Attraversare ricordi, esplorare nuovi mondi

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19:10 Hitachi:
  [Ospedale.- 2° Piano - Camera 223] Camera 223, secondo piano dell'ospedale di Konohagakure no Sato. Una stanza singola in via del tutto eccezionale per l'Uchiha dell'orgoglio ferito. Ha rifiutato quegli orrendi abiti ospedalieri bianchi o celesti che siano, in favore di un semplice kimono nero in seta legato alla vita da una Gi del medesimo colore. Nero, nero come il suo attuale umore. Seduto sul letto, schiena poggiata al muro grazie al rialzo del materasso mediante un congegno di elevazione, coperta levata sino all'altezza dell'ombelico, braccia distese sulle gambe ed iridi fisse nel vuoto. Sguardo momentaneamente assente, perso in un turbinio di emozioni che combattono dentro il suo cervello e che gravano sul cuore e sull'orgoglio. Capelli neri che scendono legati in una treccia dietro la schiena, viso niveo e segmentale che scende ben definito in una smorfia di sofferenza. E' un ribollire di rabbia. Le iridi passano dal nero più totale, allo sharingan, chiaro sintomo che la psiche del chuniin è combattuta e riesce a stento a controllare la rabbia, passando da momenti di ira profonda che si manifestano con lo Sharingan, a momenti di pace apparente nei quali riesce a mantenere sopita l'innata. Rosso, nero, rosso, nero. Prima i tomoe, poi solo l'iride, poi di nuovo i tomoe con la vermiglia colorazione e la corona nera per contorno. Stringe i pugni, visibilmente turbato, infuriato. Difficile definire chi sia il ninja seduto su quel letto. Se Hitachi, H-Itachi 99. {chakra on}{Sharingan}

19:19 Haran:
 Ha seguito lo scontro. Ha seguito quanto accaduto dagli spalti osservando con occhio quanto più attento possibile la scena. Ha seguito tutto col suo Sharingan attivo così da poter assistere anche ad eventuali attacchi invisibili ad occhio nudo. Non ha potuto imparare poi molto da quell'incontro però; non è riuscita a seguire quasi nulla di quanto è successo in quanto gli attacchi della rossa erano davvero troppo veloci per Akira e i genjutsu dell'Uchiha son durati molto poco di volta in volta. Aveva voluto seguire lo scontro del ragazzo che aveva incontrato alla prateria della memoria e le è dispiaciuto molto vederlo uscire così malconcio dall'arena. Per questo la genin ha deciso di andare a trovarlo, di assicurarsi di come stesse, sperando di non trovarlo troppo malandato o di non disturbarlo con quella sua visita inattesa. Dopotutto non è che si conoscano davvero sebbene l'altro sia, paradossalmente, la figura che più di tutti sembra poter comprendere la sua condizione. Il clone indossa abiti semplici, quest'oggi. Un vestito nero, femminile, con uno scollo a barca che lascia le spalle nude e che va a coprire il busto fasciando il ventre piatto e il seno piccolo, gentile, mentre le maniche si allargano morbide nella zona del gomito per poi restringersi verso i polsi arrivando a coprire parte dei palmi così da lasciare le sole dita visibili oltre di esse. La vita è stretta, piccola e l'abito accentua quella forma morbida del suo corpicino esile andando a stringere ancor di più sui fianchi per poi allargarsi in una gonna morbida e vaporosa che non supera le ginocchia. Gli orli dell'abito son decorati di pizzo ricamato mentre le gambe sono scoperte sotto di esso. Ai piedi porta un paio di semplici scarpette nere prive di reale tacco ma con un semplice, basso, rialzo che rende più comodi i suoi passi. I capelli scuri sono tenuti lisci, morbidi, liberi lungo il viso, le spalle, andando a solleticare le stesse con le loro punte sottili. Non ha con sè la benda che le ha donato Katsumi, non sente di meritare di portarla in giro, ma non è riuscita ad abbandonare il coprifronte di Otogakure che lui le ha regalato. Lo porta legato attorno al bicipite sinistro mentre il chakra permane sopito nel suo corpo. Avanza per il corridoio del secondo piano dell'ospedale cercando la camera 223 dove Hitachi Uchiha dovrebbe risiedere al momento a quanto detto da una infermiera del piano di sotto. Avanza con passo timido, incerto, leggendo i numeri sulle porte fino a quando non giunge dinnanzi quella che sta cercando. Arresta i suoi passi dinnanzi ad essa e va a respirare a fondo fissandola. La mano destra si leva cauta a mezz'aria per colpire con le nocche la porta in un paio di ritmici colpi. Se l'altro avesse permesso sarebbe andata ad aprirla e a rivelare quindi la propria figura permanendo incerta sulla soglia, la mano che rimarrebbe quindi poggiata sulla maniglia di freddo ferro. <...Ehi> avrebbe salutato con tono basso, confuso, osservandolo con le sue iridi bicromatiche. <Come stai?>

19:43 Hitachi:
  [Ospedale.- 2° Piano - Camera 223] Qualcosa deve essere andato storto. Non si era mai ritrovato in una camera d'ospedale. Non aveva mai avuto ferite così profonde e non aveva ancora assaggiato il sapore della sconfitta. Un amore boccone, così da amore da essere palpabile nella bocca, nel battito accelerato del cuore, nel tremore delle mani, nella pelle d'oca, nella rabbia che fa digrignare i denti. La mancina, bloccata dal tutore, resta immobile, inutilizzabile, vincolata al mezzo medico; la destra invece viaggia libera afferrando la coperta, contrae la presa sulla coperta trazionando ancora e ancora, quasi nell'interno di volerla strappare. La presa provoca dolore, è così forte da sollecitare i tendini delle mani, da far scrocchiare le ossa delle falangi, da far arrossare i polpastrelli. Non emette fiato, se non qualche respiro rapido e coinciso, e qualcuno più lungo e profondo, sintomo che la respirazione stessa è compromessa da una condizione psicologica momentaneamente instabile. I ritmici colpi delle piccole mani di Akira sulla porta emettono un suono sordo, ma alle orecchie dell'Uchiha, nei timpani dello stesso, vengono percepiti come tonfi insopportabili in grado di rimuovere le barriere momentanee che tengono stabile e contenuta la sua aggressività. Anche un gesto semplice, del tutto inoffensivo, può di fatto diventare insopportabile per una mente instabile. Lo sharingan non ha freni, prende forma per interno e non viene sopito dal conscio dell'Uchiha. Due tomoe per occhio, porte di scambio del chakra, si palesano repentine posizionando lo sguardo sulla porta e poi su Akira che prende figura attraverso la fenditura della porta che si spalanca piano piano. un'emissione involontaria di chakra, totalmente incontrollata, verrebbe emessa attraversa il lobo frontola del chunin. Onda di chakra che dunque si scontrerebbe con la corteccia celebrale della ragazza così da alterare l'ambiente da lei percepito, bloccandola sul posto, creando così un collegamento mentale tra la percezione della genin e ciò che l'inconscio vuole mostrarle. Lo sguardo diabolico del chunin si poserebbe con pesantezza sulla piccola, c'è solo una cosa peggiore del peso della sconfitta per un Uchiha, la compassione, l'essere consolato da un peso così gravoso. L'ambiente percepito da Akira varierebbe in una serie di flash. Prima un neonato vincolato ad una incubatrice in un buio, oscuro, antro dei genetisti di Oto, in una lunga serie di incubatrici con neonati dallo stesso aspetto. Il neonato non piange, gli altri invece emettono uno stridio tale da poterne percepire la sofferenza. La scena , poi, varia di nuovo. Una stanza dalle pareti neri, e il simbolo del clan sulle stesse, ed un bambino intento a disegnare su un foglio. Solo scarabocchi neri e umanoidi malformi tutti con il simbolo Uchiha disegnato sulle spalle. Varia ancora, il massacro degli Uchiha, corpi, decine di corpi lungo la strada del vecchio quartiere Uchiha. Sangue e viscere, escrementi e l'odore della morte che brucia le narici. Una luce rossa in fondo alla via centrale del quartiere che si contrappone a un'ombra umana su un traliccio della corrente. L'ombra presenta uno sharingan a tre tomoe, la luce rossa invece è una volpe a nove code intrisa di chakra demoniaco collegata a Hitomu unica figura sorridente e quasi facente parte di una realtà opposta alla visione scaturita. Per l'ennesima volta la scena muta, prende forma il rapporto tra due forme distinti, ma fraterne. Da un lato Hitachi, dall'altra Katsumi. Entrambi sorridenti, all'inizio, poi la sofferenza di Hitachi mentre volta le spalle al fratello. In fine, un flash della spalla trapassata dal proiettile di Aiako che muta repentina in una stanza nera, prima di luce, nel buio più totale emerge su ciascuna delle quattro pareti una forma, delle quattro, dello sharingan. Da un tomoe, a due, tre, sino al magenkyuo Sharingan, ai piedi dell'ultima parete, quella del potere nascosto degli Uchiha, giace Katsumi a terra, morto, privo degli occhi, orbite vuote come pozzi vermigli che trasudano sangue. Poi tutto svanisce. Ne resta un Hitachi con lo sguardo fisso nel vuoto, lo sharingan svanito, e una lacrima che scende lenta, ma profonda, lungo la guancia, scavandone un solco che seghe le fossette tra le guance il naso, ferendo l'anima del chunin ancor più della commiserazione. Perchè alla fine , il male peggiore per un Uchiha non è perdere, non è subire compassione, ma piangere, sia che pianga lacrime di tristezza, sia che pianga lacrime di Sangue, sebbene la prima sia una solo una particolarità dell'essre umano, la seconda una prerogativa degli Uchiha. [Potere illusorio][Sharingan]

20:17 Haran:
 Ricorda fin troppo bene, Akira, la sensazione che ha provato quando ha perso il suo incontro. Ricorda quanto si sia sentita delusa da se stessa, dalle sue scarse capacità. Ricorda la vergogna, il desiderio di rimanere sola senza che nessuno potesse vedere il fallimento che traspariva per tutta la sua faccia. E ricorda il desiderio segreto e profondo che, in realtà, qualcuno si accorgesse della sua sofferenza e giungesse a lenire quella ferita sanguinante nel suo animo e nel suo orgoglio. Ricorda perchè, ancora adesso, si sente debole e umiliata per la recente sconfitta. Sulla base di queste sensazioni personali ha pensato che forse sarebbe stato gentile andare a trovare il ragazzo. Lui le ha offerto la verità durante il loro primo incontro, le ha offerto ascolto e comprensione e lei vuole ora donargli la stessa cosa. O forse, semplicemente, ricerca egoisticamente una scusa per rivederlo ancora, per sentirsi più vicina a qualcuno che sente simile a sé. Non lo sa, sa solo che in questo momento vuole essere lì. Hitachi non risponde, non dice nulla, e quando lei azzarda di aprire la porta l'unica cosa che nota nell'immediato è lo sguardo scarlatto del giovane rivolto al suo indirizzo. Non fa in tempo a dir nulla, non fa a tempo a muoversi che, immediatamente, tutto quanto attorno a lei cambia e muta. Non può muoversi, non riesce, è bloccata sul posto mentre attorno a sé compaiono strani contenitori trasparenti collegati a cavi, tubi e fili. E' buio, è una stanza piccola, una sorta di antro, e dentro queste scatole vi sono un sacco di neonati piangenti. Sembrano provare un profondo dolore, il loro pianto è acuto, profondo e Akira lo avverte quasi fastidioso mentre scava dentro di sé. Eppure... eppure ve n'è uno che non piange, ve n'è uno soltanto, identico agli altri, che permane fermo nella sua scatola senza emettere un suono. Vorrebbe avvicinarsi, vorrebbe poter guardare quei bambini più da vicino, magari toccarli, ma la scena muta nuovamente attorno a sé. Si ritrova ancora al buio ma in una stanza diversa. Nessuna scatola, solo un bambino che disegna forme umane appartenenti al clan. Le pareti della camera stessa ripropongono lo stesso simbolo Uchiha che si ripete e sussegue su di esse. Akira schiude le labbra nell'osservare quel bambino sentendolo improvvisamente assai simile a sé. Rivede in quella esatta scena se stessa, chissà quanto tempo prima, quand'era ancora imprigionata nella cella dei laboratori Uchiha a Kusa. Una cella bianca, senza alcun simbolo, con solo una branda ed un orologio alla parete il cui ticchettio ancora risuona, a volte, nella sua testa negli attimi di pace e quiete. Anche lei aveva disegnato molto, a lungo, negli interminabili giorni di noia e solitudine. Disegnava le uniche cose che realmente conoscesse nella sua misera esistenza. Uchiha. Arima. Katsumi. Proprio come quel bambino. Vorrebbe avvicinarsi a lui, guardarlo negli occhi, vorrebbe dirgli qualcosa, ma è bloccata sulla soglia della stanza. E, ancora, tutto muta. La stanza svanisce e attorno ad Akira sorge morte e distruzione. Corpi. Mille corpi accatastati, mille corpi vuoti, involucri d'una vita ormai perduta che si susseguono e ripetono per strade di un luogo che reca sulle pareti il ventaglio bianco e rosso del clan. La puzza è nauseante, la visione terrificante e così quel silenzio assordante che circonda quelle decine di corpi morti. Il silenzio è la cosa che più di tutte le stringe le viscere, le fa salire un conato violento alla gola. E' assordante, inquietante, sinistro, e preme contro le sue tempie portandola a voler fuggire di lì. Basta. Basta. Non vuole più vedere, non vuole più assistere a questo... Hitachi... perchè? Ma nulla cambia, ancora, e la scena rimane quella portando Akira a notare -in fondo alla via- una luce rossa che brilla contrapponendosi ad un'ombra. Il demone a nove code di cui ha sentito parlare nelle storie di Arima ed un uomo che non ha mai veduto prima, che non conosce. Deglutisce, osserva e finalmente tutto cessa. Cambia tutto, ancora, e questa volta il clone può vedere due figure a lei ben note. Hitachi e Katsumi sono vicini, sorridono, si somigliano persino nei tratti. Non li ha mai visti sorridere, non così. Sembrano quasi... spensierati. Akira li osserva quasi rapita, ammirata, prima di vederli rabbuiarsi, voltarsi le spalle e svanire. La scena cambia, cambia ancora e questa volta va a riproporle qualcosa che ha già veduto. Aiako colpisce Hitachi con una tecnica per lei troppo rapida, lui soffre, brucia e tutto cambia ancora. Pareti nere, oscure, raffiguranti nel buio assoluto di quel luogo quattro Sharingan. Dal suo stadio più primitivo e primordiale a quello più evoluto e devastante. Ai piedi di quest'ultimo, poi, scorge Akira la figura fredda ed immobile di Katsumi. Un Katsumi morto, disteso al suolo, privo degli occhi, una visione che la turba, la sconvolge, la fa inorridire mentre cerca di ripetersi che non è vero, che è tutto finto, una crudele illusione. "No... no... n-non è vero... non è... non..." cerca di convincersi, di tenere questo a mente, ma fa male. E' difficile. E' dura impedirsi di sentire gli occhi bruciare, umidi, di lacrime mute e silenziose. E finalmente, alla fine, tutto cessa. Ogni cosa svanisce, Akira sente di potersi nuovamente muovere, il respiro è affannoso, lo stomaco ancora contratto mentre sente la gola chiusa da conati violenti. E' scossa, spaventata, trema appena sentendo improvvisamente freddo. Cerca di respirare, di non piangere, di nascondere quella paura, ma è dura. L'espressione è turbata, sconvolta, mentre osserva la figura di Hitachi fermo nel suo letto. Non più lo Sharingan sul suo viso, nessuna espressione a farne da padrone. Vuoto, solo. Lo osserva in silenzio, turbata, non sapendo cosa fare, come dovrebbe comportarsi, notando solo alla fine quell'unica fuggiasca lacrima che scivola via dal suo occhio. Cade, percorre il viso, mostrando una debolezza di cui lei vuole fare tesoro. Qualche secondo passa muto fra loro mentre lentamente si abitua all'idea di essere tornata alla normalità e va a richiudere la porta dietro di sé con il cuore che ancora le martella a mille nel petto. Non riesce a smettere di tremare, sotto gli occhi ancora si susseguono quelle immagini, in particolar modo il viso di Katsumi privo di occhi, privo di vita. Si morde la guancia interna, cerca di aggrapparsi alla solida convinzione di esser stata preda di una lunga, dolorosa illusione, mentre tenta di avvicinarsi al di lui letto con pochi lenti, cauti passi. Cosa dovrebbe dirgli? Cosa può dire a qualcuno che giace ora in stato semi-incosciente dinnanzi a lei? Sembra totalmente assente, totalmente vuoto con quelle iridi fisse nel nulla. Sembra perso mentre giace in silenzio in quel letto d'ospedale. Non lo sa. Non sa cosa si dovrebbe fare, non sa cosa lui vorrebbe per star meglio e ha paura di peggiorare la situazione. Ma non vuole neppure che rimanga solo... lei, quando le è successo, avrebbe voluto qualcuno accanto a sé. Avrebbe voluto, semplicemente, non piangere da sola. E allora la soluzione le si apre sotto gli occhi, le attraversa la mente, e la porta ad avvicinarsi alla di lui destra fermandosi accanto al letto. In piedi, vicina a lui, tenterebbe di andare, semplicemente, a sporgersi verso la sua figura per portare le braccia ad allungarsi attorno al suo collo. Andrebbe a tentare di poggiare i palmi uno sulla sua nuca e l'altro sul lato sinistro del viso per portarlo a poggiarsi contro il di lei petto, così da non poterlo vedere in viso, così che nessuno possa farlo. <Puoi piangere, se vuoi> mormorerebbe lei dando voce a quelle parole che avrebbe voluto sentirsi rivolgere non molto tempo prima. <Non lo saprà nessuno> Solo lei. E lei non è niente. Non è nessuno. Lei non conta. Ma può accogliere le sue lacrime, se dovesse volerlo, senza chiedere nulla in cambio, senza pretendere niente in ritorno.

20:36 Hitachi:
  [Ospedale.- 2° Piano - Camera 223] E' un'unica lacrima, una sola goccia, quella che scende lenta e pesante sul viso di Hitachi. Non la ferma, non la scosta, lascia che essa percorra lentamente il viso come se fosse la più pesante delle torture, come se esporre la debolezza più forte del suo intimo fosse la peggiore delle agonie. Le ferite alla carne fanno male, questo è certo, ma un certo punto il cervello recepisce l'eccessivo dolore e comanda alle ghiandole di produrre adrenalina così da inibire i neuro recettori del dolore. Il corpo si abitua al dolore, riesce a sopirlo con un grande sforzo mentale e naturale, ma le ferite dell'anima non si placano, non si curano, non si ignorano. Quando l'anima sanguina, sanguina tutto l'essere. Lei si avvicina, lascia che si avvicina. Le mani delicate della ragazza sono come due masse irregolari ghiacciate che vanno a posarsi sulla sua superficie calda, ribollente. Sente le mani di lei scendere sulla guancia, avvolgere la testa, come un serpente che da tempo giace nel sottobosco, tra il freddo e l'umidità, e che solo ora si mostra per stringere la preda, perchè attualmente Hitachi è una preda. Ma il serpente non stritola, Akira non ferisce. Akira lascia uno spiraglio, accoglie il lamento celato del chunin. L'orgoglio, è l'orgoglio a tenere in piedi un Uchiha; più l'orgoglio è ferito, più un Uchiha diventa forte. Più la rabbia aumenta, più diventa terrificante il potere di un Uchiha. Sento il petto della ragazza chiudere ogni fronte alla vista di Hitachi, la lacrima si schianta sui di lei indumenti dissolvendosi ancor prima di raggiungere il termine della mandibola. Percepisce il suo invito a piangere, come un flebile ago che entra pian piano, anche quell'invito punge dritto per dritto il cuore di Hitachi, ma la lacrima è stata una debolezza di troppo. Accetta l'abbraccio e attende che lo stesso cessi prima di distaccare il capo e portare le nere iridi sulla ragazza. La destra si leva alla ricerca della guancia della ragazza, l'indice e il medio, leggermente flessi, cercherebbero la guancia sinistra della ragazza nel tentativo di carezzare appena appena la nivea pelle della stessa. Un piccolo sorriso, appena accennato, appena percettibile anche per l'osservatore più attento, prende forma e si dissolve rapidamente, quasi come un miraggio o un cambiamento impercettibile. Ritrae la mano richiamandola all'incavo scavato tra le due gambe. Schiude le labbra, pescando la voce nei polmoni appesantiti dal costato ferito, proferendo parola. <Non ne farai parola con nessuno.> esclama portando le iridi fisse di fronte a lui, ma lo sguardo della ragazza è troppo accogliente per negarle le sue stanche iridi. Inevitabilmente riporta lo sguardo sui lineamenti della ragazza. Non è facile trovare le parole giuste da dire in quel frangente, neanche per lui, neanche per una mente come una sua che si ritrova schiantata, demolita, dalle attuali circostanze. <Perché sei qui Akira? Cosa c’è di interessante in un moribondo?> domanda,solo una semplice domanda.

21:03 Haran:
 C'è silenzio mentre Akira rimane al fianco del letto di Hitachi. Il suo corpo ancora trema un po' per via di quelle visioni che son passate sotto i suoi occhi, il cuore ancora batte frenetico, agitato nel petto e lui potrebbe arrivare a percepire quel battito irregolare nel momento in cui il suo viso vien poggiato contro il busto di lei. Rimangono così per una manciata di istanti, una quantità di tempo indefinita ed indefinibile. Akira non sa quanti secondi siano trascorsi, quanto tempo dovrebbe durare un gesto del genere. Si è accorta che il ragazzo non ha voluto abbandonarsi al pianto, che è rimasto tranquillo, immobile fra le proprie mani, e si è ritrovata a non sapere cosa dover fare. Quanto tempo dovrebbe attendere prima di lasciare la presa? Quanto è giusto che duri un simile gesto? Non lo sa, non ne è certa, non ne ha ricevuti molti nella sua breve vita. In verità, a dire il vero, uno soltanto. Per cui rimane immobile per diverso tempo sentendo il calore del corpo dell'altro andare lentamente a sciogliere quel nodo allo stomaco che l'illusione le aveva creato prima di scostarsi cautamente da lui. Allontana il busto dal suo volto, le mani dai suoi capelli corvini e fa un semplice passo indietro. E' ancora vicina, sicuramente a portata di contatto, ma un po' meno di prima, come a volergli lasciare uno spazio vitale sufficiente a non sentirsi troppo oppresso da lei. Si guardano per un istante, si guardano per un po' e Akira rimane immobile mentre la mano del chuunin risale fino al suo viso andando a sfiorarle la gota pallida. La sfiora con due dita soltanto, cautamente, con un tocco gentile prima di scivolare nuovamente via e abbandonare la sua pelle d'avorio. Akira nota l'espressione di lui farsi appena più serena, appena più viva di prima, sebbene non riesca a cogliere davvero quel piccolo sorriso che sfuma sulle labbra del clone. Rimane in piedi, al suo fianco, con le dita che giocherellano nervosamente tra loro all'altezza dell'addome. <Non avrei nessuno con cui farlo, anche volendo> confessa lei come per fargli capire che quel suo piccolo attimo è al sicuro da orecchie indiscrete. Un segreto, un momento nascosto nel tempo cui loro soltanto avrebbero avuto accesso. La voce di lui torna a sfiorare il di lei udito, torna a farsi viva e la ragazza va ad osservarlo con espressione mesta, tranquilla, distaccata, non sapendo spiegarsi bene neppure lei come mai si trovi lì. <Io... non lo so> rivela con incertezza schiudendo le labbra rosee morbide. <Quando ho perso il mio incontro mi sono sentita sola. Non è venuto nessuno a parlarmi anche se l'avrei voluto. Ho pensato che potessi sentirti solo anche tu> spiega, dopo poco, chinando ora lo sguardo sulle proprie dita nervose, affusolate, sottili. Teme di aver detto qualcosa di sciocco, di sbagliato, si sente come scoperta nel rivelare questo pensiero e non sa se la sua risposta possa giungere all'altro come positiva oppure no. E' semplicemente ciò che ha pensato, ciò che ha sentito. Ma non solo. <Volevo vederti> conclude, alla fine, la sua risposta andando a stringersi leggermente nelle spalle. Non sa perchè, non sa come mai, ma aveva sentito questo desiderio, questo bisogno, già prima che si disputasse l'incontro che l'ha visto uscirne sconfitto. Voleva vederlo ed è andata a cercarlo.

21:23 Hitachi:
  [Ospedale.- 2° Piano - Camera 223] La voce della ragazza risuona soave, come la melodia di carillon, nella mente frastornata dell'Uchiha. Diverso è l'effetto che la voce della ragazza procura alla mente sconvolta del chunin, rispetto a quel battere alla porta che poco prima ha rimosso ogni barriera di contenimento alla sua furia, all'ira di quell'ombra da tempo sepolta nel suo io più profondo e oggi rievocata grazie a uno sconvolgimento drastico della sua integrata psicofisica. Una voce soave, non invadente, che accoglie il di lui udito suscitando desiderio d'affetto. <Qualcuno c'è...> ammette in risposta alla prima frase di Akira, il soggetto è velato, sottinteso, interpretabile solo da lei, e da lui. Ode il continuo della genin, anche lei ha vissuto molte delle sue emozioni. L'avverte, lo percepisce dal suo modo di fare ed in questo caso dalle parole. L'ultima frase lo spiazza, apre mille spiragli all'interpretazione s'ebbene questo genere di argomento si discosti di molto rispetto alle loro esperienze di vita. Akira non è la sola a non essere ferrata con determinate emozioni, molte di queste sono un mistero anche per Hitachi. Lo sguardo resta piantato sulla ragazza, la destra si distende e si schiude, fa cenno alla ragazza di avvicinarsi, di non frapporre distanza tra lei e il bordo del letto ... tra lei e lui. Non risponde all'ultima frase, ma ne fa tesoro, è forse l'unica frase amorevole che abbia mai visto rivolgergli in tutta la sua vita. <La solitudine è una costante della mia vita ...> ammette con un cenno di tristezza appena velato. <Della nostra vita.> si corregge, ritiene di poter inglobare anche lei nel discorso. <TU non sei sola.> cancella quanto poco prima detto, dissolvendo come una nuvola di fumo non gradita quel pensiero rivolto alla solitudine della genin. <Vuoi dirmi qualcosa riguardo a quanto hai visto?> sebbene non fosse consapevole quando ha intrappolato Akira in quella illusione ricorda bene ogni fotogramma della stessa. Forse la sua domanda è troppo pungente, ma ha bisogno di sapere quello che la ragazza ha capito, appreso, interpretato. Per questo il suo sguardo è grave, pesante, ma pronto ad accogliere la risposta della ragazza, qualunque essa sia.

21:40 Haran:
 Le prime parole di Hitachi portano Akira a stringere appena le labbra in una smorfia incerta. Non sa... non è sicura di questo. Yukio è una presenza altalenante nella sua vita, che c'è e non c'è e che non può disturbare ogni volta che vuole a causa del suo ruolo di Hasukage. Kimi l'ha incontrata una volta soltanto e nonostante lei le abbia detto di voler essere considerata una madre da lei, non è più comparsa all'orizzonte. Non sa dove poterla cercare, dove possa essere e per questo l'ha perduta di vista. E Katsumi... Katsumi è scomparso, sparito, non lo vede da settimane e le manca terribilmente. La sua assenza fa male, ma ancor di più le fa rabbia. La delude. Lui che così tanto le aveva promesso adesso è svanito lasciandola sola a se stessa in un mondo troppo nuovo, troppo vasto. <Mhn> Non dice nulla, non risponde, si limita a far fuoriuscire quel verso sordo fra le labbra prima di andare a spiegargli cosa l'ha spinta fin lì. Non è capace di mentire, non è capace di inventare storie per nascondere i suoi reali pensieri. Dice semplicemente ciò che le passa per la mente e si ritrova a rimaner spiazzata da quella verità tanto quanto lo stesso clone lì presente. Non dice nulla, lui, in un primo momento, ma Akira può notare quel gesto della sua destrorsa che la invita ad avvicinarsi, a muovere quel passo verso di lui. Le labbra di lei vanno schiudendosi leggermente, incerte, mentre le leve inferiori si scostano portandola ad avanzare di un passo soltanto, quello necessario a bruciare la distanza che la teneva lontana dal letto. Le sue cosce son pressate, appena, contro le lenzuola bianche, i piedi di lei affiancano le calzature di lui poste accanto al letto. Nessuna distanza, ora, a dividerli, a ergersi fra loro, portandoli a guardarsi con fare quasi indeciso. La voce di Hitachi viene nuovamente fuori, la raggiunge, si corregge, e Akira si ritrova a respirare piano, a fondo, mentre il battito cardiaco solo ora inizia a rallentare dopo quelle visioni spiacevoli, intense. <Io mi sento sola> rivela la giovane quando l'altro va per contrastare le sue precedenti affermazioni. Forse non lo è, forse la gente che ha attorno si preoccupa davvero per lei, eppure non riesce a fare a meno di sentirsi distante da chiunque. Si sente diversa, si sente lontana, si sente dall'altro lato di un cancello senza fine. Osserva da un vetro troppo spesso la vita che scorre tutt'attorno senza riuscire a sfiorarla davvero. <Arima aveva detto che io sono nata perchè speciale.> inizia col dire lei ricordando quei giorni in cui quelle parole erano quasi un dogma per lei. <Ma io mi sento solamente... diversa> E lo è. Lei non è come gli altri, come la gente che la circonda. Non è una persona comune, ordinaria, nata da un uomo ed una donna. Lei è un duplicato lavorato in laboratorio allo scopo di portare a termine un progetto. Anche Hitachi, però, è come lei e forse è per questo che da quando lo ha incontrato quella notte sentiva di volerlo rivedere. Perchè lei è come lui e lui è come lei. Diversi. Ma, insieme, possono sentirsi finalmente simili. La domanda del clone giunge improvvisa all'orecchio della ragazza che, ora, va osservando i di lui occhi scuri con le labbra schiuse, presa per un istante alla sprovvista. Tace per alcuni secondi prima di inspirare dalle piccole narici e smuovere la lingua contro il palato. <Eri tu... quel bambino?> domanda lei con voce bassa, flebile, quasi avesse timore di porre quella domanda al di lui indirizzo. Ma, in verità, qualcos'altro preme contro le sue labbra, una domanda che la preoccupa e spaventa al tempo stesso alla sola idea che possa essere un concetto reale e prossimo. <Vuoi... uccidere Katsumi?>

22:01 Hitachi:
  [Ospedale.- 2° Piano - Camera 223] Vede la Kunoichi avvicinarsi , accorciando così le distanze al minimo sindacale. Lui, seduto sul letto, sposta le iridi lungo tutta la figura della ragazza cogliendo quell'incertezza sincera che fra trapelare assenza di intenzioni malvagie e di bugie. Sente le poche parole di Akira. Poche, ma cariche di molto significato. Decide di mettere da parte momentaneamente il discorso su Arima, concentrandosi sulla prima e sull'ultima parola pronunciate da Akira. <Non lo sei più.> risponde riferendosi alla solitudine , per poi tornare sul fulcro del discorso, ovvero quell'illusione non controllata, ed incontrollabile, che ha avvolto pochi senso fa Akira, sconvolgendola vistosamente nonostante la stessa lo celi con abilità. <Si ero io ... ero sempre io.> esclama in direzione di Akira prima di drizzare il viso portando lo sguardo sulla parete frontale. La testa fa male, ma riesce ad elaborare la frase corretta da dire. <Le illusioni, specie quelle degli Uchiha, sono contenitori vuoti. Riempiamo i contenitori con ciò che vogliamo mostrare, far provare, suscitare.> esclama in direzione della genin <Ma .. il confine con la realtà è sottilissimo tanto per la vittima, quanto per l'utilizzatore.> porta leggermente il capo all'indietro così da distendere lo sternocleidomastoideo, poi lo china così da stendere il trapezio. In fine rilassa la muscolatura delle spalle rispondendo <E quando quel confine viene meno per l'utilizzatore, allora si manifestano delle visioni.> breve pausa mentre lo sguardo torna su Akira <Quando è l'illusione ad avere la meglio sull'utilizzatore ... quando l'illusione è originata dal subconscio .. essa si riempie della mente dello stesso, andando a portare la luce anche l'antro più nascosto, più in ombra, del suo intimo. Passato, presente ... e futuro ... si manifestano in queste illusioni terrificanti.> ammette. La destra questa volta cercherebbe la mancina di Akira, in un gesto lento, assolutamente percettibile ed evitabile da parte della stessa, cercherebbe la sua mano. <Per molto tempo, quando ero bambino, sono stato costretto a riempire questo vuoto. E ho vissuto per anni ... per tutta la mia gioventù ... in un'illusione talmente simile alla mia realtà, da diventare essa stessa la realtà. E in questa realtà rinchiudevo tutto il male che provavo, tutto l'odio che avevo, tutta la sofferenza che sentivo.> Esclama in direzione di Akira, mentre la destra cercherebbe ancor di più la mancina della genin, un conforto ... un contatto ... <Non voglio uccidere Katsumi. E' la mia natura che mi spinge a farlo. Una natura che oggi ho controllato a stento.> la destra adesso ha bisogno ancor di più del contatto, lui ha bisogno di calore umano, di un piccolo, semplice, lembo della pelle di Akira. <Sono loro ...> esclama indicando con lo sguardo il soffitto, prima di portare le iridi verso la finestra dalla quale ancor si possono intravedere i lampi del temporale che ha appena investito Konoha. <Gli Dei ... loro ci rendono schiavi. Tutto quello che ti danno prima o poi ce lo portano via. Tutta la gloria, l'amore, il potere ... svanisce come un granello di polvere durante una tempesta. Ridono quando sali troppo in alto, e schiacciano tutto quello che hai costruito per un capriccio. Loro ci rendono schiavi ... e noi Uchiha siamo i loro schiavi preferiti. Le marionette di un gioco perverso, fratricida.> Torna con le iridi su di lei. <Ho reciso quei fili. Sono solo Hitachi.>

22:40 Haran:
 Quella prima, semplice frase, porta Akira a schiudere le labbra con fare sorpreso, basito, boccheggiando per un istante. Le iridi si posano in quelle nere di lui, le pupille si contraggono e assottigliano, il respiro si ferma. L'osserva persa, sinceramente, profondamente colpita. Lui... cosa sta cercando di dirle? Sta cercando di offrirle un aiuto? Di offrirle la sua presenza? O sta forse fraintendendo tutto? <Non voglio sentirmi più così> sussurra lei ammettendo con fatica quella verità. Non vuole essere sola. Non vuole sentirsi sola. Non vuole più sentire le sue mani vuote, prive della possibilità di stringere fra le dita la pelle di qualcun altro, una mano che le viene tesa, un braccio a cui aggrapparsi. E' stata sola per tutta la vita che può ricordare, non vuole più sentirsi in questo modo. Forse, ora, potrà veder realizzato questo sogno, forse, adesso, può dire di aver trovato un compagno in questa strada fatta di sogni infranti. Ascolta in silenzio, attentamente, la voce di Hitachi mentre lui si sistema sul letto andando a spostare il capo, le spalle. Ode la sua voce quasi a voler pendere dalle sue labbra ritrovandosi ad apprendere qualcosa di nuovo sul loro potere, sulle loro capacità. Ascolta tacitamente quelle parole e si ritrova, d'un tratto, a specchiarsi nelle sue iridi buie ritrovando in esse lo sguardo di quel bambino che, solitario, disegnava in una stanza oscura. <Vuoi dire che... potrei mostrarti i miei ricordi? I miei pensieri, se dovessi perdermi lungo quel confine?> domanda, lei, con voce incerta, assetata di conoscenza, di nuovo sapere. Non abbandonano, le sue iridi, il di lui viso, ne studia i lineamenti, le espressioni, lo sguardo, andando a salvare nella sua memoria ogni più piccolo dettaglio. Intanto nota la sua mano muoversi, lenta, cauta, lungo lo spazio rimasto fra sé e lei andando come a voler ricercare la mano della ragazza. Akira non si muove, non si scosta, non rifugge quel suo tentativo ma va invero chinando, semplicemente, lo sguardo sulla sua mano. Osserva le sue dita andare a tentare di raggiungere quelle di lei e, come per istinto, si ritrova a smuovere la propria carne così da agevolare quel contatto. Un qualcosa di banale, di semplice, d'innocente, che può significare fin troppo per due anime sole come le loro. Un tocco leggero, ingenuo, volto al solo tentativo di trovar appiglio ad un'altra esistenza per non affogare in un mare di densa solitudine. Akira accetta, ricerca a sua volta quel gesto andando a sfiorare la pelle del suo dorso, delle sue dita, con un tocco leggero e semplice dei polpastrelli. Movimenti cauti, lenti, attenti, che non vuole assolutamente rendere fastidiosi o inopportuni. Sembra quasi voler esplorare la di lui pelle con le dita. <Non rifuggire più in una illusione> la voce di lei giunge quasi come un soffio quando l'altro le rivela di come, fino a quel momento, avesse rinchiuso il suo dolore in una sorta di versione alternativa della realtà. <Se hai paura, se fa male, se sei arrabbiato... non rinchiuderti altrove. Resta qui...> ..con me. <Le illusioni sono un'arte potente. La gente non può uscirne finché non realizza di esserci dentro. Se... dovessi tornare ancora a rinchiuderti in una di queste... chi potrebbe riportarti indietro? Cosa succederebbe se dimenticassi qual è la realtà fra le due?> Non sa cosa l'altro abbia vissuto, non sa come sia riuscito a vivere anni interi in una illusione. Ma cosa sarebbe successo se non fosse più riuscito ad uscirne? Avrebbe perduto di vista anche lui? Le sua dita andrebbero a premere appena più forte sulla sua mano, sulla destrorsa che egli le aveva avvicinato, che aveva sfiorato. Andrebbe a cercare di sentire quel contatto sotto le dita per convincersi che non sarebbe svanito da un momento all'altro, come chiunque altro. Ode le sue parole, vede il suo capo voltarsi, allontanarsi, e quando poi ritorna a guardarla Akira si ritrova a specchiarsi con le sue iridi in quelle scure di lui. <No. Non sei Hitachi> mormora lei, alla fine, stringendo appena le labbra fra loro. <Hitachi è quello che volevano che fossi. Un esperimento. Un ricordo.> .. <Tu non sei Hitachi come nessuno degli altri Uchiha è Sasuke, come io non sono... > Katsumi. <K-21> si ferma andando a ricercare nella sua memoria una parola, un nome, qualcosa che abbia letto in uno dei tanti libri trovati alla Magione, portategli dal mezzo Seiun. <Tu sei...> ci pensa, si ferma, riflette per molto, molto tempo prima di illuminarsi appena in viso e trovare ciò che stava cercando. <Shura. Non un Uchiha, non un burattino, non un esperimento... Tu sei Shura. Sei te stesso.> O, almeno, lo sarebbe stato per lei.

22:58 Hitachi:
  [Ospedale.- 2° Piano - Camera 223] <Vuol dire che una illusione non può restare vuota. Un'illusione non è mai vuota, come la mente non può smettere di pensare, di elaborare. Quando l'illusione non muta niente dell'ambiente che ti circonda, essa si riempie dello stesso ambiente.> esclama mentre il chakra verrebbe catalizzato presso la propria fronte percorrendo l'intero sistema circolatorio del chakra che avvolge il cervello, per poi evolversi in un raggio diretto ad Akira. Così facendo tenterebbe di modificare la percezione di vista, udito, olfatto e gusto della stessa. <Quando riempi l'illusione di qualcos'altro ... > esclama mentre la scena muterebbe in un verde paesaggio. Uno spettacolo collinare, paesaggio in cui predomina il verde di piena estate. E loro si trovano li, sul prato. Il letto dell'ospedale su cui è seduto è li in mezzo a questo prato, e lei è in piedi. Può sentire il profumo della collina. Fiori, aria fresca sulla pelle, il gusto pungente del fieno tagliato, il ronzare dell'ape che cerca il fiore. <Vista, udito, olfatto, gusto, tatto ... tutto può essere alterato da un'illusione. > esclama mentre nella suddetta, in una frazione di secondo, il letto sparirebbe e con esso anche hitachi, lo stesso ricomparirebbe al fianco sinistro della genin, privo di ferite. <Ma se non ti concentri. Se non riempi la tua illusione. Se il tuo istinto prende il sopravvento. Allora sarà il tuo subconscio a riempire l'illusione.> la scena muterebbe. Ad Akira parrebbe di compiere uno spostamento così veloce da dare l'impressione che il terreno scorra sotto i suoi piedi a una velocità incredibile, e che con esso muti anche il paesaggio. Una casa fatta da una sola stanza, una sola finestra blindata da sbarre d'acciaio. Se Akira cercasse di guardarvi all'interno, vedrà solamente loro due, come nella stanza d'ospedale. Ne più ne meno che loro due. Ma cos'è quella stanza? La mente di Hitachi? Il cuore di Hitachi? Il sentimento di Hitachi? Si sente sicuro solamente con lei, tanto da rinchiudere il ricordo che ha di lei in una stanza blindata in mezzo a un deserto impercorribile? <Non so cosa succede quando una persona si perde in una illusione al punto da non poterci più uscire. Credo che affinchè ciò avvenga sia necessario che l'illusione sia piacevole, tanto piacevole da rifuggire dalla realtà. E fino ad ora io ho solo avuto visioni terrificanti.> Forse, da oggi, non più. <Shura... me stesso...> un leggero sorriso prende parte sul viso di Hitachi. Sente la presa di Akira, ne amplifica il potere dell'illusione. Ne marca i lineamenti. E l'Akira presente dentro quella stanza sorride, e anche l'Hitachi sorride. Più lei stringe, e poi la visione migliore. Un nesso, non difficile da cogliere per la ragazza. <Dove vorresti essere ora? Descrivi...> è l'Hitachi reale, a fianco di Akira davanti a quella casa nel deserto. Vuole farla felice. [illusione di 3 sensi]

23:18 Haran:
 Non può ovviamente avvedersi, lei, dell'ondata di chakra che viene diretta alla sua mente. Non può accorgersi di essa e ne viene semplicemente travolta mentre tutto ciò che può avvertire è la voce di Hitachi che come una guida va rischiarando il suo cammino. Spiega quanto accade alla loro mente, al loro potere e nel mentre il paesaggio attorno a loro muta e tutto ciò che la tiene ancorata alla realtà è il contatto con la mano di lui. Si trovano in un prato verdeggiante, il cielo azzurro si staglia limpido su di loro e lei può avvertire il profumo dell'erba, il vibrare lontano di un insetto che vola, la sensazione della brezza sul viso. Se solo non vedesse ancora Hitachi seduto in quel letto le parrebbe impossibile pensare di essere ancora in quella fredda stanza d'ospedale. Si guarda attorno, colpita, meravigliata, distendendo poco a poco le labbra nel ritrovarsi in quel posto ricolmo di pace. La voce di Hitachi è una guida che la porta per mano attraverso nuove dorme di conoscenza e, d'improvviso, egli scompare, per ricomparire un istante più tardi al di lei fianco. Alto, slanciato, sano. Sente ancora la mano che stringe quella di lui, eppure vede tutt'altro. E' strano. E' soverchiante. Ascolta ancora la voce rassicurante di lui e d'un tratto tutto verrebbe a mutare ritrovandosi una volta ancora, entrambi, all'interno di una stanza dalle finestre sbarrate. Akira osserva, guarda, cerca di comprendere, ma è incerta. Persino i suoi pensieri non osano ipotizzare più del dovuto. <A cosa stai pensando, adesso?> gli domanderebbe ricercando la sua figura al proprio fianco, cercando coi propri occhi le sue iridi. <Ti senti intrappolato?> domanderebbe con voce appena più timorosa, quasi ad aver paura di sentire la sua risposta. Ma vuole sapere, vuole capire, vuole conoscere i pensieri che si aggirano ora per la mente del clone. Hitachi continua a parlare, spiega, parla di ciò in cui crede e che può ipotizzare portando lei ad annuire appena, col capo. <Sarebbe possibile rifugiarsi in una illusione così bella da non voler più tornare indietro?> domanderebbe, allora, osservando quella stanza blindata con sguardo distante, assorto, chiedendosi se sia forse una soluzione così sbagliata quella di fuggire via. Scappare da una realtà che riesce solamente a schiacciarli, solamente a deluderli. Frantumarli. Forse, almeno in una illusione, avrebbe potuto trovare ciò che cerca, ciò che desidera. Oppure... potrebbe cercare ogni cosa nella realtà, combattere stringendo i denti per arrogarsi il diritto divino di stringere fra le sue dita la propria felicità. La propria vita. Hitachi ripete quel nome lentamente, quasi accarezza l'idea di accogliere quella possibilità, e sorride lentamente. Lei stringe appena di più la sua mano, le sue dita, e l'illusione par farsi ora più vivida, più netta, più dettagliata. I due cloni nella stanza vanno sorridendo in quell'esatto istante, una sensazione dolciastra scivola fin nel suo animo carezzandole il viso, solleticandone i pensieri. Sembrano felici, lì dentro. Soli, lontani da tutto, ma insieme. Le sue dita vanno come scivolando sulla mano di Shura, ne studiano la forma, la grandezza, trovandola decisamente più grande della propria. E' una sensazione piacevole, gentile, calda, e la fa sentire bene. La sua domanda giunge diretta al suo udito, lo sguardo di Akira si sposta, scivola sul viso di lui e mille possibilità si aprono nella sua mente. Dove vorrebbe essere, ora? <Vorrei vedere il mare.> direbbe, alla fine, dopo qualche attimo di ripensamento. <Non l'ho mai visto prima.> rivela un po' timidamente, come fosse una mancanza di cui sia colpevole. <Ma... non svanire. Resta.> aggiunge, poco dopo, chinando in quel mentre lo sguardo. Non vuole vederlo da sola, non vuole che la sua immagine svanisca da quell'illusione. Vorrebbe vederlo e condividerlo con qualcuno. No. Vuole condividerlo con lui.

23:33 Hitachi:
  [Ospedale.- 2° Piano - Camera 223] <Sarebbe possibile si ... se si riuscisse ad avere una riserva di chakra sufficiente. La mente, per liberarsi dall'illusione, deve essere consapevole che sta vivendo nella falsità. Ma chi cerca la pace nelle illusioni, arriva a convincersi che la verità risieda nell'illusione, e che la menzogna regni nella realtà.> piccola pausa, osserva Akira dall'alto verso il basso, lei così minuta, così dolce, così inesperta del mondo. <Non è una trappola questa casa nel deserto ... > pausa mentre avvicina le sue labbra all'orecchio sinistro di Akira. <... è uno scrigno ...> confessa a bassa voce poggiando la di lei destrorsa sul suo pettorale sinistro, premendo la mano di Akira sul cuore, ed il battito diventa avvertibile, percebibile.> poi ascolta la sua richiesta. Il mare. E lei chiede che resti li con lei. Il sole nell'altro del deserto, sosta i raggi solari sugli di Akira, la abbagliano, la costringono a chiudere gli occhi. Il verso dei gabbiani, volano in cielo creando ombra tra il sole accecante e lei. Una distesa di sabbia umida, bagnata dall'onda che avanza e si retrae. Una grossa distesa di acqua salata, uno specchio increspato dalla luna, motrice delle onde. Non una nuvola, solo una leggera brezza. Il sapore di salsedine. Sale che invade le narici, secca la pelle, asciuga le labbra. I piedi di Akira, scalzi, privi di scarpe, che affondano nella sabbia. Può sentire la sabbia scottargli leggermente la pianta dei piedi. Può sentire il granchio che cerca l'acqua per aver sollievo dal sole. Lo scoglio, sul quale si infrange l'acqua. E le labbra, sempre più secche. Può avvertire il profumo di pino marittimo che filtra da un boschetto al confine con la spiaggia. Il sole, che infrangendosi sulla nivea pella della genin, scotta la cute arrossandola leggermente. e le labbra, ancora più secche. Può avvertire la necessità di una bibita ghiacciata, o della freschezza dell'acqua. Acqua che adesso le bagna i piedi. Un'onda estremamente più lunga invade la spiaggia, inonda i piedi della ragazza, sino alle ginocchia e parte del suo vistito. E le labbra non può asciutte, perchè unite con quelle di Hitachi, di <...Shura...>. poi svanirebbe tutto. svanirebbe il mare, il sole, il caldo... l'acqua, il gabbiano, la sabbia, l'odore di salsedine, il calore dei raggi solari e anche Hitachi, lasciando il posto ad Uchiha addormentatosi sul letto a causa dell'esaurimento del chakra, e una giovane genin alla sua destra. In quella vuota, ma così piena, stanza d'ospedale ... c'è anche una sedia, una poltroncina piuttosto comoda, per passare la notte. Shura riposa. Per la prima volta nella sua vita, con il sorriso sulle labbra. [End]

23:53 Haran:
 Quindi sarebbe possibile ricercar pace e salvezza nella propria mente, nelle proprie illusioni. Far ricomparire una persona perduta, fuggire in un luogo lontano, stringere a sé qualcuno di assente. Sarebbe possibile, per lei, rivedere Arima. Parlargli, sentire nuovamente la sua voce, magari. Dirgli tutte quelle cose che non ha potuto fare prima che svanisse. Potrebbe fino a quando il suo chakra glielo consentirebbe. Oppure... potrebbe trovare nuovo sollievo in quella realtà capace di durare fino a quando il suo corpo potrà resistere. Annuisce appena, lei, comprendendo le sue parole e andrebbe semplicemente ad osservare ancora quella casa solitaria, silenziosa, nel deserto. Osserva i due cloni sorridere, l'uno accanto all'altro, all'interno d'una stanza senza via di fuga. Li osserva da lontano eppure sa che sono più vicini di quanto non appaia. E poi eccola, la voce di Hitachi, Shura, scivolare lenta al suo orecchio come quasi una carezza. Uno scrigno. Un qualcosa di prezioso. Qualcosa atto a proteggere. A conservare. Le iridi di Akira scivolano dalla casa al viso di lui così estremamente vicino al proprio. Sente il cuore accelerare una volta ancora da quando ha varcato la soglia di quella stanza, eppure questa volta non ha paura, non è spaventata, non vorrebbe fuggire, no. Sente il cuore vicino ad esplodere, la sua mano andare a venir posta sul petto del giovane Uchiha. Può sentire sotto la carne il battito vigoroso di lui, un battito regolare, costante, forte. Un ritmo rassicurante. E si sente pervasa di un calore profondo, lei, improvviso, quando ogni cosa attorno a loro muta ed un sole abbagliante bacia i loro volti. E' accecante, abbacinante e gli occhi si schiuderebbero per proteggersi da quei raggi violenti. Il cielo è limpido, la brezza gentile ed un odore salmastro arriva dritto al cervello. Forte, penetrante, intenso. Avverte il suono della risacca, le onde che scrosciano su loro stesse e qualche gabbiano che vola sopra di esse. I piedi son nudi, piccoli, bianchi sulla sabbia dorata e la sensazione è strana. E' morbida, è leggera sotto la pelle, quasi solletica le piante di lei. E' caldo. E' davvero caldo e sente la pelle venir baciata da quei raggi brillanti, le labbra farsi man mano più asciutte, riarse. Pervasa, travolta, soverchiata da un mix sensoriale incredibile che per poco non la manda in overdose. E' tutto incredibilmente reale... è bellissimo. E Shura è proprio lì, accanto a lei, che le mostra cosa sia il mondo. Le labbra di lei si distendono verso l'esterno, sorride felice di quella visione, di quel momento, sentendo le labbra tirare secche. Ha sete. Vorrebbe dissetarsi e l'acqua giunge, improvvisa, a bagnarle i piedi, le gambe, fino alle ginocchia, bagnando l'abito che si incolla nella parte inferiore alla pelle nuda delle sue cosce. E' una sensazione piacevole, rasserenante e vuole ringraziarlo per quel dono. Si volta Akira verso Hitachi e ritrova, dinnanzi a sè, il suo viso. E' un istante prima che avverta le loro labbra scontrarsi, sfiorarsi, fino ad unirsi in un unico, semplice contatto. Un bacio. Il primo della sua vita, un'illusione, un sogno, un desiderio. E' un contatto morbido, caldo, dolce. Le dà forza e al tempo stesso le fa sentire le gambe fragili, la frastorna. La fa sentire inerme mentre si ritroverebbe a sentire il petto bruciare. Lui si scosta, le loro labbra si dividono e quella parola mette fine ad ogni cosa. La realtà torna prepotentemente fra loro rivelando uno Shura addormentato sotto le lenzuola, le labbra distese in un sorriso. Akira sente il cuore esploderle nel petto, il viso caldo, e la destrorsa che d'istinto va a salire a sfiorar le labbra. Non sono umide, non sono calde, non le ha mai toccate davvero. Eppure le sembra di ricordare ancora perfettamente quella sensazione, quel calore, quel contatto così breve. Richiude le labbra, le umetta, sentendosi improvvisamente travolta da troppe cose. Va semplicemente a lasciarsi cadere su di una poltroncina posta accanto al letto tenendo lo sguardo fisso sulla figura di Shura. Non desidera andarsene, non vuole allontanarsi. Non sarebbe stato solo, non più. Per questa notte, questa soltanto, avrebbe potuto rimanere a vegliare su di lui, a vegliare il suo sonno. [END]

Akira va a trovare Hitachi in ospedale a seguito delle ferite riportate nello scontro contro Aiako.

Dopo un iniziale approccio un po' traumatico, i due riescono ad avvicinarsi e scorgono nell'altro la possibilità di lasciare alle proprie spalle la solitudine che caratterizza da sempre la vita di un clone.