Tutto inizia con una fitta alla tempia, una pressione immensa- un chiodo puntellato li e premuto fino allo snervante, fatto apposta per irritarti, farti stingere gli occhi e scuoter la testa. E’ una sensazione ricorrente, non è vero? Un centinaio di piccole, piccole minuscole e fottute zampette che ti scavano nel timpano e nella carne, senza poter far nulla se non grattare nella carne, premere sull’orecchio stesso e tentare di tirar fuori qualsiasi cosa ti stia divorando dall’interno. E’ un secondo frastagliato, quello in cui ti rendi conto che tutto il potere che hai cercato fino ad ora è niente se ora non sei che un enorme pezzo di carne per un verme fin troppo evoluto. Eppure l’ultima notte, l’ultima notte sembrava esser passata come acqua tiepida sulla pelle. L’odore dei Sali di Suna, l’odore della pelle, del sangue, l’odore della carne e dei peccati di cui ti sei riempito la bocca –o forse no?- ancora ti aleggia sotto il naso come nota dolente di quel che sei divenuto. Di quello che hanno fatto di te, come si farebbe con un intelligenza artificiale. La si programma, non la si alleva. La si resetta, non la si sgrida. La si smonta, non la si punisce. Forse, parlando tra noi, Katsumi ora come ora non è molto diverso da un’intelligenza artificiale. Improvvisamente è come se fossi seduto da troppo tempo, quella sensazione di guardare e non vedere che viene meno quando, dritto a qualche metro di fronte a te, noti sedere con serafica armonia… Qualcosa che riconosci, ma con orrore, non risponde ai tuoi movimenti. Le labbra serrate, il viso abbassato, assorto, su un piatto tondo di ceramica che porta una pietanza che no… Non è nelle tue preferite. Una bistecca al sangue troneggia su quella tavolata ottocentesca imbandita di ogni pietanza possibile immaginabile, una cerimonia d’odori che sollevano gli olfatti ad esser avidi, ma che per sorpresa si presentano ai tuoi occhi coperti da vassoi tondeggianti e argentei. Sei vestito bene. Come un re. Come quello che ti siede di fronte e con flemma, mangia la sua bistecca come farebbe un amico di vecchia data. Il pavimento che s’alterna in piastrelle bianche, e piastrelle nere—e tutto attorno, questa stanza dalle pareti nere, sembra non esserci una fine. E’ una sensazione che parte dallo stomaco, e stringe la gola come se ti stesse soffocando. La paura del vasto: Perché esiste? Perché il vasto, non ha vie di fuga. Non ha limiti. Non ha motivo ne regole. Una poltrona regale avvolge il tuo corpo, decisamente comoda, così come troneggia al di la della schiena ricurva di Nemurimasen si presenta come una figura infinitamente cheta, così placida, serafica… Da mettere in soggezione. Le occhiaie come fondi di vino a rimarcargli il rosso cremisi degli occhi che guardano solo, esclusivamente il suo piatto. <Finalmente..> La sua voce un soffio gelido, quando alza gli occhi… Ti guarda. Un cigolio spezza il dolce suonar di arpe e violini, un suono che arriva da ogni angolo, e da nessuna parte. Forse, arriva da quel pavimento. <Rischiavo di finire la cena… Senza di te.> La destra posa la forchetta, scivola su un tovagliolo di tessuto bianco, con una “N” cucita sopra.
[Tavolo; http://www.mmarkley.com/5112-table-and-chairs.jpg][PV dell'Insonne: Kaneki white hair]
Analizzando le due figure poste a specchio, in questa situazione, potremmo scavare nell’io più profondo di Katsumi e spaventare- no, troppo poco- terrorizzare ogni lettore. Nell’analogia di questi due figuri, vi sono differenze effimere che nel simbolismo del manga, hanno significati radicali per l’ego del reale: Katsumi. Le occhiaie, simbolo d’insonnia; ansia, agitazione, irrequietezza. E i capelli bianchi, simbolo d’un trauma recente. Uno strappo, impatto a quel che son le nostre convinzioni che ci dirigono verso quello che invece, abbiamo sempre odiato. Un trauma, leggendolo da fuori, come un semplice lettore, sembra una sciocchezza. Può passare il tempo, e farlo sembrare piccolo, insignificante, può far sembrare il trauma stesso un pretesto per esser cattivo. Ma non è così. Quello che abbiamo visto, che abbiamo sentito sulla nostra pelle, son gli stessi punteruoli che hanno svegliato Katsumi dal suo torpore. Può sembrare che tutto vada bene, ma poi eccoli. Scavare nella carne. Farci strizzare gli occhi, con il vano desiderio che tutto svanisca così, con un soffio. Ma sono sempre li, e ti seguono come se tu fossi l’ultima moda del momento. L’Insonne rappresenta questo, di Kat. La parte di lui che mai, mai, mai, potrà risolvere o infangare ciò di cui la sua pelle è sporca. E siede come lui, come l’altra metà del Re. Il tovagliolo bianco issato a tamponarsi le labbra con una diligenza impeccabile, ed il suono di quei violini, che non sono altro che un dolce sottofondo, come se Lui non volesse far nulla—che due chiacchere. <La tua portata preferita, nh?> Come se fosse ovvio, le labbra si tendono in un sorriso gioviale, invitando con la mano lo stesso 0-21 ad issare il vassoio d’argento che gli sosta davanti agli occhi, ponendo il gomito speculiarmente a quello di Katsumi, per poggiarsi comodamente a quella tavolata. <Zero Ventuno.> Incalza abbassando lo sguardo sulle mani pallide, smaltate di un nero che in contrasto, lo fa sembrare un disegno su carta ruvida, e così è la sua voce. Non rauca. Non troppo diversa dalla voce di Katsumi stesso. E dei fiori rossi pendono come petali piangenti al centro del tavolo, in un vaso alto, ricamato ed impreziosito dai disegni che paiono fatti a mano. L’eleganza d’ogni gesto che nasconde, invece, la brutalità delle parole. <Ancora a brancolare nel buio, io e te.> Gli occhi si alzano verso di lui, constatando le sue espressioni, mettendo pause immense ad appesantire quel che sta dicendo. <Sei fatto di temporeggiamenti e rinunce, non è vero?> Si alza lentamente, tornando a rizzare il busto sulla sua sedia, guardando composto l’altro. <E pensare che Arima, t’aveva nominato come successore. Come capo clan Uchiha.> Il capo si scuote, piano. <Che fallimento.>…<Probabilmente, sei proprio come Irou. Una provetta che andava buttata al primo sviluppo.> Le labbra che si piegano in un segno di sdegno, ma non è la fine. Non è la fine di quest'illusione. <Sei così sciocco...>..<Rincorrere l'amore di una donna che...Vuole morire. Rendila felice, no? Uccidila.>[GDR GO!]
Il silenzio cala grave, parlare verso di lui—per certi versi è come rivolgersi a se stessi, non è vero? Lui almeno a differenza della tua testa, così confusionaria, così bramosa, ha la decenza di ascoltarti in silenzio abbassando gli occhi a guardare l’osso rimasto nel piatto oramai povero di attenzioni. Sarebbe facile, se ora L’insonne svanisse e ti lasciasse a fare i conti solamente con un risveglio tanto brusco da spossarti.. Senza infonderti ulteriori dubbi. E’ un incubo. E’ un incubo e poi tutto finisce com’è iniziato, non c’è da preoccuparsi infondo, respira.. Sei.. Tornato? Invece come Lui abbassa il capo con l’accenno di un sorriso a quelle domande retoriche, una scia disomogenea divora la stanza ed il tavolo, abbattendo la mano su quella di Katsumi che aveva tentato d’alzare il coperchio della sua pietanza preferita. Non ora. Ora la portata principale è questo—che però, non sembra esser il discorso preferito di Katsumi. E sicuramente parlare con arroganza verso se stessi, non porta a nulla, se non una risposta a tono. <No.> Parole come lame nel buio, le senti affilate, come se te le stesse puntando alla base della gola, costringendoti a guardarlo, in qualche modo. <Tu hai cercato l’oceano.> Il capo scivola verso la spalla, a qualche scarso centimetro da Katsumi, guardandolo con la curiosità con cui dovrebbe esser il reale a guardar l’Insonne. <E ti sei dissetato in una pozza d’acqua, fingendo-- > Incalza uno sbuffo di risata unico, come a dar dell’ilarita invero assente a questo discorso. <Fingendo che oltre il fondo ci fosse ulteriore acqua con cui dissetarti> La mano su quella di Katsumi è gentile, quasi. Copre con morbidezza le sue nocche e solleva –è la cortesia, di quel gesto, come se volesse servirti lui stesso, in questo momento-, la solleva millimetro per millimetro. <Oh, e sappiamo entrambi quanto tu abbia sete. Così tanta, che ora—fingendo d’esser dissetato, ti lasci morire ai piedi di finzioni. Solo perché sei troppo testardo, troppo egoista, per capire che quello che vedi non è niente.> La mano lascia cadere il vassoio a terra e dentro v’è il capo di Kimi Doku. La fiamma di Katsumi. L’ultimo passo verso l’evoluzione completa del suo potere. L’amore, la passione, la sofferenza. Una testa mozzata che per altro, se non per tratti, non è diversa da quelle delle sue vittime. Centiipedi che si muovono sul vassoio, come ti senti ora? Oh, e pensare che potresti anche sol tu essere il loro pasto. O forse loro il tuo. La vita è una messa al confronto. Mangiare, o esser mangiati. <Hai cercato bacini enormi d’acqua per dissetarti. Ma quando ti ci sei affacciato, il tuo riflesso ti ha terrorizzato.> … <Guardala.> Un sorriso sulle labbra e la sinistra, dolcemente, passa sul capo di Kimi. Enormi occhi azzurri, così espressivi, così freddi, con quel crine corvino liscio tra cui i centipedi si arrampicano, moltiplicano, fino a creare un arazzo in continuo movimento. Eppure, nella voce dell’Insonne, c’è dolcezza. <Non hai avuto paura che nel guardarti… Sapendo tutto… Provasse s c h i f o ?>
<Aiutarmi?> La voce che scocca come una freccia in aria, mentre ambo gli occhi si posano su quelli di Katsumi a pochi centimetri di distanza. Ma il sorriso sulle labbra dell’Insonne decanta la tranquillità delle sue azioni, mentre le dita sul crine di Kimi scivolano ad accarezzarla. <Oh-Oh no, sono io che sto aiutando te, non lo capisci?> Come se fosse ovvio, come se quella stanza, non fosse stata strappata dalla testa di Katsumi e resa reale. Per un certo verso, mio adorato Uchiha, Nemurimasen è il tuo nuovo centipede. E’ dentro la tua testa, e vede dai tuoi occhi, sente dalle tue orecchie. Lui, è il tuo riflesso. E quella citazione sulla tela orribile, quella che hai usato anche con qualcun altro. Lui, l’ha catturata e ora ripensandoci, con un fianco poggiato al tavolo imbandito, sorride. <Oh, questa tela è la mia preferita.>…<Se solo non fosse sporca e bruciata. Sarebbe il miglior spettacolo per occhi che sanno guardare. E la migliore storia da raccontare a qualcuno.> Il capo si sposta di lato, come a temporeggiare. <Eppure non sarà per sempre così, hai paura?>…<Hai paura di quel che verrà dopo? Hai mai avuto paura di scavare troppo a fondo, e trovare qualcosa che non ti piace? Io si.> Una confessione intima, la destra che si tenderebbe a poggiarsi sulla guancia di Katsumi, in un moto d’affetto. Ma quando il diavolo ti carezza, vuole l’anima, dicono. <E ora?>…<Che succede?>...<Conscio di viver in un limbo tra ‘ora’ e ‘dopo’, sei come una formica davanti ad una carovana di merci. La guardi arrivare da lontano, ma sai—sai bene che qualsiasi movimento tu faccia, è troppo tardi per evitare una catastrofe.> La mano s’abbassa, con un sospiro che sa di delusione. <L’amore. L’amore, l’amore, l’amore> Lo canzona melodioso, alzando il fianco dal tavolo per muover dei passi. <Ci attacchiamo all’amore perché soli avremmo paura della nostra ombra. L’amore è un futile pretesto per non viver con noi stessi. Ma attaccati a questo, se pensi che sia una soluzione ottimale.> … <Finirai per sbucciarti le ginocchia un’ultima, piccola, volta.> C’è del nevrotico nei movimenti dell’Insonne, quando lascia cadere quel coperchio che copriva la testa di Kimi ai tuoi occhi, scivola di lato con il capo, alzando la destra e ponendo il pollice appena sopra la piccola nocca dell’indice, posta tra seconda e terza falange, facendo vibrare nell’aria lo schiocco delle ossa che scattano in uno scoppio. Espira, di mero godimento. <Sai cosa non sopporto?> Fuori tema, è lui a giostrare questo discorso come più preferisce. Eppure l’aria, alle sue parole, si fa improvvisamente pesante. Perché retrocede, in direzione del suo posto e ti da le spalle come chi è sicuro di quello che fa e quello che dice. <I discorsi abbandonati a metà.> E lo esordisce come se ci fosse qualcuno, in particolare, che avesse abbandonato l’Insonne con l’amaro in bocca. Ma no, non sta parlando di lui. Lui, non parla mai di se stesso, parla di loro; è chiaro che lo stesso insonne vive sulla pelle quello che vive Katsumi, le sue paure, le sue angosce, quella sensazione che gli solletica la pelle creando quel prurito- quel prurito che può aumentare fino a infonderti il desiderio di sradicartela e strapparti la carne di dosso. <Ahh-> un sospiro, flebile. <Arima, arima, arima. Parla, ma mai troppo non trovi?>..<Il progetto Zeta. All’apice, il progetto 11-shichi.> Eccolo sedersi nuovamente sul suo trono, come se dovesse prender aria. Ma sembra tanto ostico, tanto freddo, da esser oramai deceduto da tempo. Senza cuore. Senza cuore, soprattutto per il suo riflesso nello specchio. <Mi viene quasi—quasi da ridere a dirti certe cose- > Abbozza un sorriso fugace, scansando il viso a guardare il vuoto buio dei dintorni. Ma nuovamente espira, inspira, il petto che s’abbassa, coperto da una camicia bianca ed una cappa color rosso vino, fermata sulla spalla sinistra. <E’ passato un po’ di tempo.. E del resto, sei uno dei tre sopravvissuti. Il laboratorio originale è stato oramai chiuso. Ma lei dovrebbe esser viva, forse è stata venduta a qualche Daimyo. Il nome “Nanami Uchiha” ti dice niente?> Gli occhi si alzano, cheto, si passa una mano tra i capelli. <Certo che no, certo. Quella era solo carne da macello. E certo, il discendente del progetto shichi, non può avere legami terreni.>…<Forse, Arima- per la tua crescita, la toglierà di mezzo prima ancora che tu—possa guardare negli occhi tua madre.> Le labbra si piegano in una smorfia, ma è un secondo. <Sempre che una cavia utile solo per il suo utero possa chiamarsi madre.> … Quella sensazione—quel dolore alla tempia, è lo stretto necessario per farti capire che il tuo tempo è scaduto. Poi viene la vampata di calore, è così denso, caldo, che ti toglie il respiro. Il sudore, è buio, è notte. E la luce che filtra dalle finestre suggerisce di fere silenzio. Uno straccetto di luna illumina il braccio pallido di Kurona che posa sul tuo ventre, così come le braccia di Yukio abbracciano il costato della donna. Nell’aria—quell’odore che ora come ora, sembra fuori luogo. E’ solo—solo- un brutto incubo?
THE END