo l'arte del caffè, nessuno si sarebbe prodigato ad ostacolare il suo passo, ad impedirgli di potersi rilassarsi in quel preciso momento. <Ahn~> Un altro respiro, d'una sfumatura leggera di sollievo, mentre scaricherebbe all'esterno quella mole massiccia di ossigeno, prima raccolta all'interno della propria cassa toracica, la quale tornerà a sgonfiarsi gradualmente, poco dopo. Gli indumenti che caratterizzano il Chuunin equivalgono a quella divisa predefinita, imposta per chiunque lavorasse lì; e si crede che lui non abbia tentato di strapparsi fuori da quella regola? Difatti, seppur manterrebbe quell'abbigliamento elegante, la tonalità della giacca sembra esser d'un nero pece, così come la sua chioma, corvina, macchiata da un semplice ciuffo bianco; probabilmente anche loro erano assetati d'esser differenti da ogni schema, da ogni regola. [Chakra On: 40/40. | Equip.Scheda.]

20:01 Haran:
 Nessuno par sostare in quell'area in questo preciso momento. La stanza si mostra la stessa che ha visitato l'ultima volta prima di salire nella stanza di Kankri per dargli il benvenuto; una camera quadrata ammobiliata di un basso tavolino in vetro da caffe e divani e poltrone tutt'attorno per ospitare chiunque voglia riposare in quel luogo. Quadri e scaffali riempiono le pareti altresì vuote mentre gli angoli della stanza sono occupati da alcune piante ornamentali atte a rendere più accogliente l'area. Un camino, infine, è collocato a ridosso della parete, attualmente spento. Azumi è in piedi dinnanzi al tavolino da caffé ad un paio di metri di distanza dalla porta d'ingresso, le mani infilate nelle tasche con poca grazia, le labbra storte in una piccola smorfia di disappunto. < Nh. > Schiocca la lingua contro il palato chiedendosi se forse non dovrebbe attendere lì per un po' che Ruby o Hiruma finiscano il turno ma, ben prima che possa decidere davvero cosa fare, la porta alle sue spalle va aprendosi portando la genin a voltarsi d'istinto verso tale direzione. Il busto ruota e con esso il viso, portandola ora ad affrontare frontalmente l'ingresso della camera. E' questione di una manciata di secondi prima che i di lei occhi si spalanchino in una espressione di estrema sorpresa. Le labbra si schiudono, le iridi si dilatano e il cuore batte forte nel petto alla vista della persona appena entrata nella stanza. < Cosa... > la voce è ridotta ad un soffio, le leve inferiori si muovono facendola indietreggiare di un paio di passi mentre le mani salgono al viso per chiudersi a ridosso delle labbra con fare esterrefatto e sconvolto. Sono passati diversi anni eppure sembra solamente il giorno prima che quel ragazzo le sorrideva fianco a fianco con suo fratello, seduti in camera a parlare o a riposare dopo un lungo allenamento sostenuto durante la giornata. E' come uno schiaffo diretto al volto che le toglie il respiro, come una boccata di ricordi che l'attraversano ed investano con la forza di un uragano. < Ku--ro...chi? > domanda, incredula, incapace di distaccare dal suo viso lo sguardo. Di tutte le persone delle quali avrebbe potuto sospettare per la morte di suo fratello, lui è probabilmente l'ultima al mondo che avrebbe potuto mai accusare. Eppure, nonostante tutto, non si sente felice a quella vista. Si sente vuota, si sente assalire da violenta disperazione. Proprio quando credeva di aver trovato un suo equilibrio e di essersi lasciata il passato alle spalle, ecco che questo bussa alla sua porta tornando a galla più prepotente di prima e, questa volta, reca con sé uno dei volti a cui più aveva tenuto in un tempo passato. [chakra: on]

20:25 Koichi:
  [Zona Staff.] Una questione di una frazione di secondo, o poco meno, prima che l'unica sagoma lì presente verrebbe colta dall'attenzione del Chuunin, il quale potrà osservarla nella sua intera presenza: dal basso, fino a quelle ciocche di capelli azzurre. E' un istante, così intenso, quello che susseguirebbe poco dopo, rilasciando nel corpo maschile una sensazione sgradevole: tutti quei ricordi legati al passato riemergono fortemente e farebbero tremare il pavimento sopra cui sosterebbe, immobile, quasi pietrificato, dinanzi a tale scena. Palpebre che andrebbero a spalancarsi, mostrando quel colore dorato delle iridi, mentre le labbra si aprono, nella più esplicita manifestazione di sorpresa. La gola si seccherebbe, non riuscirebbe neanche a poter esprimere un concetto od una singola parola. Un fonema. Totalmente imprigionato dalla propria mente che farebbe fluire una sequenza, quasi interminabile, di fotogrammi: non potrebbe confondersi, non potrebbe essere un clone o qualcuno che si sta divertendo, a prendersi gioco della Sindrome. <...A~> Intonerebbe solo quella vocale, con estrema difficoltà, prima che possa divenire un grido, che in modo graduale s'amplia nella sua potenza, come un ruggito d'una bestia fino ad ora sigillata. Le dita delle mani si stringono, duramente, tentando di contenere quelle sensazioni, di imprigionarle, prima che sia troppo tardi. Ma... Clack! Un cancello che nel proprio subconscio andrebbe ad animarsi, a richiedere una reazione estrema. Difatti il Chakra, già precedentemente richiamato, andrebbe ad esser sospinto verso l'alto, come una capsula d'energia, accarezzando quel flusso energetico affinché vada a sfociarsi oltre i polmoni, oltre la gola, fino a straripare nel proprio cervello. E qui che quella linfa andrebbe a sollecitare la cavità centrale, quella che collegherebbe i due emisferi, e far sì che il gene Goryo prenda vita. Un'energia poderosa, un cambiamento che, esteticamente, andrebbe a concretizzarsi maggiormente sulla propria chiuma: essa andrebbe ad allungarsi leggermente e la ciocca, prima bianca, andrebbe ad assumere tonalità scarlatte, vivo. E in tale sembianze che andrebbe a sbloccarsi, ancora prima della voce, nel corpo: torsione rapida del busto verso sinistra, per lasciare che il braccio destro vada ad impattare duramente contro la parete, in uno spazio libero di riquadri od altro. Deve scaricare in qualche modo quel peso e lo farebbe colpendo, in una singola scansione, quel muro. Impatterebbe, non preoccupandosi se così potrà richiamare a sé dell'attenzione: è un suono tonfo, dato le spesse mura. Ed il dolore che ne deriva da quel colpo? Verrebbe metabolizzato, sicuramente in modo migliore rispetto al piano psicologico a cui sta andando incontro, con una violenza ineaudita. <Azumi.> La voce è bassa, quasi accogliente, emessa in un sibillo leggero. Ritrarrebbe il braccio, prima di provare a compiere un paio di passi, a piccole falcate, per avvicinarsi alla sagome. <Sei davvero tu?> Chiederebbe conferma, mentre la mancina mano, non arrossata come l'altra a causa dell'attacco improvviso, andrebbe ad esternarsi, col palmo rivolto verso di lei, quasi come se cercassi un contatto, quasi come se volesse esser sicuro che ciò non sia una semplice illusione, incredulo tutt'ora, anche se, più si avvicina, e più potrà ricordarsi di lei e confermare che dinanzi abbia la vera sorella di.... Lui. <Se sei un falso, sappi che stai per morire nel modo più doloroso e sofferente che io conosca.> Avvertirebbe, senza mezzi termini, facendosi avvolgere da quella sensazione di vuoto che tutt'ora lo circonda: non vi è nient'altro che quel duo, ora, per il Goryo. [Chakra On: 38/40. | Equip.Scheda.][Innata Goryo: Secondo Stadio.]

20:47 Haran:
 Non è possibile. Non ci crede. Non ha alcun senso... Perchè? Perchè Kurochi è lì? Che ci fa a Kusa? Non aveva idea che qualcun altro oltre lei avesse abbandonato il Suono per raggiungere quel Villaggio, non ha più ricevuto alcuna informazione da quelli che erano i suoi vecchi conoscenti ad Oto. Per quanto le riguarda potrebbero perfettamente essere tutti morti e lei non ne avrebbe saputo nulla. Sua madre non l'ha più sentita, il suo patrigno neanche. Non che con lui, comunque, avesse mai avuto un bellissimo rapporto, ma era di famiglia ormai, l'unica figura paterna che avesse mai conosciuto sebbene non condividessero lo stesso sangue. Aveva detto addio a quella vita così come aveva detto addio a quell'Azumi. Non avrebbe dovuto tornare indietro eppure è il passato a raggiungerla sotto i lineamenti del giovane dinnanzi a lei. Giovane che, in un grido di rabbia, va improvvisamente mutando andando mostrare una chioma lievemente più folta e lunga ed una ciocca non più candida ma intrisa del color del sangue vivo. Sfoga quell'energia precedentemente mostrata in quel grido in un colpo mirato contro la parete a lato. Azumi non chiosa, non si muove, permane attonita continuando a rivedere nella sua mente tutti i momenti che hanno condiviso in passato. Lei, lui e... Kaito. Il pensiero le fa stringere il cuore, il ricordo le fa salire un conato alla gola. Non si muove, sentendo le iridi inumidirsi, sentendo il fiato mancarle, fino a quando l'altro non brucia la distanza fra loro andando a fermarsi esattamente dinnanzi a sé, immobile. La giovane ode la sua voce, vede quella sua mano avvicinarsi alla ricerca di un contatto e quindi sostiene il di lui sguardo ritrovandosi a tenere alta la testa quasi in un moto di sfida, come a voler dimostrare a se stessa che neppure una simile devastante sorpresa non sarebbe stata in grado di farle abbassare il capo. Di spezzarla. < Sì. > chiosa semplicemente sostenendo il di lui sguardo, seria, udendo quindi le sue parole e andando ad assottigliare di poco gli occhi. < Nessuno ci guadagnerebbe niente a fingere di essere me. > chiosa lei stringendo i pugni lungo i fianchi, travolta e attonita da quel marasma di emozioni che l'hanno colpita. E quindi andrebbe a decidere di provarglielo, di dimostrargli che se è lì è solo in virtù della sua natura, della sua essenza stessa di Goryo, esattamente come quella di suo fratello prima di lei. Ed andrebbe a focalizzarsi sul chakra che le scorre in corpo per indirizzarlo semplicemente lungo i canali del keirakukei che giungono alla testa. Qui andrebbe a condurre l'energia lungo il solco centrale del cervello fino a riempirlo e giungere dunque al gene Goryo lì presente così da nutrirlo e risvegliarlo. Se fosse riuscita in questo ecco che il solito procedimento avrebbe luogo e Azumi sfumerebbe in un mero flusso di coscienza lasciando spazio all'Altra. I di lei capelli andrebbero a mutare lievemente sfumando in una tinta appena più scura: non più celesti come il cielo durante un mattino d'estate, ma turchesi, della tonalità di alcuni fiori che circondano il Villaggio in alcuni periodi dell'anno. Allo stesso modo anche gli occhi andrebbero a scurirsi appena mentre ciò che cambierebbe sostanzialmente è l'espressione del suo viso. Essa si farebbe più decisa, più ferma, meno aggraziata e graziosa del solito, quasi più seriosa. < Inoltre sono piuttosto sicura che se dovessi osare toccarmi lo renderesti estremamente triste. > aggiunge, lei andando ora a muoversi piano in un lento moto circolare che la porta a camminare attorno all'altrui figura come un predatore che accerchia e studia la preda. < O scateneresti la sua furia rovinando il suo riposo. > aggiunge, poco dopo, fermandosi nel tornare di nuovo di fronte a Kurochi, guardandolo negli occhi con espressione seria, decisa, stringendo le labbra nel realizzare quanto sia alienante la sensazione di ritrovare un frammento della sua vecchia vita proprio qui dinnanzi a sé. Persino l'Altra sembra essere turbata da questa situazione, lei che era sempre parsa essere così misurata e composta... < Non sapevo fossi a Kusa. Nè che fossi assieme ai Goryo. > continua lei, espirando, andando a portare il peso del corpo sulla gamba sinistra ed incrociando le braccia al petto in una posa molto poco tipica, molto meno femminile del suo solito. < Da quanto sei qui? > [Tentativo Manifestazione: Primo Stadio (I)] [chakra: 34/35]

21:26 Koichi:
  [Zona Staff.] Lui si avvicina piano piano, molto lentamente, come se avesse timore che tutto ciò non sia vero, come fosse stato inserito in una cupola di vetro in cui i ricordi del passato possono prendere vita, sotto forma di ologrammi o qualcosa di simile. E che anche un minimo passo possa rompere quell'ambiente, così anormale, così fantastico. Avrebbe timore di risvegliarsi e scoprire che tutto ciò significa esser solo un mero sogno e nient'altro. Però il proprio braccio affonderebbe il vuoto, nel momento in cui l'altra sembrerebbe evolversi, sembra trasformarsi, in modo simile a quello appena scandito, poc'anzi. <Una Goryo.> Constaterebbe, a bassa voce, mentre l'altra andrebbe ad assumere una forma più adulta, più composta, e possa permettersi di passeggiare intorno al corpo maschile, il quale rimarrebbe fermo per farsi osservare, lasciando che il braccio torni verso il basso, verso il fianco corrispettivo. <Sei cresciuta.> Ammetterebbe, mentre potrebbe percepire quelle iridi su di sé, come se fosse una preda pronta per esser divorata da un cacciatore affamato. <A meno che qualcuno non voglia farmi congiungere con Lui.> Un respiro forte, gettato all'esterno: <Ho davvero rischiato di morire di sorpresa, vedendoti qui.> Quella tensione sembrerebbe scemare, come la quiete dopo una tempesta di emozioni. Che stia metabolizzando tutto ciò? <Azumi.> E solo ora sembra muoversi, affinché possa presentarsi dinanzi, mentre la fisserebbe per qualche secondo intenso. <Io... > Se era così arduo vederlo in difficoltà, ora sarebbe occasione perfetta per provare quel timore, quel peso che grava da numerosi anni sul proprio stomaco. <Io...> E tremerebbe, mentre stringerebbe appena i pugni, forte, non preoccupandosi se la stretta potrebbe lederlo. <Io devo...> Capo che si abbasserebbe qualche secondo, non per debolezza, ma per trovare il coraggio per dichiarare tutto ciò che ruota intorno al proprio animo. Secondi interminabili, prima che lui possa risollevare lo sguardo, come se avesse trovato l'energia adatta per farlo: <Io devo chiederti Scusa.> E perché tutto ciò, dato che si son appena incontrati? <Quando ho saputo che Lui sarebbe stato giustiziato, ho cercato di raggiungerlo immediatamente.> E le mani che andrebbero ad alzarsi, affinché possa posarsi sul proprio indumento, sulla camicia che andrebbe a sbottonare piano piano, dai primi bottoni in alto, fermandosi una volta raggiunta la metà. <Ma ero solo e tutti quei....> Vi è rabbia. <Bas***di.> Non si sprecherebbe, non in quell'istante: che venga perdonato, Azumi. <Mi hanno attaccato affinché non avessi il tempo di raggiungerlo in tempo.> E le dita accarezzerebbero il tessuto, per poterlo aprire lentamente e mostrare uno squarcio del proprio busto, il quale, seppur discretamente delineato, senza eccesso, presenta delle cicatrici. <Alla fine, son riuscito a superarli, dato il poter che ci accumuna.> Quel gene, che straordinaria abilità. <Ma era troppo tardi e lui non c'era più.> Non avrebbe visto il corpo, ma sarebbe sicuro che l'esito sia stata portata avanti, correttamente. Sente il dolore, il rimorso, di non aver fatto di più, per proteggerlo. <Dunque...> Le iridi andrebbero ad inumidirsi, seppur nulla solchi le proprie goti. Triste, visibilmente. Totalmente inerme dinanzi a quei ricordi, del passato. Intanto le mani andrebbero, se non impedito, a vestirsi nuovamente, egregiamente. <...Ora che so che tu sia viva, che una parte del mio passato c'è ancora...> E forse anche lui, come lei, aveva cercato di superare quel precedente se stesso. <...Sarò disponibile per qualsiasi cosa tu mi dirai e vorrai.> Quasi come se si sentisse obbligato, in dovere, di esprimere ciò, non essendo stato capace di salvare la loro persona cara. <Non potrò colmare quel vuoto, ma permettimi di aiutarti, se necessario.> Ed ora compierebbe semplicemente qualche passo, prima di poter sprofondare su una delle poltrone lì presenti; non sembrerebbe sorreggersi facilmente in piedi, portando la mano destra ad accarezzare la fronte, per qualche secondo, e massaggiare le tempie. <Azumi viva.> Ripeterebbe. <E trovarla qui.> Che mera coincidenza, che burbero scherzo del destino. <Questo è Anteiku, ove vengono raccolti tutti quelli che hanno questa abilità. Anche Lui ne avrebbe fatto parte, dopotutto.> Conosce il metodo di combattimento del suo compagno d'accademia, e non solo. <Da dopo quell'incidente.> Vorrà davvero defnirlo così? E' il modo corretto? <Ho notato alcuni dei Traditori spostarsi verso Kusa e li ho inseguiti finché ho potuto, per reclamare la mia vendetta.> E la avrà, sì che l'avra. <Ma son poi scomparsi ed io ho preferito rimaner qui, tentando di costruire qualcosa.> Un soffio, una vibrazione leggera delle corde vocali: <Almeno ci ho provato.> Un'emissione che dovrebbe esser meno avvertibile rispetto alle precedenti parole, come se fosse un commento a se stesso. [Chakra On: 38/40. | Equip.Scheda.][Innata Goryo: Secondo Stadio.]

22:00 Haran:
 < Sembri sorpreso > osserva Azumi inarcando appena un sopracciglio, imperturbabile, osservando il viso altrui quand'egli va a fare quella semplice osservazione. Dopotutto lei e suo fratello sono sempre stati noti come Goryo ma che lei ricordi non avevano mai saputo dell'esistenza di altri con il medesimo nome, il medesimo potere. Figli di un uomo svanito nel nulla, figli di un fantasma mai entrato davvero nelle loro vite se non attraverso il sangue stesso che scorre nelle loro vene. Distoglie lei lo sguardo andando dunque a muovere qualche passo all'interno della stanza, fermandosi dinnanzi una finestra che, dal soggiorno, s'affaccia sulla strada all'esterno. Le braccia incrociate sul petto, il capo ruotato lateralmente verso il vetro. Torna ad osservare Kurochi quand'egli chiosa ritrovandosi quindi a dare in un piccolo sbuffo dalle nari. < Sono passati sette anni. Siamo cresciuti tutti. > mormora stringendosi nelle spalle per poi ascoltare quel suo successivo dire. Il suo nome aleggia pesante fra loro aleggiando per la stanza con forza senza tuttavia venir mai direttamente nominato. Mai come in quel momento Azumi ha avvertito il fantasma della sua presenza attorno a sé. E poi il giovane va scusandosi. Lei non comprende, non capisce, confusa, ma non spiccica parola. Permane immobile, osservandolo, aggrottando di poco le sopracciglia in quella sua espressione distaccata e riflessiva. Assai più silenziosa e riservata in quella sua forma, assai diversa e pensosa. Lascia che Kurochi si spieghi, che vada mostrandole quei segni che attraversano parte del suo corpo andando a sentire un senso di gelo risalirle le vene. < Immagino che quei codardi abbiano voluto tenere il suo corpo dopo averlo attaccato alle spalle. All'improvviso. > la sua voce è tagliente, dura, mentre ricorda come tutto si sia svolto troppo in fretta sotto i suoi occhi. Lei immobilizzata, paralizzata dalla paura quando quel primo colpo è stato scagliato, il sangue a schizzare cremisi dal suo corpo mentre l'urlo veniva soffocato dalla sorpresa. Stringe i pugni, lungo i fianchi, sciogliendo l'intreccio delle braccia dinnanzi al petto. < Aiutarmi... > mormora lei con lo sguardo che quasi si perde per la stanza, senza aggiungere un'altra singola sillaba. Va quindi avvicinandosi alla poltrona posta frontalmente rispetto quella ove Kurochi s'è lasciato cadere, andando a sprofondare in essa con le gambe ad accavallarsi con ben poca grazia ma con una qual certa sicurezza, come fosse padrona e Regina della stanza, assolutamente in controllo di ogni cosa lì presente, seppur di fatto non sia che una semplice ospite dell'intera struttura. Le braccia si dilungano lungo i braccioli della seduta mentre il di lei capo si inclina appena verso la spalla ed i suoi occhi permangono fissi e penetranti sul viso altrui. < Kaito. > dice interrompendolo nel bel mezzo di una frase. La sua voce si fa gelida, il tono duro e intransigente. < Si chiamava Kaito. Non "Lui". > continua stringendo le labbra fino a non lasciare che una sbiadita linea in mezzo al viso. <
Kaito. Kaito. Kaito. >
ripete ancora, con forza, assottigliando duramente lo sguardo. < Sì, conosco questo posto, anche se non ho molta familiarità ancora con chi ci vive. In verità neppure comprendo quale sia il famigerato potere di cui continui a parlare. > aggiunge lei alzando ora di poco il viso, permanendo immobile sulla sua poltrona. < Ho capito che questa innata risveglia... Me. Un'altra me. Una sorta di personalità alternativa se vogliamo. Condividiamo gli stessi ricordi, le stesse conoscenze ma, uh-decisamente non gli stessi pensieri. > chiosa la ragazza con una mezza risata. < Eppure non comprendo come questo potere possa tornare utile. Come, per esempio, abbia potuto salvarti contro chi ha cercato di impedirti di raggiungerci quel giorno. > continua Azumi distaccando solo ora la schiena dallo schienale della poltrona per sporgersi appena in avanti, lasciando scivolare la gamba accanto dell'altra, il piede poggiato al suolo. < Spiegami. > chiede finalmente vicina allo scoprire perchè quei Goryo apparissero così fieri della loro forza. E' un hijutsu artificiale, certo. Ma in che modo possa essere concretamente utile in uno scontro all'ultimo sangue questo proprio non riesce a concepirlo. E dunque ascolta il resto del racconto di Kurochi ritrovandosi ad espirare ed osservarlo al di sotto delle lunghe ciglia scure, lo sguardo fermo ed attento a non abbandonare mai il di lui viso. < Sono venuti qui? > domanda assottigliando ora lo sguardo, alzandosi per misurare a grandi passi la stanza con una mano piegata a reggere il mento, l'espressione pensosa. < Merda. Quindi tutte queste precauzioni... sono state per niente. > sbotta stringendo i pugni, i denti, riempita di rabbia. < Quel giorno sono scappata a casa. Dopo che Kaito era stato... tradito, sono fuggita via. Ero sicura che sarei stata la prossima, che avrebbero voluto ucciderci tutti, specie i suoi più fedeli. Così ho fatto i bagagli e sono venuta qui, convinta di allontanarmi da loro. Invece gli ho praticamente vissuto accanto... Potrebbero essere chiunque > mormora, rabbiosamente, stringendo la mascella con forza per poi tornare a volgere verso lui lo sguardo. < Costruire cosa? > [Tentativo Manifestazione: Primo Stadio (I)] [chakra: 33/35]

22:44 Koichi:
  [Zona Staff.] Il silenzio che sembrerebbe catturarlo, per poterlo impegnare, ancora una volta, mentre alcune sensazioni si susseguono: un vuoto, una voragine, che fino ad ora era stata trascurata, ora si presenta nella sua forma più brutale. Avverte l'assenza del Genin e tutto ciò che riguardava lui, dai semplici pomeriggi trascorsi insieme, ad allenarsi, ad una semplice passeggiata serale, per le vie di Oto. Raffiorano lentamente e strapperebbero quella irrequietezza di lui si sarebbe sempre armato, lasciandolo come un contenitore vuoto, senza soffio vitale al suo interno. Abbattuto, quasi. <Non ti ho mai visto attivare il Gene, in realtà.> Spiegherebbe, brevemente, quella sua sorpresa. <Non sai quanti fratelli condividono poteri differenti, totalmente.> Ma loro sembrano esser accumunati, come se quel sangue potesse essere testimonianza vera del loro legame. <Sette anni.> Un piccolo sospiro. <E' vero.> Sono stati anni consumati nella rabbia e nel suo desiderio di vendetta, che non si sarebbe ancora spento. Assolutamente no. Ma il tempo avrebbe giocato a suo sfavore, avrebbe fatto sì che il Chuunin rallenti debolmente la presa: la volontà di individuare almeno uno di quegli idioti, ancora vivo, e farlo soccombere per mano propria. Non saranno sufficienti numerose reincarnazioni per soddisfare quel senso di rabbia repressa, ben sigillata, ma mai svanita. <Non ho visto il suo corpo.> Ripeterebbe. <Ma questo non mi fermerà.> Convinto, nei propri intenti. <Troverò colui che ha organizzato la ribellione interna e lo distruggerò, lo consumerò così dolorosamente che potrà capire come mi sia sentito a perderlo...> E poi quel nome, ripetuto anche più volte, suonano come pugnali che si iniettano nel proprio cuore. <Ti sembrerà strano, forse, ma ultimamente non ho più proferito il suo nome.> Una smorfia, sentendosi quasi ridicolo in quella scelta, seppur abbia delle fondamenta a lui solide. <Ho creduto che fosse una mancanza di rispetto, per il fatto che non lo abbia salvato in tempo.> Si sente terribilmente colpevole, fin troppo. Sporco, di un'onta che non riesce a rimuovere neanche con quella richiesta d'aiuto. <Si, aiutarti.> Se l'altra non lo avesse compreso: <Sei sua sorella.> La mancina mano che andrebbe ad issarsi, per poter esser utilizzata come supporto per la propria testa, inclinata lateralmente. <La sorella di Kaito.> Lo pronuncerebbe, cosciente di come la situazione lo richieda, volendo accontentare la richiesta implicita d'ella. <E per questo motivo, non posso e non voglio far altro che starti accanto, per quanto io possa, ed aiutarti.> Proferirebbe con una lentezza disarmante, come se stesse ddavvero tentando di far slittare i propri sentimenti, così impetuosi, e lasciar spazio ad una briciola di lucidità, in quel frangente. <Devi ancora conoscere le peculiarità dell'innata?> Retorico, mentre andrebbe ad issarsi, con una spinta di reni, e cercherebbe di avvicinarsi, per accomodarsi sul divanetto più vicino, accanto, in modo tale che possa aiutarla nell'affinità con il potere che si cela dentro l'altra. <Procediamo per gradi, Azumi.> Cortese, gentile, mentre tenterebbe di sfoderare un debole sorriso, a suo carico, seppur sia leggermente forzato; che voglia dare un colpo a quella tristezza dilaniante? <Ci sono tecniche che apprenderai presto, che possono risultare molto utili in battaglia, ma ora vorrei che ti concentrassi sulla base.> E socchiuderebbe gli occhi, facendo sopire quel potere e ripristinando il color perlaceo della propria ciocca ribelle, non più cremisi. <Mantieni la tua forma.> Evitando che l'altra segua il proprio intento, copiandolo. <Nella sua forma base, entrando in contatto con un essere vivente, puoi decidere di rimuovere una piccola porzione di energia psicofisica.> Meglio denominato come chakra, per esser corretti. <Ti basterà esternare dai pori della tua pelle del sangue mescolato al tuo chakra Goryo.> E dunque tenderà il proprio braccio destro, a disposizione dell'altra. <Toccami la mano e tenta.> Non rivelerebbe della macchia violacea, attendendo che sia l'altra a comprendere, ad intuire la buon riuscita di quel primo intento. <Mam mano che diventerai più abile, potrai rimuovere sempre più Chakra dalle tue vittime.> Quasi come se le desse un assaggio del vero potere di quella dinastia. <Ho perso le tracce, dunque non posso dirti con esattezza dove siano. In quel tempo, ero ancora un Genin.> Ed ora è un Chuunin con una decente esperienza, in realtà. <Ho lasciato ciò che era il mio mondo, perché me lo avevano distrutto. Non sarei potuto rimanere ad Oto.> Lo sguardo che andrebbe a ricercare quello opposto. <Non so cosa stia cercando di creare, ma credo che sia qualcosa che posso definire un motivo.> Riprende, poco dopo. <Un motivo che mi permette di eliminare il dolore che porto dentro.> Peccato che l'altra sia così distaccata e non possa comprendere come possa ledere tutto ciò. [Chakra On: 38/40. | Equip.Scheda.]

23:30 Haran:
 < Ho imparato solo da pochi giorni. Non avevo neppure idea di possedere un'innata, prima... > spiega la ragazza ripensando allo strano e totalmente causale incontro con Nimura avvenuto non molti giorni prima. A quanto pare, invece, per l'altro ragazzo quella dev'essere stata una scoperta ben più antica e distante a giudicare dal modo in cui ne parla. Quella successiva frase, poi, la porta ad inarcare le sopracciglia ed inclinare il capo verso la spalla sinistra. < Immagino che ognuno abbia capacità diverse da un altro, non importa il sangue che ha in corpo. > osserva con semplicità dando voce a quel banale pensiero maturato in lei nel corso del tempo. I minuti scorrono, la sorpresa va via via scemando lasciando spazio ad un vago senso di familiarità. Sembra di essere tornati indietro nel tempo di anni a quando Kurochi era ospite regolare in casa per via del legame che lo aveva unito a Kaito. Tuttavia le cose sono diverse adesso: loro stessi sono diversi e Kaito non è più lì con loro. Tutto, in qualche modo, sembra essere dannatamente *sbagliato*. Non sono ad Oto, non sono felici e non sono tutti insieme. C'è quella mancanza, c'è quel vuoto, quell'anello che aveva sempre tenuto in vita il legame fra le due persone in quella stanza. Il silenzio cala e viene poi spezzato dalla voce di Kurochi che va rivelando quanto ancora sia in cerca di vendetta, quanto ancora soffra per la morte di Kaito portando Azumi stessa a volgergli le spalle per osservare la finestra per un interminabile istante. < Come ti sei sentito? > domanda lei a bassa voce stringendo ora le dita contro il legno della finestra per poi voltarsi di scatto e fissarlo con una occhiata colma di rabbia e frustrazione. < Come *tu* ti sei sentito? Era mio *fratello*! E mi vieni a dire quanto sei stato male a perderlo?! > Stringe le labbra trattenendo le lacrime che improvvisamente sono salite ai suoi occhi bruciando e pizzicando con forza. Sa, sa perfettamente quanto fossero legati, quanto forte fosse la loro amicizia, ma non può tollerare di sentire qualcuno piangere la morte di suo fratello davanti a lei. Lei che lo ha visto assassinare sotto i suoi occhi, lei che ha visto strapparsi il cuore dal petto nel momento in cui quelle lame sono affondate nella sua carne. Lei che ha visto la sua vita fratturarsi e cambiare definitivamente quando la parte migliore di sé è morta annegando in una enorme pozza di sangue cremisi. Kaito era quanto di più bello e prezioso avesse mai avuto in vita e le è stato portato via. Nessuno, *nessuno*, avrebbe mai potuto soffrire la sua dipartita a quel mondo più di lei. < Non è strano... > sospira poco dopo lei nel sentire quanto l'altro le dice circa il nominare o meno il nome del ragazzo. < Non lo nominavo da anni neppure io. > ammette lei, abbassando lo sguardo, sentendo il cuore pesante. Erano anni che le sue labbra non sillabavano quella parola, anni che non la pronunciava ad alta voce, semplicemente perchè non v'era nessuno alla quale sentisse di poterla affidare, come fosse il più prezioso segreto del mondo. < Credi che potrebbe mai essere arrabbiato perchè non l'hai salvato? > domanda lei guardandolo ora negli occhi con i propri ancora umidi ma non più a rischio di un vero e proprio pianto. < Se ti fossi fatto ammazzare allora sì che sarebbe stato arrabbiato. Il modo migliore che hai di rispettarlo è non dimenticare. Perciò smettila. Dì il suo nome, scrivilo, gridalo, fa' ciò che vuoi ma non negarlo mai. Porta il suo nome sempre con te... > dice lei, con forza, risoluta, andando dunque ad abbandonarsi sulla poltrona accanto al tavolino da caffè al centro della stanza. Ascolta la voce di Kurochi e dunque va stringendo le labbra abbassando appena il capo, prendendosi alcuni attimi per riflettere e pensare. < No. Non sono sua sorella. > dice con voce ferma rialzando a quel punto lo sguardo. <
Sono Azumi. E quello che sono non ha a che fare con chi era Kaito. Se vuoi aiutarmi fallo per me, perchè sono io, non per ciò che era lui. >
dice con un tono di voce a metà strada fra il timoroso e l'incerto. < Ho passato anni a nascondermi perchè temevo che sarei potuta morire per via del sogno che aveva voluto tentare di realizzare. Ed ora non voglio che tu cerchi di aiutarmi perchè senti di dovergli qualcosa. Sono più che solamente sua sorella. Sono io. Sono IO. > dice portandosi una mano al petto, indicandosi, tenendo gli occhi fissi in quelli del Goryo presente assieme a lei nella stanza. Una conversazione difficile, una dimostrazione continua di sentimenti da parte di ambo le parti che dimostrano a loro modo rabbia, dolore e sofferenza. Tuttavia, d'un tratto, Azumi si ritrova a chiedergli persino aiuto. Desidera capire questo potere che le è capitato di scoprire e così gli chiede di spiegarle. Kurochi va a sedersi accanto a lei, sul divano, e disattiva la sua innata intimandole di non fare lo stesso. Azumi, quindi, lascia che quel flusso di chakra al cervello rimanga costante ed ascolta quanto l'altro va a spiegarle. Le iridi si dilatano, le sopracciglia s'innalzano e le labbra si schiudono. Abbassa lo sguardo sulle proprie mani come se fosse incredula all'idea di poter essere capace di fare una cosa simile. La cosa la colpisce, l'attira e subito desidera provare l'esercizio che l'altro le ha spiegato. Andando a concentrarsi sul chakra che scorre nel proprio corpo, Azumi andrebbe a visualizzare nella sua mente i canali del keirakukei che si dilungano nella propria mano immaginando di andare a riversare una goccia di energia oltre i bordi della rete per lasciare che questa si mescoli ad una minuscola quantità di sangue 'infetto'. Tenterebbe di andare a mescolare la porzione di chakra al proprio sangue per poi spingere quella nuova minuscola molecola in direzione dello tsubo presente sulla punta del proprio indice. A quel punto andrebbe a cercare di allungare il braccio verso la mano che l'altro le offre e, lentamente, porrebbe la propria mano al di sopra di quella di lui. Nell'andare a creare quel contatto tenterebbe di sospingere la particella di sangue e chakra oltre il punto di fuga per farla fluire nella pelle altrui tentando di andare a neutralizzare una piccola parte del di lui chakra. Se questo fosse riuscito ecco che, sotto la sua mano, si verrebbe a spandere -ove v'è stato il contatto- una piccola macchia violacea non dissimile ad un livido. < Oddio... cosa? > domanderebbe, sorpresa, assottigliando lo sguardo, allontanando ora la mano da quella di lui. < E' normale? > chiederebbe, incerta, ricercando ora da lui una conferma per poi ritrovarsi ad ascoltare un'altra parte del racconto del compagno. Può comprendere. Può capire quello che egli sente e, sospirando, si ritrova ad espirare ed umettarsi nervosamente le labbra. < Beh... buona fortuna allora. Io credo che non potrò mai separarmi dal mio dolore. Ormai è tutto ciò che mi resta di lui. > dice lei deglutendo, con sguardo fiero sul viso, come se la sola idea di smettere di soffrire per la sua morte potesse essere vista ai suoi occhi come una sorta di tradimento. [Manifestazione: Primo Stadio (I)] [chakra: 32/35; PV: 100 - 1 = 99/100]

19:59 Koichi:
  [Zona Staff.] Il silenzio che ancora perdurerebbe in quella stanza, ove nessuno sembra entrare od uscire, lasciando che quell'area possa rimanere una zona chiusa, un luogo in cui potranno esser soli e potranno esser se stessi, potranno solcare l'onda del passato senza interferenze alcuni. Son soli, come mai son stati nella loro vita, anche nel corso degli eventi che hanno vissuto nelle terre di Otogakure no Sato. Con loro, vi era sempre quell'anello che li univa, quel volto e quel sorriso che rendeva il tutto così piacevole. Il loro sole, il loro punto di ritrovo, sia in qualità di fratello che quello d'un amico. Ed ora, come fossero iniettati all'interno di una burrasca, in mezzo ad un mar in tempesta, stanno cercando di rimanere discretamente lucidi, senza cadere troppo vittime di quelle emozioni negative. Un'impresa ardua, assolutamente. Lui continuerebbe a respirare, lentamente, come se stesse cercando ancora di metabolizzare l'incontro appena avvenuto, non attendendosi mai che dietro una felpa potesse ancora rivedere quelle ciocche, che possa condividere ancora la possibilità di vederla. E quasi un vago pensiero sembrerebbe accarezzarlo, rendendogli un sorriso ma con un valore totalmente amaro, fin troppo, come nessun caffè potrà riuscire a giungere: il corpo di Kaito non lo avrebbe mai visto, non ha purtroppo osservato la sua morte; e se fosse ancora vivo, se fosse sopravvissuto mediante i geni all'interno d'ogni esponente di quel Clan? Una ipotesi che andrebbe a frantumarsi, quando constaterebbe che, in quel caso, lui avrebbe fatto il possibile per mettersi in contatto, per trovarli e poterli nuovamente abbracciare. E forse avrebbero condiviso nuovamente un pasto, tutti tre, od un semplice ghiacciolo, duranti i periodi estivi. Quella morsa, quella sensazione di mancanza, non sembra cedere, ma tutt'altro: verrebbe marcata, anche dalla presenza della Genin, la quale sembra esser adoperata come mezzo, come ponte di collegamento per la propria mente, per poter semplicemente inspirare i propri pensieri, così intensamente, alla persona in comune. <Non posso conoscere...> Schiuderebbe le labbra, lentamente, notando come il volto d'ella si macchierebbe di tristezza, di una lacrima inibita e mai discesa: <il tuo dolore.> Riprenderebbe poco dopo, tentanto d'esser comprensivo, di aiutarla ad incassare quella scarica di sensazioni, senza che diventi una situazione più complessa da gestire. <Ma questo non rinnega il fatto che, nonostante tutto questo tempo, anche un frammento di me è scomparso con lui.> Proverebbe a farle comprendere: <Non mi importa conoscere quanto questo pezzo di me fosse grande, so solo che ora non c'è più.> Ed il capo che andrebbe ad abbassarsi, per poter sgonfiare la cassa toracica ed avanzare un ulteriore pesante sosprio. Quell'argomento trascina il duo verso una situazione di tristezza e negatività senza limiti, senza alcun fondo. E chiissà quanto ancora potranno discendere. <Ah si?> Quasi chiederebbe conferma del fatto che quel nome sia così importante, da non poterlo esplicare con così tanta facilità, come se fosse un nome qualsiasi, come se si trattasse di un semplice esser umano. No, lui non lo era. Lui era speciale; non solo per l'obiettivo che s'era prefissato, ma per tante altre doti che ha avuto modo di apprezzare nel tempo, durante il loro corso accademico od in quegli allenamenti intensivi. Dopotutto, trovare qualcuno che condivideva lo stesso potere, quell'ignota risorsa di cui tutti avevano timore, fu motivo di sorpresa e di piacere poi. Il Chuunin non si sentì più solo in quelle terre, trovò una spalla a cui potersi appoggiare e così viceversa. <No~,> Risuonerebbe dolce quel commento, quella risposta. <Lui sapeva a cosa andava incontro e, nonostante tutto, non si arrese. Voleva continuare, desiderava con tutto se stesso quella pace.> E la Sindrome probabilmente, almeno all'inizio, colse quel progetto anche perché spingeva contro un reticolato di regole stupide. Una gestione che doveva esser cambiata, in modo radicale. <Se fossi morto, sarebbe stato capace di riportarmi in vita solo per colpirmi ancora una volta.> Ed una risata, piccola e minuscola, quasi isterica, si presenterebbe, nel poter immaginare lontanamente una ipotetica scena, come appena descritta. <Neanche dinanzi alla morte, rinnegherò il suo ricordo.> E lo sguardo diventerebbe serio, profondo, mentre lo punterebbe contro quelle avverse: oro verso il cielo prossimo all'imbrunire. <E son sicuro che tu farai lo stesso.> Una mera proposizione, cosciente di quanta verità vi sia all'interno. E poi l'altra si siederebbe, emettendo quella frase strana, che colpirebbe in primo impatto l'attenzione del ragazzo. <Uh?>La seguirebbe, comprendendo il ragionamento che si cela dietro a quella prima dichiarazione, attendendo che questo sfumasse, prima di poter strappare il silenzio una volta: <Perdonami.> Ed una seconda volta, poco dopo. <Non abbiamo avuto modo di conoscerci molto.> Ed i suoi bulbi mostrerebbero solo una massiccia dose di apparente calma, mentre avanzerebbe foneticamente. <Forse perché siamo stati sempre la sorella e l'amico d'infanzia di Kaito.> E quando il proprio braccio verrà teso per mostrarle la peculiarità dell'innata, andrà anche ad aggiunger. <Azumi~.> La richiamerebbe col suo nome, scandendo ogni sillaba lentamente. <Vorrei starti accanto ed aiutarti.> Un sorriso debole, con quegli angoli delle labbra leggermente distese e di poco curvate verso l'alto, ma senza far evidenziare la sua dentatura. Quasi stremato da quella scarica d'emozioni. Ed intanto il tocco della fanciulla andrebbe ad avvenire, lasciando nella zona di contatto una macchia violacea, segno che la capacità sia stata un successo. E potrà anche avvertirlo come una minima dose della propria linfa andrebbe ad esser sottrata, prosciugata. <Questa macchia è testimonianza della tua riuscita. > Spiegherebbe alla controparte: <Rimarrà per circa ventiquattro ore, dal suo applicaggio.> La informerebbe, non volendo rinnegare la conoscenza completa, addestrandola così come sarebbe stato educato, nel conoscere ogni minima caratteristica di quel potere così immenso, così difficile da gestire. <Ora, se lo desideri, puoi rilasciare questa forma.> Avrebbe terminato e dunque le porrebbe il congedo, se per la Genin fosse necessario, se volesse abbandonare quell'identità così razionale, così versata all'analisi e poco istintiva. Ed all'ultimo vociare d'ella, andrà a limitarsi di rispondere, mentre ritrae il braccio verso sé, appoggiandolo sulla propria gamba, senza mancare nella possibilità di scrutare quella reazione al tocco della Contraente. <Credo che Kaito non avrebbe desiderato vederti continuare a soffrire la sua assenza, poiché il tuo dolore era e sempre sarà il suo dolore.> Anche se sarà defunto, lo interpella come se fosse vivo; e forse lo è, all'interno dei cuori ora lì vicini. <Lo sai già, vero?> Una domanda retorica che non attenderebbe risposta, in effetti, lasciando che la propria concentrazione ora fosse voltata totalmente alla ragazza, prendendo quasi respiro dalla propria tortuosa mente. <Dopo ti offrirò il miglior caffè che tu possa mai assaggiare.> E mano destra, chiusa a pugno, che impatterebbe debolmente sul proprio busto, nella zona del cuore, rimanendo in quel punto qualche secondo, prima di decadere: <Parola mia.> Quasi come se volesse scrollarla, volesse darle un principio per risvegliarla da quella condizione, da quella confusione che potrebbe aggreddirla, come una bestia che divora la sua preda lentamente. <Ti sei già trasferita qui?> Chioserebbe, tentando di ingaggiare una discussione meno pesante, non per mancanza di rispetto per colui che non vi è più, ma per instaurare un... qualcosa? [Chara On: 34/40. | Equip.Scheda.][-4 Chakra, per Innata Goryo I, di Azumi.]

20:48 Haran:
 Vorrebbe urlare. Vorrebbe poter semplicemente fermarsi ed urlare. Quante vite ha cambiato la sua sola morte? I due ragazzi nella stanza sembrano essere stati profondamente colpiti dalla prematura scomparsa di Kaito e forse persino ancora altri si sentono esattamente come loro per via della sua assenza. Lui che con la sua calma ed il suo atteggiamento positivo era capace di cambiare l'umore delle persone, di donar loro speranza. Fede. Azumi ascolta il dire altrui e si ritrova a sprofondare nella poltrona con fare stanco, esausto, cercando di tenere a bada rabbia e dolore, quel miscuglio d'impotenza e di infantile negazione che cova da anni dentro di sé. < Non ho mai detto che non ne soffra tu stesso. Ma è quasi ingiusto che qualcuno venga a piangere da me la sua scomparsa, non trovi? > osserva lei guardandolo, amaramente. < Era la mia famiglia. Era tutto per me. > stringe le labbra non volendo crogiolarsi oltre in quel senso d'impotenza. E dunque le parole scorrono, si susseguono e la conversazione va avanti sfiorando diversi argomenti. Kurochi torna a parlar di Kaito di ciò che era stato in vita, di ciò che sarebbe stato ora se solo non glielo avessero strappato via come un braccio dal corpo. Azumi annuisce, stancamente, liberando un sospiro dalle rosee, volgendo ora lo sguardo stanco verso la finestra. Non ama tormentarsi nei ricordi, non in questa forma, almeno. Trova inutile la sola idea di soffermarsi a pensare qualcosa che non sarebbe più tornato. Tuttavia, nonostante questo pensiero fin troppo pragmatico -forse al punto da divenire gelido, non può negare di soffrire lei stessa. Non importa quanto nascosta e diversa sia questa personalità dalla Azumi di sempre, è pur sempre una parte di lei e non v'è facciata della giovane che non avrebbe sentito la mancanza di Kaito dal suo fianco. < Siamo stati per anni amici e confidenti. Non eravamo solo fratelli, eravamo una squadra. Insieme potevamo affrontare qualunque cosa. Non c'è Kami in terra che potrebbe mai portarmi a rinnegare nulla di lui. > Come se ci fosse stato bisogno di sottolinearlo. Era sua sorella, dopotutto. Ma non è solo questo. Azumi non è solamente "la sorella di Kaito", non è solamente questo. Lei è di più. Per quanto lui fosse stato una parte della sua anima, non era lei. Lei ha una propria individualità ed è per questa che vuole che la gente la veda. Come Azumi, non come l'ombra degli ideali di suo fratello. Kurochi va scusandosi, spiegando il motivo dietro le sue parole e Azumi va espirando volgendo ora seria lo sguardo verso di lui. < Perchè? > domanda lei semplicemente, diretta. < Vuoi aiutarmi e starmi vicino. Perchè? > ripete chiarendo il suo quesito. < Non mi conosci. E non voglio che tu lo faccia perchè senti di dover fare un favore al tuo amico morto. > prosegue pragmatica, analitica, assottigliando piano lo sguardo per fissare l'altro negli occhi. < Allora... perchè vuoi farlo? > E poi... avrà davvero bisogno d'aiuto, lei? Lei che fino a quel momento ce l'ha fatta con le sue sole forze? Non lo sa. Non ne è sicura. Ma desidera capire. E dunque approfitta -per un istante soltanto- del di lui aiuto andando a chiedergli informazioni su quel potere che, apparentemente, accomuna chiunque lì dentro. Tenta di andare ad eseguire quanto egli le spiega e rimane sorpresa nel notare gli effetti di quel suo semplice fare. Adesso sì che tutto ha senso. Adesso sì che quel potere può rivelarsi eccezionale. Osserva quell'alone violaceo sull'altrui pelle, affascinata, andando a sogghignare ammaliata. < Incredibile. > commenta deliziata, scandendo le parole con suadente lentezza. < E cos'altro posso fare con questo potere? Hai parlato di tecniche, prima. In che modo posso sfruttare quest'innata? C'è un modo di poterla usare a distanza? > domanda, ora affamata di conoscenza, prima di udire l'altrui invito a rilasciare quella forma. Azumi si sofferma per un istante andando quindi a soppesare la possibilità d'accontentarlo. E' ancora piuttosto faticoso mantenere costantemente attiva quell'abilità ma sta imparando a gestirla. Forse può concedersi un po' di riposo e lasciar modo all'Altra di tornare al comando... < E sia. > soffia, piano, lasciando che il chakra smetta di fluire al cervello lasciando schiarire la chioma fino a farla tornare celeste. La sua espressione s'addolcisce, la posa del corpo muta e da Regina di quella stanza diviene elegante ospite di quel salotto. Azumi torna se stessa e schiudendo le labbra va udendo le parole di Kurochi con fare mesto, distogliendo da lui lo sguardo. < Non m'importa. Non posso solo smettere di soffrire per la sua assenza. > spiega lei stringendo ora i pugni, le labbra, in un moto sofferente. < Il mio dolore è tutto ciò che è rimasto di lui. Se dovessi solo... lasciarlo andare, non resterebbe nulla. Solo anni di ricordi sbiaditi... > troppo poco per lei. Preferisce tenersi stretta il suo dolore come fosse il miglior modo per rimanere aggrappata alla sua presenza nella sua vita. E dunque, poco a poco, l'aria si fa più leggera e il di lei sguardo va voltandosi a cercare quello di lui quand'egli le parla di un caffè. Soppesa l'idea ritrovandosi a realizzare che ancora non ha assaggiato ciò che quel luogo offre ai suoi clienti. < Va bene > sorride, morbidamente, addolcendo lo sguardo, sentendo una ondata di calore avvolgerla. E' così strana quella situazione. Come se il passato avesse bussato alla sua porta per dirle che non è sola, che nonostante tutto non tutto è perduto. C'è ancora qualcosa che resiste della sua vecchia vita. Scuote il capo, alla di lui domanda, guardandolo quieta. < No. Non so se verrò a vivere qui. Vivo con una persona... non posso lasciarla. > Anche se ormai le due non parlano neppure più. < Ma Nimura ha detto che ci sarà sempre una stanza per me perciò... forse, un giorno > abbozza un lieve sorriso andando quindi a stringersi piano nelle spalle. [chakra: 32/35; PV: 99]

22:54 Koichi:
  [Zona Staff.] Per quanto possa far decadere quella prima argomentazione, andrebbe a posarsi su quella domanda così cruciale: perché offrirle un aiuto, se non per dovere dell'amico oramai morto? Quale sarebbero le ragioni che lo spingono ad offrirsi così disponibile alla controparte. <Azumi~.> Solleticherebbe le proprie corde vocali con quel vociare leggero, tentando di respirare un paio di volte, prima di intersecarsi in un discorso che potrebbe sembrare così elementare, ma in realtà non lo è. Vorrebbe evitare di eseguire una lista futile, ma si sente costretto per sintetizzare i punti che convalidano la sua richiesta. Mano destra che dunque, chiusa a pugno, andrebbe ad alzarzi e soffermarsi in aria. <Uno.> S'alzerebbe l'indice, teso, verso l'alto. <Quando son giunto qui, non conoscevo nessuno. E puoi immaginare quanto sia stato complesso creare una stabilità, un equilibrio.> Piegherebbe di poco il capo a sinistra, quasi se quel dito lo ostacolasse la vista d'ella. <E puoi comprendere quanto possa risultare difficile concedere una sola briciola di fiducia, dopo ciò che è accaduto.> I denti superiori che affondano contro il labbro inferiore, in un gesto di puro nervosismo nel rimembrare quegli anni. <Forse anche tu hai vissuto così, con questa consapevolezza, che nessuno si sarebbe avvicinato a te se non per strapparti qualocosa, per farti del male.> Un respiro breve, troppo: <Altro male.> Preciserebbe, dunque. <E ciò cosa c'entra?> Giungerebbe dunque alla sua prima conclusione. <Seppur non ci conosciamo totalmente, sappiamo che nessuno dei due ferirà l'altro.> Ingoierebbe, quasi sonoramente. <Son sicuro di ciò, io mi fido di te.> Lo esplicherebbe, con un pizzico di maggior tranquillità, ma senza giungere ad una tonalità di totale sicurezza. Lieve incertezza, poco percettibile, ma esiste. <Sei una persona leale e hai buon cuore.> Solo qualcuno di puramente simile potrebbe accettare un progeetto così angusto, senza tradirlo mai, neanche dopo la fine del suo ideatore. <E forse ti sembrerà stupido, ma la coscienza di avere qualcuno così...> Quasi non sembra trovare le parole adeguate, dovendo riflettervi. <Aiuta.> Mano libera, la mancina, che andrebbe a posarsi sul proprio petto, con l'intenzione di indicarsi. <Mi aiuta.> E con ciò? <E non potrebbe aiutare te?> Chiederebbe, mentre la mano destra andrebbe ad ospitare anche il dito medio, ora anch'esso teso, accanto al gemello adiacente. <Due.> Avanza nelle sue teoria. <Ho avuto modo di approfondire poco più quest'innata e...> Quasi nel mezzo del discorso, avanza domanda: <Sei una Genin, giusto?> Ricordava che l'altra fosse più piccoladi entrambi, ma non per questo non abile. <Qui a Kusa ho sostenuto l'esame per divenire Chuunin e l'ho passato.> Già da qualche anno, da come racconterebbe lui. <E con questo, posso provare a farti migliorare.> Non pecca di presunzione, affatto. <Conosco qualcosa sulle tecniche di questo Clan e sarà un piacere insegnartele, colmare ogni dubbio che ti verrà a mente.> Dunque come una figura di un maestro, che possa fornirle il materiale adatto per crescere e diventare più forte, pronta a qualsiasi situazione possa presentarsi dinanzi. <Ti sarà utile soprattutto se avremo modo di incontrare uno di quei traditori.> Non sembrerebbe escludere l'ipotesi, in effetti. <Ma in quel caso o qualsiasi altro...> Ed il terzo dito, l'anulare, sorgerebbe seppur non venga presentato numericamente: <Vorrei che il passato per te non equivalga soltanto a tanto dolore. Vorrei che lo sostenessimo insieme, grideremo il nome di Kaito se sarà necessario.> Ed un sorriso che s'affonderebbe in quel volto maschile, ora più disteso e dai lineamenti più morbidi. Intanto le gambe prenderebbe nuovamente contrazione, per accettare quella spinta di reni ed issarsi dal divano, torcendos appena il busto verso la Contraente. <Vuoi?> E la mano che prima segnava il conteggio, si trasforma in una mano aperta, pronta ad aiutarla, a trainarla per sollevarsi da quel divano, come se in quel momento fosse un comodo giaciglio ove accarezzare il passato. Ritorneranno lì, in quella fase; ma riusciranno anche a distaccarsi e poter respirare, in quell'immersione di ricordi? <Preparerò il miglior caffè che abbia mai fatto.> E sol ora i denti potrebbero esser svelati in quel sorriso candido. <Parola di Master~Cafè.> Così come la sua discreta fama all'interno dell'Anteiku pronuncia: <Nimura non riusciva a gestire il mio carattere e m'ha insegnato ogni cosa sul caffé, pur di far concentrare tutta questa energia verso qualcosa.> Le spiegherebbe brevemente l'appellativo appena pronunciato: <Probabilmente non voleva che questa struttura cedesse così facilmente, dopo tanto tempo che ha impiegato a costruirla.> Una persona graziosa lui e ponderata, eh? <Vi sono tecniche che permettono di lanciare dei proiettili e che assumono stessa conseguenza del nostro tocco.> Quella di debilitare parzialmente del Chakra. <Oppure creare una protezione attorno a sé così resistente...> E lascerebbe in sospeso la frase, conscio che l'altra possa aver intuito il proseguo. <E vi sono ancora altri che dovrò imparare ad utilizzare.> Potrebbe esplodere dal desiderio, in trepidante attesa di poterli padroneggiare accuratamente. <Ah.> Bloccato per un attimo da quella frase, non cosciente di chi possa essere e non domanderebbe, per non essere inopportuno. Lascerà alla ragazza la libertà di dirgli qualcosa in più, se vorrà e quando vorrà. <Sicuramente, questa ora è anche la tua Famiglia.> Quasi come se volesse fare gli onori di casa, mentre compierebbe semplicemente qualche passo verso la porta, ma senza ancora aprirla. <Se vorrai, lasciami l'indirizzo di dove abiti con questa persona. Saprò dove cercarti, se ne avrò bisogno.> Sarebbe corretto, no? <Invece tu mi troverai principalmente qui, nei piani superiori. Potrai chiedere a chiunque e ti indicheranno la mia stanza.> Ed attenderà che l'altra si avvicinerà, gli stia dietro, per sussurrare, anche senza osservarla dritto negli occhi. <Son sicuro che Kaito sia felice che noi saremo uniti e ci aiuteremo.> Una sfumatura di tristezza, intrisa ad un sorriso amaro. Se l'altra scorgerà il volto della Sindrome, potrà notare una piccola riga invisibile, dal mancino occhio, che attraversa il volto silenziosamente. Qualcosa che verrebbe poi bloccata dalla mano sinistra, nell'atto di ripulirsi il volto, grossolanamente. E, solo dopo un secondo, se l'altra non farà nulla per impedirlo, porterà la mano destra verso la maniglia, pronto ad affondarla, a premere il giusto peso per aprire e mostrarsi ora alla sala, impoverita di clienti rispetto a qualche ora prima. Quella stanza sarà poi chiusa, non prima di un ultimo sguardo al suo interno: un segno indelebile sarebbe stato tracciato lì, all'interno della stessa. Ora, Kurochi non sarebbe più solo. E neanche Tu, Azumi~Chan. [Chara On: 34/40. | Equip.Scheda.][EXIT.]

23:30 Haran:
 Inizia il suo racconto, Kurochi, indisturbato. Azumi lo lascia parlare, non interrompe, cercando di capire se le sue parole la convincano o meno. Ode quant'egli dice ritrovandosi dunque, alla fine, ad annuire piano. < Capisco cosa intendi dire. Ci conosciamo da tanti anni, in qualche modo sappiamo che non abbiamo interesse nel ferirci a vicenda. Ma non dire che desideri aiutarmi; è qualcosa che principalmente fai per te stesso. Come hai detto tu, è qualcosa che ti aiuta. > dice lei con tono pacato, tranquillo, per niente scomposto. < Non che ci sia niente di male, in questo. > chiarisce poi onde evitare di venir fraintesa. E' solo leggermente puntigliosa, meticolosa a livelli quasi pungenti, precisa. Non sa se la cosa possa aiutare anche lei ma sì, sa di potersi fidare di lui dopo tutti quegli anni trascorsi fianco a fianco ad Oto, seppur non direttamente. A quanto pare, lì a Kusa, Kurochi ha sostenuto il suo esame chuunin superandolo. Le offre di insegnarle qualcosa, di essere suo sensei e questo porta Azumi a soppesare quell'offerta. Non le importa divenire più forte, non le importa raggiungere il potere. Desidera solamente una vita tranquilla, potersi difendere e avere una vita normale, come quella di chiunque altro. Niente di più o di meno. < Francamente non desidero essere più forte. Vorrei solo potermi garantire protezione per vivere una vita tranquilla. > rivela lei pacata, seria. < Ma ammetto che sono incuriosita. Mi piace imparare cose nuove. > rivela affascinata dalla possibilità di poter studiare nuove tecniche. Tecniche che a quanto pare possono permetterle di ripararsi dietro un'armatura oppure sparare proiettili ricolmi di chakra e sangue. L'idea la solletica, la intriga e se non si sentisse così stanca vorrebbe imparare già ora. < Affascinante... > mormora con fare eccitato prima di sentire il resto del di lui dire. Accetta la sua mano al solo scopo di levarsi in piedi e quindi guardarlo dritto negli occhi. < Il passato non è dolore. Il presente lo è. Proprio perchè di Kaito non è rimasto che questo... un nome. > dice con glaciale schiettezza. Il passato è felice: ogni ricordo ove può rivedere il suo viso è una carezza al suo animo. E' tornare al solitario presente che la scaraventa in un abisso fatto di oscurità e tristezza. A quel punto Azumi ritorna alla sua forma naturale andando a sorridere leggermente verso l'altro. L'atmosfera s'è alleggerita e i due si accordano per un bel caffè nella sala principale del locale. Ascolta il suo racconto e quindi annuisce dimostrando d'aver compreso le sue parole. Infine gli dice di non aver ancora deciso se vivere lì o meno. Torihi se ne è andata, non vive più con lei, ma Azumi non è ancora sicura di volersi trasferire lì. Ha preso in considerazione l'idea ma non ha ancora raggiunto una reale decisione. < Ci vorrà più che del semplice sangue in comune perchè li consideri una Famiglia. Il sangue è solo sangue. Non conta niente. > spiega lei con un mezzo sospiro. < Ma darò loro una possibilità. Finora sono stati gentili. Anche se un po' inquietanti. > Insomma, Nimura non è esattamente una persona qualunque. E dunque segue l'altro verso l'esterno, andando a continuare con lui quella conversazione ritornando verso l'area principale dell'edificio, lì dove i clienti hanno ormai abbandonato i loro tavoli lasciando modo ai due Goryo di ritrovarsi e di aggiornarsi, ancora per un po', sulle loro nuove vite.[END]

Azumi si reca all'Anteiku decisa a voler chiedere aiuto a qualche Goryo circa la natura della loro innata.
Qui incontra Kurochi, vecchio conoscente ed amico di suo fratello, il quale oltre a soddisfare la sua curiosità aiutandola a capire il reale potere dell'innata Goryo le racconta cosa ne sia stato di lui dopo gli eventi che hanno caratterizzato il loro comune passato.