{Blood chains-}

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con Kurona

00:08 Kurona:
  [Vicoli] Oh beh, sopra il cielo del Tanzaku Gai non possiamo dire di vedere molte stelle affacciarsi, come luminescenti cittadini di una skyline, c'è più-- puzzo pungente di qualcosa che Kurona, come Irou, non conosce esattamente bene. Acidulo, ed anche dolce, sudore, carne, sangue, pioggia. E l'ovattato urlare lontano di chi va e viene rimanendo per questo villaggio silenzioso solamente una misera ombra di passaggio. Un sacchetto di carta lasciato alle braccia di Irou, sicuramente -ma non ci spererei troppo- più forte di quelle cagionevoli della pallida figura di Kurona che ora come ora, usciti dal Konbini notturno e diretti alla vecchia bettola scadente che li ospita, gira con la punta del naso rivolta verso l'alto, in un agognante bisogno di vedere quegli stupidi punti luminescenti nel cielo e ritrovandoci -che disdetta- solamente fumea e sfumature rosse date dalle lampade di carta che stanno fuori l'Aka Hana, un locale a luci rosse da cui esce una musica diffusa e certamente, piacevole, non simile a quello che le orecchie definirebbero baccano. I piedi che schioccano sui simil-sampietrini delle strade lievemente incurvate per non raccoglier la pioggia di questo posto, portano tabi dai lacci molto semplici e neri, mentre sopra fa capolino dalla pelliccia di Irou, la sua maglietta intima, che copre finemente busto, seno, e cosce, il tutto ricoperto da bende bianche e pulite, ricambiate pare, solo poche ore prima. Il viso diafano scoperto, labbra e occhi, si sposta arrossato dal freddo vento notturno, cercando qualcosa, qualcuno, o forse, cercando nell'aria un pensiero dopo tanto tempo di silenzio; eppure a lei, sembra che con Irou vada bene così. Zitti. Vicini. E il suo calore, anche ad un soffio dalla sua mano, la tranquillizza più di quanto dovrebbe. Da occhi macchiati di occhiaie rosse sotto il cremesi strabordante delle iridi, lo guarda in sottecchi; cosa sta facendo Irou? Ma lui è tanto semplice da disarmarla. O meglio, così le sembra. E come la sagoma di lui si conferma al suo fianco, tanto che, di tanto in tanto gli sfiora le nocche, rigira il viso come se temesse di esser beccata in flagrante. Sempre più debole. Che ridicola donna. Sempre macchiata di cicatrici e vene nere che le disegnano arti capillari sul corpo, ove la pelle è più fine. Il mento che si sporge verso l'Aka Hana, curiosa di veder donne dalla carne scoperta. Saggiandone il corpo con gli occhi, come farebbe-- in altri momenti. <Sai Irou..> Un brusio nel silenzio inghiottito dal buio, lei, il vento, ed i tabi che battono con grazia sulle pietre. <Quando morirò mi mancherai.> Fuoriluogo, assolutamente, ripiega le labbra con una grinza crucciata verso il basso, soppesando l'argomento. <Dico, quando andrò all'inferno. Non avrò pace.> Senza guardarlo in faccia, lascia scivolar gli occhi, da prostituta a prostituta. <E quindi penserò alle persone che ho più amato nella mia misera vista.>...<Si, così non sembrerà così male, l'inferno dico.>

00:58 Kurona:
  [Vicoli] Onde di latte scendono sulle spalle in ciocche unite, grosse, separate, arricciate l'una sull'altra, ma non come boccoli, quanto più come il caos più totale, il paradosso del leone bianco, tanto etereo, tanto morbido, delicato, quanto feroce e scomposto, in un crine che ricade gonfio, in quel modo adorabilmente disordinato che porta oramai a galla il suo esser curata da Irou, abbandonata alle sue braccia come un pulcino che cade dal nido e li vien lasciato dalla madre. E qui, tra le braccia di Irou e il suo fare amorevole, ha trovato un'adorabile casa, un rifugio che la vede fuggire da chi è realmente, da chi dovrebbe essere e certamente, senza alcun dubbio da chi è stata in passato. Il vento le fa scivolare la maglietta addosso e oziosamente, ripercorre le ossa del ventre, lo sterno, l'acerbo seno, gonfiandosi da una parte all'altra del corpo, facendo issare il crine a frustar l'aria, come se si fosse alzata improvvisamente la marea, e con essa, la sua schiuma. <Nhm!> Un cenno con il capo che s'abbassa e s'alza a rispondere a quella domanda tanto ingenuamente. Si, amore. Affetto candido ed allo stesso tempo corrotto; Che lei sia una figura incoerente? Mh- beh, forse a tratti. E' come la tempesta d'estate, improvvisa, fuori programma, e certamente non proprio prevedibile. E oscilla furiosamente dal desiderio di morboso di veder il sangue di Irou scorrere, macchiarla e possederlo, al voler godere delle scosse piacevoli che le da sentire quella mano sfiorarla, di tanto in tanto. Gli occhi tra le ciocche bianche che scivolano sulla fronte, s'abbassano ad osservar le nocche di quella mano posta in sua direzione, rilassata sul fianco dell'Uchiha, come si guardano sempre le mani di un uomo. Sono più grosse. Un senso di protezione, qualcosa di piacevole e caldo, come il piumone d'inverno. Un pensiero che la inghiotte e quasi, le fa perdere il filo del discorso, facendola risalir a galla solamente quando si sente paragonata ad una prostituta, la differenza tra lei, e quelle donne che costeggiano la strada, fatte di sorrisi e pelle morbida. E' come tagliuzzare la parte più femminile di Kurona, e pungere il vivo narcisistico della sua essenza. <..> Le labbra si schiudono, impossibilitata a rispondergli. A tutto. Non vorrebbe mai ferire il suo piccolo Irou, lo vorrebbe tenere nel palmo di una mano e mai, mai lasciarlo andare, egoista. <Io credo che loro.. Siano molto belle.> Lo sguardo che si abbassa su un corpo gracile, minuto, infantile quasi. Non sarebbe impossibile scambiarla per una bambina; le mani bendate che salgono sullo sterno, si sfiorano tra di loro, dando un chiaro cenno di disagio. <Non ho ben chiaro perchè io mi sia sviluppata così poco.> Quando poi suo fratello è ampliamente dotato, d'altezza e tratti adulti. <Probabilmente, con me non provi vergogna perchè sembro piccola.> La linguetta scivola sulle labbra, le umetta dando a quel rossor denso uno strato morbido, quasi lucido. <Dimmi..> Il batter dei tabi sulla pietra che aumenta, svolta nel vicolo sulla destra, lasciando che il vociare intenso si faccia più piccolo, più lontano, così come le lanterne, le luci, dirigendosi verso quel che fu il castello distrutto da Orochimaru. <Hai già fatto cosacce con le donne?> Il capo che si china in sua direzione, ironico, guardandolo in sottecchi. <Ti ci potrei portare, sai. Forse il fatto che tu distolga lo sguardo, è dovuto al fatto che non sei abituato.. Ti ricordi..> Incalza a mezzo sorriso, guardando verso una luce fioca ad olio, che a tratti par spegnendosi. <La prima volta che ci siamo baciati?>...<Ecco, anche in quel momento avresti distolto lo sguardo, non è vero Irou?>

01:56 Kurona:
 A tratti i movimenti di Irou la bloccano, la spaventano, la disorientano: Perchè? Perchè non è mai stato così diretto o precipitoso nei suoi confronti, tant'è che quando divora la distanza bloccandole i polsi sullo sterno gli occhi si aprono oltre l'iride rossa, facendola divenire uno spillo terrorizzato. Solo questione di attimi, in cui i polsi s'irrigidiscono sotto le sue mani e gli stessi occhi, come pendenti per l'ipnosi, son calamitati dai pozzi cremisi del suo riflesso argentato, bagnato come un'anima dannata dai raggi poveri di una luna che non ci concede niente più che un suo straccetto coperto dalle nubi della passata pioggia. <I-> Cosa dovrebbe dire, ora? Cosa sarebbe giusto dirgli, e come sarebbe giusto comportarsi, con lui? E' come avere tra le braccia un bambino, ed allo stesso tempo, come rifugiarsi sotto la maestosa ala di un'albatros, troppo grande, troppo lunga, ma così accogliente. La pelle morbida sotto le sue dita, il muoversi del polso mentre perde gli occhi in un punto poco preciso del petto dell'altro, sotto il rilievo della catenina. E' quasi automatico, quando cerchi qualcosa ad occhi chiusi, che le dita si muovono piano, cercano con polpastrelli, unghie, falangi, di sfiorarlo in qualche modo. <Irou-> La voce che prima aveva trillato come un'allarme, ora s'ammorbidisce come miele bollente, lasciando ricadere i capelli bianchi addosso a lui per colpa di un'avida bava di vento. Espira, soffice, facendole abbassare le spalle in un moto grazioso e stanco, quasi malato fisicamente, con un grattare di bruciore a livello del petto che di tanto in tanto, la fa tossir di notte. Guarderebbe lei, senza distoglier lo sguardo? <Vile bugiardo.> Lo insulta con un fare bonario, stringendo le labbra come a simulare la durezza di un offesa mossa direttamente a lei, muovendo il capo di scatto. <Fiuto il tuo nervosismo, Irou.> Infame, la coscia destra scivola in avanti sfiorando la gemella, issando il ginocchio a scivolare tra le gambe di Irou e spingendolo, pigra ed allo stesso tempo decisa, verso la parete di mattoni che costeggia il vialetto e il marciapiede su cui s'affaccia quella fioca lanterna. Ne ridisegna il viso, bianco, le labbra piene e gonfie che ora miagolano verso Irou e le sue bugie: Oh, Kurona conosce bene ciò che la eccita. <Sei un bugiardo. Bugiardo.> Gli occhi che poche volte cercano un confronto diretto, per abitudine, scivolano in alto con una calma straziante. E il nero della pupilla che prima s'era ristretto, ora par una voragine ingorda, tanto da render l'iride, il compagno poco romantico della Akai Ito, un filo instabile. Le mani scivolano, ma non fuori dalle sue: O meglio, non lo forza a lasciarlo andare. Ma lo carezza, il ventre si poggia sul suo, e le cosce lo sfiorano come le labbra che si direzionano lente. Freme ancora? <Sentivo la tua lingua battere sul palato.>...<Avevi paura di me.> Gli occhi che si chiudono gradualmente, lasciando folte ciglia calare e le labbra poggiarsi, tesa sulla punta dei piedi, sulla base del suo collo. <Eppure non mi hai abbandonata li.>...<Sarebbe stato facile. Tu libero dalle mie torture. E io morta.> Una morte da guerriero, il Seppuku.

00:11 Kurona:
 A tratti i movimenti di Irou la bloccano, la spaventano, la disorientano: Perchè? Perchè non è mai stato così diretto o precipitoso nei suoi confronti, tant'è che quando divora la distanza bloccandole i polsi sullo sterno gli occhi si aprono oltre l'iride rossa, facendola divenire uno spillo terrorizzato. Solo questione di attimi, in cui i polsi s'irrigidiscono sotto le sue mani e gli stessi occhi, come pendenti per l'ipnosi, son calamitati dai pozzi cremisi del suo riflesso argentato, bagnato come un'anima dannata dai raggi poveri di una luna che non ci concede niente più che un suo straccetto coperto dalle nubi della passata pioggia. <I-> Cosa dovrebbe dire, ora? Cosa sarebbe giusto dirgli, e come sarebbe giusto comportarsi, con lui? E' come avere tra le braccia un bambino, ed allo stesso tempo, come rifugiarsi sotto la maestosa ala di un'albatros, troppo grande, troppo lunga, ma così accogliente. La pelle morbida sotto le sue dita, il muoversi del polso mentre perde gli occhi in un punto poco preciso del petto dell'altro, sotto il rilievo della catenina. E' quasi automatico, quando cerchi qualcosa ad occhi chiusi, che le dita si muovono piano, cercano con polpastrelli, unghie, falangi, di sfiorarlo in qualche modo. <Irou-> La voce che prima aveva trillato come un'allarme, ora s'ammorbidisce come miele bollente, lasciando ricadere i capelli bianchi addosso a lui per colpa di un'avida bava di vento. Espira, soffice, facendole abbassare le spalle in un moto grazioso e stanco, quasi malato fisicamente, con un grattare di bruciore a livello del petto che di tanto in tanto, la fa tossir di notte. Guarderebbe lei, senza distoglier lo sguardo? <Vile bugiardo.> Lo insulta con un fare bonario, stringendo le labbra come a simulare la durezza di un offesa mossa direttamente a lei, muovendo il capo di scatto. <Fiuto il tuo nervosismo, Irou.> Infame, la coscia destra scivola in avanti sfiorando la gemella, issando il ginocchio a scivolare tra le gambe di Irou e spingendolo, pigra ed allo stesso tempo decisa, verso la parete di mattoni che costeggia il vialetto e il marciapiede su cui s'affaccia quella fioca lanterna. Ne ridisegna il viso, bianco, le labbra piene e gonfie che ora miagolano verso Irou e le sue bugie: Oh, Kurona conosce bene ciò che la eccita. <Sei un bugiardo. Bugiardo.> Gli occhi che poche volte cercano un confronto diretto, per abitudine, scivolano in alto con una calma straziante. E il nero della pupilla che prima s'era ristretto, ora par una voragine ingorda, tanto da render l'iride, il compagno poco romantico della Akai Ito, un filo instabile. Le mani scivolano, ma non fuori dalle sue: O meglio, non lo forza a lasciarlo andare. Ma lo carezza, il ventre si poggia sul suo, e le cosce lo sfiorano come le labbra che si direzionano lente. Freme ancora? <Sentivo la tua lingua battere sul palato.>...<Avevi paura di me.> Gli occhi che si chiudono gradualmente, lasciando folte ciglia calare e le labbra poggiarsi, tesa sulla punta dei piedi, sulla base del suo collo. <Eppure non mi hai abbandonata li.>...<Sarebbe stato facile. Tu libero dalle mie torture. E io morta.> Una morte da guerriero, il Seppuku.

01:22 Kurona:
  [Vicolo della Bettola] Come par schiacciarlo- sotto ogni punto di vista. Psicologicamente e fisicamente. Con quella delicatezza che s’alterna istericamente a furia selvaggia- animale. E qual più dolce suono può esser quella lingua che con un ticchettare continua, trova rifugio nel palato come a volersi dar forza da solo, nelle sue sole braccia. Eppure sa bene quanto Irou frema in questi sprazzi di debolezza. Forse anche solo spiragli abbandonate a vecchie e fatiscenti mura che accolgono questo duo perfettamente sincronizzato. E’ come ballare, esser una coppia. Se s’erra, s’erra in due. E se si danza- e grazie ai movimenti dolci e veementi d’entrambi. Kurona è tanto quel tipo di donna che sa danzare, quanto quella che pesta i piedi al compagno solo per vedere quanto a lungo riesce a ballare con lei. Un gioco pericoloso. In cui qualcuno perde sempre, in qualche modo. Quelle dita che gli si erano rivoltate nel palmo, ora scivolano dolcemente ad accarezzarlo come se nascesse un fiore tra tutte quelle linee bizzarre che lo ri-colorano di un pallido rosa. Lo ascolta ad occhi bassi, scendendo minuziosa a catturare ogni singolo dettaglio, tatuandoselo nella mente come se temesse di perdere al gioco, anche con lui. Anche con il suo adorato Irou. Ed ogni volta che si trova così- in silenzio tra le sue parole ad occhi socchiusi, vede immensi occhi vermigli dalle tre tomoe danzanti- come girandole su cui il vento soffia violento. E l’odia; i Kami solo sappiano quanto! L’odia- quanto non riesce a negar ne confermar l’opposto. Annidato nel petto dell’Uchiha. Collegato da quel filo sottile, vermiglio- al suo stesso petto. Dir di desiderar esser morta? E’ semplice. Ma non perché Kurona è una sciocca accidiosa. Non perché è semplicemente una donna triste- triste patologicamente. Il busto sospinto dal suo nel separarsi dal muro, lo segue come un lenzuolo di seta, dove la maglietta bianca di Irou- scivolata sul corpo come un vestito, le ridisegna i fianchi ed il ventre, creando delle grinze soffici, dolci. Ed i suoi occhi, schiacciati da una forza superiore che muove lo stesso volere di quel che fino a poco- poco tempo prima, si considerava un fantoccio ed ora- esplode in Katon puro. Issa gli occhi da sotto quelle folte ciglia bianche, come fari in pallide notti innevate. Quello sguardo ferino, intenso—che nasconde un nocciolo triste, dedito solamente alle cure di Irou. Come lo sguardo di una bambina che è stata sfidata. Beccata a fare i dispetti. L’interno della coscia scivola oltre il suo ginocchio, piano—dolce, impercettibile. Dovrebbe provocarlo? <Mi hai condannato.> Alla morte? No, alla vita. L’ha condannata a vivere ancora, a scoprire nuove cose, l’ha condannata a vivere! Ad amare! Ad amare—Irou, e non riuscire a sopportarlo. Le sopracciglia fini che s’incrinano in una smorfia disturbata- come se ci fosse qualcosa che la frustrasse. Come se questa sensazione, così- pura, così differente dalla sua ossessione per Yukio, la stesse infastidendo nel profondo dello stomaco. Anche il terrore di perderlo. <Ed è per questo, che io condannerò te, ogni notte.> Nel suo letto. Al suo fianco. Ogni secondo che Irou passerà con lei. La destrosa scivola, petali soffici di una primula pallida, sfioran fugacemente le braccia scoperte, fino a trovar una nicchia che l’accolga. Tra mandibola e gola, sotto il lobo. Espira stancamente, stringendosi nello sterno. <E ora..?> Le dolci parole di quel raggio di luna che le è capitato tra le braccia, risuonano come un abbraccio- e la più dolce delle ninna nanne. <Anche ora, ne vuoi ancora, Irou?> Il loro primo bacio- lui, non avrebbe mai davvero voluto distogliere lo sguardo? Gli occhi scivolan nei suoi, dal vuoto e le dita, affusolate come quelle di un pianista che carezza le sue melodie struggenti, scivolano sulle tempie dell’altro spostando un paio di ciocche- chissà se anche Irou sente quella strana sensazione allo stomaco. Come se l’idea di poterti far scivolare via solo una parte dell’altro, possa mandarti in uno stato di shock emotivo. Cattivo. Su di giri. Isterico. E lei che non ha più nient’altro che se stessa, ha costruito il suo nido proprio qui. Proprio nel nulla. Assieme a lui. Lascia che la lanterna danzi sul muro in ombre oblunghe, rendendolo color ambra, rendendo il suo viso trono d’ombre e luci. Le labbra schiuse non chiosan parole, rimangon tali, come se- avesse qualcosa da dire. <O era anche questa, una bugia?> E’ un soffio, sovrastato dal vento. La voce gentile- quella melodia di sirena che diviene l’odor impercettibile dei fiori nell’aria in primavera.

02:37 Kurona:
  [Vicolo della Bettola] Osare; sfidarla e gettarsi tra le grinfie di un leone affamato che brancola attorno a te, con il desiderio infame di divorarti. Quelle fiammelle accese sotto le folte ciglia, sfiorano il tremolar incerto delle mani di Irou sui fianchi. I suoi occhi mentono- quella sicurezza che vorrebbe trasmettere, non è altro il beffardo scherzo dello scalpitare del suo cuore che cerca- in qualsiasi modo, si uscir dalla pelle del petto e farsi strada verso l’esterno, verso il petto stesso di Kurona. Un cerbero sciolto dalle sue catene che allunga la punta delle dita verso le ciocche di quei capelli argentei, finendo per ricurvarle e arpionarlo dalla nuca- come se si fosse sentita offesa dalle sue parole. Non ha idea- non ha idea di cosa Irou muova realmente in lei, e lo capisce dal suo candido parlare. Dal suo desiderare ancora, ed ancora. Divora quella distanza affamata, facendosi spazio munita di sola avidità, tra i lembi appena rigonfi delle labbra. Come vino speziato, scivolano tra ed attorno alle sue- preme, le schiude appena, sfiorando il labbro superiore con il suo, lievemente più piccolo, ed l’inferiore a schiudersi appena sotto al suo, catturandolo in quello schiocco attutito da quest’infame silenzio notturno, che fa delle voci del gioco lontane urla e lontani rumori. E’ la punta della lingua- che scivola dolcemente sulla sua, la sfiora- si ritira, socchiude le labbra, tenendo calate le palpebre per quegli istanti- che sembrano etterni, ma che istanti –flebili, sfuggenti,mai abbastanza- sempre rimangono. La sinistra che posa il palmo appena sotto l’ombelico di lui, sulla stoffa di quel gilet che veste, ed ancora sfiora la camicia –i suoi bottoni, che altro se non deboli ostacoli- , premendo i polpastrelli appena sopra il bordo dei pantaloni, spingendolo con un colpo d’anca- secco, a finire nuovamente contro il muro, nuovamente ad esser in balia dei suoi capricci e della sua isteria. E’ come orticaria, alla fine. La percorre ed ancor più la disturba dalla sua quotidianità, non potendosi affatto definire come—deviata. Ma come persona continuamente infastidita da elementi di disturbo- come Irou. Come Irou e tutto quello che le scatenano quegli occhi rossi. <Nfh--> Son gli incisivi, premono verso il basso, catturano il suo labbro inferiore e lo incastrano tra quelli, ed il labbro inferiore di lei—torturandolo, dolcemente. Ciocche bianche che scivolano addosso ad Irou, issandosi sulle punte dei piedi e schiudendo pigramente gli occhi; su un lato più *fisico*, giusto? Come quella mano—lo tortura alterando la percezione di quel dolore, con l’impulso di qualcosa di nuovo. O forse no. La punta del naso lo sfiora e le dita che gli avevano arpionato il crine sulla nuca, scivolano sul collo, sotto il lobo, sulla spalla—espirando appena, soffiando lava sulle sue labbra. <Dimostramelo.> Se non è un bugiardo allora—allora lei vuol sentirlo sulla sua pelle. In quel vicolo ch’è solo una traversa silenziosa. Dove il buio gli inghiotte e li rende i soliti—amanti, chiassosi. <Dimostrami di-- non aver il desiderio che tutto questo finisca.> Il palmo della sinistra che scivola pigramente, infame, come se-- oh, no, non lo stesse facendo per lui, quanto più per lei. Per veder il viso di Irou colorarsi di nuove emozioni. Per sentire Irou, come un burattino sotto le sue mani da bastarda marionettista.

03:23 Kurona:
 L’esser solamente una fiammella tremolante tra le sue mani poste a coppa su di lui, i fianchi che scivolano piano contro il suo bacino- come la sua mano si sospinge e tra le labbra, aleggia il gusto di quelle di Irou. Inconfondibile. Ed è l’affermazione corretta dire che s’incastrano perfettamente come i due pezzi d’un dipinto con i lembi frastagliati. Non come la sua anima gemella- sia chiaro, ma in un modo totalmente nuovo, totalmente diverso. Quel qualcosa che ci spinge ad amare qualcosa di diverso da quel che già abbiamo. Qualcosa che semplicemente abbiamo trovato, e che ci scopriamo ad apprezzare così intensamente da non poterne far a meno. La sua pelle. Le sue labbra. Quel modo di fare insicuro- quasi goffo, di chi scopre qualcosa che prima non aveva mai provato. Tende le labbra poco a poco, in un sorriso serafico e calmo, con le ciglia abbassate a formar un siparietto su quelle iridi accese, affilate- alle quali manca solamente la pupilla sottile e verticale per esser in tutto e per tutto gli occhietti di un gatto vispo—e così dannatamente divertito da non poter far a meno del suo piccolo ed adorabile giocattolo. Giorno dopo giorno. Volta dopo volta. Ricorderà- a differenza di lui, ogni singolo bacio. No, non in nome del romanticismo, non in nome dell’amore- della dolcezza. Ma in nome di quel che ha sentito mutare di Irou sotto le sue mani. La paura. Il desiderio. La risposta. Tre baci, che parlano dell’approcciarsi del clone al mondo. Tre baci, che scrivono frasi brevi su quel che sta realmente succedendo. E probabilmente, se non ci fosse stato Irou quella notte- il fato li avrebbe tenuti separati. Così vicini eppure, così distanti l’un dall’altro. E’ Irou stesso a prender il desiderio di Kurona, e rimodellarlo tra le sue mani per emetter quello che è il desiderio stesso di Irou. Il come. Il dove. I polpastrelli scivolano sulla pelle fino ad emergere oltre l’asola della patta, arricciandogli la maglietta e lasciando andare quel torpore. <Non qui?> No? No, certo che no- Irou ha bisogno di qualcosa di più. Qualcosa che deve marchiargli la pelle per tutta la vita. Lei, china il viso in un cenno d’assenso. Ha ragione, certo- le piante dei piedi toccano terra lasciando un bacio fugace sul mento, sul filo. <Puoi ancora ritirarti.> Un soffio che si scioglie nella notte, muovendo dei passi dal rumore dei tabi che veste che finiscono per scivolargli via di dosso, immergendolo di nuovo nel freddo vento delle notti estive. Il rumore di una chiave. Il cigolio—di una porta di legno.

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Eh niente- Irou al muro, Kurona baddest female, leggetela.