{ Varcare quella soglia } - Squarciare il bozzolo, prima o poi.

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con Haran

11:03 Haran:
 La mano scorre energicamente sulle pareti. La matita quasi consunta va a delineare tratti che, lentamente, stanno sfuggendo alla sua memoria. L'ennesimo volto a trovar spazio sulle mura di quella piccola stanza vuota, l'ennesimo disegno di un viso che non vuole dimenticare. Ma la sua memoria è sfuggevole sebbene si sia aggrappata per tutto quel tempo al ricordo di lui, alla sua immagine. La benda dov'era? Copriva il suo occhio destro o il sinistro? Ricorda che copriva una iride bianca e quasi luminosa, al pari di quei capelli candidi come la sua veste ormai logora che ha indosso. Ma non ricorda... perchè non si è appuntata questo particolare? Perchè non lo ha scritto in quei fogli che, sparsi, ricoprono quasi interamente il pavimento di quella cella? Se solo ricordasse come è fatto il suo stesso viso sarebbe facile dire quale suo occhio fosse bendato, ma non ricorda... Ha visto se stessa una sola ed unica volta in tutta la sua esistenza ed il ricordo sta sfumando via in fretta. Stringe le labbra, i denti, sente gli occhi farsi lucidi. No. Non vuole dimenticare. Eppure il processo è già iniziato. Com'era, il suo odore? E la sua voce? Quella, com'era? Il suo cuore accelera i battiti mentre realizza di non ricordare più i dettagli di quel giorno e sente il respiro farsi pesante, pieno. Le si blocca in gola facendole tremare la mano. Non vuole piangere, non ancora. Aveva promesso di diventare forte, aveva promesso di trovare la forza per uscire da quelle mura... Cerca di trattenersi, di impedire alle lacrime di scendere concentrandosi su quel disegno, su quel ritratto che giorno e notte pervade i suoi pensieri. Sta migliorando, ora. I suoi disegni sono più precisi, le linee più sicure, più dritte. Non paiono più gli schizzi di una bambina, sta diventando più brava con la pratica. Dopotutto non è che possa fare molto altro così rinchiusa in quella stanza. Davanti a lei, sul muro alle spalle del letto ove risiede, vi è un viso inciso con un carboncino scuro. Tratteggi neri sullo sfondo immacolato di quelle mura, linee che vanno a rappresentare i capelli bianchi di Katsumi, le labbra piccole e serie, il naso dritto. Ma gli occhi...? Quelli come può rappresentarli?

11:27 Haran:
 Rimane ferma a fissare quelle immagini, quelle innumerevoli rappresentazioni fatte sulle pareti della cella. Ha disegnato su ogni angolo che le fosse raggiungibile arrivando a consumare e finire i carboncini che le erano stati portati l'ultima volta. Anche i fogli sulla quale scrivere sono finiti ed i libri son stati tutti letti. E' sola con la sua fantasia e i suoi pensieri, una compagnia che si fa ogni giorno più pressante ed insopportabile. Prima di incontrare Katsumi era più tranquilla, rassegnata a quella che era la sua vita. Leggere, studiare, dormire e attendere una visita da parte di Arima. Attendere adorante una nuova lezione, una nuova conoscenza che le venisse donata e applicarsi poi per compiacerlo. Ma ora... ora che aveva avuto modo di assaggiare uno spicchio di vita l'idea di rimanere in quella stanza le è divenuta intollerabile. Ha potuto parlare con qualcuno a cuore aperto, ha potuto porre domande, toccare persino un'altra persona ed ha assaggiato e carezzato l'idea di abbandonare quel luogo in favore del mondo intero. Le è stato promesso che un giorno sarebbe uscita di lì, quando sarebbe stata abbastanza forte da farcela, e che sarebbe stata seguita dall'Uchiha nei suoi studi. Un futuro che le pare fin troppo lontano, che si fa ogni giorno più distante. Quanto manca, ancora? Dove sei, Katsumi? Non ti sarai dimenticato della piccola K-21, non è vero? No. Akira. Questo è il suo nuovo nome, il dono più bello che avrebbe potuto ricevere. Abbassa la mano col carboncino voltandosi verso il resto della cella. In piedi sul suo letto guarda gli schizzi fatti sulle pareti. Alcuni più imprecisi e vecchi, altri più lineari. I volti di Arima e Katsumi si susseguono e mischiano in un infinito caleidoscopio di luci e ombre andando a confondersi ed unirsi fino a divenire nella mente di lei quasi una sola identità. Nelle loro diversità lei vede in loro, nonostante tutto, anche molte similitudini. E non sa se è perchè sono le uniche persone che abbia mai conosciuto in tutta la sua vita, ma per lei sono molto simili. La stessa serafica calma, lo stesso elegante distacco sebbene Katsumi appaia molto meno freddo di Arima nei di lei confronti. Più curioso, più cauto, gentile nel suo modo di cercare di capirla, di scoprirla. E poi entrambi hanno qualcosa da insegnarle, entrambi desiderano crescerla per vederla divenire più forte, per vederla uscire da quella stanza. Nella sua mente, loro, sono due facce di una sola medaglia.

11:43 Haran:
 Questo pensiero la porta a schiudere le labbra, a tirare su col naso. Si volta, si guarda attorno ed osserva i mille disegni ed i mille volti tracciati sulle pareti. Non ci aveva pensato ma basta vedere su quei ritratti dove si trovi la benda del mezzo Uchiha, per non dimenticare. E poi, d'improvviso, ricorda. Per un attimo nella sua mente l'immagine si fa più chiara, più nitida e ricorda che è il destro l'occhio coperto, quello illuminato di quella calda luce bianca. E allora va, lei, a tracciare altre e nuove linee sul muro, a passare e ripassare il carboncino con cura, con devozione, disegnando la benda, i dettagli, l'orecchio, per poi passare a rappresentare l'altro occhio. Ma non ne colora la sclera di modo tale da renderla nera come la notte, non va tracciando quelle linee sottili al di sotto delle palpebre; tralascia le cicatrici, i segni di quella tortura insopportabile e rende quell'occhio più serio, più freddo, per quella che è nella sua mente un'espressione ferma e imperturbabile. Si distacca dalla parete ed osserva quel grande viso immenso disegnato davanti a lei. E' il disegno più grande fatto fra gli altri, al di sopra del suo stesso letto. L'osserva per qualche attimo cercando di calmarsi, di non piangere più, concentrandosi solo sul suo obiettivo così da impedire agli altri pensieri di accavallarsi e rincorrersi nella sua mente. Ed allora si protende nuovamente verso la parete andando a tracciare dinnanzi a quel solo occhio -il sinistro- una lente oblunga e sottile, un mezzo occhiale posto sul viso per poi colorare di nero parte dei capelli della figura. La parte di chioma attorno all'occhio mancino viene colorata di nero da quell'ultimo pezzo di carboncino rimasto, fino a sentire le dita dolere per lo sforzo di usarlo fino a quell'ultima punta nera. Va a sfumare metà di quei capelli di nero andando a graffiarsi alla fine le dita stesse per il tentativo di terminare d'usare il suo carboncino. Qualche stilla di sangue esce andando a scivolarle lungo la mano, i polsi, ma alla fine il disegno viene terminato. Muove qualche passo all'indietro sul duro materasso della sua cella e contempla il risultato finito della sua opera. Metà Katsumi, metà Arima. I suoi maestri. Le sue guide. La sua vita. Da un lato colui il quale l'ha creata, dall'altro la persona dalla quale è nata. Entrambi, in un modo diverso dall'altro, sono come i suoi creatori. Ma... no. Lei non è un oggetto. Lei non è solo un clone, non è un qualcosa da classificare e codificare come l'ennesimo prodotto di un laboratorio. Non è K-21 o, quanto meno, non vuole esserlo. E' Akira, è una persona. E, in quanto tale, non possiede un creatore ma... genitori. Un padre. O forse due.

12:00 Haran:
 Anche l'ultimo pezzo di carboncino è finito e lei si ritrova nuovamente sola con se stessa ed i suoi pensieri. Circondata dai visi e dai volti -mal rappresentati- delle due figure che riconosce come le sue guide scende dal letto muovendo qualche passo incerto al centro della stanza. Si guarda attorno, ascolta il ticchettio incessante e regolare dell'orologio appeso sulla parete e sospira. Si sente travolgere da una infinità di sensazioni, di timori, di paure. Riuscirà davvero ad uscire da lì? Ad uscire dal suo bozzolo, a volare come quella falena che il mezzo Seiun le ha mostrato durante il loro unico incontro? Vuole crederci, vuole credere davvero di poterlo fare, ma come? A volte è difficile tener salda la propria determinazione quando tutto quello che si ha nella vita sono i propri stessi desideri. Nessuno strumento, nessun mezzo per raggiungerli. Solo quattro mura ed una porta. Il respiro si fa pesante, il pianto torna a pizzicarle gli occhi, ma non vuole cedere. Si volta verso l'ingresso e porta le mani a poggiarsi sulla superficie ferrea della stessa. Fredda, dura, spessa. La odia. Odia quella porta, odia quella cella e odia la sua debolezza. Stringe i piccoli pugni e li sbatte con forza contro il ferro provocando un rumore sordo ed un dolore acuto alla carne delle sue mani. Stringe i denti e continua a colpire la porta poggiando la fronte contro di essa, stancamente, coi capelli scuri a scivolare lungo le spalle. Vuole uscire. Vuole andare via. Ed alla fine, presa da un improvviso slancio di volontà, eccola allontanarsi dalla porta per andare ad osservarla con sfida, con le iridi liquide cariche di nuova determinazione. Andrebbe lei a portare le mani all'altezza del petto per comporre il sigillo della Capra e tenterebbe di eseguire quell'esercizio che Arima in persona le aveva insegnato tempo prima. Il trucco alla base della vera forza, del vero potere. Il chakra. Andrebbe a cercare di richiamarlo concentrandosi sul suo corpo, sulle energie che lo compongono e che si dividono in due fonti principali: la forza psichica e quella fisica. Tenterebbe di visualizzarle dentro di sé come particelle che vengono richiamate a raccolta in un unico punto ciascuno. Una sorta di fiamma a bruciare all'altezza della mente ed un'altra all'altezza del ventre. Cercherebbe di andare a richiamare e attirare le due forze così raccolte e riunite verso il plesso solare, lì dove il sigillo della Capra è stato precedentemente formato dalle dita. Tenterebbe di far ascendere e discendere queste forze fino a farle scontrare nel suo petto, mischiandole, fondendole, fino a fare di essere un'unica nuova energia che ora dovrebbe prendere a scorrere violenta nel suo corpo donandole una nuova forza, una nuova decisione. [Tentativo di Impasto Chakra]

12:16 Haran:
 I suoi sensi sarebbero ora più acuti, più fini grazie all'afflusso di chakra che le scorre in corpo. Le lancette che si muovono ogni secondo vanno a risuonare con maggior decisione al suo orecchio e le pareti paiono ancora più bianche ai suoi occhi. Il dolore alle mani dovuto allo scontrarsi dei suoi pugni contro il ferro della porta è più acuto sebbene vada lentamente affievolendosi, e la stanchezza, la spossatezza, vanno a farsi sentire appena di meno ora che quella nuova energia è stata risvegliata. Guarderebbe l'uscita da quel luogo con uno sguardo che vorrebbe essere risoluto, serio, le labbra strette a deglutire un grumo di saliva che le era rimasto bloccato in gola. Basta. Non avrebbe più atteso inerme l'arrivo di qualcuno a salvarla, non avrebbe più contato sulla protezione del suo bozzolo. Sarebbe uscita. Sarebbe uscita di lì e Katsumi sarebbe stato dall'altro lato della porta ad attenderla, come le aveva promesso. Se... se davvero lo avesse visto oltre la parete della sua stanza allora sì, avrebbe percorso quel corridoio là fuori e lo avrebbe seguito verso il mondo esterno, anche in capo al mondo. Ma se uscendo lui non fosse stato lì? Se una volta fuori si fosse ritrovata sola in un mondo che non conosce? Avrebbe potuto davvero avere la forza di varcare da sola le soglie che avrebbe trovato oltre la sua cella? Il dubbio la tormenta, la logora, ma lei non può lasciarsi fermare dalla sua paura. Forse, in fin dei conti, essere forti è solo un modo diverso di essere decisi. E così, respirando a fondo, Akira andrebbe ancora una volta a ricomporre il sigillo della Capra con le sue proprie dita prendendo a visualizzare nella propria mente una forma ben precisa; cercherebbe di immaginare e rappresentare nel proprio pensiero la piccola forma di una falena. Andrebbe a ripercorrere i tratti del corpo piccolo, minuscolo, dalle zampette così sottili da essere quasi invisibili. Immaginerebbe le ali grandi e spaziose, quei colori sgargianti e vari che si mischiano e confondono sul suo corpo in una trama elegante e naturale. La vedrebbe così, nella sua mente, esattamente come quella che aveva visto in quella stessa cella assieme a Katsumi mentre usciva dal suo bozzolo. Terrebbe bene a mente la sua forma e la sua immagine per poi cercare di permettere al proprio chakra di fluire verso le estremità del proprio corpo, da capo a piedi, fino ad uscire da ogni singolo tsubo per avvolgere interamente la sua figura di energia. Andrebbe a plasmare e modellare il suo chakra fino a rappresentare con esso la falena appena visualizzata nella sua mente tentando così di trasformare le proprie sembianze in quelle della creatura. [Tentativo tecnica della trasformazione] [Se chakra: 32/34]

12:37 Haran:
 E, se fosse riuscita nella sua trasformazione, ecco che allora la piccola Akira andrebbe -con le sue minuscole zampette- a camminare sul pavimento della stanza fino a raggiungere la fessura dalla quale le viene passato il cibo tramite un sottile vassoio, dalla quale ha potuto stringere ed afferrare la mano dell'Uchiha quando è venuto a farle visita. Andrebbe a muovere le sue zampe fino a tentare d'oltrepassare la soglia della porta ritrovandosi, alla fine, definitivamente fuori dalla sua cella, in mezzo ad un corridoio che ora -in quelle sue sembianze- le pare quanto mai infinito. Si disperde a vista d'occhio da un lato all'altro del suo campo visivo, bianco come qualsiasi altra cosa, illuminato però a giorno, come ha potuto vedere nelle sole immagini che Arima le ha riversato nella mente. Ma la delusione rimane pressante nel suo cuore quando, guardando di fronte a sè, realizza che non v'è traccia alcuna della figura del medio destro dell'Akatsuki. Il cuore perde un battito, le ali sul suo corpo s'abbassano deluse mentre la paura si fa prepotente e soverchiante in lei. Forse perchè ora si ritroverebbe a guardare il mondo da una prospettiva diversa, enormemente più piccola, forse perchè aveva davvero creduto e sperato che una volta uscita da lì avrebbe rivisto e ritrovato Katsumi pronto a portarla via, ma non vuole procedere oltre quel punto. Non vuole allontanarsi, non vuole fuggire. Non da sola. Non ce la fa. E si sente nuovamente, irrimediabilmente debole. Si sente logorare dall'interno, pian piano, da una disperazione profonda, da un dolore senza nome. Terrorizzata, sconfitta, delusa, andrebbe a camminare all'indietro ritirandosi oltre i confini sicuri e ben noti della sua cella. Per la prima volta sente di aver bisogno di quel luogo, che sia quello più adatto a lei. Andrebbe a ritirarsi oltre la porta della cella fino a sciogliere infine la trasformazione e tornare alle sue normali sembianze. Il suo corpo verrebbe ora scosso di singhiozzi e gemiti, il pianto non verrebbe trattenuto oltre ed il dolore verrebbe lasciato fluire dai suoi occhi gonfi, stanchi. I fogli che tappezzano il pavimento della stanza si macchiano, si increspano, si storcono appena sotto i suoi piedi, il corpo che andrebbe ad afflosciarsi al suolo. Si rannicchia lei in posizione fetale andando a stringere al petto le ginocchia sensibili. Un pianto profondo, liberatorio, che la libererebbe delle speranze e delle illusioni che nella sua mente si erano accalcate nel tempo, in quei giorni di totale solitudine. Lascerebbe che quelle lacrime la liberassero del peso delle aspettative disattese e si abbandonerebbe, infine, ad un sonno freddo e senza sogni. [END ç_ç]

Akira, ancora rinchiusa nella sua cella nei sotterranei dei Quartieri Uchiha, non riceve visite di Arima da giorni.

Sola con i suoi pensieri si ritrova a sfiorare quasi con mano la follia prendendo a disegnare convulsamente ed in modo ossessivo i volti delle due figure che hanno portato alla sua stessa nascita: Katsumi ed Arima.

Ritrovandosi a fare i conti con la sua solitudine, stanca, decide di voler uscire dalla cella ricorrendo ad una delle poche tecniche basilari che Arima le ha insegnato in passato. Ma, forse, non è ancora abbastanza forte per potersi lasciare alle spalle quella stanza.