Il riscaldamento della mezza tacca.

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16:52 Roku:
  [Direzione Accademia.] Cielo incerto per il Villaggio dell’Erba. L’azzurro è inframezzato da nuvole e nuvoloni che con lo scorrere del tempo aumentano e diminuiscono la propria densità, a seconda della direzione dei venti. D’altro canto la giornata volge sempre più al termine: il sole si avvia a calare oltre gli alti palazzi che disegnano ne disegnano l’orizzonte entro tutti e quattro i punti cardinali. Un giovanotto percorre le vie del suo paese natio(?). Ha dieci (10) anni e li dimostra tutti, in effetti. Piccolino: tende decisamente verso al mingherlino, benché il viso sia contraddistinto, com’è giusto che sia, dalla rotondità e dalla paffutezza dell’età sua propria. Lo strato esterno del suo abbigliamento è caratterizzato da un cappottino d’una tinta gialla spenta, pastosa, ma abbastanza brillante, richiama un po’, nella forma e nel colore, i tipici impermeabili con il cappuccio, tutti gialli. Qualcuno potrebbe pensare che il giovanotto sia stato saggiamente consigliato di indossare qualcosa che lo possa riparare dalla pioggia, ma in realtà il suo colore preferito è il giallo e quel cappotto rientra tra i capi d’abbigliamento che predilige, essendo regalo della sua adorata Oba-san. Cosa ci sia sotto il cappottino non è momento approriato per raccontarlo, chi voglia vedere o sapere, avrà modo di venirne a conoscenza tra non molto. Le gambe sono coperte da una tuta nera, e ai piedi indossa scarpe da ginnastica. Non ha altro con sé, se non una copia delle chiavi dell’appartamento dove vive con la Nonna ed il Nonno, casomai che i due anziani abbiano voglia di uscire a fare una passeggiata domenicale per i cavoli loro. Il ragazzino, dal canto suo, con veemente orgoglio, ha detto che sarebbe andato in Accademia a tenere in caldo i muscoli, che avrebbe “fatto andare un po’ le mani” approfittando del tranquillo pomeriggio. Cammina dunque, in direzione dell’Accademia, mani nelle tasche della sua giacca preferita, questa volta non ha portato con sé né stick di carne, né croccantini, per i suoi amati micetti. Strano, effettivamente: che l’entusiasmo per la sessione d’allenamento gli abbia fatto scordare l’impegno preso con il mondo felide Kusano? L’istituto non dovrebbe trovarsi troppo distante.

17:09 Roku:
  [Interno Accademia.] L’accademia si erge dinanzi al ragazzino. Il suo sguardo non riesce a contenerla tutta. Sorride, vedendola, con quell’espressione mista di fiducia e gioia che contraddistingue tutti coloro che hanno da poco cominciato un’impresa dalla quale sperano di trarre il massimo dei benefici. Il bambino accoglie un lungo respiro, lo trattiene per qualche istante, prima di compiere il primo decisivo passo verso l’ingresso dell’edificio. Qualche finestra parrebbe essere illuminata per permettere agli studenti più versati allo studio o semplicemente motivati a fare bella figura all’esame, di sfruttare anche queste ore in cui la luce naturale non è più sufficiente a garantire una lettura scorrevole e non troppo faticosa di testi ed appunti. Il piccolino si trova ora alla portineria, il suo momentaneo obbiettivo, ciò che il suo cuoricino più d’ogni altra cosa desidera sono le scale. In realtà in fanciullo avrebbe sperato di trovare qualcuno con cui allenarsi, magari un compagno di scuola più in là con le lezioni rispetto a lui, ma gli sta bene anche così. Sale le scale lasciando scorrere la manina destra sul corrimano. Probabilmente è diretto sul tetto, all’aria aperta. <Magari fuori c’è qualcuno…> dice tra sé e sé, pur non credendoci troppo. Del resto cosa pretende? E’ domenica, giorno della settimana che in teoria dovrebbe essere dedicato al riposo, al divertirsi, al passare il proprio tempo con gli amici. Certo… averne... Non che Nonno e Nonna non siano divertenti eh, ma uscire a fare esercizio, giocare a nascondino, insomma, le solite cose che piacciono ai bambini, ultimamente sono diventate pratiche un po’… drammatico… per i due anziani signori. Inoltre abitano in una zona in cui sembra esserci un’elevata densità di pensionati.

17:24 Roku:
  [Interno Accademia/ Verso Tetto.] Il ragazzino continua imperterrito a salire le scale: tra un piano e l’altro si ferma a dare un’occhiata per memorizzare le parti iniziali dei corridoi, così da imparare più in fretta le varie differenze tra piano e piano… del resto quel luogo lo ospiterà per i prossimi mesi e non vuole certo commettere la figuraccia di trovarsi impreparato, arrivare tardi a lezione o dare indicazioni sbagliate ad un eventuale collega studente che avesse bisogno. Dovrebbe trovarsi agli ultimi gradini della serie di gradini tra terzo e quarto piano. In effetti, un pochino, le scale si fanno sentire e decide di concedersi una pausa per riprendere fiato. Siamo clementi, in fondo si tratta pur sempre di un bambino passato dal giocare con le action figures, i video games e leggere i fumetti, quando non frequentava la scuola comune -dove si apprendono i rudimenti del calcolo, della grammatica e della storia in generale-, ad un bambino aspirante Ninja. Se poi sia lui chiaro cosa significhi diventare Ninja, il reale motivo per il quale lo voglia diventare… insomma, se abbia ben chiaro i sacrifici che sarà tenuto a fare, le estenuanti sessioni di corpo a corpo con studenti più grandi di lui, questo non ce lo si può immaginare. L’unica cosa certa è che al momento studia in Accademia, ne è un Allievo regolarmente iscritto e autorizzato da chi si occupa di lui. <Teh…> esclama, fra sé e sé, poco convinto. <Forse devo andare con il Signor Miyamoto a correre la mattina…> continua, sempre fra sé e sé, pensando ad uno dei suoi vicini di casa che la mattina presto si diverte ad andare fino al parco a qualche isolato di distanza da dove abita, fare un po’ di ginnastica e quella cosa strana che dovrebbe essere un’arte marziale, ma in realtà sembra un balletto con bolle invisibile che dovrebbe aver nome di Tai Chi. Il vecchietto, quando la mattina andava scuola, lo invitava sempre ad uscire con lui, non chiaramente sulla settimana, ma nei giorni di riposo, adducendo che gli avrebbe fatto bene un po’ di moto. Per un certo verso, il ragazzino si pente, or ora, di non avergli dato retta ma, per altro verso <Sì, però, certo che…> si ritrova a pensare, guardando verso la nuova rampa di scale che lo separa dal tetto dell’Accademia. <Correre è un po’ una rottura>.

17:37 Roku:
  [Tetto.] Il bambino sale l’ultima rampa di scale. Di lì a pochi secondi, una ventata d’aria fresca lo accoglie pungente, insediandosi nei polmoni. In teoria, data la stagione, l’Accademia dovrebbe aver tenuto acceso termosifoni e riscaldamenti, almeno un minimo, quel tanto che basta per non far venire i brividi, ma da non istigare il torpore che potrebbe rapire molti dei ragazzini e delle ragazzine che stanno passando la loro domenica a studiare, conducendoli nel mondo dei sogni. Il tetto, progettato a mo’ di terrazzo, accoglie dell’erba, qualche albero e qualche roccia, trovandosi a metà tra un campo d’allenamento e una sorta di giardino pensile molto minimalista, radical chic, qualcuno direbbe. Delle reti metalliche sorrette a distanza ritmata da pali altrettanto metallici, fungono da protezione per gli allenamenti avanzati, per gli allenamenti di chi veramente dovrebbe sapersi muovere come ninja tra salti, tecniche, proiezioni e lanci d’armi. Tutta roba di cui per il momento, il ragazzino si trova all’oscuro, incapace com’è di pelare una patata con il coltello, a meno che non gli venga dato un pelapatate, il che semplica nettamente le cose. <Mmmh…> mugugna, portando la destra, dalla carnagione chiara, sul mento, accarezzandolo con pollice ed indice, ripetutamento. <Da dove comincio?> si chiede, guardandosi attorno. In realtà sa benissimo di dover cominciare con un po’ di riscaldamento degli arti inferiori, degli arti superiori, seguiti da una corsetta attorno al perimetro del tetto/terrazzo. Ma vuole evitare la corsa, attività che, come precedentemente menzionato, non gli risulta particolarmente simpatica. Vede l’albero. Si illumina. <Potrei rinforzare un po’ i miei pugni!> Dice con entusiasmo, alzando sempre la destra verso l’alto, appena sopra la testa, con le dita chiuse tra loro, tutte a parte l’indice, ad indicare la genialità della sua idea. Prende un altro respiro, sorride convinto, il genietto di dieci anni, ancora inconsapevole. Alle volte, soprattutto quando è solo, sa essere molto teatrale. Forse lo fa per tenersi compagnia. Guarda l’albero e comincia ad andargli incontro.

17:54 Roku:
  [Tetto.] Arriva dinanzi all’albero. Le comiche stanno per cominciare. Se qualcuno lo vedesse, potrebbe pensare che trattarsi di un bambino davvero ottuso… però, insomma, a dieci anni gli schemi trascendentali di qualsiasi bambino, in diversi campi dell’incontro con la realtà e nell’interazione con il prossimo, funzionano in maniera strana. Guarda l’albero, determinato. Cercherebbe di assumere una posizione di guardia, con i pugni alti, le gambe divaricate, secondo i rudimenti che fino ad ora è riuscito a registrare nella propria memoria. La corteccia dell’albero, un bell’albero a dirla tutta, o meglio, probabilmente un bell’albero, visto che la stagione dovrebbe averlo privato delle foglie; comunque, la corteccia dell’albero è lì, a poco più di mezzo metro (50 cm) di distanza. La mezza tacca è proprio sotto l’albero, ha ancora indosso il cappottino, non lo toglie per evitare di buscarsi qualcosa e del resto sembra non avere presente che, se dovesse rovinarlo, sarebbe poi decisamente dispiaciuto per aver compromesso l’integrità del giubbino, il quale, come accennato poco sopra, è il suo preferito. Nonostante ciò, il ragazzino guarda ostinato la corteccia dell’albero, subito dinanzi a sé. <Chiudi bene il pugno.> Afferma, sicuro di quello che dice. <Il pollice deve stare su… non giù e nemmeno dentro il pugno.> Continua, studiando appassionato l’arte del pugno. <Tienilo stretto, se no mi faccio male…> ripete, guardando prima il pugno destro, poi il pugno sinistro, per quello che può riuscire a vedere, dato che, causa la stagione, si vive del riverbero dei lampioni e delle luci del Villaggio. Convinto, comunque, prende un respiro. <Le gambe?> si ricorda poi, improvvisamente. <Cerca di stare un po’ bassino, che è più facile mantenere l’equilibrio…> direbbe. Dovremmo esserci, è pronto per cominciare a rafforzare il suo corpicino. <Ok…> fa. <Waaa…> esclama il ragazzino, deciso, determinato. <Taaaah…> direbbe, lasciando che i muscoli del braccio destro facciano il loro lavoro: scaglierebbe il pugno verso la corteccia dell’albero, veloce, senza però caricarlo eccessivamente di forza. <…ah-Iah!> il complesso delle esclamazioni dovrebbe risultare comico, se il colpo andasse a segno. Partito deciso, il filo d’erba non troppo cresciuto si lascerebbe andare ad un “ahia”. Una sola domanda… perché?

18:00 Roku:
  [Tetto.] Il pugn… pugnett… insomma, quella specie di colpo, improvvisato per evitarsi la corsa e partire subito con l’allenamento serio, di rinforzo di muscoli ed ossa, sembrerebbe andato a buon fine, sì. Risultando nel dolore di nocche e falangi del ragazzino, che verrebbero subito ritratte per essere soccorse dalla mano sinistra, la quale non è impegnata nel colpo ma giace a mezz’aria, per bellezza e completezza di forma/posizione. <Ah…> si massaggia, il geniale artista marziale in erba. <ia… ia… ia…> esclama, si contorce, un po’ digrignando i denti, un po’ abbassandosi per tenere le mani in grembo, come se ciò facilitasse la scomparsa del dolore. <Eh… è duro il legno…> direbbe dunque, guardando rancoroso il tronco appena colpito. <Forse è meglio se faccio solo un po’ di stretching…> aggiunge. In cuor suo cerca di ricordare il motivo per cui avrebbe dovuto, o voluto, cominciare con il tirare pugni ad un albero. <Mai più…> commenta, allontanandosi dall’albero.

18:14 Roku:
  [Tetto.] Forse il corpo a corpo non è proprio lo stile adatto a te, piccolo filo d’erba; o forse sarebbe stato d’uopo attendere la lezione propriamente detta tra quelle proposte all’Accademia Ninja di Kusa, prima di improvvisarsi boscaiolo senza ascia, sega o motosega che dir si voglia. Quindi si è trattato di entusiasmo… allora sì, si capisce. Da sempre il ragazzino è un entusiasta di ciò che fa. <Nei fumetti sembrava più facile…> il suo commento indispettito, mentre lancia un ultimo sguardo all’albero che s’è lasciato alle spalle. <Farò qualcos’altro…> decide dunque. Come prima cosa, dunque, si piegherebbe in avanti, portando la gamba destra in avanti, con il ginocchio piegato e la gamba sinistra indietro, cercando di tenderla più possibile e lasciando il tallone sollevato. Cercherebbe dunque di fare una minima pressione con il bacino, verso il basso, lasciandosi sfuggire un versetto dato dalla sensazione che provocherebbero i muscoli della coscia destra, sinistra e della parte posteriore della gamba sinistra, tesa all’indietro, senza contare la sensazione data dallo spingere il bacino verso il basso, per cercare di forzare l’apertura delle gambe. Le mani, nel frattempo, andrebbe dietro la schiena, la quale dovrebbe essere il più possibile dritta, mentre la sensazione di dolore/calore/stiramento dei muscoli si propagherebbe fino al cervello, facendogli digrignare -non troppo, per dire la verità- i denti. Insomma, prendere a pugni un albero sembra essere più doloroso. <Teniamola così per un po’…> dice fra se’ e se’, guardando davanti a se’. Il tappeto erboso del tetto dell’Accademia dell’Erba si stende per qualche metro, prima di raggiungere la rete, oltre la quale, attraverso l’aria fresca, fredda forse, che avvolge il Villaggio e, be’, il mondo intero, si stende anche il Kusagakure con i propri edifici e le proprie luci. Sembra quasi che il Villaggio sia in festa, che lo sia quasi tutte le sere, indipendentemente da pioggia, neve o cielo stellato e luna piena.

18:34 Roku:
  [Tetto.] Il piccolino mantiene tenacemente la propria posizione per qualche secondo. <Ok…> dice, soddisfatto. <Aaaadesso…> esclama, pensando a cosa fare dopo. <Mmmh… adesso giriamoci dall’altra parte e facciamo la stessa cosa…> continua. Si scioglierebbe, dunque, dalla posizione in cui è ora, richiudendo le gambe e facendo gli stessi movimenti, ma portando, questa volta, la sinistra in avanti e lasciando la destra dietro, tesa, provando a schiacciare verso il basso il bacino, con le braccia dietro la schiena, lasciando che la consueta sensazione di calore e dolore si propaghi attraverso il suo corpo. Decisamente molto meglio, come primo approccio, che prendere a pugni la dura corteccia di un albero, in cima al tetto dell’Accademia Ninja da lui frequentata. <Ta, ta, ta…> canticchia, soddisfatto, per dissimulare il dolore crescente. Essendo una posizione statica gli verrebbe difficile non pensarci. <Ta, ta, ta> continua. <Forse dovrei pensare già a cosa fare dopo…> si dice tra sé e sé, in totale e tranquilla nonchalance. Del resto non dovrebbe esserci nessuno che potrebbe sentirlo proferir discorso da solo. Certo, una cosa comincia a diventargli chiara nella mente: se dovesse ritrovarsi a ripetere quei esercizi, giorno per giorno, e anche di più intensi e complicati, potrebbe migliorare poco a poco, sviluppare la propria muscolatura e coordinazione. Un po’, in effetti, data l’eterogeneità degli studenti che frequentano l’Accademia, l’idea di trovarsi davanti qualcuno di più corpulento, di più vecchio o, semplicemente, di più alto e preparato di lui, un po’ lo secca. Per questo, il figliolo, è tanto determinato a trascorrere il suo pomeriggio, ormai più sera che pomeriggio, ad allenarsi.

18:45 Roku:
  [Tetto.] Il dolore sembra essere sparito del tutto; la mano destra del ragazzino è solo un po’ intorpidita, mentre poggia sulla parte finale della colonna vertebrale, appena sopra il sedere. Sembra sia giunto il momento di cambiare figura, di cambiare posizione. Richiamerebbe le gambe a se, lasciando che le braccia vadano ad occupare i fianchi, rimanendo penzolanti. Ora, piano piano, aprirebbe le gambe, passo a passo, facendo strisciare i piedi verso l’esterno, prima di tacco, poi di punte. Questo per cercare di compiere una spaccata, o meglio, per cercare di aprire le gambe il più ampiamente possibile, fino a sentire le stesse precedenti sensazioni partire appena sotto i glutei, nella parte posteriore della cosce. Per facilitarsi, il ragazzino metterebbe le mani per terra, tenendo le braccia tese e i palmi delle mani sul suolo, tra l’erba, un po’ più rada rispetto alle stagioni precedenti, quando ancora il ragazzino non era iscritto in Accademia. Un po’ più rada e meno… verde… ecco, anche se risulta difficile stabilirne i colori, data la mancanza della luce solare. La posizione richiederebbe un certo sforzo. Il ragazzino sentirebbe a poco a poco il sangue affluire al cervello. <Respira, somaro…> si dice, sommessamente, cercando poi di respirare con calma, per ossigenare bene il suo corpicino sotto sforzo. Il suolo è freddo, l’aria è fredda. Cercherebbe di mantenere quell’esercizio, con il sedere in aria, il più a lungo possibile. <Capperi…> esclama d’un tratto. <Tirano e tirano…> descrive, non avendo un termine di paragone per descrivere il livello di tensione dei muscoli. Ovviamente non è assolutamente capace di ottenere una spaccata completa. Rimane a diverse, diversissime, spanne dal suolo. Da qualche parte deve pur cominciare a rinforzarsi, no?

19:00 Roku:
  [Tetto.] Il ragazzino ha ora un’espressione di sofferenza sul volto. Che abbia esagerato? Decide che è bene tornare in posizione eretta. Stringendo i denti richiamerebbe lentamente gambe e piedi verso il proprio asse verticale… sì, ma… davvero molto lentamente. I muscoli bruciano e un sottile strato di sudore imperla la fronte del bocia. <Ohi…> esclama <Ohi…> ad ogni passettino compiuto per richiudere le gambe. <Ti prego, fa che non abbia esagerato…> continua, preoccupato, pregando una misteriosa divinità di sua propria ed unica conoscenza. <Uhhhh…> esclamerebbe, però, poi, una volta rialzatosi, semi soddisfatto di sé stesso. In fondo quel dolore ha anche un retrogusto di compiacimento. Le gambe sono doloranti, il giovanotto le scrolla, prima la sinistra, poi la destra e viceversa. Forse è giunto, anche per lui, il momento di fare ritorno a casa, per la cena. Come primo… allenamento(?) -incerto lui in prima persona se definirlo così-, a parte il problema avuto con l’albero e la sua dura sostanza, forse sarebbe corretto chiamarlo riscaldamento, non è andato male. <La prossima volta farò meglio…> Afferma, convinto, tirando indietro una manica del cappotto per asciugarsi un po’ la fronte con il dorso dell’avambraccio. Soddisfatto, si incamminerebbe, poi, verso la porta d’ingresso all’edificio interno dell’Accademia, per poi imboccare le scale e dirigersi verso casa. [END]

Il giovane studente si dirige in Accademia. Accede al tetto e nel tardo pomeriggio decide di fare un po' di movimento. Poco amante della corsa come forma di riscaldamento, decide di dedicarsi al potenziamento e finisce per testare la propria forza su un albero, con risultati poco soddisfacenti. Nulla di grave, sembrerebbe: dopo aver capito di dove procedere per gradi, che anche il riscaldamento e l'esercizio fisico sono parte integrante dell'essere Ninja, il piccolo voglio-diventare-un-ninja riprende con esercizi di riscaldamento più semplici, intenzionato a migliorare.