Inizia pure per primo perché sono pigra ♥
La pioggia scende scrosciante in quel di Kusagakure. Nubi scure coprono un cielo torbido ed il sole par quasi svanito dietro di esse. Buio, par quasi notte nonostante sia ancora primo pomeriggio mentre qualche fulmine, di tanto in tanto, strazia il cielo in crepe radiose. L'aria è frizzante, pungente e l'acqua piovana piuttosto fredda nel suo incedere, al punto da arrivare a far raggelare quasi le stesse ossa di chi, impreparato, s'è ritrovato a vagare privo di reali protezioni. In ospedale tuttavia si bada poco al clima all'esterno delle loro mura: feriti, malati e pazienti gravi occupano gran parte della giornata dei medici e degli infermieri che, tutti muniti di camice bianco, si dirigono qua e là per l'edificio di gran fretta. Al pian terreno, tuttavia, par essere tutto più calmo, più tranquillo. La sala d'ingresso è pulita, illuminata dalle lampade appese sul soffitto e piuttosto vuota. Delle sedie sono poste vicino ad un piccolo bar per i visitatori inquieti mentre poco oltre la porta d'ingresso vi è un bancone ove alcune infermiere si occupano di sistemare schede e fascicoli in opportuni faldoni e cassettoni di ferro. Silenzio v'è nella sala che si pone dinnanzi all'ingresso e quel tipico odore pungente e inconsistente tipico di ogni struttura ospedaliera. All'ingresso del marionettista, una infermiera alza il capo dal bancone rivolgendogli una rapida occhiata. <Buongiorno signore, in cosa posso esserle utile?> gli domanda tornando a contare e controllare dei fogli legati fra loro da una spilletta. La ragazza è abbastanza grande, sicuramente giovane ma non più come una volta. Un principio di rughe va formandosi ai lati delle labbra, degli occhi, senza però rovinare la bellezza ancora fiorente di un viso minuto. Le labbra sono rosse come ciliege e i capelli castani tenuti legati in un alto chignon coperto dalla cuffietta da infermiera. [Ambient]
La donna risolleva il viso dalle sue carte dopo aver finito di sistemare quel plico sbattendolo con un paio di colpi sulla scrivania così da permettere ai fogli di riordinarsi ed allinearsi. Ascolta il dire del ragazzo e schiocca la lingua sul palato alzandosi dalla sua sedia, tenendo fra il braccio ed il costato una serie di fascicoli piuttosto pieni. <Insomma vorresti lavorare qui e diventare un medico?> domanda la donna per accertarsi delle intenzioni esplicate dal ragazzo in modo quasi criptico. <I Kami solo sanno quanto bisogno abbiamo di un po' d'aiuto> commenta andando a scuotere appena il viso mentre si dirige vicino ad uno dei cassettoni in metallo posti dietro il bancone, attaccati al muro e apparentemente piuttosto pesanti. Ne apre un cassetto tirandolo verso di sé, rivelando una impressionante quantità di faldoni e fascicoli. Documenti di ogni tipo tenuti in custodia dalle stesse infermiere. <Beh, per avere il tuo colloquio devi parlare con la nostra luminare, è lei che si occupa delle assunzioni> rivela la mora andando ad infilare i vari fascicoli alle giuste postazioni, probabilmente ordinati in ordine alfabetico nei vari cassetti metallici. <Il suo ufficio è al secondo piano, in fondo al corridoio che ti troverai immediatamente alla tua destra> gli spiega lei finendo di sistemare i documenti e richiudendo il cassetto girando la piccola chiave argentata nella serratura. <Ti consiglio di bussare e di attendere che sia lei a dirti di entrare, non ama la maleducazione o l'irruenza> lo avverte dunque tornando al bancone, sedendosi nuovamente alla sua sedia, lo sguardo rivolto al giovane con fare tranquillo ed al tempo stesso serio. Il corridoio che il giovane si troverà davanti se deciderà di recarsi al secondo piano è piuttosto spoglio. Poche porte sparse sulla sinistra. Un magazzino, un bagno ed un ambulatorio per le visite. Sulla destra vi sono tre grandi finestre chiuse da cui si può vedere l'uggiosa giornata che incombe all'esterno ed il cortile interno dell'ospedale. In fondo alla via, invece, v'è una sola porta in mogano -chiusa- con accanto una targhetta dorata attaccata alla parete che recita le seguenti parole: "Dottoressa Tsuga Ryo, Luminare". [Ambient]
Alcuni secondi di silenzio seguono la bussata del ragazzo prima che una voce femminile risuoni ovattata dall'altro lato della porta, piuttosto seria e pacata. <Avanti> lo incalza semplicemente, senza dire altro. Se il ragazzo dovesse entrare ciò che potrebbe vedere dinnanzi ad i propri occhi è un ufficio non particolarmente grande ma accogliente. Una finestra chiusa dalle tendine chiare riempie la parete a destra con alcune pianticelle in vaso poste sul davanzale interno. La scrivania alla quale è seduta la dottoressa è posta frontalmente alla porta d'ingresso, in legno scuro, con un paio di sedie poste dinnanzi ad essa. Alla parete sinistra è posto un divanetto basso, comodo, di pelle scura con alcuni quadri appesi ad un paio di metri più su. Il muro posto alle spalle della scrivania è ricoperto da scaffali ricolmi di libri, librerie e altre cassettiere piene di documenti. L'aspetto della stanza è ordinato e professionale ma ciò che più di tutto par ispirare diligenza è la stessa donna seduta dietro la scrivania. Ha un viso morbido, ovale, dai lineamenti gentili e precisi. I capelli ricadono castani ai lati del viso fino a terminare sulle spalle non particolarmente larghe. Indossa un paio di occhiali dalle lenti rettangolari e dai bordi morbidi, smussati, la montatura doppia ma non dall'aspetto sgradevole. Non v'è traccia di trucco sul suo viso, né di rughe. Giovane, seria, ha una espressione tranquilla ma severa. Il suo camice bianco è appeso ad un appendi abiti posto dietro l'anta della porta che dovrebbe esser aperta all'ingresso del giovane. Indossa un tailleur nero piuttosto semplice ed una semplice collanina in oro al collo. <Si accomodi pure, signor...?> lo invita con un cenno della mano indicando i due posti dinnanzi la scrivania. Riporta le mani a poggiarsi ora su di essa, le dita intrecciate, sporgendosi appena col busto in avanti, così da distanziare la schiena di qualche centimetro dallo schienale dalla poltrona. <E' qui per un colloquio, quindi devo presumere che voglia entrare a far parte del nostro staff ed essere un nostro medico, dico bene?> va a chiosare la ragazza con la sua espressione ferma e misurata, posando lo sguardo sul viso dell'altro, gli occhi glaciali a cercare di penetrare i suoi stessi pensieri. <Come mai lo desidera?> domanda allora dopo qualche attimo di pausa in cui l'altro potrebbe rispondere alla sua precedente domanda piuttosto retorica. <Non è da tutti voler diventare un medico e non tutti ne possiedono le capacità.> Tace, ora, lasciando all'altro la parola. La sua voce è per tutto il tempo abbastanza bassa, mantenuta, un suono deciso e autoritario velato da una pacatezza accomodante. Ha un che di serafico e serio a seguire qualsiasi sua movenza e parola. [Ambient]
Un impercettibile cenno del capo alla presentazione altrui, nessuna parola a seguire quel dire. Non trova ancora necessario che lei si presenti a sua volta. Chiosa tranquilla ponendo quelle domande per lei essenziali al fine di decifrare e comprendere la mentalità dei suoi sottoposti lasciandogli dunque modo di rispondere alla sua curiosità. Educato, attento, con quel sorriso cortese sulle labbra va ad esporre le sue motivazioni portando la donna ad inclinare appena il capo di pochissimi gradi verso destra, lo sguardo ad assottigliarsi attento nell'osservare l'espressione altrui. <Quindi è qui solamente per soddisfare dei suoi bisogni, non per offrire il suo aiuto al prossimo> riassume lei con calma agghiacciante, le iridi azzurre a non scivolare via dal viso bagnato di pioggia del suo ospite. <In tal caso posso perfettamente consigliarle di andare in una biblioteca e aprire dei libri. E' così che tutti abbiamo appreso i rudimenti dell'arte medica. Studiando.> dice lei pragmatica, la voce intrisa di una nota severa. <Conoscere l'anatomia ed essere un medico sono cose assolutamente diverse. Un medico ha bisogno di conoscere il corpo umano per agire, ma per conoscere un organismo non ha bisogno di divenire un dottore> continua lei andando a zittirsi per un istante, la lingua a scivolare per un istante appena fra le labbra per inumidirle. Scioglie l'intreccio delle dita e porta la destrorsa all'altezza del viso per sfilarsi gli occhiali e poggiarli con attenzione e senza alcun rumore sulla scrivania. <Lavorare qui vuol dire dedicarsi anima e corpo alla protezione del prossimo. Può capitare di affrontare turni anche di dodici o tredici ore consecutive. Interventi che richiedono ogni singola goccia del nostro chakra, del nostro sudore.> spiega la donna con fare serio, appassionato d'improvviso. <Essere un medico vuol dire saper valutare in ogni istante quando agire ed in che modo al fine di non incorrere in perdite evitabili. In combattimento bisogna assicurarsi di tenere in vita i propri compagni e non esporsi a pericoli inutili. La dipartita di un ninja medico è, spesso, la dipartita stessa del suo team.> La donna si alza dalla sua sedia, muove qualche passo oltre la scrivania andando a fermarsi dinnanzi la finestra che dà sul cortile interno dell'ospedale, la schiena rivolta al chikamatsu alle sue spalle. <Un medico lo è sempre e a tempo pieno; in qualunque Villaggio si trovi, chiunque abbia bisogno del suo aiuto va aiutato. Che sia di Kusa, Konoha, Kiri o Suna. Stiamo lavorando instancabilmente al fine di diffondere le nostre conoscenze e le nostre scoperte così da permettere ad ogni Paese di godere delle migliori cure e delle migliori possibili opportunità d'apprendere, ma vi sono segreti e poteri che siamo ben restii ad insegnare a chiunque. La storia ci ha insegnato quanto possa essere pericoloso affidare determinate conoscenze a chi desidera utilizzarle per se stesso> il pensiero vola a Kenji Tsuki, a Shin Shikyou, i due grandi spettri che ancora oggi macchiano la reputazione dell'Organizzazione dopo i loro sporchi tradimenti ai danni degli obiettivi della loro squadra. Un sospiro esce muto dalle sue labbra prima che il corpo vada a ruotare fino a porsi frontalmente al ragazzo, le spalle rivolte alla finestra. <Per cui le chiedo ancora, signor Chikamatsu, perchè vuole essere un medico?> domanda lei portando le iridi gelide a scontrarsi con lo sguardo di lui. [Ambient]
Assottiglia lo sguardo, lei, osservando il modo di fare quasi stufato del ragazzo seduto nella stanza. <Sbaglio o è lei che è venuto a ricercare il nostro aiuto e non il contrario?> domanda lei, rigida, infastidita da quel sospiro così platealmente espirato. <Crede davvero che curiosità e passione siano elementi positivi, signor Chikamatsu? Che siano qualità innocenti?> continua portando le mani ad incrociarsi al petto, sotto il seno non particolarmente pronunciato. <Sono armi a doppio taglio che hanno portato alla nascita dei più grandi dittatori e criminali della storia. La conoscenza è potere ed il potere è morte in mano di chi non sa usarlo> continua gelida andando a muovere i suoi passi verso la sua postazione originaria, dietro la scrivania. Il ticchettio dei tacchi bassi segue il suo incedere quasi marziale, un passo è elegante, rapido, signorile. Rimane in piedi dietro il banco quasi questo possa donarle maggior autorità sebbene basti la sua sola sicurezza e calma a farla apparire minacciosa nelle giuste circostanze. <Se desidero assumere solo persone che hanno un certo tipo di comportamento? Certo. Assolutamente, ma questo non vuol dire che non possa dare una possibilità anche a chi non riesce a convincermi> aggiunge lei con un sorrisetto appena accennato, un incurvar di labbra che appare quasi minaccioso. Compiaciuto. <Non ho idea di come lei voglia sfruttare le nostre conoscenze e le nostre pratiche, per cui sarò io personalmente ad occuparmi della sua istruzione. Ad insegnarle e fornirle il materiale di studio che userà qui e qui dentro soltanto> Autoritaria. Decisa. Impavida. Il suo viso giovane e il suo fisico esile non riescono a demolire l'immagine di padrona che il suo sguardo e la sua voce hanno costruito. <La prenderò come tirocinante e possibile candidato all'assunzione solo se riuscirà a superare la prova alla base del nostro percorso di studi.> aggiunge lei fissandolo dall'alto della sua postazione. <Come le ho detto non tutti possiedono le capacità necessarie a divenire un medico e ora vedremo se lei ne è in possesso> La ragazza va a prendere dal porta penne posto sulla scrivania un taglierino dalla punta affilata. Tende una mano verso il ragazzo a palmo in su, ben distesa. Un solo fluido e rapido movimento di polso ed ecco che la lama tagliente dell'attrezzo va a lasciare sul suo palmo esposto una ferita sanguinante e precisa. Un graffio da cui sgorgano lacrime cremisi. Nessuna smorfia di dolore ad increspare l'espressione della donna. <Lezione numero uno> prosegue tenendo la mano ben esposta e poggiando il taglierino sulla scrivania. <Per poter utilizzare i jutsu medici è necessario che un ninja richiami il chakra medico. Non si tratta che di richiamare nelle proprie mani una delle due energie che forma il normale chakra. Lo si richiama, lo si fa fluire dagli tsubo posti sulle mani e lo si lascia avvolgere i propri palmi. Se dovessi riuscirci vedrai le tue mani risplendere di un alone verdastro> spiega lei fissandolo con fare critico, distaccato. Attento. <Se dovessi riuscirci allora dovrai porre le tue mani a pochi centimetri dalla mia ferita e far fluire il tuo chakra nel taglio. Se agirai correttamente si rimarginerà senza lasciare tracce essendo una ferita blanda e superficiale> Tace, attende. L'osserva con espressione meticolosa e severa, vuole vedere di cosa egli è capace, se davvero potrebbe possedere le potenzialità per divenire un medico. [Ambient] [Mani terapeutiche]
Inarca appena un sopracciglio nel vedere l'espressione quasi fomentata del ragazzo alla vista del suo gesto, del sangue che stilla scarlatto dalla sua mano. Non riesce a comprendere se appaia estasiato dalla vista delle lacrime cremisi o se invece sia solo rimasto impressionato da quel gesto ostentato con sì tanta semplicità. Non dice nulla lei, non chiosa, osserva semplicemente il fare del ragazzo notando l'alone verdastro andare a nascere attorno alle sue mani, ad i suoi palmi. Una parte di lei desiderava quasi che non risultasse capace di realizzare tale esercizio, così da non avere motivi per accettare il rischio di prenderlo con sé; tuttavia il ragazzo pare invero piuttosto capace perchè bastano pochi istanti delle sue cure affinché la ferita si rimargini totalmente in un pizzicore locale e appena fastidioso. Rimane ad osservarlo per tutto il tempo sostenendo il suo sguardo senza batter ciglio, ritraendo la mano solamente una volta che avesse sentito il danno definitivamente guarito. <Mh> mormora lei stringendo appena le labbra. <A quanto pare sì> espira appena tornando a sedersi al suo posto. La mano corre agli occhiali riportandoli vicino al viso, indossandoli lentamente. <Bene. Come le ho detto poco fa da ora è tirocinante dell'ospedale, non ancora un reale membro del corpo medici> chiarisce lei con espressione seria. <Sebbene paia portato all'arte medica non ho intenzione di accelerare i tempi prima di essere sicura di chi ho per le mani. Voglio vedere il suo atteggiamento con i pazienti, con i colleghi e i risultati dei suoi studi quando avremo iniziato le nostre lezioni> Lo avverte fin da subito, trasparente e chiara come sempre nei suoi rapporti professionali. <Inizi a venire qui da domani e chieda a chiunque le capiti di me. Sarà la mia ombra ed io la sua> Le labbra si distendono in un sorrisetto apparentemente innocente ma dietro quelle parole si nasconde palese l'avvertimento. <Detto questo, è libero di andare. Se le mie condizioni le vanno bene ci rivedremo domani, altrimenti... buona fortuna per tutto.> Al Chikamatsu, dunque, la possibilità di scegliere cosa fare del suo cammino. Se accettare le condizioni della donna e lavorare sotto stretto controllo o se invece rinunciare a quella seccatura e cercare nuove vie per soddisfare i propri interessi. [Ambient] [End] [Fare end ♥]