{return of the damned}

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15:28 Rasetsu:
 [Tempio] Di quel che rimane della Cattedrale sa ben poco. Ha passato gli ultimi mesi alla base della Yakuza o, più precisamente, nel Locale di Zashiki. Ha perso molto tempo nonché molteplici ore di sonno per cercare di sintetizzare delle nuove droghe, le quali saranno ben presto sul commercio. Tramite un lavoro ben retribuito e un luogo nel quale nessuno può fargli alcunché, sta lavorando senza sosta, riducendo persino al minimo sindacabile il tempo che perdeva dietro alle cavie da laboratorio, ai cadaveri e a studi di Medicina migliorati, in base alle basi che già possiede per essere un ottimo Medico. O Scienziato. Perché sì, lui preferisce essere definito così esattamente come ama il soprannome che s'è dato e che gli hanno permesso d'usare. Un Demone Mangia-Uomini che di Demoniaco ha poco se non lo sguardo e i poteri che riesce a sfruttare per i propri scopi. Quel volto ha lineamenti troppo femminili, privo d'alcun pelo simile o meno ad una barba; le guance morbide al tatto, come se la pelle fosse vellutata, liscia. Il fisico asciutto è privo di muscolatura che possa essere definita tale, avendo di per sé poca forza mascolina da mostrare al mondo. C'è una motivazione se ha scelto, infatti, d'utilizzare le Arti Magiche a discapito di quelle fisiche nelle quali non è affatto portato. Ha cambiato abiti, probabilmente perché gli altri son andati distrutti durante qualche missione o per il semplice fatto d'aver finalmente trovato gusto nel cambiarsi d'abito, ogni tanto. Indossa, quindi, un paio di pantaloni neri, eleganti come suo solito a vedersi, ma molto più da "ninja" che da "normale civile senza spina dorsale che non prende parte alla difesa del villaggio". Non ch'egli sia propenso alla difesa di Kusagakure, anche se qualcosa è cambiato da quando v'è Yukio come Hasukage. Son poche le persone nelle quali prova un briciolo di stima, e il Kokketsu è tra questi, se vogliamo dir le cose come stanno. Ritornando ai capi di vestiario, oltre a quei pantaloni scuri, porta anche una t-shirt del medesimo colore, aderente al di lui fisico decisamente troppo magro con un lieve scollo a V sul petto. Anche quello è privo di qualsivoglia peluria: fortunatamente, non ha seno, altrimenti la situazione sarebbe molto più grave di quanto già non sia. Sulle spalle, è gettato un haori scuro con sfumature violacee, tendente quindi a colori tra il viola e il nero, tipici particolarmente dei Kokketsu. E non per niente, svetta quello ch'è un simbolo che accomuna quel Clan, proprio tra le scapole, per quanto sia semi-nascosto dai capelli lunghi e rossi, arrivanti sino al fondoschiena. Le mani son coperte da un paio di guanti del medesimo colore del resto degli abiti. Ad essere onesti, l'unica cosa di diverso che spicca in lui son i denti bianchi simili a zanne di squalo, placcate lì in un perenne ghignare, e i capelli color del sangue che gli incorniciano il volto pallido, simile ad un cadavere. E lui i cadaveri li seziona. Sulla punta del naso, brilla la montatura rossa degli occhiali da vista dai quali mai si separa, anche perché rischierebbe di inciampare nel primo sassolino che incontra, senza. Percorre la navata centrale, tra i vari banchi, perché quegli occhi giallo-verdi sembrano aver notato qualcosa della quale par sentire la mancanza. Un sospiro dalle labbra sottili e pallide anch'esse, un ghigno che aumenta d'intensità assieme all'alternarsi delle proprie leve. < Nyahahah~ > Immancabile, ben udibile, mai nascosta o dimenticata. Non ha particolari armi con sé, fatta eccezione per il bisturi nella tasca destra dei pantaloni e la sua follia, nel cerebro. Se vogliamo essere precisi, nelle tasche dei pantaloni, vi sono anche delle bustine in plastica sigillate, con svariate pasticche. Sa lui quelle prive di Veleno e quelle che, invece, le comprendono. No, per fortuna, non è sotto effetto di Sbrilluccica. Ma, dopo giorni e giorni di lavoro, ha ben pensato di tornare alla Cattedrale, o quel ch'è, per far visita alla propria.. Famiglia di Demoni. [Chk On]

15:44 Kurona:
  [Navata | Tempio] Bianco latte bloccato in ciocche che scivolano dietro al capo sotto kanzashi d'oro dai quali pendono due gocce di cristallo dietro cui si riflette la luce sotto forma di colori. Nero invece è anche il quipao che veste, il cui colletto violaceo si ripiega morbidamente su se stesso avvolgendole il collo affusolato, nerboluto. Porpora che disegna l'effige del suo clan natìo; Kokketsu. Scivola fino a metà coscia lasciando che i due spacchi tipici denudino parte della pelle completamente bendata. Bende, bende, bende ovunque. Su dita affusolate che ora rigirano un kunai tra le dita, tenuto dalla parte dell'elsa fasciata di nero e fatto rigirare grazie alla ruvidità delle due parti. L'innata attiva le disegna due lacrime nere che sporcano le ciglia inferiori e tirano dritte attraverso le gote, il mento, spegnendosi flebilmente come se il tempo avesse fatto sotto di queste una diga accogliente. Una nicchia dolce dove il proprio sangue può riposare senza riversarsi fuori. Ambo i palmi hanno macchie nere, evanescenti, sfumature violacee che baluginano quando rinfodera il kunai nell'haori che attualmente, pende a testa in giù stringendo sotto il crociato delle ginocchia una trave in legno al di sopra dell'altare. Si sospinge piano, scivolando verso il basso proprio quando le suole degli anfibietti da ninja toccano a terra -al centro della navata- lasciando che l'Haori nero si gonfi, l'avvolga coprendo il lato della coscia. Sembra far tremare le vetrate ogni volta, con la sua risata. Insofferenza sulle labbra insanguinate della fu Ganma, attendendo l'avanzare dei suoi passi per poterlo focalizzare sempre meglio. E questo torbido sole autunnale che porta il gelo nel tempio, le rimane lontano. Un sfiorarsi di luce ed ombra in cui si nasconde fin troppo bene- Kurona. È passato troppo tempo, non è vero? Dopo la guerra tutto s'è fermato allo stesso modo e ci siam ritirati a leccarci le ferite. La sfacciata perdita di motivazione. Il ribollire della cattiveria messa da parte per il periodo di pace. È tutto, così, maledettamente noioso. E s'è allontanata da tutto e tutti. Dalla sua famiglia. <Rasetsu--> Si scuotono le ciocche sulle clavicole, frustano il viso lasciando che la parte calata dell'haori sfiori il pavimento come uno strascico -normalmente lungo fino alle caviglie-. Forse i sentimentalismi non sono mai stati il suo forte, ma lo sguardo che gli regala lascia intendere la mancanza. Il dolore di un distacco necessario a rimetter assieme un po troppi cocci. Un po troppe ferite. Abbassa le sopracciglia fini, storce la bocca in una smorfia flebilmente sostenuta- mentre le dita rincorrono l'insenatura dell'haori per tirar fuori l'ormai simbolico kiseru dall'odore ed effetto oppiaceo. Non cammina alla sua volta- lo aspetta. Ed ha l'aria di chi sta aspettando proprio te, da troppo tempo. Sfrigolio di tabacco e labbra che baciano il bocchino per trarne qualcosa che ha l'odore di fruttato e- un sottofondo dolciastro.
<Solitamente sono io a dirti; Bentornato a casa. Solitamente sono io a dirlo a tutti.> Lei, Yukio, Buro. Come sorella, moglie, madre. <Ma forse questa volta dovresti dirmelo tu.> Dal suo torpore si scuote, piccola marionetta frantumata- alzando le ciglia lattee sulla figura del fratello. <Ti sono mancata?> [CK ON][Innata solo scopo descritt.]

16:11 Rasetsu:
 Giunge lungo il corridoio che separa le panche, fino ad avvicinarsi all'altare o, comunque, a sua sorella Kurona. <Onēchan~> Un appellativo che non usa mai e che gli esce persino distorto dalle corde vocali. Infila entrambe le mani all'interno delle tasche dei pantaloni, continuando però ad alternare le inferiori leve, le quali bloccano il di lui corpo soltanto a poca distanza da quella. <Adoro quando mi chiamano come voglio io.> Sogghigna, alzando il mento verso l'alto con fare teatrale. La schiena viene appena arcuata, divarica le leve inferiori così da mantenere un equilibrio e una posa del tutto.. stupida. <Oh, beh..> Ascoltando ciò che viene da ella pronunciato. <..allora, bentornata, Kurona. Che fine avevi fatto? Anzi- che fine avete fatto tu e l'Hasukage? Sono rimasto solo, mi sono sentito solo in questo tempo. Il tempio è vuoto e sono l'unico utilizzatore del Sangue Nero, qui dentro.> Specifica, lamentandosi di ciò che ha dovuto sopportare durante il periodo d'assenza d'entrambi i capi saldi della famiglia. Si sente quasi fuori luogo, invero, innanzi a loro due. Entrambi formano una famiglia, hanno una famiglia con dei bambini, e lui è lì. Il cognato non voluto; il fratellaccio impuro ma che condivide con loro il Sangue. <Non so cosa significhi provare la mancanza nei confronti di qualcuno.> Bugiardo. Bugiardo come pochi. La mancanza la sente eccome: Bahaa. Quel dannato nome, quel volto che l'accompagna durante il poco sonno che si concede. Lo rincorre, ogni giorno della sua vita da anni, finché non sarà possibile per entrambi incontrarsi e fin quando la ragazzina non lo ucciderà, come dice il fato, come è stato scritto nel Libro dei Morti, laddove il nome del Rosso è inciso da anni orsono, fin dalla sua probabile e imprecisa nascita. <Qui..> Solleva l'arto superiore sinistro, distendendo l'indice e puntandoselo, come bisturi, come arma, suicida, in direzione del cuore. O in quell'antro al certo del petto, nella cassa toracica, dove esso dovrebbe trovarsi. <..non c'è nulla che possa provare sentimenti.> Bugiardo. Ancora. E ancora, per il resto della sua vita, non ammetterà mai che Bahaa gli manca più dell'aria che respira; più della stessa vita che lo rende com'è adesso. <Io.. Ti sono mancato, invece?> Sogghigna, ironico il dire. [Chk ON]

16:38 Kurona:
  [navata] Ci sono filamenti di sangue color petrolio che si rimischia no, disegnano qualcosa d'astratto, si sfilano dalle dita - dall'insenature tra le bende danzandole attorno. Una sorta di ragnatela sottile come teste d'uno spillo che le adornano la falcata flemmatica. Così tipica di lei ora. Fa male cambiare, ahn? Ma certe persone non cambiano mai. Con il passare e il curioso volgersi degli eoni, qualcuno rimane esattamente ciò che era in principio; troppe ferite aperte, per farle smettere di sanguinare tutte quante- a dire il vero. Per quanto rivolga a Rasetsu un sorriso placido -forte anche di quel che si cela nel tabacco bagnato che sta fumando- ha quel costante brusio tra le tempie che vuole a gran voce la maggior parte della sua attenzione. È come- un enorme parassita sulle sue spalle. <...> Un sospiro rumoroso vomitato fuori dalle labbra, sotto forma di una serie di cerchietti a mo' di brucaliffo narutiano. Grande, piccolo, più piccolo. Gli zori neri sostano sul ciglio dell'ultimo scalino del tempio, lasciando che quel parassita per ora- sia solo un debole sussurro nell'orecchio. Ha di meglio da guardare. E oh, Rasetsu è sempre stato il prediletto. La fiamma. Il devasto. L'incendio che cammina- e più lo spegni, cerchi di farlo, più questo divampa. Un opera d'arte alla quale rivolge il suo evanescente sorriso. Le palpebre basse, decorate con la solita cicatrice -un misto tra due Kanji precisi- sulla parte destra- lo seguono con il morboso interessamento a qualcosa che é dannatamente tuo. Come si guarda un figlio. Come si guarda una parte di se stessi proiettata fuori dal corpo. <Sei mio fratello.> Breciare improvviso nel silenzio, in cui alza la testa ed estende quei filamenti ad accarezzare Ryuuma. Tenterebbe di avvilupparlo nel sangue nero e trarlo tra le sue spire. Sempre più vicino. Abbastanza da poterlo osservare come meglio crede. Ha detto poche spicce parole che crede fondamentali per rispondere ad ogni sua domanda. Non è solo. Le è mancato. Il collo si allunga, come uno stelo di fiore- ad osservarlo bene. Così come cercherebbe di raccogliere tra le dita una di quelle ciocche cremisi, rigirarla come magma tra indice e medio creando un inevitabile spirale. <Come lo strazio mancherebbe all'inferno.> Tanto basterebbe, per lei- che ritirerebbe la mano con un sorriso sciapo di emozioni di facciata. Un sospiro dolciastro nel ripensare a tutte le domande, che fine avevano fatto lei e Yukio? Ci pensa un attimo ma alla fine- <Credo sia sotterrato nella sua nuova nomina. Per la sua assenza, mi prenderò io cura della famiglia.> Ergo.. <Di te.> Schiocca la lingua sul palato, tornando ad una distanza- pressoché normale. Mani nelle mani, kiseru tra le labbra che penzola pigramente. <Spero tu sia pronto per un viaggio. Recupereremo il tempo perso assieme.>

16:52 Rasetsu:
 Non ha certo timore della figura regale di Kurona. E quando mai prova paura? Ha la spudorata faccia e dote di infastidire chiunque gli stia di fronte con poche e semplici mosse, con quel suo ciarlare fuori regole umane, sfidanti la pazienza d'ogni individuo. E' assai raro e innaturale che non faccia ciò persino con la sorella: probabilmente, con la famiglia, preferisce avere un rapporto più decoroso e fedele. <E tu sei mia sorella.> Ribatte l'ovvio, forse soltanto per dar aria alla bocca e non starsene zitto: vuole avere sempre l'ultima parola o, comunque, da dire. <Sei talmente mia sorella..> Errore di pronuncia, ma per lui è corretto per quel che sta affermando. <..che non sono sotto effetto di nessun stupefacente, al cospetto tuo. Dovresti sentirti onorata. Vuol dire che tendo l'orecchio per darti ascolto, apro gli occhi per guardarti e non perdere nessuna cellula di te.> Ahh, quando mai lo rivedrete così? E' solenne, sincero, tranquillo e pacato, addirittura.. Serio; di quella serietà che, in nessuna maniera al di fuori del tempio, fa parte di sé. E' un uomo -si fa per dire, il volto e i lineamenti ingannano- molto colto, ma che non esterna la propria intelligenza, se non per creare nuove pasticche e dare una svolta al proprio mestiere. Mestiere del quale tiene all'oscuro tutti quanti, persino la donna che le si rivolge con cotanto affetto, per quanto mostruoso quest'ultimo possa sembrare agli occhi esterni del Clan. <Io mi sentirei onorata di poter parlare con me, adesso, come stiamo facendo, e che io ti risponda. Sai? C'è chi non si merita il mio intelletto.> Dunque, la sorella par meritarsi ogni vero sé del Rosso. Non s'intimorisce innanzi a quel Sangue Nero, quei filamenti che la donna coordina con tale maestria da fargli invidia. Non ha il di lei stesso livello, è giusto ad un livello inferiore. E, per quanto possa essere più grande di lei d'età o avvicinarsi di poco, si sente e si sentirà -probabilmente- sempre quello minore, inferiore. Lì dentro. Ma non al di fuori dell'ambito familiare, dove crede d'essere onnipotente come un qualsiasi Kami in cui la gente ripone Credo e Vita. <Te ne prenderai cura? Hai già una famiglia a cui badare, mi sembra.> Specifica, riferendosi ai suoi nipoti, se veramente così può definirli. Tuttavia, se finora ha mantenuto i lineamenti del volto immobili in quella serietà costante, or le sopracciglia spiccano verso l'alto. <Intendi un viaggio figurativo?> Non può allontanarsi, in teoria. Non per troppo tempo, almeno. Ha delle faccende da sistemare, da ultimare, ma deve aspettare una risposta da parte della donna. Le permette di prendere i suoi capelli, toccarli, farci che vuole. Circondato dal sangue, così vicino da sentir l'odore altrui. Ma senza muover un muscolo né per fermarla né per concludere quell'intreccio. [Chk ON]

17:12 Kurona:
  [navata] Ci sono troppe cose che devono esser prese per le redini. Dov'é Yukio ora? Cosa starà facendo? Il bianco Icaro senza ali, ha sempre questo broncio d'insoddisfazione sulle labbra- mentre si sposta al centro della navata, dove i tabi lasciano schiocchi sordi sulle pietre gelide del tempio alla volta dell'altare dove qualcuno, sicuramente, deve aver lanciato monete in cambio di un desiderio espresso dai Kami. Che ridere, che l'unica cosa che lì dentro vige- siano i figli degli inferi. Un pensiero che si riflette sulle labbra di Kurona che si ritrova a sghignazzare da sola- tra una parola e l'altra di Rasetsu- scuotendo più volte la testa per lasciare andare il discorso lusinghiero. Verso di lei o verso di lui poi, è da scoprire. Abbandona quella ciocca ma non il suo corpo- dove i filamenti di sangue nero fanno tanto per infastidirlo, quanto per coccolarlo. Punzecchiano, carezzano, scivolano vicino al colletto, tra i capelli, attorno ai suoi polsi come enormi nodi da pesca. Sciamano al pari di zampette di ragno qui e li- senza un vero filo logico- colorando l'aree di un livido violaceo evanescente, emanato dalla tipologia di chakra utilizzato. Il metallico del sangue di Kurona ha preso proprietà dell'aria oramai satura della sua presenza, man mano che la si vede allontanare a distendere una cartina proprio sul protagonista di quest'episodio: L'altare. La mano occultata tra le bende distende la carta dove Kusa è rappresentata dall'alto, dal Tanzaku-Gai, ai campi. <TU!> La voce si alza, tuona- la bastarda isterica, battendo una mano al centro dei quella cartina. E poi la furia, la rabbia, tutto- scema in un nulla. Ade puó accompagnare solo. <Tu fai parte di quella famiglia. Non è perché abbiamo costruito qualcosa, che sei tagliato fuori. Prima di esser la madre di Hime e Joji, io sono Beta e Sacerdotessa del tempio Kokketsu. Come tu sei Ganma e Yukio l'Arufa. Il nostro clan, deve sopravvivere. E noi, siamo tutto quello che abbiamo.> Stringe le dita a pugno, senza guardarlo- ma chiarendo il punto. Lei è la sua Beta. Sua sorella. La sua famiglia, non ha nulla a che vedere. Quando le pietre rosse si proiettano su Rasetsu, tramite una pioggia di ciocche bianche- ha tutta la sicurezza di questo mondo. <E baderò senza il m i n i m o briciolo, fottuto, di pietà a questo clan.> Cerca nello sguardo del Rosso obiezioni a riguardo- abbassando il mento e indicando la cartina di Kusa. <Sto richiamando la delegazioni di Kusa, è ora di andare a Konoha sotto il permesso dell'Hasukage per ringraziamenti pubblici. La facciata, Rasetsu. Sappiamo entrambi quanto é importante.> Il primo fattore è andato, deve andare nel villaggio della foglia, e vuole Rasetsu con se. Non sembra aver molte scelte- infatti. Man mano che ritira i filamenti di sangue nero, tra le dita e le nocche, richiamandolo a se ovviamente- si sposta a dargli le spalle- prendendo tra le falangi la pipetta allungata. Un respiro pacato. <È ora di infoltire le fila degli inferi, fratellino mio.> Lascia intendere. <La natura Kokketsu è infame. Siamo noi a sceglierli. Solo noi.> È un clan parassita, una malattia, qualcosa di pestifero- nefasto. Ma strabiliante. <Voglio indire una caccia aperta. Non sopravviveranno tutti- ma quelli che lo faranno, saranno accolti nella famiglia. Dimmi che il lascito della tua umanità è tanto esiguo da poterlo fare.> Lo guarda con la coda dell'occhio, schiudendo le labbra ad accoglier il kiseru.[ck on][innata descrittiva]

17:40 Rasetsu:
 S'adira, lei. Resta ad ascoltare, rapito, lui. Non la blocca, non si cruccia affatto. Le labbra restano perfettamente distese e stirate, quasi inesistenti se confrontate con quelle della donna. <Perché ridi?> Nota quel di lei sghignazzare, neppure fosse lei la Iena e non l'animale adottato dalla stessa. Dubbio si espande nella voce del Rosso, nell'espressione del volto. Di tanto in tanto, le di lui iridi, da dietro le lenti degli occhiali dalla montatura rossa, osservano i filamenti neri del Sangue altrui. Non gli recano fastidio alcuno, dunque le permette di far ciò che vuole con quel potere strabiliante che, finora, soltanto in tre posseggono, se vogliamo evitare di catalogare le eredità dei bambini della Sacerdotessa, i quali hanno altissime probabilità di risvegliare il gene Kokketsu, giacché aventi il sangue e il DNA sia dell'Arufa che della Beta. Non si smuove neppure d'un millimetro quando la furia di Kurona vien fuori con quel semplice tu. Fermo, schiena ritta, occhi fissi in quelli altrui, per meglio osservare l'ira che ne viene fuori, a causa delle parole appena pronunciate da questi. Non si morderà mai la lingua né si pentirà per quel che ha detto, ma ciò non è qualcosa d'interessante se consideriamo le affermazioni che, conseguenzialmente, vengono fuori dalle rosee carni. <Non alzare la voce con me, Onēchan. Capisco cosa intendi, e puoi usare un metodo differente per farlo. Io sono rozzo, non faccio altro che minacciare, ma lo faccio per uno scopo. So perfettamente che siamo rimasti solo noi. E io sono qui per darti una mano, poiché - qualora non me ne interessasse della famiglia - mi sarei tagliato fuori da principio.> Spiega, stringendosi nelle spalle, ma senza mai distogliere - per nessuna ragione - gli occhi e l'attenzione dalla Kokketsu. Tuttavia, resta molto sorpreso dalla meta di quel viaggio, nient'affatto figurativo come voleva credere il Rosso. <Devo prima terminare dei lavori lasciati in sospeso, qui. Ho un lavoro, devo portarlo avanti e non posso lasciare tutto nella merda da un momento all'altro. Ti accompagnerò, s'è questo che desideri, perché nei tuoi confronti nutro rispetto. Ti aiuterò perché non ho neppure più un briciolo d'umanità in me. E poi..> Sogghigna, divertito, con quel suo fare sinistro. <..avrai bisogno di un medico radiato dall'Albo se un nuovo nascituro..> Per così dire, un neo-Kokketsu. <..riuscirà a superare il passaggio, no?> Lui lo ricorda perfettamente il passaggio, quanto fosse doloroso e come si sentì subito dopo. Inoltre, è un Medico, uno Scienziato, pretende di assistere a queste particolarità. <Quando hai intenzione di partire per quel Villaggio? <Inoltre.. Questo "censimento", per così dire, sarà dettato in base a quali qualità dell'essere?> Sta progettando. Quel dannato cervello è sempre in movimento. Se non pensa alle sottane e alla droga, pensa probabilmente a come distruggere il mondo. <Onēchaaan!> Lamentoso. <Se vuoi qualcosa di meglio di quel vapore..> Sì, certo. <..perché non chiedi al sottoscritto?> Sospirando, con un mesto scuotere del capo. [Chk ON]

16:07 Kurona:
  [Altare del Tempio] E su quella cartina rimane torva - come se dovesse trovare lei stessa un senso al movimento delle sue pedine. Una luce scremata che filtra le vetrate del tempio, dove l'altare sporco di richieste e ryo di basso valore risalta come unico Re d'un intera vallata. Lascia i capelli ondeggiare piano a ridosso delle spalle - muovendo un respiro tanto effimero che par quasi non del tutto necessario. <Non lo so.> Filtra attimi di silenzio tramite labbra color del vino che ora estende ed ora cruccia in attimi separati; forse è il panico quello che la muove. Tutti temiamo che la nostra famiglia s'estingua nel nulla più assoluto. Tutti temiamo di rimanere soli, abbandonati - o peggio, gli ultimi. Gli ultimi arrivati. Gli ultimi superstiti. Gli ultimi e basta. E allora con il kiseru tra le affusolate falangi - oscilla tra labbra e nulla calando il sipario sullo sguardo vermiglio, dando poca attenzione a quel che le sue spire di sangue combinano - tocchignando e carezzando con quella verve possessiva il capo del suo fratellino, tanto quanto il crine di fiamme. Incoerente nel suo pallore atarassico - soffia via oppiacei e tabacco dalle narici, investendo la vallata dell'erba di una nube che collide contro la cartina e si rialza in volo spargendosi nel nulla. Una minima soffiata senza esplosione. La verità? Non ha pensato ad un criterio di scelta per chi sarebbe andato bene al clan e chi no - non vorrebbe mai mediocri proposte come pargoli del dono eppure - <Credo che la natura farà il suo corso. La sua selezione.> Sanno entrambi che non tutti gli infetti sopravviveranno al gene, e tanto è - del resto. Non tutti son degni di superar le pene dell'inferno e rimanere in vita. Le labbra socchiuse sul bocchetto si separano come lembi su un corpo spoglio e sospirano via il sapore dolciastro alla sua proposta- guardandolo in tralice. Interessata, anche, probabilmente. <Ci penserò.> E ci penserà davvero, forse è questo il problema. La mancina posata sulla pietra dell'altare scivola soave a disperder la propria ombra sollevando prima il palmo - poi le dita - poi abbandonando del tutto la presa solo per accostarsi alla figura di Rasetsu. Lo fa con la flemma impossibile di cui è dotata. Per cui si muove e par ugualmente immobile. E stremata, se solo non si sposterebbe il rosso, vi si poggerebbe sul petto. Non un vero abbraccio. Non una ricerca di conforto. Eppure - è così. < Sono così stanca. Sono così stanca di portar avanti le ricerche dell'Arufa. > Su di loro. Sul perchè. Sul come. Lo spiraglio di sangue guarda al di la del varco d'ingresso del tempio dove nessuno passa - neanche per puro sbaglio. Forse per questo, sono così soli? I kokketsu sono sempre stati nessuno, in questa terra. Sono sempre stati per pochi eletti. E si muovono come ombre alle sole loro regole. < Non li selezioneremo. Moriranno gli indegni. Voglio farlo anche a Konoha. Voglio che il gene arrivi ovunque, al costo di uno sterminio. > Tra le labbra impiastricciate di miele, lascia andare il kiseru sull'altare tentando di infilar le falangi tra le ciocche rosse di Rasetsu- perdersi in qualcosa che forse qualche tempo fa - doveva aver avuto con Kiryuu. E che poi è svanito nel nulla. Sangue. Famiglia. Territorialità. E forse alla fine dei conti, questo è solo un abbraccio. <Aspetterò te. Ne ho bisogno Rasetsu. Devo parlare con Kibou-sama, i bambini non sono più al sicuro quì. Non sono più al sicuro, con me.> E' come sentirsi scivolar via dalla propria pelle. Sa che il tempo sta scadendo. E venderà ancora una volta l'anima, se necessario. [chk on][innata descrittiva]

16:44 Rasetsu:
 Ancor fermo in piedi, sosta innanzi alla Sacerdotessa. Niente da dire s'ella non parla. A differenza del modo di rivolgersi con altri essere di stirpe inferiore, nei confronti della Hanabutsuji si mantiene rispettoso come se non avesse altra entità superiore oltre ad essa. E non è poi così fasullo. L'Hasukage è praticamente assente, fin troppo impegnato oppure scomparso, ma anche di ciò lo stesso Rasetsu non s'è fatto cruccio, dal momento che gli basta aver Kurona; una mente malata come la sua deve riuscire a ragionare con un'altrettanta mente non del tutto sana come, nell'effettivo, lo è quella della Beta (senz'offesa!). Ascolta con fare interessato quello che viene da lei proferito, giacché interessato fin nel midollo dall'avere una stirpa. <Moriranno gli indegni, mi piace.> Fa spallucce, perché per lui è qualcosa di naturale, che ha completamente senso dal proprio specifico punto di vista immortale. Si differenzia sempre, vantandosi di essere un Demone, una entità superiore, e non sicuramente un comune mortale, come la stragrande popolazione del mondo conosciuto ed esistito. <Cosa intendi con 'Ricerche dell'Akufa'?> Chiede, poiché viene quasi sempre tenuto fuori dal mondo e non per volere degli altri, ma più per amor proprio, poiché preferisce star fuori dai giri di ognuno, a meno che non siano i suoi riguardanti la Yakuza o di Zashiki, il che è apparentemente anche normale avendo un lavoro come il proprio. <E anche sterminio è una parola che ha il suo.. uhm..> Si finge pensieroso, si sfiora il mento con l'indice ed il medio della destrorsa mano, prima di avvertire -e non concludere la frase- la mano di Kurona -e non, nuovamente, i fili di Sangue Nero- infilarsi tra i di lui capelli. <Perché lo fai?> Sibila a denti stretti. Sono anni -ANNI- che nessuno lo abbraccia più né viene toccato in modi così docili. Altri modi, ovviamente, ve ne sono, ma sicuramente differenziati dal rapporto che potrebbe avere con una sorella e consanguinea. <Ti aiuterò. Te lo devo. La Stirpe di noi Demoni deve accrescersi, seppur sfioreremo lo sterminio di coloro i quali non son degni del nostro Sangue, del nostro Potere.> Megalomane, allarga le braccia verso l'esterno con fare totalmente teatrale. <Kibou-sama chi è?> Finché gli dite Hokage o cariche specifiche o, ancora, nomi che conosce, va bene. E' intelligente e colto sino ad un certo punto, e soltanto delle cose che veramente gli interessano, ma sicuramente non conosce appieno tutte le figure e cariche importanti degli altri Villaggi, poiché difficilmente se ne sarà interessato nel corso di questi ultimi tempi, anni, o quel ch'è passato da quando la sua vita terrena è stata mutata, modificata e divenuta insaziabile. <Quando vuoi partire? E a chi pensi di lasciare i tuoi figli?> Domande lecite, giusto per prepararsi, per avvisare quantomeno i due Doku coi quali ha il piacere, il dovere di lavorare. [Chk ON]

Droppata(2)