Mirror of paper.

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14:16 Hana:
  [Esterno] E’ sempre la stessa. No, non lei. Konoha, i profili delle case, la dislocazione di ogni componente inamovibile e poco consumato dal tempo – è quasi ironico pensare che a fronte di tre anni fa, fu proprio il tempo ad essere oggetto di discussione del ricordo che la trascina in quella direzione. Lei, ora come ora, vede soltanto lo spettro di quello che è stata tra i vicoli in cui risuona, festosa, la voce degli abitanti nelle loro vicissitudini quotidiane: le è addirittura difficile pensare che sia passato “così tanto tempo” a fronte della sua vita, sempre la stessa, persa tra i flutti della quotidianità e dei troppi libri che ha divorato iniziando a fare della propria mente uno strumento duttile finalizzato a compiere la “scelta migliore” per portare avanti ciò che, invece, non ha scelto lei – i suoi doveri, i suoi obblighi: famiglia, paese e Kage. Gli unici pilastri che costituiscono per lei l’unica fonte di immobilità, che la tengono ancorata a quel posto e radicata lì come le radici di un albero. Inspira, a tratti si domanda fin quando ancora durerà? Se non fosse il suiton ad alimentarsi del proprio chakra, a tratti si sarebbe lasciata cullare dalla convinzione di essere una stasi perpetua, e invece - come acqua – s’abitua. Scorre, lenta, tra gli snodi del centro commerciale della città sita nel paese del fuoco, si lascia accompagnare da un sole tiepido che non riesce ad accarezzare la pelle abbastanza chiara: l’ombra di un ombrello di carta schiudo al cielo copre la sagoma della Hyuga, un bersaglio succulente per chi professa l’arte delle ombre indubbiamente, ma perché sentirsi minacciata all’interno della propria casa? E’ una chiazza nera, quella sorta di tuta che la inghiotte quasi completamente, aderendo ad ogni cellula del proprio derma e costituendo un rivestimento atipico se si considera il suo vestiario di anni addietro. Ornamenti dorati costruiscono dalla coscia sinistra fin sopra la fiancata del medesimo lato un dragone d’oro, un lòng cinese, che s’estende fino al seno. A destra, invece, s’intravede uno squarcio che parte dalla coscia e s’estende in obliquo fin sopra l’ombelico intrappolato nelle trasparenze del reticolato di merletto. Nel complesso è a proprio agio, alla fin fine essendo una sottospecie di tuta dal tessuto ricercato offre una mobilità, in quanto i pantaloni separano le leve inferiori, e le braccia risultano parzialmente libere giacchè la stoffa raggiunge appena i gomiti. Dietro la schiena giace un oggetto ricoperto da un semplice straccio, legato a mo’ di zaino, incapace di darle fastidio. Tra i seni, invece, è posto un tessen così com’è abituata a fare da tempo. I capelli, leggermente più lunghi del tempo che fu, scivolano lungo la schiena formando i due schieramenti: bianco e nero, come il bianco ed il nero dei suoi occhi – forse l’unica che, all’apparenza, non verrebbe scambiata nemmeno per una Hyuga visto il singolo occhio bianco quando non vi è l’innata. L’ultimo particolare, la fascia da shinobi di konoha: quell’oggetto che un tempo era appartenuto ad Hitomu adesso è legato non intorno alla gola, quanto più intorno alla coscia destra – l’ennesimo modo atipico di portare un oggetto, a mo’ di giarrettiera. Evidentemente, così le gira. Arresta il proprio passo, alza lo sguardo al cielo: l’indirizzo che tre anni fa le è stato ricapitato ha ricondotto i suoi passi qui. < Shizureishimasu.> le pliche vocali vibrano, un nuovo timbro fuoriesce dalle labbra – leggermente meno acuto, più profondo e a tratti più ponderato. Chiede il “permesso”, un pretesto come un altro per accettarsi che ci sia qualcuno.

14:45 Azrael:
 Tanto tempo è passato eppure sembra che sia solo un battito di ciglia. La Konoha che conosceva prima di partire è ancora lì, non fuggita da nessuna parte. L’umore degli abitanti è cambiato, certo, ma per quante possano essere le migliorie strutturali che il villaggio ha subito non è cambiato nel suo complesso. Qualcuno si è girato sconcertato quando lo ha visto incedere per le strade del villaggio, intento nel tornare a casa, ma importa molto poco. Dopo tanto tempo passato nella meditazione più assoluta ha iniziato a trovare quasi fastidiose tutte quelle attenzioni, differentemente da quanto faceva prima di andar via. Preferisce di gran lunga la solitudine e gli spazi in cui riflettere con se stesso ed in se stesso, adesso. È anche per questo che la casa è radicalmente cambiata, il parquet ha lasciato spazio a varie stuoie di tatami, intervallate da listarelle di legno a definire lo spazio che occuperebbe non più di una persona sdraiata. Le stanze sono separate da porte in carta di riso semitrasparente, la sala principale che si incontra subito dopo l’apertura della porta è arredata con un tavolino basso in legno pregiato, con dei cuscini a far da seduta per chi vi si voglia accostare e qualche altro elemento decorativo sempre in legno, quali piccoli comò, mensole e stipetti, oltre ad un divanetto formato da un insieme di cuscini più alti e consistenti dalle forme tondeggianti. Le pareti sono sui toni del beige, riportando in nero decorazioni che porterebbe il proiettarsi di vari alberi di pesco e rondini sulla muratura. Il Nara indossa un kimono da uomo color blu scuro, intervallato alla vita da un obi nero con il ricamo dorato del kanji che rappresenta il clan a cui appartiene, a piedi nudi come un po’ lo obbliga il nuovo pavimento. Al sentire la presenza di qualcuno alla porta vi si accosta, come se quasi stesse levitando più che camminando, leggero come il soffiare del vento. Apre l’ingresso in modo da rivelarsi l’identità di quella presenza, inclinando il capo sulla destra al vedere una figura conosciuta < Oh, Hana. > i ricordi di un singolo incontro avvenuto anni prima riaffiorano nella memoria, mentre il braccio sinistro si allarga ed il corpo si gira dandole il profilo, per farla accomodare in casa < A cosa devo il piacere? > le domanda, inalando a fondo il profumo leggero di incenso che ha origine dalla sommità di una delle mensole, ove brucia una stecca sottile di tale aroma. [C on]

15:02 Hana:
  [Esterno] E’ quasi imbarazzante constatare che ci si è abituati ad un’immagine, vista una volta, e ricostruita a ripetizione nella mente e poi… trovarsela di fronte, in sfumature radicalmente diverse. Non era così che lo ricordava. Non era il morbido sapore della stoffa di un kimono a cingere il corpo del Nara eppure, di primo acchito, pare così… diverso. Inspira, le volute d’incenso si diffondono anche verso l’esterno raggiungendo le proprie narici – l’abitudine fa da padrona in lei, cresciuta sull’onda della tradizione, modellata sulle basi della ligia storia degli Hyuga sfamati principalmente con l’antichità, ed è per questo che trova confortante quella sensazione tanto familiare trasportata semplicemente dall’accento dell’incenso: esattamente come a casa propria, tant’è che probabilmente non risulterà difficile – all’altro – constatare l’odore del sandalo permeare il corpo della ragazza, fino a raggiungere le sfumature della freesia di cui pare apprezzarne le note dolci. Come con una magra consolazione, s’accontenta di ricucire sulla falsa riga della propria proiezione mentale, il viso altrui che ricalca quasi alla perfezione quello visto in precedenza – gli stessi colori, gli stessi angoli stuzzicati appena dal tempo. L’accoglie: tanto le basta per inclinare di poco il capo verso il basso e accettare quell’implicito gesto finalizzato a scortarla all’interno. Così come da sempre abituata, lascia che le calzature permangano fuori, prima che i tatami possano incontrare le piante dei piedi ora spoglie. La destra s’issa in corrispondenza del gancio dell’ombrello di carta, nero dai ricami rossi e dorati, chiudendo l’oggetto che apporrà in corrispondenza del muro. Azzarda un passo per affondare nella giusta consistenza dei tatami, quella casa le ricorda tranquillamente la propria: forse leggermente più spoglia e meno radicata nella tradizione, il sol fatto d’aver calcato sul muro la sagoma di un sakura piuttosto che di un pino può tranquillamente farle notare che il cambio è stato ponderato con leggerezza. Chi disegnerebbe un sakura se, da tradizione sancita dai tempi antichi all’epoca del teatro no, il principale esponente vegetale dei fondali è sempre stato il pino per la sua longevità, per la sua imponenza, per il valore spirituale che ha? Batte le palpebre glissando sull’argomento, impossibile per lei non adattarsi alle piccolezze. Di nuovo percepisce il sapore del proprio nome sulla bocca di una persona quando, da troppo tempo, si è sentita ripeterlo dall’unico zio e da suo figlio. Cosa potrebbe dirgli? Sono venuta a vedere quanti segni ti porti addosso e quanti invece sei riuscito a cancellare? In questo momento lo sta invidiando, tremendamente. Nonostante tutto, sembra saper fingere di nulla o accettare questi tre anni come se nulla fosse stato. A cosa devi il piacere? Lo devi sicuramente < Ad una mente incapace di dimenticare > ad esempio, la sua. < Perdonerai la mancanza di preavviso > ripiega su di un nuovo argomento, lasciando che quella frase possa giacere per poco nel dimenticatoio. < penso di avere ancora una questione irrisolta con te.> e per una maniaca dell’ordine, è assai difficile non risolvere le cose accantonate. [ Chakra on ]

15:38 Azrael:
 China anche lui il capo in un cenno di inchino, una accortezza dovutagli dalla rigidissima educazione che gli hanno impartito da bambino, che per un certo periodo della propria vita ha ripudiato, ma che già da parecchio tempo, da quando è uscito dall’accademia iniziando così la vera e propria carriera da shinobi, ha accettato ed adoperato come proprio. Il rispetto per gli altri e per se stesso, un assioma che ha indirizzato la sua vita ed il suo carattere sino a formarlo per quello che è. Si dirige verso una mensola posta su misura alla sua altezza, in modo che non debba né abbassarsi né allungarsi in maniera inelegante per prendere ciò che vi è poggiato sopra. La destrorsa raccoglie un vassoio che riporta una bottiglia di saké e dei bicchierini, probabilmente per degli ospiti che attendeva più avanti nel corso della giornata. Ma un’occasione vale l’altra, anzi, questa lo rende ancor più contento. Lo poggia sul tavolo, ponendo la bottiglia al centro ed un bicchierino per lato, riempiti con qualche goccia di liquido da gesti fluidi e perfettamente naturali, come se la bottiglia fosse un prolungamento della propria mano. < Prego, serviti. È molto leggero, anche per chi non è abituato a berne. > L’espressione è costantemente neutrale, non attraversato da alcuna emozione, il ritmo delle parole discorre più lentamente, come a dare più importanza ad ogni singolo fonema che esca da quelle sottili e rosee labbra. Un valore nuovo, che forse prima nella frenesia in cui era calato non dava nemmeno alle questioni più importanti. < Perdonerò la tua mancanza di preavviso alla condizione che tu perdoni la mia lunga ed apparentemente ingiustificata assenza. > Tre anni che non mette piede in quei luoghi. L’aria di Konoha gli è mancata, in un certo senso, così come le familiari compagnie, quale conosciuta di più e quale meno e – allo stesso modo – quelle più o meno apprezzate. Si accomoda su uno dei cuscini piegando le ginocchia in modo che esse poggino sull’imbottitura morbida, ma non eccessiva, le mani tenute sulla parte superiore della cuffia delle rotule, con le dita rivolte verso l’interno. La schiena è perfettamente dritta, in maniera quasi innaturale. < Ricordo perfettamente. > principia, abbassando e rialzando il capo una volta sola, un annuire appena appena accennato < A dirla tutta, sono partito col peso di non aver onorato ad un impegno che avrei avuto piacere ad attendere. È stato parte dei miei pensieri durante la mia permanenza fuori. > allunga la mano sul bicchierino, tasta la consistenza del vetro senza distaccarlo dalla superficie del tavolo < In questi anni avrai certamente avuto modo di incontrare più soggetti e paesaggi da aggiungere alla tua arte. > Gli occhi non lascerebbero mai le bicrome della Hyuga, sebbene non siano espressivi come un tempo, ma conservandone la stessa profondità. Uno schermo, quasi, una finestra sull’anima, ma che resta chiusa ai più, sia per non farne entrare, sia per non farne uscire. [C on]

16:06 Hana:
  [Esterno] Accoglie ogni invito con la delicatezza che solo le farfalle hanno nel posarsi su di un fiore o sull’altro. Si dilunga fino al tavolo basso, lasciando scivolare via dalle spalle le due corde che tenevano congiunte alla spina dorsale la tela che è ancora occultata dalla premura della stoffa, un accorgimento finalizzato a non dare ai raggi solari un valido pretesto per divorare la tempera. Pone al suolo l’oggetto coperto, alla stessa maniera piega di poco le ginocchia di modo che possano trovare tra i cuscini il ricovero giusto e morbido per il corpo. < Arigatou.> commenta, la mancina depositata in grembo a tener ferma la destra che par fremere stuzzicata dalla voglia di allungarsi e servire la bevanda: un’abitudine, quella di servire il thè, che si ripercuote anche nelle piccole cose in compresenza degli altri. Mordicchia appena il labbro inferiore fin quando quel fremito cessa, lasciando scivolare le mani ai lati e osservando il bicchiere che le vien posto dinanzi: solo allora si limiterà ad allungare la destra per lambire la porcellana della tazzina, farla propria, e trainarla a sé. Tanto è radicata in sé quella concezione di fedeltà nei riguardi della Foglia che diventa difficile, per lei, mentire a chi ha di fronte e dirgli che ogni cosa è perdonata. Ma del resto, cos’ha da scusarsi? < Non è da me che devi cercare perdono > ma in ogni chicco di riso sulla risaia di questo paese. < E non è il perdono che devi cercare, se senti – in cuor tuo – d’aver fatto una scelta giusta.> qualcosa che nel tempo ha imparato anche lei: qualcosa che un tempo, in qualità di “oggetto”, non avrebbe mai ammesso. Non che ora non si reputi più uno strumento utile al paese, ma ha imparato – gradualmente – che nel suo essere una “cosa” può anche fingere d’avere una propria volontà lasciando che quest’ultima non infierisca sui suoi doveri. < Dev’esserci stato qualcosa di tale importanza che ti avrà spinto a lasciare tutto senza preavviso, lo comprendo.> umetta le labbra con il semplice sakè che stuzzica or ora la cavità orale, dopo aver ricongiunto le fessure scarlatte alla porcellana. < Così come comprendo che di una grande cascata io non sia altro che una goccia.> la meno importante, del resto: se così non fosse potrebbe sembrarle addirittura strano, esattamente come le sembra strano che abbia avuto anche un minimo posto nei suoi pensieri. Lo tace, non è avvezza ad essere una lastra trasparente. Quanti volti avrà visti? < Ho visto più fantasmi che viventi > e la cosa non la infastidisce: un modo come un altro per dirgli che ha passato più tempo a studiare la storia degli antichi che all’aria aperta dove gli unici due visi conosciuti sono stati quelli di Hitomu e di Tobirama. < Ci siamo lasciati con la mia incapacità di dirti cosa vedevo in quel disegno.> fa il punto della situazione, sollevando appena la tela. < Temo di non poterti dare nessun’altra risposta, se non questa.> scosta appena il panno dalla tela, mostrandogli parte di ciò che ricorda – tre anni interi passati a disegnare i propri ricordi per non dimenticarli, fissarli, lasciando che il tempo non li tocchi esattamente poiché già “passati” e non presenti. Per lui, lo squarcio che gli dedica è un pezzo irrisolto di tre anni fa, il viso di un uomo che incurva la schiena nell’intento di decifrare cosa ci sia su di una tela. E’ questo quello che ha visto in te: non il risultato finale di un’analisi, quanto lo stesso momento in cui la mente s’è arrovellata sulle chiazze di nero. E cosa c’ha visto, solo lui lo sa – l’artista parla con le immagini, evidentemente quanto è stato visto dev’essere ancora taciuto. E così, come se nulla fosse, imparerà da lui a fingere che nulla sia < Ti trovo bene, Azrael.> cambia argomento, semplicemente - manco non avesse voglia di parlare di quanto è stato fatto e del perchè lo abbia fatto.[ Chakra ON ]

14:25 Azrael:
 È abbastanza curioso pensare come un semplice incontro scaturito da due persone che fondamentalmente non sanno assolutamente nulla l’uno dell’altra se non quel che si è potuto evincere da piccole parole e comportamenti eviscerati da un singolo incontro sui tetti di Konoha sia tuttavia così profondo, così carico di quella che può sembrare quasi una strana aspettativa, come se qualcosa stesse per accadere e al contempo come se tutto fosse fermo e nulla dovesse muoversi. I movimenti e le parole di entrambi sembrano calcolati al millimetro, eppure sono esposti con una naturalezza che li fa sembrare innati. Da parte del Nara almeno non c’è alcun impegno in quel muoversi oculato, lento, nonostante non sia per nulla pigro. Lentamente il capo si sposta a destra e sinistra, soppesando le prime parole che fuoriescono dalle labbra della persona con cui sta parlando, le labbra si arricciano appena in un gesto di compiacimento. Si inserisce tra le linee di dialogo della ragazza con il giusto tempismo, nello spazio privo di suoni tra un argomento e l’altro, primo tra tutti quelle scuse < No, no, no. > scuote il capo in un intervallo di spazio che rende quel moto quasi impercettibile, che ferma immediatamente per precisare ulteriormente quel dissenso nei confronti delle parole della Hyuga < Devi avermi frainteso, non mi stavo scusando della mia improvvisa sparizione come evento a sé. > Quella sorta di teletrasporto che lo ha portato lontano dal villaggio della Foglia, così improvviso, eppure così necessario. Non si tratta di quello, però. < Non mi scuserò mai per quello, come hai detto… > piccola pausa, scegliendo con cura le prossime parole e nel farlo socchiude gli occhi per qualche istante a rimembrare le avventure vissute in quei tre anni < …sono convinto di aver fatto la scelta giusta, meditata il giusto e svolta nella tempistica adeguata. > e quindi, perché si è scusato? < Tuttavia per me gli impegni sono sacri, così come lo è il tempo in cui essi devono essere onorati. Avevo un impegno con te e senza preavviso abbiamo dovuto rimandarlo a data da definirsi. > termina la sua breve, ma si spera efficace giustificazione. Si silenzia nell’attendere le restanti parole della ragazza cui non andrà a rispondere se non con qualche accennato moto del capo, come al solito per far comprendere il suo interessamento al discorso. L’espressione totalmente priva di mutamento alcuno, se non quando la ragazza da’ rilievo al disegno impresso in quella tela, solo allora le labbra del ragazzo si storcono in una “o” e le sopracciglia formano due perfetti archi al di sopra degli occhi quel tanto che basta da lasciar intendere la sua sorpresa nel vedere quel pezzo d’arte. Tornando neutrale le riferisce immediatamente il suo pensiero riguardo quanto gli ha appena mostrato < Sono stupefatto. > in positivo, è evidente < Rispecchia esattamente l’idea che avevo di me prima di questo viaggio. > e la cosa gli smuove le labbra in un piccolissimo sorriso. < Parlamene, dimmi cosa hai pensato mentre tracciavi le linee sulla tela. Sono interessato. > L’atteggiamento è proprio quello di una persona intenzionata ad arrivare a tali informazioni a costo della propria vita. Curiosità ed un sincerissimo interessamento, un misto che lo lascia un po’ lì a pendere dalle labbra della ragazza per cogliere quell’aspetto del suo disegno, quello che c’è dietro la tela stessa. < Ho avuto occasione di sperimentare tante cose, vedere molti posti in ottima compagnia. Mi sento bene, mi sento cambiato. Ma anche io ti trovo bene, c’è qualcosa in te che mi fa ben sperare per il villaggio che ho lasciato. > Quello che vede davanti a sé adesso è la speranza di un futuro roseo per la Foglia. Un futuro formato dalle giovani leve, piuttosto che dai veterani come lui, che prima o poi devono spiccare il volo ed approdare in altri lidi, per evitare di fare la muffa a proteggere un qualcosa per cui non devono nemmeno più preoccuparsi. [Chakra on]

13:58 Hana:
  [Interno] Il bicchiere dapprima issato fino alle labbra, occultandole parzialmente, or ora cala per raggiungere quasi la bordatura del tavolo basso ma senza tuttavia sfiorarlo minimamente – sospeso a mezz’aria, sorretto sia dalla destra che dalla sinistra posta a mo’ di piattino sotto il costrutto di porcellana ospitante giusto una goccia di sakè risparmiato dalle fessure scarlatte. Ascolta, paziente, quasi immobile quanto ha da dirle e nel concreto non interrompe né risulta sgradita quando si prende la premura di infilarsi discretamente nel discorso, così come l’acqua scava la propria strada. Nello sgocciolare del silenzio, decide di modulare la vibrazione delle pliche vocali < Sai, ho sempre pensato che il tempo non sia una cosa poi così “oggettiva”. > principia, riprendendo sempre quell’argomento < Certo, noi tendiamo a centellinare qualsiasi cosa, a stabilirlo con definizioni quali secondi – minuti – ore e così via.> argomenta, lentamente – del resto non ha grandi pressioni a spingerla nel portare avanti in maniera frettolosa il discorso. Per questo si prende la briga di costruire ghirigori con le proprie parole. < Io trovo non sia poi così corretto, però. Ognuno vive il tempo che si sente.> ognuno ha “gli anni che si sente”, si dice più semplicemente. < E’ così sbagliato dire che il tempo è soggettivo? Che è una variante, e non una costante?> abbassa appena lo sguardo, rigettandolo sulle increspature dell’alcool. Tutto questo per dire che < Non è stata fatta menzione di tempo quel giorno che io ricordi, per cui puoi considerare il tuo impegno come rispettato e assolto.> è giustificato, se così può sentirsi meglio. < Ci siamo solo presi il “nostro tempo”.> tutto qui. Di certo anch’ella è una di quelle persone che, maniaca dell’ordine, rispetta impegni e scadenze senza problemi – tuttavia ha una sua “visione” inerente un po’ a tutto, e questa la dedica al tempo che non è mai stato espresso. C’è da dire che quella domanda, la successiva, la prende un po’ in contropiede: non s’aspettava di dover spiegare ciò che l’ha spinta a fare una cosa del genere ed è per questo che si rifarà con una semplice constatazione, una domanda retorica < Che artista sarei se fossi io a parlare, e non la mia arte?> quale artista può definirsi tale se è costretto a spiegare quanto fatto, senza lasciare che siano le sue opere a farlo per lui? < Ancora una volta, però, è questione di tempo.> issa il bicchiere, lo accosta alle labbra – manda giù l’ultimo sorso. < Tempo e segni. Ricordi, nh?> l’ultimo nonché primo discorso intavolato quel giorno. < I segni che più tardi vanno via vengono ricordati meglio a dispetto del tempo che tenta di cancellarli. > ed è per questo che nel concreto tende a raffigurare il volto di tutti. < Attualmente, è l’unica cosa immune dal tempo che posso permettermi.> un ritratto, un disegno. Come una fotografia. Ma è solo una cosa momentanea: se il tempo è in eccesso, la carta può decomporsi. Appoggia così il bicchiere sul tavolo, liberandosi le mani che andranno poi a ricongiungersi sul grembo. < Ahn, in compagnia dunque? > assottiglia le palpebre – mentirebbe dicendo che non ne sapeva nulla fino ad oggi. Del resto son trascorsi pochi giorni, ma ha comunque saputo dal Sennin dalla compagnia di Azrael nel suo viaggio. Fa semplicemente orecchie da buon mercante, lei – tenendo per sé determinati dettagli. < Sembri cambiato.> quasi glielo conferma. “Sembra”. Il suo aspetto parla per lui. < Ma è la tua superficie ad esserlo. C’è qualcosa che mi spinge a credere che scavando nella sostanza, tu non sia poi così diverso.> è soltanto un appunto, un dettaglio – la parantesi di una persona che non lo conosce per niente e che non può permettersi tanti giudizi. < Mhn.> comprime le labbra a quell’ultima affermazione: un complimento, motivo di goduria per chiunque – chiunque tranne lei. Inspira quasi in maniera pesante, sforzandosi nel drenare ogni forma di pressione che grava sulle sue spalle. Perché tutti riescono a vedere qualcosa in lei? Per un attimo, un solo attimo, si è costretta a spiegarselo. Poi, il tempo, ha provveduto ancora una volta a distruggere tutto. < Fin quando l’Hokage veglierà sul paese e sarà circondato da persone fidate, potrai sempre ben sperare per il villaggio.> e come al solito devia il discorso, incapace di poter parlare di sé e alla stessa maniera del suo ruolo. Si ridurrebbe tutto, ancora una volta, alla sua convinzione: quella di essere un oggetto, null’altro, e per tanto non la speranza di qualcuno tanto meno per il paese. [ Chakra On ]

16:56 Azrael:
 La destrorsa si avvia lenta lungo la bottiglia di saké. Osserva il suo riflesso distorto dal vetro e dal trasparente liquido alcolico. Quello che vede lo distoglie per un attimo dalla sua interlocutrice. Resta a fissarla per un po’, quell’immagine di se stesso attraverso le incolori particelle di distillato, un tempo non si sarebbe trattenuto dal versarsi un altro bicchiere e dal tracannarlo senza battere ciglio una singola volta. Certo, un gesto indubbiamente stupido, eppure un qualcosa che lo fa pensare a quanto adesso da un peso diverso ad ogni cosa, persino alla gradazione alcolica che mette in circolo nel proprio sangue. Per quanto sia una cosa apparentemente superficiale, si tratta di un eccesso a cui era estremamente cedevole in quella che al momento considera come “altra vita”, la versione distorta di se stesso che sta prendendo ad osservare con sempre più distacco, prima di alzarsi ed andare a riporla sullo scaffale da cui proveniva prima che a casa arrivassero ospiti. < Perdonami le spalle. > formula di rito pronunciata mentre – per l’appunto – si alza e si gira per posare la bottiglia, tornando poi alla posizione originale, se possibile ancora più dritto di prima sulla propria schiena, nemmeno fosse un militare. Solo ora potrebbe recitare nuovamente la propria parte in quel discorso, come fosse un giogo a due in cui entrambi i partecipanti devono fare la propria parte perché si possa andare avanti diritti. < Il tempo è oggettivo. > secco e lapidario, dichiarando quella che è un’ovvietà del mondo da quando esso stesso ha preso ad esistere. Tuttavia non si ferma qui, semplicemente lascia che il silenzio riempia l’aria per qualche istante, istanti in cui ferma le proprie iridi nero pece in quelle della Hyuga, qualora lei regga il suo sguardo, come se volesse entrarvi dentro, esplorare qualunque cosa ci sia dietro. Schiude le labbra come se la cosa avvenisse quasi a rallentatore, un filo d’aria passa dall’esterno attraverso le sottili rosee labbra, sino a far vibrare le corde vocali quel tanto che basta da lasciargli esporre un concetto ben preciso < Solo per chi si lascia dominare da esso. > e qualora la cosa non fosse abbastanza chiara nell’esposizione, andrà immediatamente a seguire con un’ulteriore prova del suo pensiero, stavolta più fluido nel parlarle, giacché la suspance che intendeva mettere tra le sue parole per saggiare le reazioni della sua interlocutrice si è esaurita con la pausa precedente < A pensarci, è come un pugno pieno di sabbia. > ricorda un discorso tenuto col Sannin nelle sperdute terre di Suna, in cui non vi erano altro che granelli bollenti di pura rena a sorreggere i passi dei viandanti < Più tenti di tenerlo stretto > Il braccio sinistro si poggia col gomito sul tavolino in legno, simulando quanto sta dicendo con brevi cenni della mano < E più ti scivola via. > E quindi quello che vuole dire cos’è? Null’altro che un dare ragione alla ragazza, seppur da un punto di vista differente < Tutto si crea in un istante e nello stesso lasso di tempo può essere distrutto e ricostruito. E tra questi due istanti possono passare secoli o pochi secondi, la cosa non si può cambiare. > per questo è oggettivo, nel suo semplice essere un ineluttabile dato di fatto < Quel che si può cambiare è il fine che si da’ al semplice scorrere dei granelli di sabbia in una clessidra o in un pugno. > per riprendere la metafora di prima e concludere così il suo parlare del tempo, un tempo che gli è sempre stato tiranno, che ha sempre tentato di combattere invece che lasciare semplicemente che gli scorresse naturalmente tra le dita, senza cercare stupidamente di trattenerlo, accelerandone il naturale processo e rendendolo unicamente più doloroso. < In sostanza, hai ragione. > ritrae ora il bracco riponendolo con la stessa cura con cui si riporrebbe un prezioso gioiello in un portagioie nuovamente rasente al proprio corpo, col palmo poggiato al ginocchio libero < L’importante è che questo incontro sia avvenuto e che tanti altri avvengano poi, ma questa è solo una mia speranza. > Termina in un sorriso che ultimamente non mostra così tanto spesso, non per questioni di malumore, quanto più per un conservare qualcosa di prezioso. Un invito che di certo suonerà come sinceramente interessato, una questione che gli preme particolarmente, alla fin fine si tratta di una ragazza di una certa intelligenza e personalità, indubbiamente al di sopra della media delle persone che ha conosciuto nel lasso di tempo che si è ritagliato da quando è uscito dall’accademia sino a quel preciso momento. Alla fine rispecchia perfettamente quanto detto prima riguardo il tempo. Quanto sarà passato? Non più di 10 anni in cui sono passate esperienze che c’è chi fa nell’arco di una vita, chi non vede nemmeno in punto di morte. Si guarda un attimo intorno, in quell’abitazione che ancora fatica un po’ a chiamar casa, ma che si è impegnato a cambiare per cancellare spettri ed echi del passato che lo tenevano ancora sul fondo di quell’esistenza su cui vuole soprassedere, che ha assorbito e alla quale ha voltato le spalle, pur senza dimenticarla. Fortunatamente sa dove si trovano le cose importanti, di fatti un album da disegno ed un paio di carboncini saltano fuori da uno scomparto posto al di sotto del tavolo e posti sul tavolo. Non accenna a fermare la ragazza dal suo parlare e nemmeno accenna ad un calo di attenzioni nei suoi confronti, ma intanto traccia qualche linea col carboncino sulla carta bianca, per il momento nulla che possa rassomigliare a qualcosa di specifico. Solleva il capo solo per risponderle, rigirandosi lo strumento da disegno tra le dita che prendono gradualmente il suo stesso colore. Conferma con un lieve annuire che, sì, era in compagnia, ma non specifica a voce null’altro, non vuole chiarire con chi fosse né perché si trovassero insieme, benché siano spariti insieme, lui e il possessore del Rinnegan, subito dopo la morte di uno dei più grandi nemici di Konoha. Quello su cui gli preme spendere qualche parole riguarda il suo cambiamento < Trovi? Io mi sento diverso dal più profondo del mio animo, invece. Ogni cosa nasconde un secondo significato, nascosto alla vista di chi non vi ha indagato a fondo > il nuovo arredamento di casa propria ne è un lampante esempio, ma – come ha appena detto – non è chiaro a chi non lo conosce o non si impegna nel farlo. < Ad oggi, il semplice gesto di uscire di casa è per me molto diverso da come era tre anni fa. > riabbassa il capo, il disegno prende una forma un po’ più specifica: una gabbia, con all’interno, rannicchiato in un angolino e pressato dalle sbarre strette che delimitano una prigionia che sembra non lasciare troppo spazio nemmeno per quella singola figura, un ragazzino dai capelli e gli occhi scuri, le gambe contro il petto, abbracciate da un paio di esili e sottili braccia, la testa infossata tra le spalle e con unicamente gli occhi liberi di scrutare. Cosa poi quello voglia dire, sta all’occhio di chi guarda, ma lo sguardo quasi malinconico del Nara e le sue successive parole lasciano ben poco all’intuito passibile d’errore. < Quando assorbi e assorbi, diventando sempre più grande, caricandoti di aspettative tue e altrui, qualunque spazio sembra sempre troppo stretto. > una prigione, appunto. < E allora ti oberi maggiormente, alla ricerca della forza per piegare le sbarre. Trattieni il fiato per non lasciare nemmeno una stilla di energia, che dovrebbe esserti utile per spezzare ciò che ti trattiene. > Posa il carboncino adesso, terminando il proprio discorso come se fosse la conclusione più ovvia del mondo, ma che per essere trovata ha richiesto molto più impegno di quanto possa sembrare. < Quando invece bastava espirare, per passare tra le sbarre. > una metafora di come si sentiva prima di partire, del motivo per cui lo ha fatto, di tutto quello che è diventato ora. [C on]

17:33 Hana:
 E’ bastato questo, alla fine? Prendere e partire. Semplicemente. E i rimorsi dove li ha deposti? E tutte quelle sere in cui si sarà sentito un traditore nell’abbandonare quanto aveva lasciato? E’ così che si è sentito, poi? Così come la china urtata dal braccio, caduta sul foglio bianco crea intrecci ed increspature – più e più diramazioni – le domande che proliferano nella mente aggiungono nuovi anelli mancanti che resteranno irrisolti: basta soffiarci con le labbra e cancellarli, non per paura di chiedere quanto più per l’abitudine di rispondersi da sola indotta dal silenzio che le è stato sempre iniettato nelle vene a mo’ di morfina – atta a sedare la curiosità. < Mhn.> annuisce senza particolare entusiasmo né risentimento, che le dia le spalle o meno… non importa. Del resto, cosa può sottrarsi agli occhi di uno Hyuga? Peggio ancora, cosa può nascondersi alla mente di chi ha imparato a figurarsi il volto degli altri più nella mancanza di quest’ultimi che nei momenti della loro compagnia? E’ abitudine. Le basta poco per ricostruire, tassello dopo tassello, un’espressione – provare lo sconforto di chi non può emularla, consapevole che anche nel dolore non ci sarà nulla a deformare il suo viso. Alla stessa maniera, come lui, non è avvezza ad elargire sorrisi – anch’ella non per malumore, ma quasi per incapacità. A differenza delle idee che trovano campo fertile in lei, le emozioni sconquassano solo all’interno lasciandole sul viso la stessa aria capace di variare soltanto di poco – una dannazione per chiunque l’osservi: da questo si può dedurre che, senza particolari problemi o presunzione, riesca a sostenere lo sguardo del Nara ma che nel contempo lui non ne riesca a ricavare altro. Il bianco di una lastra di vetro contro la quale impattare dopo un secondo, il nero di un pozzo in cui inciampare. E’ dissonanza, opposizione, è il diverso, è nemesi. E’ bianco e nero che si fondono ma che difficilmente può essere interpretato. Ancora una volta, l’ennesima, si ritrova a vestire i panni del libro di difficile comprensione e le sta bene – del resto, che interesse potrebbe cogliere il proprio lettore senza nemmeno un minimo di difficoltà nel racconto? A dispetto dell’irruenza che contraddistingue gli altri, la medesima immessa nel senso di sopravvivenza, cosa in cui non è mai stata la prima - tace. Tace perché è quello che riesce a fare meglio – leggere nelle righe. Sarebbe anche pronta, invero, a dire che lei non crede nell’oggettività del tempo: ma perché sottolineare quanto già detto? E’ semplicemente pronta ad accettare l’idea contrastante, nel silenzio. E allora ascolta, ricredendosi subito dopo: è come allungare le mani e afferrare la ragione che sa di avere ma che – a causa della repressione che ella stessa esercita sul proprio pensiero – non riesce a tramutarsi in presunzione. In tutto questo silenzio, cosa può fare? Osservare. Osservare parte della sua moderazione nel non alzare troppo il gomito, ma non è per lei elemento particolarmente di nota non conoscendo le sue vecchie inclinazioni. I suoi tentativi di spogliarle l’anima per capire, a fondo, che suonano alla sua mente come un complimento non da poco: davvero uno come lui può essere interessata a scavare per trovare qualcosa in lei? < E a cosa servono le speranze, se non le si concretizzano?> ad alleviare la pena dell’attesa? Ad indorare la pillola del tempo? < Se c’è davvero qualcosa che vuoi > che sia un incontro, un verbo non detto, un’azione da compiere < puoi prenderla > puoi farla, puoi parlare < ed è per questo che speri non resti una speranza.> le sembra quasi ironico parlare di una cosa del genere: d’altro canto può inclinare il capo. L’assenza di una risposta a quella domanda non la lascia né stranita tanto meno le dà modo di dimenticare d’aver posto – come una mina disseminata in un campo di grano – una trappola, giusto per spillargli qualcosa. Non può passare inosservata sia poiché posta accuratamente, sia perché ora come ora – a sentirlo parlare di speranza – le vien da sospirare: per quanto possa sentirsi cambiato, non l’ha fatto amalgamando il proprio pensiero a quello del Sennin. Può aspirare al suo aspetto, può aspirare al suo comportamento, ma non può aspirare alle due ideologie: perché mentre lui e la stessa Hana possono essere la stessa faccia-uguale- della stessa medaglia, lei ed il Sennin sono due facce opposte della stessa medaglia. E alla stessa maniera, il modo di darle ragione le conferma che l’influenza di Akendo sarà stata minima in lui: quell’aria disfattista non è riuscita ad attecchire in lui. Non parlerebbe di speranza, altrimenti. Non sterminerebbe campi di sentimento, se così fosse. E più avanza paragoni, più se ne rende conto – che davvero sia riuscita, dopo tre anni passati a leggere libri, ad interpretare le persone? < Trovo.> continua ad esserne convinta. <E’ un po’ come scolpire > una pratica che lei, sostanzialmente, non ha mai praticato. < Scolpire non è un mettere insieme, quanto più togliere l’eccesso. E’ “tirare fuori” ciò che c’era già dentro, estrarre l’opera d’arte che era stata nascosta agli occhi degli altri.> accarezza le nocche della mancina con la destrorsa, lasciando che il pollice le sfiori un po’ come stare lì a modellarsi da sola le mani. < Ti sei solo liberato di quanto, fino ad ora, non ti eri accorto fosse d’intralcio. Ma per quanto possano essere nuovi i tuoi vestiti, le tue prospettive, forse anche il tuo modo di percepire il mondo… agirai per gli stessi ideali. Se trovavi disonesto compiere un’azione, continuerai a giudicarla tale a meno che inclinando il piano la tua visuale non venga distorta. > inclina di contro la propria testa < E’ un po’ come con le bugie. Fin dove possono essere chiamate tali? Fin dove le bugie, quelle dette a fin di bene, possono essere deleterie?> ma sta divagando in argomenti che per ora non toccano la sua figura, poiché credente nella più grande bugia di tutte: il mondo. L’esistenza stessa. I cinque aggregati del Dharma e la caducità delle cose. Continuiamo a sguazzare nelle menzogne, quindi cambiare a cosa ci porterà? Non si può forse parlare di queste cose con una sostenitrice del “wu wei” dell’”agire non agendo” ed è per questo che tenderà a chiudere il discorso, o per lo meno a spostarlo su quanto Azrael le sottopone all’attenzione. E’ quasi imbarazzante quel senso d’asfissia che ora, inaspettatamente, l’inonda. Rialza – quasi di rimando – la destra di modo che possa sfiorare il proprio collo, massaggiandolo. E’ esattamente come sentirsi un cappio alla gola, soffocare – la stessa sensazione che continua a sopportare dalla nascita. Abbassa lo sguardo sul foglio. Quindi, alla fine… è bastato questo? < E… questa prigionia, non ti stava bene?> una domanda del tutto atipica, di quelle che sanno scandalizzare anche i silenzi più puri. Una domanda che non t’aspetteresti da nessuno, forse – non ti sta bene essere prigioniero? No. Non è questo. E’ un… non ti sta bene essere quello che sei stato?

18:14 Azrael:
 Quella conversazione gli ricorda una delle cose che più gli è mancata della civiltà, il contatto con le altre persone, il confronto. Quello sì che è stimolante, specie se si tratta di una persona che mostra spiccate capacità cognitive in così tenera età, benché non ne sappia esattamente il dato anagrafico. Diciamo che alla vista non sembra troppo in avanti con gli anni. Ma, come abbiamo stabilito, il tempo è relativo. < Chi di speranza vive, disperato muore. > Influssi di quegli occhi viola che lo spegnevano ogni volta che qualche guizzo di emozione e di positività gli uscivano dalle labbra o dal cuore ci sono, certo, non sono dominanti, ma non era quello l’obiettivo della loro compagnia e del loro viaggio insieme. Nessuno dei due era alla ricerca di un sensei, né di una figura da seguire ed imitare. Era più un tentativo di mischiarsi, di influenzarsi positivamente a vicenda, di vivere un nuovo punto di vista, lontano da quello di chiunque altro. Un concentrarsi su se stessi e sull’altro, insomma. E quando si parla di prendersi ciò che si vuole, allora? Allora gli si accende una scintilla di un pensiero che ebbe tre anni prima, durante il loro primo ed unico incontro. < Io voglio qualcuno che sia portatore d’arte, quando io non sarò presenza fissa a Konoha. Qualcuno che tenga uno studio dove esercitare il mio lavoro, che dovrebbe poi diventare anche il suo. > un tatuatore, in definitiva. < Pensi di potermi aiutare in questa ricerca? > le sta facendo una proposta del tutto esplicita, nessun dover leggere tra le righe. E le lascerà anche il tempo di pensare, mentre si prende il proprio per rispondere a quelle che alla fine non sono vere e proprie domande, ma constatazioni. < Per arrivare ad uno stesso punto, c’è una sola strada? >domanda perlopiù retorica, che non necessita di una vera e propria risposta < Certamente non sono divenuto un’altra persona, sicuramente non ho sostituito il blocco di marmo con uno d’oro. > per restare in tema di scultura < né con uno di legno > né meglio né peggio, semplicemente se stesso. < Ma adesso mi sento libero. “Nuovo” > e mima il gesto con le dita di entrambe le mani prima di riappoggiarle sulle ginocchia < semplicemente perché ho ritrovato me stesso, che temevo di aver perso da tempo. E no, non mi stava bene. Si trattava di una dissonanza che mi rendeva inefficiente per il Villaggio e chi lo abitava. > alla fine si sentiva un pericolo pubblico, per via delle emozioni che lo dominavano e che non riusciva a frenare. Per via dei segni che portava dietro, delle battaglie, delle maledizioni, di tutto quanto. [C on]

20:18 Hana:
  [Casa Kazama] Ironico come abbia speso una vita a non chiedere nulla a nessuno e, d’altro canto, essersi ritrovata ad essere qualcosa di discreto e mediamente utile per gli altri: una vita passata e che passerà nell’ombra, più di quanto un Nara possa fare, seguendo le orme fin troppo grandi degli altri senza riuscire a sovrastarle ma con il timore di poterle anche solo minimamente levigare. L’ennesima richiesta bussa alla sua porta e mentirebbe a se stessa qualora dovesse ammettere, che in parte, la cosa non la lusinghi. C’è chi, come Kurona, le ha chiesto di esserci il giorno in cui dovrà ricordare al mondo che non è sempre stata il mostro che è. E’ in vita quasi in funzione di alimentare una fiamma che possa legare a sé l’egoismo del Sennin. Continua a respirare per poter servire il paese, la famiglia, il Kage. Come potersi caricare dell’ennesimo impegno? Ma soprattutto < Hai deciso di non esserlo più?> di non essere più una “Presenza fissa per il paese”? Le mani poste in grembo ora si sciolgono dall’intreccio delle dita affusolate, la schiena lentamente s’arcua in avanti soggetta ai movimenti dell’ombra che la luce fioca riversa sul suo corpo mettendone in rilievo poche sfumature della sua figura, il lato destro completamente nero vien sottolineato dalla luce mettendo in evidenza quella piccola macchiolina nera sullo zigomo del medesimo lato. Quella bianca, paradossalmente, vien oscurata dalla penombra. <Vuoi essere aiutato nella ricerca, o vuoi effettivamente sapere se sei riuscito già a trovare quello che t’interessa?> assottiglia le palpebre, mentre il gomito destro dovrebbe or ora raggiungere il ripiano basso di legno e la mano destra aprirsi per far spazio sul palmo al proprio mento, adagiato lì. Lascia sgocciolare il proprio sguardo attraverso quel ventaglio di ciglia, mentre comprime le labbra rosse – scarlatte. < Ad ogni modo > riprende il discorso: è una proposta, quella, che non ha nemmeno il tempo di raffreddarsi. < Sì, Azrael Nara. Posso aiutarti.> cinguetta, lentamente, senza distogliere lo sguardo sulla sua figura: quel suo modo di fare, forse un pelo più rilassato di prima a causa del sapore del sakè che ancora scorre negli anfratti della trachea, riescono a renderla leggermente più disinibita. < In entrambi i casi.> socchiude le palpebre, ora, ritraendo di poco la schiena all’indietro. Ricapitola in seguito alle sue frasi, raggiungendo l’ultima constatazione, l’ultima spiegazione, elaborando un pensiero suo che futilmente riconosce come erroneo ma che non si esimerà dall’esprimere benchè consapevole che solo un’idiota ammetterebbe la veridicità di quell’ipotesi < So che non è così, tuttavia è quasi come…> umetta le labbra < come se la tua gabbia fosse Konoha stessa. E alla fine, ti è servito “uscirne” per poterti sentire libero.> è questa, Konoha? Un luogo tanto affascinante quanto letale? <E adesso riconosci di non poter essere più un punto fisso di questo villaggio. Perché?> non sono affari suoi, eppure un motivo ci sarà – ha anche lei una matassa di quesiti da sbrogliare, il Nara non è né il primo né l’ultimo cavillo. < Vada come vada, ci terrei che tu tenessi a mente chi sei. In questo caso, uno Shinobi del Paese della foglia.> rialza lo sguardo sul suo viso, ricercandone l’attenzione – i suoi occhi. < E’ così?> se ne sincera, infilando parole nel discorso come se fossero amabili perle indispensabili nel percorrere il filo della collana.

21:15 Azrael:
 A pensarci è piuttosto strano che stia facendo di queste confidenze con qualcuno che conosce a malapena. A dirla tutta sta constatando in quel preciso momento che la conoscenza in sé per sé – se trattata in termini di tempo – è estremamente relativa, praticamente futile utilizzare gli anni passati come metro di giudizio, se la persona con cui li passi non ti impegni a conoscerla davvero. Paradossalmente si può sapere di più in un giorno tramite le giuste parole ed il giusto spirito d’osservazione che in anni passati magari senza parlarsi davvero, scrostando con le unghie la superficie esterna di una fortezza murata in cemento. < No. > un semplice monosillabo in risposta a quella domanda. Ma davvero ha deciso di non essere più quella figura a cui tutti facevano riferimento nel momento del bisogno? Davvero ha accantonato il Generale Yami per far posto a qualcuno che non ha titoli blasonati ed ufficiali a cui far ricorso quando si presenta? Dovendola dire tutta a questo punto non è nemmeno più uno shinobi della Foglia, considerando quanto Akendo gli ha detto riguardo il tagliare ogni legame con il Villaggio di provenienza. Eppure le considerazioni sono da fare con un flebile sorriso che aleggia sulle labbra del Jonin, una considerazione che sembra sciocca, ma che nel suo piccolo si rivela determinante nel suo voler stare in quel villaggio < Il severo sguardo di mio padre che dall’alto del Monte dei Volti sorveglia il mio operato potrei godermelo solo da Konoha. > Letteralmente, a pensarci, visto e considerato che quel volto non lo ha mai visto dal vivo. < Io sono solo un uomo che vuole portare il bene. È poi così importante quale simbolo sia inciso sul mio copri fronte? > è da soffermarsi su quel “solo”. Non si sente un Dio, non si sente al di sopra degli altri, si sente qualcuno di particolarmente raro, che però ha degli ideali che secondo lui devono essere condivisi dai più. E chi non lo condivide? Ostacoli su una pista che lo divide da un traguardo. Gli ostacoli si saltano o, beh, si abbattono, nel caso siano troppo alti. < Io penso di aver trovato quel che cercavo. > Lo sguardo si concentra in quello bicromo della ragazza con una tale determinazione che lascia ben pensare che lei sia effettivamente il fulcro di quella ricerca, la soluzione al problema che si è posto finora. Ma per quanto riguarda il resto va a risponderle in maniera forse più articolata, giacché più articolati sono i suoi pensieri. < Konoha è un luogo fisso, i suoi confini sono ben definiti, non può stringersi né allargarsi per una singola persona. > questo per far capire che non è Konoha la sua prigione, ma un qualcuna di più intimo e personale < Sai, Hana… > una piccola pausa, lo sguardo si abbassa su un punto indefinito del piano in legno < …era arrivato il momento che io mi chiedessi se quello pensavo facesse bene al villaggio fosse effettivamente buono, se valesse la pena rischiare che un grande potere così potesse scatenarsi senza controllo, solo per avere un soldato in più nell’esercito. Era all’epoca che mi chiedevo se potessi essere quella figura ispiratrice di sicurezza. Ora lo sono diventato davvero. E non solo per Konoha, quanto per chiunque ne necessiti. > In maniera che non si tratti più del semplice “fai del bene al tuo villaggio”, ma “fai quello che ritieni corretto”. È un rendersi più leggero, meno pressato dai doveri che una carica pubblica ti pone sulle spalle. [C on]

21:39 Hana:
  [Casa Kazama] Ah, eccolo l’incipit dell’Akend-ite. Domande pseudo retoriche che iniziano con una pseudo negazione, atteggiamento da pensatore, ari assorta e solito incipit da “E’ davvero così importante” e… Oh, no. Con lei non attacca. Non ha mai funzionato quando è stato il Sennin ad usare questa metodologia da sempre fallimentare nei suoi confronti, sicuramente non ci riuscirà nemmeno il Nara. < Attualmente, sì.> lo smonta, tranquillamente, appurando la propria prospettiva – del resto, cosa vorresti sentirti dire a colei che si considera l’oggetto, lo strumento per eccellenza? Specie se si tratta di una “cosa” che vive in funzione di Konoha: questa volta non ha trovato terreno fertile in cui far attecchire parte del suo ragionamento. < Pensi non sia importante il simbolo sul tuo copri-fronte? Forse non sarà importante ostentarlo > ed è questo uno dei motivi che ora l’hanno addirittura portata a legare il copri fronte intorno alla coscia destra, difficilmente alla portata dello sguardo di chi non si sofferma a ricercarlo < ma a me importerebbe qualora ci fosse una sbarra sopra. Mi importerebbe in qualità di shinobi, non in qualità di persona.> gli dà modo di comprendere che, per quanto “umana” possa essere in qualità di ninja si sentirebbe a trattarlo col riguardo di un mukenin in caso. Non aggiunge altro, come l’estranea che è non ama particolarmente esporsi benchè risponda ad ogni domanda: non ama particolarmente l’idea di poter cedere all’ennesima persona il suo punto di vista che la vede molto più logica e “oggetto” piuttosto che sentimentale e “persona”. < E perdonami, se non sono lo stinco di santo che posso sembrare a primo acchito, ma capirai che come chiunque altro con un briciolo di fedeltà verso il proprio paese penserebbe di più agli interessi di quest’ultimo che al resto.> lei, forse atipica, penserebbe agli interessi del paese piuttosto che ai suoi addirittura. < Non esiste il bene senza il male, Azrael. > e lei ne è la testimonianza vivente: tra bianco e nero si ritrovano le facce uguali ma diverse del mondo. E’ essenza nel mezzo, che non s’erge né sul bene né sul male. < Come dico sempre, ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria.> sembra non esserci un giorno in cui questo principio non la segua. < E allora non ti resta altro che constatare se effettivamente la tua ricerca darà i suoi frutti.> la fa passare quasi come una cosa che non dipende da lei, sebbene abbia tranquillamente accettato la sua proposta. < Mhn.> comprime le labbra, ora, allungando la destra verso il suo viso: non lo sfiorerà né proverà a toccarlo, sebbene le dita affusolate siano direzionate verso la cavità orale: tenterà d’ammutolirlo, questo sì, ponendo ascolto all’unica parola che ha proferito poco prima: Hana. Le è sempre piaciuto sentire come suona il proprio nome sulle labbra degli altri e ora, in maniera quasi folle, sembra ammutolirlo dandogli l’idea di chi sembra esser concentrato su altro – come chi pare aver avvistato o percepito i “ladri in casa”, lei non fa altro che dare adito all’eco del proprio nome nella mente. < Mhn, continua pure per favore.> pigolerebbe, qualora si fosse ammutolito. E cosa abbia spinto Azrael ad allontanarsi da lì non è di certo una preoccupazione della Hyuga che, a sentire quella prole, quasi le parrebbe di rileggere un libro di storia secondo il quale < Dicono che un solo chicco di riso possa fare la differenza.> ma è una constatazione del tutto futile, comparata al resto della frase. < Diciamo che sei andato alla ricerca di risposte, e le hai trovate. > susseguono pochi istanti di silenzio <Almeno a te è andata bene.> e con questo inciso, poco marcato di proposito, sembra dire tutto e niente: manco l’avesse piazzato lì a caso. Eppure ci son poche cose che nell’effettivo fa a caso. < Ahn.> una figura ispiratrice? Che ironia. E dire che lei, in un team di estranei, forse non si fiderebbe nemmeno a pagarli. Questo è sempre stato il suo più grande problema: la sfiducia. E forse, l’unico a saperlo, è solo lo stesso Hitomu – a legarli il sangue, ma a separarli inizialmente la sfiducia che l’ha sempre distaccata da qualsiasi altra persona. E ora che prova fiducia per un paio di persone, che si possono contare sulla punta delle mani, non le resta che inclinare il capo e guardarlo senza neanche tanti problemi < Eppure, io non so se mi fido di te. >

16:13 Azrael:
 C’è un qualcosa in quella ragazza che ha dell’interessante ed è l’unico motivo per cui le sta ancora parlando, altrimenti avrebbe già trovato la scusa per troncare il discorso. Invece è interessante capire quanto una ragazza relativamente in giovane età e senza tutte le cicatrici che una lunga carriera da shinobi potrebbe portare sia arrivata a pensare in quel modo, non solo del Villaggio, ma anche di se stessa. Parla come se fosse costantemente un proclama proveniente dalla Magione, piuttosto che una persona in carne ed ossa dotata di una propria individualità. Da un certo punto di vista quello è esattamente il tipo di punto di vista da cui voleva salvarsi. Non accetterebbe mai e poi mai di essere un oggetto al servizio di qualcosa o qualcuno, alla fin fine non si tratta nemmeno di non volere, ma di non potere. Ci ha provato, eppure la cosa ha minato alla base la sua psiche portandolo all’instabilità, all’accettazione di quel marchio maledetto che porta inciso sul petto, al pensiero che se perdesse il contatto con la realtà avrebbe potuto accartocciare la stessa distruggendo ciò per cui ha tanto lavorato e che ha sempre giurato di difendere. < Sono punti di vista, Hana. > pronuncia nuovamente il suo nome come ad assaporarlo, come se quell’agglomerato di fonemi gli avesse provocato un certo gusto nell’essere pronunciato e ne volesse provare le varie sfaccettature sulla lingua < Se un mukenin di un altro villaggio ti rubasse il copri fronte e se lo attaccasse alla coscia come fai tu, ciò lo renderebbe uno shinobi di Konoha? > Forse ufficialmente sì, ma non nelle intenzioni, è questo quel che vuole dire. < La volontà del Fuoco non risiede in un pallido pezzo di metallo. > È un qualcosa di innato, un qualcosa che può avere un Konohano, ma anche un Kusano o quant’altro, è una cosa insita all’uomo, non al ruolo o al luogo di provenienza. Tuttavia c’è una ragione se tale blasonato valore ha una concentrazione molto più alta nel paese in cui risiede il florido villaggio della Foglia < Ogni uomo, donna o bambino che risiede in queste terre vive respirando e sperimentando l’aria che ha reso grandi quei nomi vergati nei libri di storia, incisi nella roccia, Hitomu stesso senza il suo copri fronte è sempre l’Hokage che tutti noi, io per primo, amiamo e rispettiamo. > ed il discorso vale anche al contrario, infatti < Kuugo stesso aveva uno, cento, mille copri fronte a sua disposizione. > Non aggiunge altro, certo che la fama di quell’uomo sia abbastanza da spiegare il proprio punto di vista, la questione che un oggetto non determina un valore, non ti rende diverso dalla persona che sei né dovrebbe provarci, perché l’alienazione porterebbe un individuo alla pazzia, qualora dovesse scindere se stesso in più parti. Un po’ quel che stava succedendo a lui, che non saprebbe spiegar meglio di quanto ha fatto al momento. < Io l’ho fatto proprio pensando al paese e a chi vi abita. > Resta tranquillo, il tono piatto e l’espressione neutra nello spiegare un concetto che difficilmente sarà compreso. < Sembra una frase fatta, ma da un grande potere derivano grandi responsabilità. > Una piccola pausa, un sorrisetto appena appena accennato ad accompagnare il concetto che sta spiegando con quanta più minuzia riesce < Daresti in mano un ordigno dal livello di pericolo altissimo in mano ad un inesperto ragazzino incline a forti sbalzi d’umore che lo portano a compiere azioni irresponsabili e nocive per se stesso e per chi lo circonda? > attende una risposta, non saprebbe trovare parole migliori per descrivere se stesso e la situazione in cui si trova con il sigillo maledetto esteso a tutta la pelle, prendendo possesso del proprio chakra e della propria mente per sostituirla con quello estraneo e deleterio per mente e corpo. < Io no. > si da’ dunque una risposta a prescindere dal fatto che ne sia o meno venuta una anche da Hana. < Ma qualora quell’ordigno gli sia attaccato alle mani e lui stesso si rendesse conto che potrebbe farlo esplodere in un momento di rabbia… non credo sia da biasimare se pensi prima alle persone cui andrebbe a nuocere l’esplosione ed andasse a cercare un balsamo per la propria instabilità mentale. > E tant’è. Meglio di così non c’è una spiegazione. Non è nato tutto da un egoistico bisogno di pace, l’input gli è stato dato da quando ha quasi ucciso Shusui, dalla distruzione cieca scatenata per fortuna contro nemici della Foglia, ma comunque esseri umani, da quando ha quasi aggredito la stessa Mekura per aver tradito la sua fiducia. È per tutti loro che lo ha fatto, per non rischiare di mettere in pericolo nessuno più di quanto lo facessero le minacce esterne da cui difendeva e difende tutt’ora il villaggio. < Non sarò mai e poi mai un nemico del villaggio, preferirei morirne. Questa è casa mia, mia madre ancora è qui tra le mura della Foglia > che poi sia in prigione è un dettaglio che viene volutamente omesso < Diciamo che la definizione corretta al momento sia… > si ferma un secondo, per pensare egli stesso a come definirsi < …libero professionista, forse. > ridacchia alle sue stesse affermazioni, non perché non le prenda sul serio, anzi, ma perché certi concetti spiegati a parole e non a fatti paiono quasi goliardici. Ascolta infine le ultime parole che lei gli rivolge e non se la prende affatto, anzi < Oh. > Le labbra a formare la stessa lettera cui corrisponde il suono vocalico appena emesso, poi a distendersi in un’espressione serena e rilassata, alzando le spalle per un attimo prima di riabbassarle – il classico “fare spallucce” – socchiudendo gli occhi per poi riaprirli appena riprende la parola. < Mi sarei stranito del contrario. Nemmeno io mi fido di te. > Non è tutto qui quello che ha da dire, che se non aggiungesse altro sarebbe ben poco chiara la sua intenzione. < Come potrei? Ci siamo parlati solo due volte, non abbiamo mai lavorato assieme né sul campo come shinobi, né ancora come tatuatori. > che poi a quest’ultimo punto troveranno presto una soluzione in quanto lei ha accettato la richiesta di aprire con lui uno studio e di tenerlo per esercitare la loro professione su larga scala. < Mi fiderei ancor di meno se avessi dichiarato di riporre già in me chissà quale speranza. Troppo spesso ho visto stolti confondere questo concetto così labile… > la fiducia, appunto < …con la semplice necessità. Il BISOGNO di fidarti di qualcuno, solo perché si prodighi per te in una singola occasione. > calca volontariamente quella parola, arricciando l’angolo delle labbra in una chiara espressione di disprezzo verso la categoria di individui di cui ha appena parlato. < E poi chi si è visto si è visto. Capisci quel che intendo? > Si lascia ad un attimo di pausa, per assicurarsi che lei lo stia seguendo e che abbia qualcosa da dire o semplicemente un cenno del capo per fargli capire se sia o meno d’accordo con quanto sta dicendo < Un giorno magari cambierà, magari un giorno ti fiderai di me, delle mie azioni. Ma non sarà mai oggetto di pretese da parte mia, te lo assicuro. > Termina dunque, sollevandosi dal tavolo per raddrizzare la schiena e lanciare uno sguardo fuori dalla finestra, ove le ultime luci del pomeriggio si arrossano per lasciare spazio alla notte e alla luna. [C on]

16:54 Hana:
  [Casa Kazama] Quanto l’ultimo bruciore dell’alcol lascia la gola come sede, e la saliva pare addolcire il grumo formatosi in gola, riesce a comprendere che le ultime increspature rossicce della giornata sono pronte a lasciarsi indietro uno strascico scuro che metterà a nudo le nuove stelle della serata: nonostante ciò, la cosa non sembra pesarle minimamente. D’altro canto, da principio si era prefissata di spendere questo tempo per l’ex anbu ed ora come ora mentirebbe a se stessa dicendo d’essersene pentita. E’… rilassante staccare la spina, dopo un po’. Alzare lo sguardo, rendersi conto che non esistono soltanto libri. E poi perché no? Concedersi la bellezza di un viso nuovo, una volta tanto, che non rimarchi i lineamenti somatici del Kage, o di suo cugino. E poi, dopo tanto tempo, forse anche quelli di Akendo. Socchiude le palpebre, creandosi un velo di oscurità sul quale andare ad incidere le sue parole – analizzarle, inspirare e ricavarsi un varco come fa l’acqua, levigando la roccia e scavandosi la strada. < Ma adesso stai deviando il discorso, tirando acqua al tuo mulino. Il copri fronte di questa discussione è un simbolo, non inteso di certo come la placca di metallo o di tessuto di cui è formato. Il copri-fronte ti identifica, del resto – se così non fosse perché darne uno ad ognuno di noi? > di certo non è lì per minare alle convenzioni della società: c’è chi, in quel pezzo di metallo, c’ha riposto speranze e sacrifici non indifferenti: certo, lei nonostante tutto è una di quelle che apparentemente non risulta aver fatto chissà quanti sacrifici per averlo. Una di quelle menti così duttili da riuscire ad adattarsi a tutto o quasi, una capacità forse innata – non solo il byakugan, ma quella di riuscire ad essere versatile nei jutsu e riuscire sempre al primo colpo manco la fortuna le fosse favorevole. Una di quelle che, qualora avesse frequentato le lezioni “con gli altri” si sarebbe ritrovata con mille occhiatacce per la capacità d’apprendere in fretta. Non ha un arazzo di cicatrici dietro la schiena, non sembra aver ceduto qualcosa di particolarmente doloroso – il sacrificio più grande che ha fatto, tuttavia, è stato quello di annullarsi. Annullarsi per gli altri, facendo del suo corpo uno strumento e della sua mente qualcosa in grado di poter pensare argutamente ma negli schemi del villaggio. Forse non è sbagliato dire che sia riuscita ad andare “aldilà” di determinati pensieri, semplicemente ha scelto di rifugiarsi nei tre capisaldi del suo indottrinamento e non venirne meno. < Il copri-fronte è una scelta. Una scelta in cui noi ci rispecchiamo. E’ di questo copri-fronte che io parlo. Kuugo stesso ne aveva uno, cento, mille – ma il suo sarebbe stato il primo copri-fronte sbarrato di quella moltitudine. Siamo d’accordo, è la volontà di chi c’è dietro la placca di metallo che esprime cos’è una persona. Eppure, la stessa placca di metallo è capace di esprimere la stessa volontà, di conseguenza la persona che c’è dietro.> Hitomu stesso senza il suo copri-fronte. Ah, la cosa potrebbe anche farla sorridere – in maniera innocua, s’intende, seppur non sia mai stata avvezza a concedere risa e gioia spargendoli sul campo come fossero chicchi di riso. Del resto, Hitomu davvero è senza il suo copri-fronte: il suo è proprio lì, legato alla coscia della shinobi, in attesa di essere restituito un giorno. < Se tu scegli di privarti di una cosa che per te è un simbolo, non stai rinunciando all’oggetto. Stai rinunciando a quello che rappresenta che è – indirettamente – qualcosa che rappresenta te.>umetta le labbra, cercando di riportarlo nel seminato della propria discussione < Quindi, in conclusione, affermo: sì, attualmente è importante.> inspira, sollevando il capo dal palmo destro sul quale si era adagiato < Ma ovviamente, hai ragione: punti di vista. Rispetto il tuo.> tentando di accantonare lì il tutto, ammesso e concesso non abbia altro da dirle – accoglierebbe la discussione senza remore. Dare in mano ad un bambino un giocattolo pericoloso? Lei < Nemmeno io.> Non lo farebbe mai < Eppure > aggiunge < ho visto qualcuno farlo.> ha visto semplicemente chi, supponendosi un Kami sceso in terra, le ha dato in mano una spada e le ha detto “uccidimi, non è questo quello che vuoi?” – eppure, col tempo, non ha potuto far altro che maturare la concezione che soltanto chi crede fin troppo in se stesso e nella possibilità di scamparla potrebbe azzardarsi a spingersi così tanto: è sempre stato particolarmente assurdo il rapporto che ha cucito con il Sennin, le basterebbe poco chiamare quel nome in campo e fargli comprendere il suo punto di vista – del resto son passati tre anni, non è sicura che sia riuscito a conoscere a fondo uno come lui eppure un minimo avrà compreso della sua figura. Nonostante questo, tace – tranquilla. Come se tutto ciò non la riguardasse, come se nell’effettivo avesse paura di scoprire quella piccola e sottile ragnatela di legami non fittamente intessuta, essendo ben poche le persone che considera vicino a sé. Inoltre, l’ha già detto – non si fida. E nemmeno lui lo fa: alla fin fine, perché omettere determinati dettagli del suo viaggio? Per una come lei, una Hyuga attenta alle indiscrezioni, non è difficile comprendere che Azrael non è uno sprovveduto ed è con lo stesso riguardo che lo tratta, senza venir meno – si spera – alle sue aspettative. Annuisce, quel concetto di fiducia per… < Convenienza, certo.> quella è la “fiducia” più vicina che può provare lei, in un contesto di team con shinobi estranei. Una fiducia per convenienza, come fare altrimenti? < Sarebbe assurdo pretendere da me una cosa che dovrai guadagnarti tu, non credi?> per quanto le sue gesta lo precedono, è più forte di lei – non riuscirebbe a donargli un grammo di fiducia in più. < Ma voglio crederti, quando dici che preferiresti morire per Konoha. E’ stranamente quello che mi aspetto da te.> Di certo non è mai stata ipocrita, eppure una trasparenza di questa portata risulta letale quando c’è da ammettere che preferirebbe veder morire lui o se stessa piuttosto che Konoha. Questione di principi. Rialza lo sguardo sulla figura di Azrael, accostato alla finestra nell’effettivo la riporta alla realtà. < Temo si sia fatto tardi anche per me > e nello stesso momento, si ridesterebbe rialzandosi e raccogliendo le poche cose che aveva con sé, lasciando però il disegno che ha portato inizialmente. < E’ stato… piacevole.> sì, non può negarlo. < Ti auguro una buona serata, Azrael.> pigolerebbe, consapevole di doverlo rivedere per definire i dettagli del loro “lavoro”. Congedandosi con queste parole, dovrebbe uscire di scena – scortata o meno dal ragazzo – avviandosi fino ad essere inghiottita dalle luci di Konoha. [ E x i t ]

21:08 Azrael:
 Non sente di avere qualcosa da dire riguardo il discorso del copri fronte. Scuote la testa, visivamente divertito, ma non dalla persona che sta pronunciando quelle parole, né delle parole stesse. Più che ilarità è semplice giubilo nel sentire che qualcuno ha idee differenti, ma ben argomentate, qualcuno a cui non importa della persona con cui sta parlando, che sia più forte o più famosa o chissà quale altro motivo di timore reverenziale, purché le lasci esporre il proprio punto di vista. Quel genere di persona che lui adora alla follia, senza di cui avrebbe già reso ogni terra su cui poneva piede una landa desolata, fino a farsi riconoscere come nemico pubblico. Ma, alla fine di tutti questi discorsi, il suo copri fronte è appeso in armadio, non lo ha ancora riconsegnato e chissà se mai lo farà, non ve ne è bisogno alcuno, al momento. Un giorno magari potrà incidere quel simbolo nelle proprie carni, come tatuaggio. Magari ha davanti la tatuatrice che glielo imprimerà. Nel suo religioso silenzio si prende qualche prezioso attimo per osservarla meglio, ne memorizza i tratti, le curve, i punti di luce ed i punti d’ombra del suo volto, il modo in cui gli ultimi raggi di sole le si posano addosso, carezzandola come fossero una persona fisica. < Saresti un soggetto meraviglioso per un disegno. > Mormora, come fosse un pensiero che gli ha attraversato la mente troppo forte e troppo velocemente perché fosse filtrato prima di uscire dalle labbra. Quasi non s’è accorto di averlo detto davvero, è troppo preso a vergare mentalmente quei tratti col carboncino sulla tela. < Io mi aspetto lo stesso… > riguardo il morire per Konoha, tuttavia, pur nell’ottica che altro non si aspetta da qualunque shinobi della Foglia. < …ma spero sinceramente che non ti accada. > Non che non accada in generale, ma che non accada proprio a lei. Si solleva ora, accompagnando cordialmente la Hyuga alla porta, aprendogliela in maniera da non farle fare troppe manovre dato anche il carico della tela che deve portarsi dietro. Ma nel momento in cui sta per andarsene, sente come qualcosa che gli preme a livello nervoso, un qualcosa che DEVE in maniera più assoluta dirle e dire a se stesso. < Tuttavia. > si aspetta di attrarre la sua attenzione prima di terminare < Più che morire per Konoha, preferisco uccidere. In fondo… > Una brevissima pausa, accompagnata da un sorrisetto complice e non troppo evidente < …a morire son bravi tutti. > E detto ciò richiude la porta alle spalle della giovane, seguendola con lo sguardo finché riesce all’interno della sera del villaggio della Foglia. [END]

Discorsi ideologici, proposte di lavoro, confronti. Insomma, secondo me una bella giocata, che va letta per essere compresa.