{Early Morning}

Free

0
0
con Chie, Kaori

22:42 Kaori:
 Lo scroscio delle cascate ha un che di musicale alle orecchie di Kaori. L'incessante scontro dell'acqua contro se stessa ha un che di ritmico e dolce che quasi par calmare chiunque l'ascolti. Non v'è pausa, non v'è tregua, v'è soltanto quel suono continuo e naturale che, di tanto in tanto, si mescola all'ululato di una folata di vento o al fruscio di cespugli selvatici ai margini della radura. Kaori l'avverte in lontananza. Sente quel richiamo farsi più nitido e vicino ad ogni passo, ogni metro bruciato dalle sue gambe teneramente corte. Stringe fra le dita il fiore trovato assieme a quel messaggio così breve eppure disarmante. Solo poche parole erano vergate sulla carta pulita, pochi kanji privi di fronzoli od orpelli. Una richiesta più assimilabile ad un ordine che ad un vero invito che, tuttavia, l'han fatta vibrare di semplice emozione. Non sa il motivo di tale convocazione. Non sa se l'altro abbia qualcosa da dirle in qualità di ninja o se semplicemente senta bisogno di parlar con qualcuno. Ma quale che sia la verità il solo pensiero di quel messaggio ha sfiorato corde profonde in quell'animo ingenuo. Avanza con le sue gambe coperte di semplici calze scure, alte al ginocchio. I piedi coperti di scarpe semplici, rosse, adatte ad una passeggiata e non sicuramente ad uno scontro. I suoi abiti da kunoichi son rimasti a casa, questa sera. Già tolti prima ancora di leggere quelle parole, subito dopo il bagno caldo serale, son stati lasciati a riposare in camera, sostituiti per una volta soltanto da qualcosa di più semplice. Una sorta di leggero maglioncino dallo scollo a barca lungo fino alle cosce di un pallido color pesca. Traforato, leggero, dalle maniche lunghe fino ai palmi, così da lasciar visibili e libere solamente le dita affusolate e candide, strette entrambe attorno allo stelo sottile di quel fiore di shion. Le spalle son scoperte, fili di un viola scuro ne nascondono di tanto in tanto una porzione ricadendo morbidi lungo la schiena, il petto, fino al ventre. Niente trecce, niente code questa sera. Solo il coprifronte donatole da Azrael legato attorno al capo, con la placca metallica rivolta verso l'alto a riflettere appena i raggi di quello spicchio candido di luna. Niente armi, niente allenamenti. Solo il desiderio d'incontrarlo, di vederlo una volta ancora e sentire quel suono incerto e rauco della sua voce. Il chakra, però, quello sarebbe vivo e danzante nel ventre della genin. Nonostante voglia solamente rispondere alla chiamata dell'ANBU non vuole essere neppure incauta. Lo stato generale d'emergenza porta tutti a stare allerta, attenti in qualunque momento del giorno e della notte. Se delle sue armi può far a meno, impedita com'è ad utilizzarle, così non può essere per la fonte di energia alla base della sua modesta potenza. Per cui, avanzando verso le Cascate, ecco che andrebbe a richiamare all'altezza del suo stomaco le cellule che compongono la sua energia fisica e quella psichica riunendole in due nuclei distinti e separati. Le mani unite a comporre il sigillo della Capra -bene attente a non rovinare i candidi petali di quel fiore profumato- porterebbero le due energie a mescolarsi e fondersi dando vita ad una nuova ed unica forza: il chakra. Esso dovrebbe per cui scorrere e fluire all'interno del corpo della giovane donandole maggior coordinazione, maggiori riflessi, sensi appena più sviluppati mentre infine un ultimo passo la porta a giungere al luogo designato. Si ritrova finalmente fuori da quella vegetazione selvatica, non particolarmente fitta, sbucando in quella sorta di spiazzo ove le cascate scrosciano in un fiume rigoglioso e freddo che sgretola il terreno, la roccia, ricavandosi il suo posto con dirompente forza. Silenzio v'è a parte quel sottofondo naturale fatto di spifferi e dall'acqua che scivola incessantemente nel suo cammino naturale. Nessuno, se non fosse per la sagoma accucciata del giovane ch'ormai ha imparato a riconoscere. I lineamenti di quella divisa speciale, di quelle braccia scoperte, definite da muscoli allenati seppur non gonfi sotto la cute pallida. La chioma d'argento par quasi rilucere sotto il tocco gentile di quella luna crescente, la sua schiena ha una forma perfetta, appena incurvato nell'apparente tentativo di sentir l'acqua sotto le dita. <Ren> La sua voce è gentile, bassa, l'unico suono a straziar l'armonia di quel silenzio delizioso. Avanza piano, con fare misurato, senza fretta, bruciando appena quella distanza che li divide, fermando a pochi metri da lui, rigirandosi quel fiore fra le dita, dolcemente, all'altezza del ventre. Un sorriso sulle labbra, l'espressione ingenua, tenera, quasi intimidita dinnanzi a quelle piccole scosse che sente dentro. Se lui si fosse voltato verso di lei avrebbe preso a muovere le mani a dirgli qualcosa, quel linguaggio che per lei è solo loro. “Sono qui” mimerebbe con le dita, senza lasciar andare quel fiore dai petali candidi. “Grazie per questo” continuerebbe agitando con gesti misurati e calcolati le mani, il fiore a venir mostrato per qualche secondo. “E' bellissimo”. Ha sempre amato i fiori, fin da piccola. Ma ora, da qualche tempo, ha scoperto un piacere particolare per i petali *bianchi* . [Impasto]

23:03 Chie:
 Dopo aver lasciato che le dita schizzassero oltre la sua figura, come a romperla sotto le falangi- affamato di lasciar sfumare la sua figura nel nulla, ha reclinato il viso nell’impeto di quella sensazione d’oppressione. Perché non riesce a parlarle!? Perché è così sciocco, da lasciarsi sfuggire dalle dita, questo fiore prezioso? Il capo abbassato verso il ginocchia, il palmo della man forte che preme sulla fronte di ceramica di quella maschera. E’ solo un ribollire d’acqua vicino che gli scaccia i pensieri, o almeno sembra provarci vanamente- dal punto che alla fine, si trova sempre vestito degli occhi immensi di Kaori. Le spalle larghe di quel corpo nervoso, snudate dalla divisa della squadra speciale della foglia, s’abbassano e si alzano sotto il respiro affannato dalla rabbia nei suoi stessi confronti. Nei confronti di quella tela bianca dipinta con nulla più che un paio d’ordini e nomi sotto cui deve sempre piegare la testa. Vien prima, Itawooshi. Poi Kunimitsu. Ed ora, Hitomu Kibou. La voce di Kaori gli ristora la carne, facendogli issare la testa dai capelli costantemente disordinati. Ma non la guarda subito, gli occhi stanchi ed arrossati si spostano sul bacino dell’acqua con straziante lentezza, per poi guardarla da sopra la spalla. E’ ben vestita. Più del solito- o meglio, si insomma- lui che ne può sapere di com’è una donna ben vestita, ma senza dubbio è piacevole alla vista. Tant’è che rilassa lo sguardo dal taglio sornione e calmo, alzando la destra in un cenno di saluto, quando ella chiama il suo nome e imposta le mani a parlargli nel linguaggio dei gesti- cercando forse, di farlo sentire a proprio agio, così. Non è egoista? Forse si, ma è l’unico modo per vederla ancora. “Sono contento che ti piaccia.” Le mani interpretano simboli semplici, uno per volta- lasciando che il fruscio delle vesti e della mano che batte in lochi diversi sovrasti scarsamente quella cascata dall’urlo di una madre furiosa. Gli scompiglia i capelli- e quelli di Kaori che s’è scoperto più volte ad osservare nel suo immobile silenzio. La sinistra poggiata sulla coscia corrispondente, preme per trarsi in piedi, allungando le gambe e rizzando la schiena con una lentezza calma. La mano bagnata dal gesto in precedenza—ed ora? Arriva a questo punto, con sempre meno da dirle. La verità, è che a lui basta questo. Guardarla. Ma basterà per sempre anche a lei? “Vuol dire; ricordo, nostalgia.” Certo- avrebbe potuto semplicemente scriverle che sentiva la sua mancanza- ma dirlo così sfacciatamente non fa parte di Ren. Di Akuma. Preferisce parlar per gesti e vaghi messaggi, risultando forse noioso- forse snervante. O forse, una piccola scoperta ogni singolo giorno. Abbassa il capo per qualche istante, guardandola dall’alto verso il basso, con quella piccola barriera che li lascerà per sempre un po distanti, l’uno dall’altra. “Mi dispiace…” .. “Per il messaggio” Riferendosi a quel fare quasi militaresco con cui l’ha convocata per qualcosa di tanto dolce—come il desiderio di vederla, solamente. Socchiude gli occhi e inspira dalle narici, emettendo quel rumorino ovattato, mentre le mani scivolano un secondo a distendersi e dopo, riprendono: “Non sono bravo… A parlare con le donne.” Componendo quella serie di gesti con le mani, molto lentamente, in modo che Kaori possa capirlo. La destra si stende, le fa cenno al suo fianco—forse nel desiderio di sedersi ad osservare la cascata con lei.

23:29 Kaori:
 Non comprende bene il perchè, ma la figura di questo ragazzo la rilassa. Quei capelli bianchi, quella maschera che è l'unica cosa che ha imparato davvero a riconoscere di lui e che al tempo stesso vorrebbe scostare, solo per un istante, l'altezza rassicurante, le mani grandi. Piccoli dettagli, piccole parti di lui che tendono a comporre una sorta di nido per lo sguardo quieto della Hyuga. Le trasmette calma, sicurezza. Le trasmette pace quando un minimo gesto od una semplice parole non scatenano nel fondo del suo ventre piatto un contrasto di sensazioni travolgenti. Vederlo ricoperto dei candidi raggi di quella luna spezzata lo rendono ancor più etereo e, al tempo stesso, concreto. C'è qualcosa di mistico in lui. Qualcosa che lo fa apparire irraggiungibile e al tempo stesso distante solo un passo. C'è qualcosa che la richiama, che la incatena e che la porta a sentirsi come prigioniera di un nome senza volto. Eppure non fa male. Non le dispiace. Le va bene anche questo soltanto. Anche solo osservare quella maschera candida, quella voce incerta e traballante che di tanto in tanto graffia il silenzio attorno a loro. Non le dispiace neppure quel loro modo di comunicare. Quel semplice muover di dita, di palmi, che sfiorano e battono talvolta contro il petto, il viso, nel donare nuovi significati ad un semplice movimento. Sorride gentilmente quando lui espone quel primo pensiero, quell'alito di brezza a scompigliar le loro chiome smuovendo la di lei capigliatura come falangi nodose che graffiano e straziano l'aria. Lo sguardo di Kaori si ammorbidisce, s'illumina come un fiume di stelle quando lui le rivela il significato di quel fiore: che sentisse la sua mancanza? Lo trova un modo adorabile di dirlo, sebbene non avrebbe potuto capirne il senso fino a quando qualcuno non le avesse spiegato cosa stesse a simboleggiare quel fiore. Le sue mani tentennano. Vorrebbe muoverle per dirgli qualcosa ma i suoi studi non sono ancora completi: non sa ancora bene come dire alcune cose, in questo momento non sa affatto come potrebbe esporre il suo pensiero. Lascia scivolare le mani lungo i fianchi, dietro la schiena e inclina di poco il capo puntando le iridi contro i tratti felini della ceramica sul suo viso. <Non sapevo conoscessi il linguaggio dei fiori> dice lei con candore, il fiore che verrebbe alzato ancora una volta a avvicinato al viso così da poterne respirare una volta ancora l'odore gentile. <Mi ricorda te, sai?> direbbe ancora lei schiudendo appena le labbra, lo sguardo a calare appena, incapace di ricercare le sue iridi oltre le fessure sottili della maschera. <I suoi petali bianchi mi fanno pensare a te. Non per via dei capelli, o della maschera. Ma... se penso a te penso al... bianco.> rivela lei con la voce bassa, gentile, un suono così timido da risultar quasi austero in quel silenzio rotto soltanto del lamento dell'acqua che si schianta su se stessa. <Shion. Posso chiamarti così?> Il suo sguardo si alza appena, timido, ricercando quell'altrui mentre un rossore gentile s'impadronisce serpentino di quelle gote color pesca. Le sue mani tornano dinnanzi al corpo, all'altezza del busto, a indicar con le parole un semplice significato. “Soltanto io”. Qualcosa di loro, che appartenga solamente a quell'attimo di tempo strappato dai loro doveri, dalle regole di quella civiltà di cui son figli. Egli muove ancora le dita, le mani, una scusa modesta e genuina che porta Kaori ad addolcir lo sguardo, quasi avesse sotto gli occhi un bambino dal cuore immacolato. <Sono stata felice, del tuo messaggio> direbbe lei scuotendo appena il capo, come a volergli dire che no, non deve scusarsi. Non serve. Non con lei. <Sono contenta che volessi vedermi...> rivela sentendo il viso ancor tinto di quel cremisi traditore, il petto a donarle sensazioni nuove, strane, diverse da qualsiasi cosa abbia mai sentito agitarsi in lei prima d'ora. Ed è allora che l'invito di lui trova spazio, portandola a muovere ancora qualche passo bruciando quei metri che li distanziano fino a raggiungere il suo fianco. Si china, con una mano a tener fermo il maglioncino così da impedirgli d'alzarsi nel suo scivolare in terra. Lascia che le gambe si flettano, s'abbassino, così da portarla a sedersi accanto a lui, con le gambe appena stese lateralmente, dal lato opposto a quello ove è lui. <Anche io volevo... vederti> ammette osservando il loro riflesso distorto nelle acque appena oltre i loro corpi. Cerchi concentrici e continui a rovinare e straziare le loro immagini senza però mai distruggerle, scacciarle. Non osa alzar lo sguardo, non ora, non dopo queste parole. Sente un singulto nel petto farle quasi dolcemente male, il viso par quasi andare a fuoco mentre un alito di brezza carezza la sua pelle come un'amante gelosa. [chakra: on]

13:57 Chie:
  [Sponde] Le ginocchia che si flettono lentamente, facendo scricchiolare le ossa che ogni giorno- si sforzano appesantite da quell’essenza che costituisce ogni singolo shinobi. Espirando, si lascia cadere grezzamente con le antiche a terra e con le articolazioni lievemente larghe tra loro. Lascia che la voce di Kaori divenga una nota melodiosa sulla furia dell’acqua che s’abbatte in quel bacino dove tutto sembra essere in costante movimento. Il profilo poco umano di quella maschera- a dire il vero, mente meno di quanto possa immaginare Kaori. Alla fine, è stato fatto per cose ben diverse dell’amore, lui. E persegue questo aggrovigliarsi di quel filo rosso con la consapevolezza che se solo Kunimitsu lo richiamasse sotto il suo capezzale, dovrebbe abbandonarla per sempre- senza poter prender in considerazione il desiderio di portarla via con se come uomo egoista qual è. Il viso che abbassa la fronte spostando lo sguardo su quella nicchia d’erba in cui ha preso posto, dove i fili s’inchinano come sudditi pentiti sotto il bacio del vento, lo stesso che gli scosta i capelli liberando null’altro che i lineamenti di quella maschera che lo copre fin alla punta delle orecchie pallide che spuntano di lato. Le fasce di muscoli nervose che di tanto in tanto, si muovono sotto le reazioni fisiche della Salamandra- s’irrigidiscono, rilassano, come se avesse paura di quel che Kaori potesse dirgli, da un momento all’altro. Del resto, perché avrebbe dovuto venire a veder un uomo, di cui non potrà mai scorgere i tratti? In che modo potrebbe comprendere che ogni singolo passo di questa trama, è stato errato fin dall’inizio. Forse Akuma, non si sarebbe dovuto fermare davanti a lei, non avrebbe dovuto guardarle dentro e non avrebbe dovuto permettere di fare lo stesso. Le ginocchia appena alzate da terra, ospitano i gomiti- la destra s’alza a toccar la fronte, standosene in silenzio: Patetico. Puntella quelle dita spesse e nodose sul principio della maschera, dove i capelli scivolano indietro come fili di luna e la luce della stessa, fa da amabile manto sulla pelle d’entrambi, scivolando come fioca madre tra le parole che solo Kaori ha emesso fino ad ora, per poi volgersi dal lato opposto. Quelle monete fuse che s’alzano dal bacino dove prima aveva colpito il suo riflesso e si proiettano su di lei. Sulla linea della sua mandibola, le sue labbra socchiuse, carezza con lo sguardo, quei centimetri che la disegnano come sua unica forma d’attrazione—perché del resto Kaori è come una gettata d’inchiostro nero su quella tela bianca. Suppone lui sia così puro? Eppure, ucciderebbe senza chiedersi perché o come, se glielo comandassero. Come può lei, vedere immacolata la sua anima? Gli occhi s’addolciscono appena, in quelle parole, abbassando il viso quando lei gli pone quella richiesta speciale; Si, può chiamarlo Shion, non è tanto diverso da Ren- il nome che gli è stato assegnato dal Comando degli ANBU. Gli occhi istintivamente, scivolano su quella mano di lei, che oltre il bacino sorregge il busto in quella posizione composta, così prossima alla sua che gli basta allungar e tendere di poco le falangi per spostarla. <Non.. Spostare lo sguardo.> A denti stretti riesce a far scivolar fuori quelle parole, sfiorendole il profilo della mano con le dita—nessuna allucinazione, non ora che non ha richiamato quell’essenza a propagarsi oltre i propri liquidi corporei. Glielo chiede perché—trova sciocco il suo esser in imbarazzo per qualcosa di così semplice come sentire la mancanza di qualcuno. Sentire di non riuscire a starne senza. Eppure, come dice un pazzo greco; Non posso viver ne con te, ne senza di te. <Tra un po’ l’estate andrà—v-ia.> Sussurra, portandosi la destra al nodo di quella benda bianca, sciogliendolo con le falangi e lasciando che questa scivoli via dal suo posto emettendo un fruscio che non si distingue poi tanto dal fischio del vento, data la stoffa simil militaresca dei pantaloni della divisa del Lato Oscuro. La schiena leggermente ricurva in avanti, lascia che quel lembo pallido s’arricci in aria come il fumo di una sigaretta, cercando di roteare il busto ad osservarla, ascoltar le sue parole, il suo respiro, i suoi movimenti. Perché è così in tumulto, lei? Quando lui forse, non capendosi, riesce a mantenere il controllo di se, e dei suoi desideri. <Fa-i il bagno—con me.> Non è un ordine, sebbene sembri sempre piuttosto serio quando parla, è più come una richiesta. Come un addio all’estate che lascia lo spazio ai colori caldi dell’autunno che regna con forti venti tiepidi, persino ora- che dovrebbe esser ancora la stagione del sole. Si tenderebbe piano, appoggiando le ginocchia a terra, attorno ai fianchi di lei che no- non si cura di sfiorare maliziosamente. A lui non importano, certe piccolezze. E’ tutto parzialmente nella sua testa, ogni sua singola mossa, ogni suo tratto e curva- dal viso, le labbra, i fianchi- il ventre, i seni. Ricorda ogni piccola e minima sfaccettatura di quel corpo che a lungo ha osservato in silenzio. Ma non in modo perverso, o romantico. Semplicemente per il desiderio di memorizzarla nella propria testa e non sentir la sua mancanza, quando Akuma non presterà più servizio a Konoha. Proverebbe, solamente ad appoggiarle la benda sugli occhi, avvicinando il viso dai tratti felini alla sua nuca—eccolo, rubarle qualcosa. Le narici avide fiutan il suo odore, come se fosse geloso del vento che, carezzandola, glielo porta via. Lo porta alle labbra di Akuma stesso che, ha schiuso- come a voler sentire sulla punta della propria lingua quell’immensa dolcezza che aveva anche sentito al cuore. Spera, oh kami, che lei non tema le sue mosse. Sebbene siano candide- non mentirebbe dicendo di aver desiderio di sfiorarla più spesso di quel che s’è fino ad ora permesso. Come ora le falangi sposterebbero i suoi capelli, nel desiderio di passar due volte la benda sugli occhi, annullandole la vista. <Così—posso togliere..> Sussurra, rauco, ad un centimetro dal suo orecchio, ricurvo su di lei quel poco che basta da sfiorarle i capelli con il viso, sempre che gli abbia permesso quel momento. Esplicherebbe, chiosando rauco e mascolino, il perché di questa benda. <La maschera.> Un nodo dolce, ma che non si sciolga tanto facilmente- se lei ha lasciato spazio e modo di muoversi, le mani scivolerebbero parallele, colorendole il pallore del caldo alone delle mani affusolate. La sfiora, senza toccarla mai davvero. E lui, socchiude gli occhi godendo di tanta vicinanza. Non s’è mai sentito così—calmo. Così, sicuro. E’ come se ci fosse una costante fioca fiamma che lo nutre e gli da modo di proseguire nei suoi movimenti, sapendo dove fermarsi- ma desiderando ardentemente di non farlo in alcun modo, per alcuna ragione al mondo. Solo se si fosse lasciata bendare, la sinistra si poggerebbe a premer sui lati della maschera, grandi e forti i polpastrelli semplicemente la farebbero scivolare verso l’alto, dandogli un sospiro di sollievo e facendo ricadere le ciocche argentee, lisce come la seta, su quel viso pallido e privo di gusti e inclinazioni. Ora che lo guardiamo bene, forse Akuma non è un foglio bianco. Forse semplicemente, è la facciata sporca ed opacizzata che non lascia guardar all’interno, dove uno stormo di domande sembra disegnar lo scenario tetro di un film dei toni noir e gotici. Espira una bava calda che gli svuota il petto, parzialmente posto a contatto con la schiena ed il costato minuto di Kaori, sulla nuca dove ora le falagi catturan possessive una ciocca di capelli violacei e la alzano piano, lasciando che il silenzio- il buio, inghiottano lui, quanto lei. E la maschera che vien scostata, abbandonata a terra con un graffiante suono di ceramica che cozza contro il terreno. Scivola come seta, trovando mitezza nella curva malleabile dei suoi fianchi. Appena sopra, dove si ricurva a trovar pace nelle costole. Percorre cheto quella strada ripida, scivolando tra il soffice maglione, e gli sprazzi di pelle che può finger di sfiorare, portandosi pigramente quella ciocca alle labbra oramai lasciate nude. Un oinin con le labbra di serpente, dovuta al suo esser tanto figlio dell’arte venefica, quanto figlio di Manda, nel DNA. Eppure, non ha legami terreni che gli hanno fatto scoprire il vero calore di un corpo, di un anima che ti ama, nel più puro o malato dei modi. Inspira silenzioso, sfiora quella ciocca di capelli, ed un nuovo brusio scivola sulla nuca di Kaori: <Non voglio più ostacoli… Tra me e te.> Vorrebbe camminare questa sensazione a viso aperto, e scoprirla in tutte le sue sfaccettature, raschiando dentro Kaori, dalla prima all’ultima goccia del suo sentimento nei confronti di Akuma. Eppure sa, che ci dovrà esser sempre qualcosa, tra lui e lei. Prima la maschera. Poi quella benda. Forse sarà qualcosa sempre, man mano, più sottile. Che presto o tardi svanirà nel nulla, divenendo solo pelle—come limite di confine. Si lascia scivolar via quella ciocca di capelli, con immane veemenza, reclina il capo a sfiorarle la nuca con le labbra, se solo potesse percepire di più, comprendere quello che succede tra loro due. L’interesse e curiosità, che diviene necessario per un fisico, e per l’altro. No- non desidera blocchi tra loro, forse proprio come Kaori, anche Akuma ha desiderato gettar la maschera del suo esser ombra agli occhi del villaggio della foglia, e toccarla, lasciare che lei lo carezzi—sentendo lo stesso che lei ha sentito qualche settimana fa, nel loro ultimo incontro. <Cosa senti, ora?> Vibra sulla nuca, scivola sulla pelle, e diviene nulla- questo sussurro, solo un vago e pallido ricordo.

15:09 Kaori:
 Oh, quanto può essere semplice e dannatamente difficile al tempo stesso, per Kaori, tenere il suo sguardo rivolto verso di lui? Quanto può sentirsi stringere lo stomaco al solo osservare quella figura così vicina eppure tanto distante? La voce sembra quasi mancarle quando si ritrova a rivelare ciò che pensa, ciò che prova per lui. Che si tratti di una contentezza innocente per un complimento inaspettato o del rivelargli quanto piacere le faccia essere ancora assieme a lui. Si sente percorrere da mille scintille dorate, come fuochi d'artificio che le percuotono il ventre piatto illuminandola di mille e più colori su quel viso che diviene scenario d'uno scontro d'emozioni. Timidezza, dolcezza, felicità, paura. Si dan battaglia sul di lei viso illuminandolo e sfumandolo di tonalità vivaci sotto quei raggi d'argento che in parte nascondono la reale tinta di quella carne ardente. Il suo viso par quasi andare in fiamme mentre il cuore batte rapido al punto da farla quasi preoccupare; cos'è? Cos'è questa sensazione così strana che la pervade da capo a piedi? Questo desiderio incessante, continuo, di sentir la sua pelle sotto le dita? Solo una volta ha avuto modo di saggiarne la consistenza, solo una volta ha potuto bearsi della sensazione della sua mano sul proprio viso, eppure tutto era divenuto strano e distorto allora. Intrappolata in una allucinazione fatta di colori sgargianti e violenti non è riuscita più a vederlo bene, a udire la sua voce come sempre. Qualcosa a cui tiene enormemente nel suo cuore. Le piace poter seguire con lo sguardo il contorno regolare delle sue braccia, di quella maschera candida oltre la quale si nasconde il suo viso sconosciuto. Le piace sentire la sua voce graffiante, bassa, straziare l'aria attorno a loro, giungere incerta al suo udito. Le piace... lui. La rivelazione giunge improvvisa, struggente nella sua disarmante chiarezza, come un fulmine a ciel sereno, portandola a sgranare di poco le iridi color perla. Il suo viso è volto verso quell'altrui, i suoi occhi scrutano, osservano i dettagli di quella maschera cercando di immaginare cosa quella ceramica possa nascondere. E, d'improvviso, si rende conto che per lei non è così importante saperlo. Quale che sia il volto della persona che ha accanto, sarà il volto della persona che le piace aver al fianco. Quale che sia il suo viso, niente potrà cambiare quel sentimento che le infiamma l'anima. Innocente, acerbo, appena sbocciato in quel cuore inesperto, impreparato ad una simile improvvisa realtà. Eppure non è spaventata né combattuta dentro di sé, in verità si sente semplicemente felice. Felice anche solo di poter godere della sua vicinanza, di quei rari piccoli momenti strappati dalle loro vite, gelosamente custoditi nel più prezioso angolo delle sue memorie. Avverte la sua mano sfiorare appena la sua, lentamente, con una cautela ed una dolcezza tale da risultare quasi evanescente. Se avesse chiuso gli occhi avrebbe potuto chiedersi se non fosse piuttosto il soffio della brezza a sfiorar la sua pelle. Lascia ch'egli ripercorra la forma delle sue dita, del suo dorso, limitandosi a bearsi della sensazione della sua mano sulla sua, continuando ad osservarlo con candore, rapita da quell'attimo di tempo eterno. Ode la sua voce sfiorar nuovamente il suo udito, scivolare dolce fino a giungere al suo cerebro e si ritroverebbe a schiudere le labbra a quella sua richiesta. Non avverte seduzione nella sua voce, per quanto poco lei sappia di tale argomento. Non avverte pericolo, né malizia nella sua voce. Avverte una semplicità disarmante che va a sedurre lentamente la sua timidezza violenta. La avvolge in un abbraccio fatto di calore e dolcezza portandola a trovare l'idea tutt'altro che inadeguata. In qualunque altra situazione mai avrebbe potuto accettare una simile richiesta, mai si sarebbe immaginata capace di far qualcosa del genere con un ragazzo. Troppo ingenua, troppo candida per sognarsi di infrangere distanze necessarie prima del tempo. Eppure... eppure in quell'istante la cosa le sembra quasi naturale, giusta. La logica conseguenza degli eventi che la porterebbe semplicemente ad annuire un'unica volta. Se è con lui, allora qualunque cosa andrà bene. Se è con lui, allora avrebbe potuto fare qualsiasi cosa. E l'imbarazzo l'attanaglia, la stringe, facendola sentire rigida, impreparata mentre il suo cuore vorrebbe solamente poter sentire la sua pelle sotto le dita. Ma è un istante che la mano di lui si scosta dalla sua, che il suo corpo andrebbe a porsi alle spalle della Hyuga, cautamente, mentre le sue mani andrebbero a poggiarle una benda sugli occhi. <Cosa...?> sussurra lei confusa, sorpresa, ma non spaventata. Non da lui, non lo teme. Si fida di Ren. Il *suo* Shion. Lo percepisce dietro di sé, sente la sua presenza, la sua vicinanza avvolgerla come un manto. Il suo viso accanto al proprio, vicino la nuca sensibile che avverte su di sé quel respiro caldo. Deglutisce silenziosamente schiudendo le labbra rosee mentre il cuore le batterebbe a mille, improvviso. Vorrebbe toccarlo. Vorrebbe allungare una mano e poggiarla fra i suoi capelli, sul suo viso. Sul suo petto. Ma non lo fa, permane ferma a lasciare che lui le occluda la vista scostando quei capelli che come fili d'ombra scivolano ad ogni tocco. <Non cercherò di guardare> assicurerebbe lei con candore, un sussurro gentile e sincero nonostante quella curiosità provocante e seducente di scoprire i tratti di quel volto mai visto. Ma sa che non le è concesso, sa che la persona a cui ha affidato involontariamente i propri desideri sarà sempre un passo troppo distante da lei. E tuttavia non le importa. Se si tratta di lui, allora, può anche amare un'ombra. Avverte la benda privarla della vista, alienarla dal mondo e lasciarla aggrappata a quelle sensazioni che il corpo di lui le provoca in quella distanza praticamente irrisoria. Avverte con maggior chiarezza la sensazione del suo petto contro la schiena, delle sue dita che le sfiorano i capelli facendola rabbrividire appena. E'...piacevole. E' una sensazione che le riscalda il petto, il ventre, animandola di fiamme vive e vivaci che non fanno male. Si sente per un istante piccola ed immensa al tempo stesso, in quel limbo fatto di ombra e silenzi graffianti lei può essere tutto oppure niente. E' semplice creta fra le sue mani. <Ostacoli...?> sussurra lei muovendo di pochi millimetri il capo, la vista assente a farla sentire quasi goffa, mentre le labbra di lui scivolano dolci sulla pelle della sua nuca, portandola a schiudere appena quelle dune rosate in un respiro mozzato. <Non ci sono ostacoli, fra noi.> direbbe lei cercando di ruotare di poco il viso verso di lui, sebbene non possa in alcun modo vederlo così bendata. <Non se non lo vogliamo. Non adesso.> aggiungerebbe in un soffio, deglutendo appena prima di abbandonarsi all'indietro, contro il suo petto, per il solo gusto di sentirlo contro la propria schiena, contro le scapole parzialmente visibili al di sopra di quello scollo a barca del suo indumento. Attenta, lei, a non urtare contro l'altrui viso così vicino al proprio, cercherebbe riparo e rifugio contro il suo torace, il suo busto, sentendo il cuore saltare qualche battito. <Posso sentirti così vicino...> direbbe lei alzando appena una mano lentamente, attenta a non colpirlo in nessun modo, cercando di sfiorare i suoi capelli d'argento con le proprie dita. <Posso sentire il calore del tuo corpo. I tuoi capelli sotto la mia mano...> e le sue dita tenterebbero di scivolare -se fosse riuscita nel suo intento di sfiorare la sua chioma- più giù a ricercare la linea del suo viso, della sua mascella, per sentire la consistenza della sua pelle sotto le dita affusolate. <E non m'importa di non poter vedere il tuo viso. So che mi piacerebbe qualunque esso sia, perchè è il tuo...> Il suo cuore rischia quasi di esplodere, il suo viso è viva fiamma mentre, se fosse riuscita ad appoggiarsi contro di lui, sentirebbe l'odore della sua pelle avvolgerla piano, lentamente, come rampicanti che crescono selvatici lungo un palazzo in rovina. Quelle parole la colpiscono, la sorprendono, le bloccano il respiro. Cosa sente, lei? Oh, sente tanto. Sente tutto. Si sente troppo piccola per poter contenere quella mole impressionante di sensazioni che le si inerpicano dentro. Sente che potrebbe esplodere, il suo corpo, incapace di gestire tutto quel calore, quei sentimenti così freschi e semplici. Si scosterebbe appena lei, da lui, cercando goffamente di voltarsi, di issarsi sulle ginocchia scoperte per poter ruotare il busto e il corpo intero verso di lui. Vuole averlo di fronte, vuole che lui la veda, la osservi, anche se i suoi occhi gli sono preclusi. Tenterebbe, Kaori, di levar le mani lentamente verso il di lui volto. Un tocco che vorrebbe essere timido, gentile, al semplice scopo di poterlo toccare, di poter sentire per la prima volta la sensazione delle sue dita sul suo viso. <Mi piace... stare con te> sussurrerebbe timida, ringraziando forse in parte quella benda per facilitarle il compito di svelare quelle verità. <Mi piace toccarti> aggiungerebbe carezzando appena quella pelle candida -se le fosse stato concesso- con le sue dita affusolate e gentili. <Sentire la tua voce> un sorriso le increspa le labbra rosee, morbide, snudando di poco quei denti bianchi e dritti con dolcezza. <E... mi manchi, quando non ci sei> rivelerebbe in un ultimo soffio andando a chinare di poco il capo nel tentativo banale e tenero di poggiare la propria fronte contro la sua. Respira a fondo, lei, sentendosi stranamente libera, leggera in quella bolla creata unicamente attorno a loro. <Tu cosa senti... Shion?> soffia allora così vicina al suo viso, dolcemente, ingenuamente, avvertendo il calore del suo volto sotto le dita, se fosse riuscita a toccarlo com'era sua intenzione, i suoi respiri poco distanti dal suo stesso viso per via di quella vicinanza venuta a ricercare. [ch: on]

Vecchia giocata che avevo congelata, non valutabbile <3