Un nome è qualcosa che ti viene dato da altri, no?

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Giocata di Clan

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19:41 Haran:
 Tic. Tac. Tic. Tac. Il capo di lei è reclinato all’indietro, poggiato stancamente contro le assi di legno che formano la parete di quella stanza. Lo sguardo perso, assorto, è rivolto verso il muro opposto, guarda senza vedere davvero l’orologio che scandisce lo scorrere incessante dei secondi e dei minuti della sua vita. La chioma corvina ricade in ciuffetti sottili attorno al viso, sulle spalle, solleticando la sua pelle candida e bianca come l’avorio. Incredibilmente bianca, par quasi uno spettro; dopotutto mai alcun raggio solare ha sfiorato il suo viso, le sue dita, da che abbia memoria. Tic. Tac. Mancano ancora ore prima che l’ora in cui solitamente Arima va a farle visita torni, prima che torni a donarle nuova conoscenza, nuovo sapere. Sola. Sola ancora per lunghe ora prima di potersi beare della sua presenza, di quei rari attimi di compagnia che le concede quando decide di spiegarle qualcosa. O almeno questo è quello che prova già da diverse sere. Non passa tutti i giorni da lei, non sa quando aspettarsi una sua visita, ma di solito non lascia mai passare troppo tempo da un incontro all’altro. Ormai sono passati… quanto? Due giorni? Tre? Non lo sa. Quella stanza fa perdere il senso del tempo e persino la presenza di quell’orologio le impedisce di tenere il conto dei giorni trascorsi. Un respiro lento, pieno, sfugge dalle sue labbra sottili, rosee, mentre le gambe son distese lunghe sul pavimento, i piedi nudi con le piante rivolte nel nulla ed il corpo appena coperto da una semplicissima veste bianca che le lascia le gambe e le braccia scoperte. Siede in terra con la schiena poggiata su di un lato della stanza. I suoi libri sono disposti tutti attorno, fogli di carta pieni di scritte la circondano sul pavimento, alcuni sulla branda ove riposa durante la notte. Una matita scivola e rotola dalle sue dita distanziandosi appena da quella carta che ha di fianco. “Arima non viene a trovarmi da giorni. Spero che domani passerà a trovarmi.” La calligrafia è ancora piuttosto incerta, i tratti sono appena tremanti, segnati sotto una luce artificiale piuttosto fioca. Ha imparato da poco a scrivere, dopotutto. Tic. Tac. Le palpebre s’abbassano, si richiudono su quelle iridi bicromatiche andando a far sì che il buio l’avvolga ora totalmente. Stanca. Sconfitta. Attende che egli arrivi a portar una ventata di vita in quell’incedere monotono dei suoi giorni solitari.

20:00 Hanae:
 Una volta ancora, il quartiere Uchiha. La sua casa, o quantomeno presunta tale. Nella ormai lunga linea temporale della propria vita è stata trovata una distorsione, un taglio netto..particolarmente difficile da trovare essendo posizionato all'esordio di tutto, dove i ricordi dell'Uchiha non possono giungere. Chi è stato a trovarlo al posto di Akendo, nella foresta della morte? Chi l'ha portato nei laboratori Uchiha? Forse lo scoprirà, forse è ormai troppo in ritardo per scoprirlo. Ed è proprio per questo che si muove silenziosamente in uno dei piani sotterranei della struttura portante del luogo, la sede del capoclan. Si sta muovendo tra la fila di corridoi scavati nella roccia e ricoperti di assi in legno con lo scopo di raggiungere la zona degli archivi, resi accessibili mostrando a due uchiha di guarda lo sharingan a tre tomoe, riportanti in breve informazioni anagrafiche. Età dei cloni, codice di origine e codice di "classifica", e altri dettagli utili al riconoscere un clone da un altro. Ma pare che dei semplici documenti non possano aiutarlo in questa sua ricerca. < Tsk..> lingua a schioccare sul palato, naso ad arricciarsi appena all'insù, ha raggiunto i quartieri Uchiha nella speranza di trovare qualcosa da cui iniziare, ma ancora nulla si è mostrato. Forse avrebbe dovuto dare priorità alla ricerca di Kimi, dal momento che non la sente da quando si è dovuto muovere per raggiungere il villaggio della foglia. Forse è con Yukio..? Beh, non importa, manderà nell'eventualità dei cloni in ispezione. A vestire il corpo in superficie un solo e unico giaccone nero totalmente abbottonato, che partendo dal collo giunge all'altezza delle ginocchia..simile al mantello dell'Akatsuki, ma qualche livello sopra in quanto ad eleganza e meno identificabile per ciò che rappresenta. Mani coperte da un paio di guanti color cremisi, pantaloni color pece a coprire le gambe ed un paio di stivali. Un completo che sommariamente fa particolare contrasto con la candida pelle ed il bianco dei capelli. Sul volto, come ultimo importante accessorio, una benda, attua a coprire l'occhio divenuto bianco vitreo. Incessante la propria avanzata per uno dei corridoi, nei quali poche sono le figure possibili da incontrare, essendo un'area dall'accesso ristretto. "Tic. Tac. Tic. Tac." Un suono meccanico raggiunge il proprio udito, favorito dal chakra, portandolo per un solo istantare a voltare il proprio capo in direzione di una stanza presente al lato sinistro del corridoio; di norma una semplice occhiata, tuttavia un elemento si spazia alla vista del segretamente Uchiha puro, una targhetta incollata alla porta in ferro che osserva, un sottile strato di polvere ad alternarsi tra le lettere incise in quella targa. " .. -21" Pupilla a dilatarsi appena, accompagna dall'aggrottarsi della fronte. Il passo ad arrestarsi e il busto a tendersi in avanti, permettendo alla mancina di rimuovere con il solo indice la polvere presente. "K-21" Diventa chiaro ciò che rappresenta, un codice...che sia un alloggio? Così nascosto? < K-21..?> Pronuncia quel codice che tanto si rispecchia a sè..quasi gemello, cosa c'è oltre quella stanza? [ Chakra on ]

20:18 Haran:
 Ha terminato di leggere e studiare quell’ennesimo libro proprio poche ore prima. La storia recente degli Uchiha, una storia che par cosparsa di una tristezza nascosta che non riesce a spiegarsi, lei che del mondo conosce solo le nozioni studiate su quelle pagine bianche, ciò che Arima desidera che lei sappia, conosca. Ha letto di esperimenti, di persone create dai geni e dalle cellule di altri Uchiha. Lo stesso Arima è nato così, a quanto le ha detto, dalle cellule del Sasuke di cui ha letto in ben altre pagine. Anche lei è nata così, ma al tempo stesso non allo stesso modo. Lei, a detta del suo maestro e unica guida, è diversa. Speciale. Il sangue che scorre nelle sue vene è diverso da quello che scorre nelle loro, privilegiato. Non sa a chi appartenga, perché sia più prezioso, né perché dovrebbe esserne felice. China appena il capo andando a riaprir le palpebre stanche, la mancina ad alzarsi appena mettendo bene in mostra il polso sottile, le vene scure che traspaiono sotto quello strato di pelle trasparente. Le dita della destrorsa vanno a sfiorare e scorrere sulla sua carne come se potesse sentire quel sangue speciale bagnarle le dita. Le labbra si distendono appena in un sorriso stanco, amaro. Sarà davvero così? È davvero preziosa come lui le ha detto? Eppure… eppure non riesce a compiacerlo, a fare quell’unica cosa ch’egli desidera da lei. Le dita risalgono ora lungo il viso a sfiorar le palpebre che nascondono alla vista le iridi bicromatiche. Non riesce a risvegliare quel potere che dovrebbe riempirla, colmarla dall’interno. Un potere che teme di non possedere davvero, che non riesce a comprendere. Ha veduto gli occhi di Arima, quel suo potere rivelato nel disegno oscuro che straziava quelle sfere scarlatte poste sul suo viso, ma ancora non conosce il reale potere di quegli occhi. Riflette, pensa, ripassa e studia nella sua mente questi concetti, queste nozioni imparate e lette cercando di far trascorrere più rapidamente il tempo dentro quella stanza chiusa ma, alla fine di tutto, si sente solamente spossata da tutti quei pensieri che non giungono mai ad una vera e propria conclusione. Più legge, più apprende, più domande compaiono all’orizzonte. Domande cui non sempre Arima le dà risposta. È proprio mentre un nuovo sospiro fuoriesce dalle sue labbra rosate che un suono la riscuote dalla sua monotona esistenza. No. Non un suono. Una voce. Un richiamo. Discosta il capo dalla parete volgendolo verso la porta che quasi mai viene aperta. <Sì?> domanda titubante, stranita, sbattendo più volte le palpebre sottili. Non è la voce di Arima, di questo è certa: è l’unica voce che abbia mai realmente conosciuto e l’avrebbe riconosciuta ovunque. <Chi sei?> domanda lei improvvisamente travolta da una curiosità violenta, le ginocchia a posarsi ora sul terreno mentre avanza gattoni verso la porta. Di sicuro questo è insolito: mai nessuno –oltre Arima- s’è mai soffermato dinnanzi la sua porta e, di sicuro, mai nessuno l’aveva chiamata. Questa è, per lei, la più grande ed inaspettata sorpresa che avrebbe mai potuto immaginarsi. Il cuore le batte forte in petto, il respiro si fa appena più rapido. Dentro di lei sente che questo non dovrebbe accadere, che sta accadendo qualcosa di nuovo e di, forse, sbagliato. Ma non può far altro che sentirsene allo stesso modo attratta, attirata, come un magnete viene attratto dal metallo. Si ferma dinnanzi all’entrata, a quella porta in solido ferro che la distanzia e distacca dal resto della struttura provando ad appiattirsi al suolo per poter vedere oltre quella piccola apertura dalla quale le viene passato il cibo.

20:53 Hanae:
 Labbra serrate e corpo immobile, lo stesso respiro viene trattenuto per brevi istanti dopo aver pronunciato quello che dovrebbe essere il codice di un clone, più nel dettaglio quel -21- sul quale Katsumi e lui soltanto dovrebbe avere diritto di essere nominato. Del resto, in linea generale, la lettera che precede i numeri è null'altro che un indicatore, un valore; sono i numeri che seguono ad identificare un individuo..a dare un primo ed in linea generale unico nome a chi nasce sotto la così detta maledizione del clan Uchiha. Attende con sottile impazienza un segnale proveniente dalla stanza oltre la quale non tenta di spiare. Che sia uno scherzo di Arima? Non sarebbe strano incontrarlo..una volta tanto che passa per il quartiere Uchiha; recentemente non ne ha avuto grande occasione. Eppure, per quanto la mente possa viaggiare e cercare possibili risposte, sono le risposte a trovare lui-- o per meglio dire, una voce. Una donna? No, è ben meno matura..più debole, una giovane ragazza probabilmente. Che quella targhetta sia un semplice errore? No..sarebbe da ingenui pensare che ci sia un alloggio nei piani sotterranei della sede del capoclan. Un passo avanti, quanto necessario dal portare la propria figura a pochi centimetri da quella porta in ferro, la sola iride cremisi ad analizzare quella costruzione. Una maniglia, lo spazio per inserire una chiave, ed infine all'altezza delle proprie caviglie un'apertura rettangolare, tipica più di una prigione che di una stanza. Rimane immobile, ascoltando le parole pronunciate dalla figura altrui. Il solo udito a concentrarsi su ciò che c'è oltre quella stanza, su ogni suono e rumore udibile..un solo e unico respiro, un solo ed unico battito cardiaco..leggermente più veloce della norma di un'identità qualunque, un sinonimo di agitazione? Le labbra si schiudono appena, pronunciandosi in parole alte quanto necessario dall'essere udibili appena dalla figura oltre la porta. < ..Katsumi. > La mancina a sollevarsi, raggiungere la maniglia, un movimento di polso ed una leggera applicazione di forza per poter vedere cosa si trovi oltre, ma il tentativo fallisce..chiuso a chiave. Sopracciglio sinistro a sollevarsi, manifestando solo a sè stesso stupore. Perchè chiudere qualcuno all'interno di una stanza? Perchè quel codice? Per il momento sono soltanto domande a spaziare per la sua mente, domande che presto potrebbero aumentare..o interrompersi. La schiena a poggiarsi sulla porta e le ginocchia a piegarsi lentamente, permettendo al corpo di adagiarsi in una posizione lievemente più comoda. < Perchè sei rinchiusa in una stanza? > Il tono si mantiene alla stregua di un sussurro, udibile appena una nota di curiosità in mezzo al gelido freddo di quel tono, attraversato ormai da infiniti ricordi. < Cosa rappresenta questo codice? > La nocca dell'indice sinistro a battere nella posizione della targhetta su cui è inciso il codice altrui. < Ti appartiene realmente? > Una domanda, e in quello stesso momento..il busto a flettersi in avanti, corpo a ruotare per intero per potersi rivolgere verso l'apertura dalla quale viene passato il cibo, il capo a chinarsi e ad accompagnare tale movimento, in modo da rivolgersi verso quella sola e unica possibilità di interazione visiva. Appena visibili appena le proprie bianche ciocche di capelli, un occhio cremisi ed una benda. Eppure in quella sola iride rossa è visibile anche un'improvviso dilatarsi, non qualcosa di eccessivo. Dato dal colore degli occhi altrui. Troppe similitudini..in un luogo fin troppo ambiguo. La mancina che prima ha sfiorato la maniglia ora scende davanti agli occhi, un solo e unico strappo per scostarsi di dosso la benda che nasconde alla vista altrui l'iride bianca. < ... > batte le palpebre, ma non trova parole. Scosta dopo pochi istanti il capo e il busto viene nuovamente raddrizzato, ancora fermo davanti a quella porta. In cosa si è imbattuto? [ chakra on ]

21:22 Haran:
 Non può udire molto dall’altro lato di quella porta, non ode veri e propri suoni, rumori. V’è pace, v’è quiete, e tutto ciò che giunge al suo orecchio e il continuo e monotono ticchettare di quelle lancette arrugginite. Per un solo istante, per un solo momento, quella voce ha strappato la normalità della sua vita con quella novità che non avrebbe saputo prevedere, ma ora v’è nuovamente silenzio lì. Tutto ciò che può vedere, così distesa al suolo di ventre in terra, sono stivali fermi dinnanzi la porta, nulla che possa farle capire chi sia la persona di fronte a sé. Ma è egli stesso a schiarire –per così dire- i suoi dubbi. Quel nome vien pronunciato con la forza necessaria a venir udito, giunge insignificante al di lei udito. Mpf, l’ironia del destino. <Katsumi…> ripete battendo le palpebre, la voce sottile, bassa, confusa. Non sa chi sia, mai gli è stato nominato da Arima né ha mai letto di lui nei suoi libri. Di sicuro, da quel giorno, quel nome avrebbe affollato la sua mente. Vede quel corpo muoversi, le gambe voltarsi, la schiena venir rivolta alla porta per poi mettersi più comodo, le gambe a piegarsi per aiutarlo in questo fare. Non può ancora vederne il viso, dei veri lineamenti e la curiosità sale alle stelle. Vorrebbe vederlo, guardarlo, ma non osa. Non sa chi sia e probabilmente non dovrebbe essere lì, non può chiedere al fato qualcosa di più di quanto le viene ora concesso. Le sue domande giungono lente, ben scandite, al di lei udito portandola a rispondere ad ognuna di esse nel modo più semplice che le è possibile. <Perché sono speciale> La risposta le sale istintiva e spontanea alle labbra e, dal tono della sua voce, è facile intuire che non vi sia superbia o vanità nel suo dire ma l’ingenua semplicità d’un bambino. È l’unica verità che conosca, l’unica spiegazione al suo permanere prigioniera di quel piccolo, stretto mondo a cui è stata legata. Non sa dir di più, non ne vedrebbe neppure motivo: ha detto la verità, dopotutto. Ha dato una risposta –per lei- esauriente al di lui quesito. <Perché sei qui?> domanda allora, a sua volta, quasi come a voler attuare una sorta di scambio. Lei avrebbe certamente risposto alle di lui domande, ma non senza chiedergli qualcosa di rimando. Conoscenza, nuovo sapere. Piccole domande –forse prive d’importanza- che semplicemente avrebbero distrutto la monotonia di quella sera. <Non viene nessuno qui> aggiunge poco dopo ricordando come solo Arima si sia mai avvicinato alla sua porta fino a quel momento, solo lui ne ha varcata la soglia rare volte. Solo lui ha lei al mondo. La domanda dell’Uchiha la porta ad aggrottare appena le sopracciglia, le gambe a venir appena piegate verso l’alto, i piedi a dondolare nel vuoto in un moto ritmico, lento. <E’ il mio nome> Che altro potrebbe significare, dopotutto? <Sono il clone k-21> chiarisce allora come se fosse una cosa semplice ad egli sconosciuta. Non fa a tempo a porre la sua domanda che quell’ulteriore quesito le vien posto lasciandola appena sorpresa, boccheggiante; presa in contropiede da quella bizzarra curiosità che non riesce a comprendere. <E’ il nome che mi ha dato Arima-sama. Non saprei se mi appartiene…> rivela dopo un attimo di silenzio stringendosi appena nelle spalle, appiattendo il viso contro il pavimento, vedendo un moto delle sue mani, del suo corpo. <Si può rubare un nome?> domanderebbe dunque, con sincera ed ingenua curiosità, richiedendo una reale risposta a quel quesito. E poi, finalmente, vede. Il di lui viso vien chinato, mostrato, ed i suoi capelli color della neve vanno accompagnando i lineamenti di un viso delicato, fine, di un occhio scarlatto che in un primo momento avrebbe potuto scambiare per uno Sharingan. Ma non vi sono tomoe in quell’iride cremisi, non vi sono disegni neri a decorarne la trama. Schiude lei le labbra osservandolo, studiandone i lineamenti che può vedere da quella posizione, memorizzando i tratti di quel viso, di quelli occhi che paiono vecchi e vecchi di anni. Cosa avranno mai veduto quelle iridi brillanti? Vede la benda venir chinata, l’altr’occhio a venir rivelato e quella sorta di luce bianca a caratterizzarne la forma. <I tuoi occhi sono strani, Katsumi> dice lei quando l’altro va scostandosi nuovamente da quell’apertura, quando il busto va rialzandosi. <Sono di due colori diversi. Come mai?> gli domanda lei andando ora rialzandosi da quella posizione scomoda, le ginocchia a venir puntellate al suolo, le gambe a fornirle sostegno mentre il busto vien portato in posizione eretta dietro quella porta che li divide. Alza una mano a sfiorarne l’acciaio freddo, l’indice destro scivola su quella lastra spessa a tratteggiare linee immaginarie. <Pensavo che gli Uchiha avessero gli occhi scuri. Sasuke aveva gli occhi scuri, sai? E così anche i suoi cloni dovrebbero averli> spiega lei potendo, per la prima volta, far sfoggio delle sue nuovissime conoscenze con un certo moto d’orgoglio. <Ma… forse non sei un Uchiha?> domanda allora, poco dopo, sgranando appena gli occhi, come se d’improvviso si fosse ritrovata a dover fare i conti con una possibilità alla quale non aveva affatto pensato in precedenza.

22:12 Hanae:
 Il puzzle di questo incontro inizia ad assumere una forma stabile nella mente del'Uchiha, contorni delineati ed un grande disegno nel quale vanno ancora incastrati i tasselli al loro posto. Chi è K-21? La risposta..potrebbe ottenerla sfruttando semplicemente il potere dello sharingan, ottenere in tal modo le informazioni necessarie direttamente scavando con violenza nei ricordi altrui. Forse..la sua ormai divorata controparte avrebbe sfruttato questo metodo, per certi versi più sadico del necessario; ma i propri occhi quest'oggi non mostreranno quel lato di sè. Che sia per puro intrattenimento, o forse per un interesse che non vuole che svanisca..non importa. < Speciale..> ripassa appena quella parola, inarcando il capo in direzione del soffitto, osservando una delle fonti di luce del corridoio. < E' una cosa buona, essere speciali? > La interroga su quesiti ai quali la risposta non può che essere mutevole, indicibile quale sia la risposta finchè non la si ascolta-- e anche allora, difficilmente comprensibile per entrambi i lati. < Destino. > Afferma da prima in risposta alla domanda altrui, interrompendosi per degli istanti e proseguendo. < oppure per una serie di coincidenze. > Esiste realmente un obiettivo ultimo per ogni identità? Un obiettivo oltre il quale il proprio pezzo viene rimosso dalla scacchiera. Un obiettivo che sancisce il motivo della nostra esistenza. O forse siamo semplicemente in balia di una serie di coincidenze? Piccoli ed infiniti eventi che hanno portato l'uchiha a muoversi per quel corridoio, a bisbigliare il codice letto in quella porta. < In quale dei due credi? > Quale sia la causa apparente e non remota del suo essere qui, beh.. < In ogni caso, cerco di completare un'immagine. > Un'immagine che continua a mutare e a sorprenderlo quando pensa di essere arrivato alla fine-- forse questa volta è diverso, con la scoperta di diverse verità pensa di riuscire a completarla una volta per tutte. Il capo a tornare dritto davanti a sè, osservando la parete opposta, si guarda attorno..caso mai qualcuno si stesse avvicinando, ascoltando nuovamente le parole altrui. Il suo nome. Il nome di Arima in mezzo al discorso fa realizzare all'Uchiha che il tutto si può collegare soltanto ad un particolare punto. Ha conosciuto un caso simile, un'identità priva di reali ricordi autodefinitasi tuttavia un fallimento, qualcuno di tanto simile a sè dal potersi quasi confondere..riportante tuttavia il tanto ripudiato "0" nel proprio codice, indice di fallimento. Si chiamava..Amburoshia? A livello fittizio, sì. Un elemento che riaffiora nel momento in cui riesce a scontrarsi con le iridi altrui, come se quello spioncino fosse stato uno specchio della propria immagine. Gli stessi commenti sulle proprie iridi lo portano a riflettere ulteriormente su ciò che si trova davanti. Qualcosa che doveva fermare quando ne aveva l'occasione, quando era davanti ad Arima con la consapevolezza di cosa fosse successo. Che l'attuale capoclan Uchiha..sappia già? di sè stesso..delle proprie origini. Sembra quasi di trovarsi davanti ad una bambola. Vuota all'interno e riempita di pochi ed essenziali elementi. Cosa sta cercando di fare Arima? < Una volta erano dello stesso colore, eppure sembravano costantemente in contrasto. > Labbra a pronunciarsi in un sorriso, mantenendo tuttavia a sè stesso quel gesto. < Dicono che gli occhi siano lo specchio dell'anima...> sembra interrompere il seguito della frase, silenziandosi per più di qualche secondo, creando involontariamente pathos. < --Unici, quindi. > Nelle loro sfumature, a livello microscopico si troveranno sempre delle differenze. < Eppure i tuoi occhi sono unicamente identici agli occhi di un'altra identità, è per questo che sei speciale? > Trattiene i particolari più importanti, poichè quella barriera in metallo che attualmente li separa potrebbe divenire realmente una prigione, da entrambi i lati. < Lo sono, ma non soltanto. Tu..chi sei, oltre K-21? > Una domanda, tanti significati. [ chakra on]

22:53 Haran:
 Domande, quelle di lui, che portano la mente del clone a lavorare. Le rotelle che ruotano, girano, vibrano andando a stimolare quei pensieri che, per lungo tempo, ha potuto esporre a se stessa soltanto. Si sente emozionata, fomentata, eccitata dalla sola idea di poter rivolgere a qualcun altro le proprie domande, i propri dubbi; Arima non è tipo da ascoltare le curiosità altrui, lui preferisce donare le risposte ch’egli ritiene essenziali. Concetti, fatti, storie che per qualche motivo vuole donarle ma cui non dona una cornice più ampia, un contesto più particolareggiato. E le domande si affollano, accatastano e accumulano nella mente ben attiva della ragazza che può solo ora lasciar libertà a quelle parole. Ascolta la voce dell’altro, cerca di studiarne il suono. Pare tranquillo, sereno nel modo che ha di rivolgersi a lei. Per certi sensi, deve ammettere, un po’ le ricorda davvero Arima. Ma si tratta di semplici sfumature che di tanto in tanto affiorano nell’uno o nell’altro e che paiono confondersi fino a non farle capire chi dei due abbia davanti. <Cosa è buono?> domanda lei, a sua volta, aggirando il di lui quesito. Non può rispondere alla sua curiosità s’egli prima non risponde alla sua. Come può dire cosa sia buono e cosa no? Lei è buona? Non lo sa. <Io non lo so> ammette espirando piano, stringendosi leggermente nelle spalle. L’orologio continua a scandire il loro tempo e, d’un tratto, par quasi accelerare il suo incedere. Vorrebbe poterne fermare le lancette, bloccare il tempo. Sta apprezzando, amando quell’attimo che le è stato donato e teme profondamente il momento in cui esso troverà fine. Tornerà sola nella sua cella a trovar come unica compagna quella litania regolare e costante che conta i secondi dei suoi giorni. <Io…> mormora lei schiudendo le labbra, il respiro a trattenersi per un attimo mentre si ritrova a non sapere davvero cosa dirgli. In cosa crede, lei? Non ha conosciuto nulla al di fuori di quella stanza, non si è mai trovata ad avere a che fare coi progetti di un destino già segnato o con gli imprevisti posti sulla sua strada dal caso. Non se l’è mai chiesto, non ha abbastanza elementi per valutare una simile scelta. <…io credo che non m’importi> si ritrova dunque a dire umettandosi le labbra, respirando piano. <Tu in cosa credi?> gli domanda allora, titubante, incuriosita, trattenendosi le labbra fra i denti, la curiosità a riverberarsi nel suo corpo ad ogni battito cardiaco. In qualche modo desidera conoscere, capire quella voce che le parla dall’altra parte di quella porta. Non dovrebbe, forse lo sta persino mettendo nei guai, ma non può fare a meno di voler sapere di più. Conoscerne il viso, vederne l’aspetto. Sarà alto? Le sue mani saranno grandi come quelle di Arima? O saranno piccole, bianche come le sue? <Mhn?> quelle parole la confondono, non comprende. Una immagine? Una foto, forse? <Non capisco…> ammette ingenuamente prima di vedere il suo corpo muoversi al di là della porta. Si china, si volta, si mostra. E, sarà che non ha mai visto nessun altro a parte il capoclan, sarà che in quel momento Katsumi rappresenta per lei come un’ancora alla quale si sta disperatamente aggrappando, ma lo trova bellissimo. Il suo viso è fatto di linee eleganti, dritte ed i capelli paiono quasi fatti di luce. La sua espressione è ferma, non dolce, non severa, ma quasi serena. Il colore di quelle iridi la sorprende, la colpisce, c’è qualcosa in quegli occhi che l’attira. Sarà forse l’emozione del momento, quel desiderio di poter godere della sua presenza ancora un po’, ma qualcosa di strano la percorre quando vede il suo viso. La rasserena. Ma dura solo pochi attimi quel contatto fra i loro sguardi, perché ben presto il Puro si leva e il suo volto scompare dalla di lei vista. K-21 sente la sua voce raggiungerla ancora, ode quel suo flusso di coscienza sfiorare le sue orecchie e rimane in silenzio ad udire i suoi pensieri. E quando lui fa quel riferimento ai di lei occhi si ritrova a schiudere le labbra piccole, gentili, portando una mano a sfiorare la pelle attorno al proprio occhio sinistro. <Non… lo so> rivela lei in un soffio boccheggiando per un solo istante. <Come sono i miei occhi?> domanda dopo un momento di silenzio osservando la porta di fronte a sé con la stessa intensità con la quale avrebbe osservato le di lui iridi. <Sono un clone, sono sicuramente uguale a qualcun altro.> ammette lei quasi come se la cosa possa in qualche modo ferirla. Una copia. Lei è la copia sbiadita di qualcun altro. Guardandola in viso avrebbero visto in lei un’altra identità? <Non sono i miei occhi ad essere speciali. A volte… a volte credo che siano inutili> E non sa perché quella verità amara fuoriesca dalle sue labbra, perché senta di poter dire a Katsumi quanto tema di essere un clone fasullo, venuto male. China il capo verso il basso, le mani poggiate in terra fra le cosce esili, bianche. <Non voglio deludere Arima-sama. Mi ha insegnato tante cose> Può davvero ripagarlo dimostrandosi un fallimento? Una Uchiha priva di Sharingan? No… non può. Deve migliorare. Deve farlo! Ed ecco allora che un nuovo frammento di verità le vien donato, un nuovo, piccolo pezzo di Katsumi a venirle offerto. Lo accetta gelosamente, lo custodisce con cura ritrovandosi a perdersi ancora una volta dietro quei suoi strani quesiti. <Io… non so cosa sono. So solo quello che ho letto nei miei libri. Sai, ne ho letti tanti, io. Ma può bastare, questo? A volte mi sembra di non sapere così tante cose che fa quasi male. Di che colore è il cielo? Quanto è caldo il fuoco? Com’è fatto un fulmine?> domande che vengono snudate una per volta in un tentativo di esporre le sue paure, i suoi pensieri più segreti e nascosti. Si ferma, inspira. Tace per alcuni attimi, espira piano e poi riprende con più quiete. <Ehi, Katsumi…> alza appena il capo verso la porta, la chioma corvina a scivolare attorno al viso, le solletica le spalle piccole e strette. <Cos’è un’anima?>

23:42 Hanae:
 Quello che è un dialogo con un'identità piuttosto particolare per L'Uchiha cosa sta rappresentando in questo momento per il lato opposto? E' curioso tentare di capire senza l'ausilio dell'arte illusoria cosa si trovi nella mente altrui, ciò che ogni istante una figura umana riesce a pensare e produrre, una mole di informazioni che sembrano quasi inarrivabili finchè non vengono sfiorate concretamente. Una domanda arriva in risposta al proprio dire, cosa è il bene? < Ciò che divide il bene ed il male, il buono ed il cattivo..penso che sia inesplicabile. Due fili sottili e totalmente invisibile, fili che a volte si spezzano e intrecciano tra loro nelle nostre mani, portando alla confusione..ad un senso di smarrimento...non è neppure errato dire che questi due fili non esistano. > Forse la risposta altrui è la risposta più sincera ed umana che possa esser data. Priva della presunzione di sapere, priva dell'ego di chi ignora il significato reale delle due parole. < Ho fatto molto male a qualcuno, per poi ucciderlo. Ciò fa di me il cattivo? > Inspira profondamente, chinando il capo verso il pavimento. < Ma anche quella persona aveva causato dolore. Ciò fa di me il buono? Forse la realtà è che noi umani non siamo in grado di riconoscere cosa sia bene e cosa sia male. > Lo stesso Arima..se è davvero artefice di K-21, è stato buono o cattivo? Del resto..ciò che fa lo fa per il clan, quindi lo ama? Ma da un altro punto di vista potrebbe essere detto il contrario. < Credo nell'esistenza di una forma di fato. Qualcosa che decide i nostri ruoli in un ciclo di vita che si ripete dall'alba dei tempi. > Il motivo per cui ha seguito Akendo è il desiderio di mantenere stabile quel ciclo. Eppure neppure questo suo pensiero può essere ritenuto esatto, secondo la logica applicata precedentemente. Ci sono domande che non hanno risposta, domande alle quali la risposta giusta è realmente " non lo so ". Potrebbe semplicemente abbandonare il dialogo e tornare ai suoi doveri..ignorare tutto fino al momento propizio, eppure nel proprio contorto cuore prova tristezza, riflessa appena nei propri occhi..per degli istanti. Tristezza verso la stessa esistenza di Akira, tristezza nei confronti del clan. E' forse perchè ama ciò che rappresenta quel ventaglio rosso? O per odio verso ciò che ha causato? Ascolta le parole altrui, rimane totalmente in silenzio quando si parla di occhi. In quelle poche parole da lei espresse realizza cosa fino ad ora abbia potuto vivere. Il timore di non essere abbastanza per qualcuno, Arima in questo caso, che con apparente ossessione l'ha mantenuta nascosta ai più, per ciò che potrebbe rappresentare. Un clone, sì..ma ben più della norma. Qualcosa oltre il quale nè Sasuke nè Wooaki sono mai andati, al contrario di Arima. Un uomo che ancora una volta dimostra di amare, ma nel modo errato. < Luminosi come il fuoco e trasparenti come il vetro..> La frase sembra nuovamente interrompersi. < Speciali. Arima ha compreso e già sa che i tuoi occhi sono speciali, è solo che..> attimi di silenzio, è forse il caso di parlare così della sola figura alla quale K-21 si aggrappa tanto speranzosa? Potrebbe passare un sacco di tempo da un secondo incontro tra i due -21- < ..non importa. > Tace per degli istanti, ascolta quell'ultima domanda, che sembra portare con sè un peso ben più accentuato rispetto a qualunque altra cosa detta. < Saperlo potrebbe farti più male. > prima o poi, almeno per ora, dovrà tornare sola. < Ma..se allunghi la tua mano, in modo che io possa anche solo sfiorarla, posso fare qualcosa. > La propria mancina a strisciare lentamente sul pavimento, palmo posizionato verso il soffitto ad esser portato nello stesso spazio dove prima ha avuto contatto visivo con lei. La sfiorerà, per stare al sicuro..o abbandonerà quel sentimento, correndo il rischio di affrontare ciò che è sconosciuto? [ chakra on ]

00:12 Haran:
 Accoglie lei, quelle parole, come fossero una benedizione, un prezioso dono. Non chiosa, non verbia, rimane silente in adorante attesa di comprendere meglio le di lui parole, tutti quei significati, quelle cose che sfuggono dalla sua comprensione, dalla sua mente così limitata, così chiusa al mondo che si riversa fuori di quella fredda porta bianca. È un discorso ben complesso, difficile, lascia più dubbi che risposte eppure in qualche modo K-21 riesce a trovare una sorta di senso in quel mescolarsi di concetti e verità. Lascia ch’egli parli, che spieghi, che sospiri quelle colpe o quei meriti che porta sulle proprie spalle. Lei non sa cosa dirgli, non sa come poter rispondere a quel complesso discorso. La sua, per ora, è una vita che va di assoluti. Non conosce nulla del mondo se non i principi ed i fatti che Arima le ha sottoposto come verità totali e complete. Non può conoscere le sfumature di significato di cui è ricca l’esistenza e per questo può rifugiarsi solamente dietro quelle che sono le sue sensazioni. Lascia che, per ora, a parlare sia il suo istinto e non la sua ragione. <Non credo che tu sia cattivo> chiosa lei sfarfallando appena le ciglia scure in un paio di battiti di palpebre. <Ma forse hai fatto cose cattive.> azzarda lei non potendo sicuramente escludere la possibilità che il di lui animo sia macchiato di passate colpe. <Di sicuro, però, hai fatto qualcosa di buono> aggiunge poco dopo con le labbra a distendersi leggermente verso l’esterno in un sorriso sincero, gentile, che egli non può tuttavia veder comparire sul di lei viso. <Credo che tu mi stia facendo del bene> spiega più chiaramente le sue parole con disarmante semplicità. Non comprende il concetto d’imbarazzo o di difficoltà d’espressione. È solo la verità, un pensiero che sente di dovergli esprimere considerando l’argomento tirato in ballo un po’ da entrambi. E ascolta la sua voce, le sue parole, accoglie i suoi pensieri e le sue credenze ritrovandosi alla fine ad inclinare appena il capo con quel leggero sorriso a permanere sul volto pallido. <Allora la risposta è semplice> afferma lei riprendendo la domanda ch’egli le aveva posto in origine. <E’ stato il destino a portarti qui. Voglio credere che questa sera potessi esser stata in tua attesa mentre contavo i secondi cantati da queste lancette stanche> Forse è per questo che non aveva voluto dormire. Forse è per questo che non aveva voluto mettersi a leggere, a scrivere su uno di quei fogli immacolati che le son rimasti accanto. Doveva esser attenta, pronta a captare quella flebile voce che chiamava il suo nome. Sì… le piace questo pensiero. Le risolleva lo spirito, la porta a convincersi che forse, tutto sommato, non è così sola come crede a quel mondo. Magari, là fuori, v’è qualcun altro del quale sarebbe stata in attesa. Ma sono domande, dubbi, quesiti ai quali non può rispondersi, né a cui può chieder risposta all’Uchiha. Sono dubbi che custodisce lei nel suo cuore e sul quale, sa, avrebbe riflettuto e rimuginato a lungo. Esattamente come, al tempo stesso, avrebbe pensato al di lui viso. A quel volto che ha avuto modo di vedere, conoscere, oltre a quello della sua guida. Avrebbe dovuto disegnarlo, sì. Avrebbe dovuto abbozzare, schizzare quel viso sui suoi fogli, sui suoi diari, così da non dimenticarne mai i tratti. Avrebbe dovuto salvare le sue memorie su carta e ripescarne l’immagine ogni qual volta la memoria fosse venuta meno. Ascolta il suo dire, quelle parole che la sorprendono e lusingano portandola a chiedersi come debba apparir all’esterno. Non ha idea di come gli altri la vedano, di come sia fatto il suo stesso viso. Sa solo d’esser piccola, magra, con la pelle bianca come le vesti che ha indosso e i capelli neri come la notte. Ma i suoi occhi? Le sue labbra? Come saranno, loro? <Speciali…> mormora lei accarezzando con la voce, con la lingua, quella parola, quasi come a volersi crogiolare per un attimo più a lungo nel suo significato. Un significato che le è per ora precluso ma che sente in qualche modo quasi piacevole. <Grazie> mormora lei rincuorata, rassicurata, ritrovandosi poi a veder venir quasi disattesa la sua curiosità finale. Schiude le labbra nell’udire per la prima volta una risposta negata o, forse, semplicemente raggirata. Forse s’è spinta troppo in là, forse è una domanda complessa quella che lei ha osato porre… eppure Katsumi non pare arrabbiato, al contrario; par quasi triste la voce mentre va a chiosar quelle parole. Ed è quando l’altro continua nel suo discorso che le iridi di K-21 vanno a sgranarsi appena, a ricercare la figura delle di lui dita che sporgono oltre quell’apertura nella porta. Non dice nulla, sente che non c’è molto che potrebbe dire in quel momento e si ritrova a titubare un istante osservando quella mano che le vien porta. Non ha mai toccato qualcuno, che lei possa ricordare, non sa cosa si provi. È emozionata, stranita dall’idea di poterlo scoprire e un brivido strano le discende la schiena. Non sa se stia facendo qualcosa di giusto, forse sta danzando sul sottile ed evanescente confine del bene e del male, su quel filo che può essere l’uno o l’altro o forse nessuno dei due e avvicina la mano a quella di lui. Lentamente, quasi con una sorta di timor riverenziale, prima di trattenere il respiro e lasciare che le sue dita sottili ed affusolate vadano a trovar rifugio nel di lui palmo. Dorso in su, nocche all’aria, sovrappone la sua mano così piccola a quella che egli le porge in uno sfiorar di carne così delicato da apparir quasi illusorio, quasi immaginario.

19:34 Haran:
 Accoglie lei, quelle parole, come fossero una benedizione, un prezioso dono. Non chiosa, non verbia, rimane silente in adorante attesa di comprendere meglio le di lui parole, tutti quei significati, quelle cose che sfuggono dalla sua comprensione, dalla sua mente così limitata, così chiusa al mondo che si riversa fuori di quella fredda porta bianca. È un discorso ben complesso, difficile, lascia più dubbi che risposte eppure in qualche modo K-21 riesce a trovare una sorta di senso in quel mescolarsi di concetti e verità. Lascia ch’egli parli, che spieghi, che sospiri quelle colpe o quei meriti che porta sulle proprie spalle. Lei non sa cosa dirgli, non sa come poter rispondere a quel complesso discorso. La sua, per ora, è una vita che va di assoluti. Non conosce nulla del mondo se non i principi ed i fatti che Arima le ha sottoposto come verità totali e complete. Non può conoscere le sfumature di significato di cui è ricca l’esistenza e per questo può rifugiarsi solamente dietro quelle che sono le sue sensazioni. Lascia che, per ora, a parlare sia il suo istinto e non la sua ragione. <Non credo che tu sia cattivo> chiosa lei sfarfallando appena le ciglia scure in un paio di battiti di palpebre. <Ma forse hai fatto cose cattive.> azzarda lei non potendo sicuramente escludere la possibilità che il di lui animo sia macchiato di passate colpe. <Di sicuro, però, hai fatto qualcosa di buono> aggiunge poco dopo con le labbra a distendersi leggermente verso l’esterno in un sorriso sincero, gentile, che egli non può tuttavia veder comparire sul di lei viso. <Credo che tu mi stia facendo del bene> spiega più chiaramente le sue parole con disarmante semplicità. Non comprende il concetto d’imbarazzo o di difficoltà d’espressione. È solo la verità, un pensiero che sente di dovergli esprimere considerando l’argomento tirato in ballo un po’ da entrambi. E ascolta la sua voce, le sue parole, accoglie i suoi pensieri e le sue credenze ritrovandosi alla fine ad inclinare appena il capo con quel leggero sorriso a permanere sul volto pallido. <Allora la risposta è semplice> afferma lei riprendendo la domanda ch’egli le aveva posto in origine. <E’ stato il destino a portarti qui. Voglio credere che questa sera potessi esser stata in tua attesa mentre contavo i secondi cantati da queste lancette stanche> Forse è per questo che non aveva voluto dormire. Forse è per questo che non aveva voluto mettersi a leggere, a scrivere su uno di quei fogli immacolati che le son rimasti accanto. Doveva esser attenta, pronta a captare quella flebile voce che chiamava il suo nome. Sì… le piace questo pensiero. Le risolleva lo spirito, la porta a convincersi che forse, tutto sommato, non è così sola come crede a quel mondo. Magari, là fuori, v’è qualcun altro del quale sarebbe stata in attesa. Ma sono domande, dubbi, quesiti ai quali non può rispondersi, né a cui può chieder risposta all’Uchiha. Sono dubbi che custodisce lei nel suo cuore e sul quale, sa, avrebbe riflettuto e rimuginato a lungo. Esattamente come, al tempo stesso, avrebbe pensato al di lui viso. A quel volto che ha avuto modo di vedere, conoscere, oltre a quello della sua guida. Avrebbe dovuto disegnarlo, sì. Avrebbe dovuto abbozzare, schizzare quel viso sui suoi fogli, sui suoi diari, così da non dimenticarne mai i tratti. Avrebbe dovuto salvare le sue memorie su carta e ripescarne l’immagine ogni qual volta la memoria fosse venuta meno. Ascolta il suo dire, quelle parole che la sorprendono e lusingano portandola a chiedersi come debba apparir all’esterno. Non ha idea di come gli altri la vedano, di come sia fatto il suo stesso viso. Sa solo d’esser piccola, magra, con la pelle bianca come le vesti che ha indosso e i capelli neri come la notte. Ma i suoi occhi? Le sue labbra? Come saranno, loro? <Speciali…> mormora lei accarezzando con la voce, con la lingua, quella parola, quasi come a volersi crogiolare per un attimo più a lungo nel suo significato. Un significato che le è per ora precluso ma che sente in qualche modo quasi piacevole. <Grazie> mormora lei rincuorata, rassicurata, ritrovandosi poi a veder venir quasi disattesa la sua curiosità finale. Schiude le labbra nell’udire per la prima volta una risposta negata o, forse, semplicemente raggirata. Forse s’è spinta troppo in là, forse è una domanda complessa quella che lei ha osato porre… eppure Katsumi non pare arrabbiato, al contrario; par quasi triste la voce mentre va a chiosar quelle parole. Ed è quando l’altro continua nel suo discorso che le iridi di K-21 vanno a sgranarsi appena, a ricercare la figura delle di lui dita che sporgono oltre quell’apertura nella porta. Non dice nulla, sente che non c’è molto che potrebbe dire in quel momento e si ritrova a titubare un istante osservando quella mano che le vien porta. Non ha mai toccato qualcuno, che lei possa ricordare, non sa cosa si provi. È emozionata, stranita dall’idea di poterlo scoprire e un brivido strano le discende la schiena. Non sa se stia facendo qualcosa di giusto, forse sta danzando sul sottile ed evanescente confine del bene e del male, su quel filo che può essere l’uno o l’altro o forse nessuno dei due e avvicina la mano a quella di lui. Lentamente, quasi con una sorta di timor riverenziale, prima di trattenere il respiro e lasciare che le sue dita sottili ed affusolate vadano a trovar rifugio nel di lui palmo. Dorso in su, nocche all’aria, sovrappone la sua mano così piccola a quella che egli le porge in uno sfiorar della sua carne contro il di lui cremisi guanto così delicato da apparir quasi illusorio, quasi immaginario.

20:09 Hanae:
 Fare del bene, è questo che sta facendo l'Uchiha, in questo momento? Un giorno questa nottata potrebbe essere ricordata come il giorno in cui la vita di Akira è stata ulteriormente condannata alla sofferenza, se non peggio. Potrebbe non essere così, indubbiamente, ma è giusto che sia lui a caricarsi sulle spalle il dovere di aprire il bozzolo altrui? Forse no..ma la natura umana si rispecchia da sempre in queste forme di incoscienza, o semplicemente di egoismo...e nonostante tutto neanche l'Uchiha nel suo stato attuale può trascendere la sua stessa esistenza; succube inconsciamente di sogni, desideri e odio. Eppure le parole altrui in qualche modo lasciano spazio ad un sottile e quasi invisibile sentimento in mezzo alle iridi bicromatiche dell'Uchiha, un senso di appagamento..un sentimento tanto sconosciuto quanto instabile, qualcosa che accompagna la nascita di piccoli desideri. Aiutarla a realizzare i suoi obiettivi, farle vedere qualcosa di più di quella stanza. Ma sarebbe come condannarla ad essere la propria ombra, non sarebbe altro che accompagnare ciò che la volontà dell'attuale capoclan ha creato. Un clone..parola che rimbomba come eco in una grotta nella propria mente, parola che emette un suono tanto distorto e sbagliato. Quell'ideale limita la mente di coloro nati sotto questo sangue. E questo momento, la stessa esistenza di Akira, sembra quasi un segnale. Un segnale nato come desiderio che sussurra alle orecchie dell'Uchiha, richiamando la parte di sè che ancora racchiude la concezione dei traumi passati, come un'ombra che attende di emergere. Essere soli e abbandonati, essere meramente numeri e carne da macello. E' questa, la direzione ultima del clan? < Capisco..> un sussurro dalle labbra quando la propria mano - nonostante il guanto color cremisi - va a sfiorar la pelle altrui, adagiata su di sè. Cosa la ha spinta a farlo? Curiosità, desiderio, ambizione, confusione, o qualcosa di interamente..differente? Non è importante, poichè ha preso una scelta. Ed è proprio per questo che l'Uchiha si silenzia improvvisamente, frazioni di secondo nelle quali il proprio chakra confluisce all'altezza dello stomaco in due uniche forme sferiche, lentamente sospinte verso l'alto e dirette al nervo ottico, dove le pupille vengono bagnate in tutto e per tutto da tale energia, richiamando così il proprio gene sopito, il gene degli Uchiha..ciò che molti bramano e pochi possiedono. Una rotazione repentina delle pupille lascia spazio a tre tipiche tomoe cerchiate e collegate tra loro, che tuttavia, rapidamente vengono sfumate e distorte, dando vita ad un disegno nuovo ed unico..un potere nato dall'oscurità dell'anima umana, evoluto grazie alla coscienza della morte: Mangekyo Sharingan. Chakra a confluire repentino sugli stessi occhi, sfruttati come meccanismo d'uscita di energia in modo da raggiungere, anche con angolo visivo minimo, parte della mano altrui; tutto ciò che gli è necessario per inviare un'onda di chakra che attraversi ogni fibra del corpo di K-21, inebriandola di un'energia della quale non ha attualmente nessuna percezione. < Ehy. > Se K-21 volterà il proprio sguardo in direzione della propria stanza potrà vedere la figura dell'Uchiha così com'è presente dall'altra parte della porta, lo stesso sharingan a dipingerne gli occhi. Potrà muoversi, in quello spazio illusorio, poichè nella realtà ancora si dovrebbe trovare immobile affianco allo spioncino. Sul volto del mezzo Seiun abbozzato un mezzo-sorriso, osservando la figura altrui. Tra le mani sorregge una piccola lastra rettangolare, la cui funzione rimane sconosciuta. < Forse preferiresti vedere un'immensa pianura illuminata dal sole, lo scorrere di un fiume, qualcosa di diverso da queste pareti..> Il braccio sinistro della figura illusoria - ma totalmente concreta per i sensi di K-21 - a tendersi in direzione della parete che affianca la porta. < Lo vedi? > Mettendo appena a fuoco sul punto indicato, un piccolo bozzolo bianco. < Un bozzolo di falena...vedi quel forellino? > su una delle estremità di quel bozzolo un piccolo forellino. < La falena è lì dentro che lotta, che si scava la sua via per emergere..> Istanti di silenzio per lasciar osservare a lei lo stesso evento, udibile appena all'udito della lei piccoli movimenti all'interno dell'oggetto di interesse. < Potremmo prendere un ago e allargare quel foro, permettendole così di emergere. Eppure facendo ciò sarebbe troppo debole per sopravvivere più di poche ore. > Sa che lei può capire cosa lui intende, la falena emergerà, indubbiamente..ma solo quando sarà per lei possibile farlo realmente. < Tuttavia..guarda. > La piccola lastra rettangolare tenuta tra le mani dell'Uchiha ad essere ora sollevata e posta dinnanzi al viso di lei, ai suoi occhi. Pochi istanti dovrebbero far comprendere alla giovane che quella lastra altro non è che uno..specchio. Riflette parte del suo viso, il colore degli occhi. [mangekyo sharingan][potere illusorio]

20:50 Haran:
 Non può minimamente sospettare, lei, del tumulto che in quel momento va agitandosi nella mente altrui. Non sa, non immagina quanto quell’incontro e quelle sue parole siano arrivate a fondo dentro di lui. Ma può comprendere la sensazione di sentirsi travolta da mille pensieri confusi che si rincorrono, di domande che si accumulano prive di risposta, di bivi dinnanzi a sé da poter percorrere dopo una ponderata scelta. Lo sente mormorare qualcosa ma non ode bene la sua voce: la porta che li distanzia, il suono leggero ed il chakra che al momento non scorre nel suo corpo la portano ad avere un udito ben poco fine. Ma in quel momento non le dispiace particolarmente, non importa. Quella mano che sporge oltre l’apertura della porta cattura per intero la sua attenzione ponendola dinnanzi l’ennesima scelta. Accogliere, accettare quella sua semplice offerta, o rifiutare e tenersene lontana? Il presentimento di star facendo qualcosa di sbagliato è sempre più intenso, pressante, l’assorda quasi, eppure al tempo stesso non può fare a meno di volere sempre di più. Più parole, più conoscenza, più compagnia. E le riesce difficile rifiutare quel contatto, quella vicinanza che mai prima di allora ha avvertito così a portata di mano. Vede quelle dita coperte di stoffa rossa andare a scivolare sul pavimento, il palmo alto ad attendere un suo fare. È emozionata, agitata, incuriosita. E non si tira indietro. Pone la sua mano bianca su quel guanto ritrovandosi a non udire più alcun che. Non succede nulla, non cambia niente, ma si ritrova ad avvertire un tepore piacevole sotto le dita. Non sa se è il guanto o la sua pelle, ma il suo contatto è stranamente caldo, le scivola fra le dita. Rimane in sospeso in un attimo di perpetua attesa fino a quando quella voce non si fa ora più nitida, più chiara. Vicina. Si ritrova a scostarsi, a voltarsi verso l’interno della camera ritrovando l’altro di fronte a sé. Si alzerebbe lei d’istinto, stupita, osservandolo con gli occhi sgranati. <Come…> mormora boccheggiando, stupita, battendo rapidamente le palpebre. <Non si può entrare… o uscire. Cosa…> non capisce, non realizza ciò che realmente sta accadendo. Quella visione che è solo nella sua mente, quell’avvenire che si realizza solamente nei loro pensieri. Muoverebbe un passo appena verso di lui, lo guarderebbe con fare adorante, incuriosito, studiando i lineamenti di lui. Ne memorizza l’altezza, la corporatura, i dettagli di quegli abiti semplici ma eleganti che lo coprono. E poi si sofferma un istante più a lungo sul suo viso, su quel mezzo sorriso che si delinea sulle labbra sottili. Non sa cosa egli abbia fra le mani ma per il momento non le importa, non davvero. Adesso è totalmente rapita dalla sua presenza, dalla sua figura, dall’idea di non essere sola in quella stanza in quel momento. Ode la sua voce, le sue parole, e segue il moto del suo braccio che va poggiandosi contro la parete. <Tu sei diverso> si ritrova a dirgli con semplicità, inclinando appena il capo verso la spalla sinistra, soddisfatta anche solo della sua visita. Certo, le piacerebbe poter uscire, poter vedere quello che il mondo è realmente, ma anche la sola idea di poter parlare faccia a faccia con lui, di poter condividere la stanza con qualcuno anche se solo per pochi attimi, le è sufficiente. Un balsamo per una sensazione di sconfinato disagio che non sa spiegarsi. Come può capire di sentirsi sola se non ha mai conosciuto la compagnia? Segue la direzione del di lui sguardo, va ad osservare quel bozzolo bianco sulla parete e schiude le labbra con sorpresa. Avvicina il viso a tale presenza senza tuttavia toccarla; la studia, l’analizza, segue le indicazioni che Katsumi le dà senza minimamente obiettare. <Sì> conferma quando le sue iridi bicromatiche vanno a notare quel piccolo foro di cui egli le sta parlando. Ascolta le sue parole, il suo dire, e si ritrova poco dopo a boccheggiare rialzando il capo verso di lui, il busto a tornare eretto dopo essersi precedentemente chinato ad osservare meglio il piccolo bozzolo. Lo guarda negli occhi e percepisce aleggiare tutt’attorno quel sottinteso che pare ora divenire assordante. <Non posso ancora… lasciare il bozzolo, eh?> mormora lei con un sorriso amaro chinando appena lo sguardo, le spalle strette ad abbassarsi appena come sconfortate. Non è abbastanza forte per sopravvivere fuori da quelle mura? È per questo che Arima, forse, la tiene ancora lì dentro? L’energia, l’impazienza e l’incredibile foga di poco prima va come scemando dinnanzi quella verità che si para implacabile dinnanzi a sé, eppure… eppure basta un gesto, un semplice moto delle braccia di lui per portarla a rialzare il capo. L’altro solleva quell’oggetto che aveva fra le mani e lo pone davanti al di lei viso andando dunque a permettere a quel vetro di riflettere la di lei immagine. Per la prima volta in tutta la sua vita si ritrova ad osservare il suo stesso volto rimanendone sinceramente confusa. Schiude le labbra, le pupille si dilatano appena mentre, d’istinto, una mano va a salire a sfiorare una gota, sotto l’occhio destro. <Sono…> risolleva il viso dopo infiniti secondi d’attesa riportando il proprio sguardo sul volto altrui. È un istante, un momento solamente che le par di rivedere il proprio riflesso sul di lui viso. Gli stessi occhi, lo stesso viso delicato, ovale, il naso dritto. <…te?> la domanda par quasi assurda, sciocca, ma è certa che l’altro debba comprendere quel che gli sta realmente chiedendo. È lui la persona da cui è stata originata? È lui il possessore di quel sangue speciale ed unico che li rende… speciali? Pare davvero impossibile che il suo casuale arrivo dinnanzi la sua cella possa essere una semplice coincidenza. Può davvero il caso aver fatto passare di lì l’unico Uchiha che avrebbe mai, davvero, voluto incontrare? No, non ha senso… dev’essere per forza destino. Quello stesso fato di cui egli era convinto, di cui lui le aveva parlato. Ritorna a chinar lo sguardo sullo specchio, sul proprio riflesso, ritrovandosi a memorizzare le forme del suo stesso viso. Cerca di distogliere lo sguardo dai suoi occhi, da quelle iridi così simili a quelle di lui per soffermarsi sul resto dei suoi lineamenti. E nota le piccole ma enormi differenze che separano le loro esistenze. <Cos’hai qui?> domanderebbe allora rialzando lo sguardo sul di lui volto, andando a sfiorare con le dita la zona sottostante l’occhio sinistro sul suo stesso viso, lì dove sulla faccia altrui, spiccano cicatrici ormai vecchie di anni. <Io non ce l’ho. Dovrei?> domanda confusa, incuriosita, non sapendo fin dove un clone dovrebbe essere simile alla sua fonte.

21:44 Hanae:
 Quel genjutsu prende forma, amalgamandosi alla realtà vissuta da K-21..una linea così sottile dal non poter essere percepita se non con una mente estremamente allenata o un potere innato. Qualcosa che permane latente in tanti individui, specie nel perimetro del clan Uchiha, un potere al quale molti vorrebbero aspirare, un potere che a volte segna la condanna di un uomo; come pare essere stato nel caso del suo vecchio compagno di team. Un potere la cui natura non può essere compresa prima di ottenerlo, poichè la chiave risiede nel dar sfogo al proprio animo, nel risvegliare emozioni e sentimenti, farsi controllare da queste ultime e controllarle a loro volta. La mente dell'Uchiha elabora in tempo reale ogni informazione data dai propri sensi e dalla mente di K-21, in modo dal garantire che quel genjutsu rimanga tangente alla realtà quanto possibile. Un dono nei confronti altrui, eppure..quanto tempo ancora dovrà restare in quella stanza, prima che le cose cambino? Forse il discorso legato alla falena non si riferiva solamente al proprio clone..i tempi devono maturare anche per sè stesso. < Grazie. > Permane quel sorriso sul volto, non stampato ed immobile però, la curvatura delle labbra va ad allungarsi di poco a poco nel risponderle, tornando solo quando le parole terminano ad una mera e sottile linea. Il tempo passa lentamente in quella stanza, eppure al primo battito di ciglia lo specchio è già rivolto verso di lei, le iridi puntate sulle sue labbra, sul suo volto, ad analizzare la reazione ad una rivelazione forse precoce. Qualcosa che sarebbe dovuto rimanere segreto fino all'aprirsi di quella porta, ma se mantenesse troppi segreti..non sarebbe forse identico a colui che ha dato vita alla lei? Rimane altresì immobile quando vengono sfiorati quei segni di spiedo arroventato, cicatrici una volta color sangue oramai appassite ed avvolte in sfumature di nero, un segno di quanto quel segno sia vecchio..quanti anni sono passati da quel giorno? Il giorno in cui il proprio trauma ha preso forma nella propria mente, una figura identica a sè con i capelli bianchi..che per tanto tempo ha tentato di parlargli, invano. < No..non dovresti. > Le ginocchia della propria immagine a piegarsi, soltanto la sinistra abbastanza dal poter sfiorare il terreno, così da abbassare il proprio capo più o meno al livello altrui. < Così come non sei me..> La mancina ad alzarsi e distendersi in avanti, nel tentativo di raggiungere la spalla omonima altrui, far percepire la presenza di quel tocco e catturarne ulteriormente le attenzioni. < Numeri e lettere non sono un nome, sono un marchio. Sono il codice di un oggetto..privo di emozioni, espressioni, sentimenti e desideri..privo di un'anima. > Non c'è sorriso nel proprio volto, ma un'espressione seria e determinata. < Tu non sei me, così come tutti gli altri cloni non saranno mai Sasuke. Tuttavia tra di noi c'è un legame..come dovrebbe esserci tra tutti gli Uchiha, il legame di una famiglia..> di un clan. K-21, se ben noti potrai notare un sottile filo rosso legato attorno al tuo indice, il quale conduce all'indice opposto di Katsumi. Un simbolismo..effimero ma importante per sottolineare il concetto, non condividono l'identità, ma il destino. < Non ho molto tempo ancora, tuttavia..> Lo specchio svanisce dalle mani del possessore di Mangekyo, al suo posto un pezzo di rotolo strappato, al di sopra inscritti in posizione chiara dei Kanji. < Un nome è qualcosa che ti viene dato da altri, no? > Tende quel foglio, che se verrà accettato mostrerà chiaramente i Kanji segnati al di sopra, interpretabili come "luminosa" o per meglio dire.. < Akira? > Parola pronunciata qualora il foglio venisse afferrato. [mangekyo sharingan] [potere illusorio]

22:20 Haran:
 No, non può comprendere lei ciò che sta accadendo. Di sicuro è tutto assurdo, tutto strano e in condizioni diverse, normali, forse sarebbe persino stata capace di capire che qualcosa di impossibile si sta verificando. Ma lei non è normale e la sua capacità cognitiva è ancora acerba. Troppi elementi mancano alla sua mente per poter capire cosa è giusto e cosa non lo è, cosa è possibile e cosa no. Sottile è per lei il confine fra assurdo e sconosciuto e per questo non riesce a comprendere di essere semplicemente preda del controllo della di lui mente. Un controllo che, tuttavia, non vuol farle del male, né ferirla. Vuol forse, invero, farle persino un dono che lei accoglie a piene mani, col cuore aperto, spalancato a quella novità che la sta travolgendo. Osserva il suo sorriso che si allarga e si restringe, il modo in cui si china successivamente per fermarsi alla sua altezza poggiando quella mano sulla sua spalla. Rimane lei ferma, immobile sul posto, osservandolo in viso con la sua espressione sorpresa, confusa. Ne ricerca lo sguardo, lascia che le di lei iridi incrocino quella scarlatta di lui, quella benda che va a coprire l’iride bianca gemella alla propria. O di cui la propria è gemella, per meglio dire. La voce di Katsumi raggiunge la di lei attenzione, il suo udito, la cattura completamente; qual dolce melodia per lei, quale nobile salvezza per la sua mente avida di sapere, di conoscere. Di crescere. Non è lui sebbene gli somigli enormemente così come nessun clone, a quanto pare, è la persona copiata. Un po’ queste parole richiamano il dire che egli le ha donato poco prima circa i loro occhi, circa l’unicità che esiste in ognuno di loro, che dipende dalla loro… anima. Forse capisce un po’ meglio, ora, ciò che l’altro sta cercando di spiegarle. Se dovesse ora spiegare a parole sue quel che crede sia un’anima, direbbe che sia… individualità. L’insieme di caratteristiche che definiscono una persona e che la distinguono da un’altra. Tuttavia non parla, non dice nulla, almeno per ora, continuando ad osservare la sua espressione seria che, dopo poco, la porta a chinare lo sguardo poco più giù. Abbassa di poco il capo andando a notare solo ora un filo scarlatto, sottile ma brillante, collegare in qualche modo la di lei mano da quella di lui. Ogni capo di quel filo è annodato attorno ai loro indici creando di base un qualche tipo di unione che la porta ad aprirsi istintivamente in un sorriso semplicemente felice. Alza appena la mano, osserva quello spago, quell’elemento di comunione fra loro e si sente pervasa di uno strano calore, di una sensazione appagante e intensa che la fa sentire leggera. <Ho una famiglia…> mormora lei passando lo sguardo, poco dopo, dalla propria mano al suo viso, l’espressione quasi commossa, incredula, colma di una gioia palpabile. Non avrebbe mai pensato di poterne avere una, un clone non nasce da dei genitori, non ha veri e propri legami. Ha solo una persona da cui ha preso le sembianze. Ma lei… lei è speciale, perché la persona da cui ha trovato la vita è unica. E non le importa se sia più o meno forte di altri, perché Arima lo trovi così importante e unico, per lei è il legame di cui aveva bisogno di accettare il significato stesso della sua esistenza. Perché era stata creata? Perché era stata originata? Non perché lui fosse speciale, non è più convinta di questo. Lei è nata perché potessero –entrambi- avere una famiglia. Una famiglia che, senza saperlo, a lui è stata strappata duramente via. Lo specchio va ora svanendo e le successive parole di Katsumi giungono come una sorta di doccia gelida. Fa male. Il loro tempo sta terminando, sta finendo, e d’improvviso le par quasi che quell’orologio ticchetti più rapidamente a voler divorare rapidamente i loro ultimi istanti. L’osserva con una espressione triste, dispiaciuta, delusa mentre la mano va abbassandosi dolorosamente, il cuore ad accelerare nel petto. Sapeva che sarebbe dovuto andar via, prima o poi, ma vorrebbe avere ancora un momento, ancora un istante. Fra le di lui mani, al posto dello specchio, compare ora una sorta di rotolo sul quale sono scritti dei kanji che lei osserva distrattamente senza leggerli. È concentrata su di lui, sulla sua voce, sulla sua presenza per badare ad altro e si ritrova a sbattere rapidamente le palpebre quando quelle ultime parole giungono a lei come un invito, un dono. Le sue mani vanno istintivamente ad accogliere la pergamena quando essa le viene offerta e gli occhi scivolano ora a ricercarne la forma. Una sola parola è scritta su di essa, un solo insieme di kanji neri. <Akira…> mormora lei, a sua volta, dopo che l’altro pronuncia, per la prima volta, il suo nuovo nome. Ne carezza con la lingua le sillabe, le pronuncia lentamente, scandendole piano, assaporandone il suono. Le labbra si contraggono appena in un sorriso grato, riconoscente, mentre stringe al petto quel rotolo strappato. <Akira. Il mio nuovo nome…> sorride lei sentendo gli occhi pizzicare di un bruciore fastidioso, lacrime mute che le bagnano le iridi liquide. <Grazie… > non vuole piangere, non vuole sembrare triste. E non vuole che se ne vada. <Io… io diventerò forte. Io uscirò dal bozzolo, te lo prometto> dice mentre le labbra tremano senza controllo, cercando di impedire però ai singhiozzi di romperle la voce. <Arima-sama mi insegnerà di sicuro a risvegliare lo Sharingan e allora… e allora io uscirò e ti raggiungerò. E sarò abbastanza forte da non venir schiacciata, davvero> glielo promette stringendo la carta fra le dita, tirando su col naso, chinando il capo per non mostrargli quelle lacrime salate che ora le solcano il viso candido. Lo avrebbe raggiunto di sicuro, anche se non sa dove egli viva, dove poterlo trovare. Loro sono una famiglia e questo l’avrebbe sempre condotta da lui. Quel filo rosso le avrebbe indicato la strada se solo fosse stata abbastanza forte da continuare a credere in quel legame. <Tu aspettami… eh?> gli chiede solamente, rialzando solo alla fine lo sguardo, deglutendo un grumo di saliva che le chiudeva la gola. <Aspettami, Katsumi>

22:49 Hanae:
 Rimane immobile, lo sguardo scivola adesso sulla lei, il pezzo di pergamena è stato afferrato e Katsumi non può far altro che osservare passivamente come la mente altrui elabori queste informazioni, o per meglio dire, la mente di..Akira. Non una rinascita la sua, ma un risveglio..l'aprire gli occhi in mezzo al buio di quella stanza, che nella realtà continua ad apparire buia e quasi totalmente vuota, stanza che adesso sembra quasi voler apparire più brillante di quanto non sia, come se quella unica e flebile fonte di luce fosse amplificata. < Sono sicuro che ci riuscirai..> chissà se Arima non abbia già provato a risvegliare quel gene nascosto, con esito negativo. E' vero che quella figura è una tra le poche ad aver compreso parte della natura dello sharingan, ma d'altro canto..non si è avvicinato quanto necessario. Ha fallito con Katsumi diversi anni fa, e che la storia si ripeta non è del tutto un'incertezza. Che il fato stia sussurrando sottotono lo svolgersi degli eventi? < Akira. > Alle parole altrui, a quel tono quasi strozzato..reagisce soltanto spostando la mancina, facendola scivolare per raggiungere la guancia destra altrui, l'equivalente di una carezza, priva di malizia alcuna e attorniata dal solo voler trasmettere calore..illusorio che sia. < Sono sicuro che ci rincontreremo presto..> lo sguardo si volta dove prima vi era la seta che nascondeva la falena, un cenno del capo per mostrarla ad Akira. Potrà vedere una falena volare per la stanza, trascinando al suo seguito una scia color cremisi che sembra quasi dare luce nuova alla zona circostante. < Quando ci rivedremo ti insegnerò a perfezionare le tue abilità, qualunque esse siano. > E' una promessa, nonchè l'esordio del loro saluto per questo incontro durato..minuti, ore..tempo che non può semplicemente essere contato, per quanto relativo è nella loro esistenza. La figura illusoria dell'Uchiha ad alzarsi adesso, la falena a posarsi sulla sua spalla sinistra. < Ti aspetterò fuori da questa porta, quando il tempo sarà maturo. > Palmo della mancina a spostarsi dal volto al capo altrui, ancora un paio di carezze..pochi secondi, istanti, e poi un ultimo e solo sussurro. < ..A presto, Akira. > l'immagine dell'Uchiha e ciò che ha portato con sè nella stanza ad essere avvolti da nere fiamme. Lente nell'avanzare, quasi confondibili con l'abbigliamento dell'Uchiha, per certi versi eccentricamente eleganti. Akira potrà avvertire calore provenire da esse, calore che va scemando fino alla totale sparizione di ogni elemento. Fuori da quella porta il silenzio, ormai l'Uchiha ha superato i 50 metri di distanza circa concessi dal proprio genjutsu. Tornerà, presto..poichè è destino. [END]

23:18 Haran:
 Sapere che lui crede in lei, che crede nelle sue capacità l’aiuta a crederci a sua volta. L’idea di abbandonare quella stanza, in verità, la spaventa in parte. Non sa davvero cosa ci sia fuori da quella porta ma desidera davvero conoscere il mondo. Anche se le toccherà farlo da sola, anche se le toccherà uscire da lì con le sue sole forze per raggiungerlo, per trovare la sua strada, la sua via. Lo avrebbe fatto, non si sarebbe tirata indietro. Sarebbe diventata forte e lo avrebbe ritrovato. Annuisce appena vedendo l’aria circostante farsi quasi più luminosa, come se quella luce al neon bianca fosse nutrita di nuova energia. Ma ci presta relativamente poca attenzione, ogni cellula e fibra del suo corpo è rivolta a lui, attende un suo dire, un suo fare, temendo il momento in cui sarebbe uscito –o svanito- da quella stanza. Le piace sentire la sua voce che pronuncia il suo nome. Non un codice…non un numero. Un vero nome, quello ch’egli stesso ha voluto donarle. Avverte la sua mano spostarsi dalla spalla al suo viso, sente il calore di quel contatto sul volto e una fitta al petto che le fa improvvisamente male. Non sa perché, non lo capisce; è un gesto gentile, piacevole… ma perché fa così male,allora? Sente le sue parole e si ritrova a seguire il suo sguardo tirando su col naso, deglutendo silenziosamente, vedendo ora quel bozzolo ormai aperto, vuoto e la falena andare a volare per la camera con le sue sole forze. La trova bellissima. <Presto volerò anche io… da sola> mormora lei annuendo appena, un nuovo –e primo- obiettivo a trovar strada nel suo cuore mentre segue la scia luminosa che segue il moto di quella creatura leggiadra. Torna a guardare lui, il suo viso, annuendo piano, tristemente, ma con le labbra che si sforzano di distendersi in un sorriso speranzoso. <Va bene> afferma lei sentendo la gola chiudersi, i secondi a correre ancora più veloci. Lo sente… sente la sfumatura amara di quelle parole, il saluto che si fa strada sottovoce, fra le sillabe pronunciate da lui. Katsumi si alza, torna eretto, in piedi, la falena a raggiungerlo sulla sua spalla mentre la sua mano va a poggiarsi fra i di lei capelli, carezzando piano il capo del clone. Una gentilezza delicata nei suoi gesti, elegante, quasi… paterna, qualcosa che lei non ha mai conosciuto prima. <Katsumi..?> sussurra lei quando sente quel saluto venir espresso chiaramente, lo sguardo ora a sgranarsi appena, il cuore ad accelerare violento. <Katsumi!> lo chiama ancora mentre lo vede ardere di meravigliose fiamme oscure. Ma non par soffrire lui, non par provare dolore. La osserva fino alla fine, la scalda, l’avvolge di un tepore leggero che par quasi abbracciarla prima di svanire totalmente dalla di lei vista lasciando nessuna traccia di sé in quella stanza rimasta ormai vuota. Le lacrime sgorgano ora libere, senza freni, mentre si lascia ricadere a terra con le mani a salire lente al viso, i pugni a chiudersi contro le palpebre a voler fermare le lacrime calde. <A presto… a presto…> singhiozza con la voce rotta, soffocata, abbandonandosi ad un pianto liberatorio e pesante che accompagnerà il nascere di una nuova forza, una nuova speranza. [END]

Primo incontro tra Katsumi ed un presunto clone derivante dal progetto Shichi, Akira.

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