錯覚地獄 - Fin dove può arrivare, l'amore di una madre?

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17:16 Kurona:
  [Cuore della Foresta] Ne è passato di tempo da quando ha sostato in questo posto l'ultima volta. Dopo una serie di notti insonni, dove fotogrammi sbiaditi le hanno disturbato il riposo, eccola come uno spettro nello stesso identico posto, in cui l'ha vista l'ultima volta. Avrebbe voluto-- trovarla altrove. Al Lago Nero. Dove s'erano promesse d'incontrarsi ogni volta ci sia stata l'opportunità. Magari, dopo la guerra. Gli occhi color dell'agonia, schizzano come furie lasciandosi dietro una scia-una scintilla rossa, come se temesse di trovar davvero quella lapide: Come i solo i mostri sanno amarsi. Chiudesse gli occhi, per assaporar la speranza di esser solo una donna frustrata e sotto pressione, rivedrebbe come un vecchio film quella scena. Sua figlia- si, sua figlia, è sempre stato un elemento particolare. Aggressività, dietro uno sguardo tanto simile al suo, da farla rabbrividire. Parole inappropriate per una promessa reale. E forse, neanche possiamo realmente renderci conto di quanto le sfumaure di Kurona -oh, oh, no--chiamiamola con il suo vero nome, ora: Ruko- di quanto Ruko stessa, sia umana. Di quanto faccia male l'esser usata come bestiame e riveder in Enma qualcosa di suo, ma non abbastanza. In parte, questo contribuisce all'unico spicchio d'umanità e ragione della Kokketsu. Riuscire ad amarla, come si ama davvero. Senza smania, senza bordi, senza desideri inopportuni. Vestita d'un dolcevita a collo alto con le maniche mozzate al giro della spalla. Semplice cotone che l'avvolge, fasciandone curve sterili e quasi acerbe, si direbbe. Il costato compatto, il collo lievemente allungato, i fianchi che son poco di più di un accenno. E l'immobile respiro che ne muove la siluette, ricorda il sonnecchiare di un drago. Furiosi sbuffi. Le ossa che pigiano sulla stoffa, come se ci fosse una bestia sotto quella pelle. L'haori a tre quarti, tipicalmente maschile, dotato d'un colletto poco più rigido della seta e rialzato fino a coprirne la bocca, riporta sulla linea della colonna vertebrale i kanji "inferno" e "sangue", ricamati a mano, in un rosso vermiglio, ma mai lontanamente denso come quello di quegli occhi. Il suo aspetto--con quella gittata di rosso sfumato sulla palpebra bassa dell'occhio- è come quello di chi ha paura di trovare qualcosa. E--allora--ci domandiamo.. Perchè, lo stai cercando? Perchè l'istinto materno, è l'ultimo tassello del giusto colore in questo mosaico astratto. [CK ON]

Nutrita per cinque giorni da incubi, sfamata con l’ansia a gravarle sulla nuca, cullata tra le braccia spinose di Morfeo con la stessa premura che una madre impiegherebbe nell’allattare la propria figlia. Malattia e Morte fanno cenere del fuoco che per voi due arse: di quella fiamma, soltanto la polvere. Di quei grandi occhi fervidi, così tetri in cui il tuo cuore annegò, di quei tocchi d’affetto, di quei moti più vivi che raggi, cosa resta? Null’altro che lo schizzo sbiadito, a matite di tre colori, che, come te muore in solitudine e che il Tempo, vegliardo ingiurioso, ogni giorno struscia con la sua ala ruvida. Rami nodosi che, come la china caduta sul foglio di riso, tingono la volta con le braccia di legno e protendono la loro preghiera verso un cielo al quale non si riesce a far appello. Le plumbee nuvole costruiscono, prepotenti, una cappa d’oscurità che adirata si ramifica su tutta la foresta ove l’alone del Tristo si spande copiosamente, come una cancrena, in grado di alitare sul collo di chi osa anche solo assaporare sulle labbra il retrogusto della pioggia che fende l’etere, violenta, come solo una pioggia di aghi potrebbe. Il vento trascina su di sé spiraglio di morte, sentinella di notizie che squarciano il cielo in due accompagnate dai fulmini – quasi le uniche fonti di vera e propria luce, in procinto d’irrorare la saturazione della volta imbrunita. Il travaglio di un’anima inquieta, al cospetto di questo tribunale infernale, delizia lo sguardo di chi si professa assente: niente potrà notare colei che, Nera assassina della vita, non ucciderà mai nella mia memoria pene e condanne autoinflitte – solo le grinze di un lago che si rifocilla d’acqua attingendo dal cielo, creando quasi un ponte, una continuità fatta del suo stesso elemento. Persino nella fanghiglia potrà ritrovare qualcosa in grado di trattenerla, in quella pastella di terra e acqua che appiccicosa – come resina dei pini – sa costruire per le suole delle sue scarpe un collante in grado di trattenerla per pochi secondi, incentivandola a far pressione e forza per issare i piedi. Sulla scia del medesimo rombo, l’acqua del lago dapprima agitata a causa dell’irruenza piovana, pare man mano calmarsi e stendersi come un velo impedendo alle sole gocce di frantumare la composizione dell’acqua: assorbe, senza levigarsi né mutare benchè sia proprio il mutamento il principio essenziale dell’acqua. Nell’emulare il cielo e riflettere la voluta scura, la stessa composizione del lago muta man mano assumendo caratteristiche sempre più dense e tetre, tant’è che man mano inizierà ad innestare la propria trasparenza nel buio e nel nero che sembra sapere della pece. La testa pesante, il cuore martellante: l’affanno, l’ansia, il timore. Cosa può, in questo momento, solleticare più il tuo cuore? Di quanta oscurità hai bisogno per nutrirti? Spezzetta chicchi di inquietudine, lei, nutrendola con lo stesso affetto con il quale la stessa Kurona ha curato il proprio ventre per nove mesi. Un miracolo? Così l’avrebbe chiamato, colei che – affacciandosi alla vita – non avrebbe mai pensato di trovare un ventre arido come ricovero. E adesso che l’unica cosa arida, sembra covarla in petto, cosa farai? Perché cerchi? Perché lo fai, soprattutto dopo <… E’ così, mi dai fuoco. Come la terra bruciata che pensi di vedere più fertile.> una voce, sottile ma allo stesso tempo ponderata, dalle sfumature sufficientemente inquietanti sembra provenire dal lago. C’è bisogno di uccidere il vecchio, per un nuovo migliore: è questo quello che pensi, Ruko? Come pretendi di cercare qualcosa di vecchio, dopo aver detto di voler rinunciare? Di voler fare terra battuta? A lei basterà gettare uno sguardo verso il lago per poter rimanere impigliata nel riflesso del suo volto, rabbrividire che nell’impressionante identicità con la persona cercata ella stessa ne riveda le sembianze del proprio essere ma dalle sfumature diverse: vede la propria immagine, Ruko o Kurona che dir si voglia, l’immagine di una donna che nonostante tutto sembra proteggere con orgoglio il proprio Clan. Eppure, quegli occhi… < Ho cercato nell’amore il sonno dell’oblio; ma l’amore, per me, non è che un materasso d’aghi.> lei non parla, lo fa il riflesso per lei di un fantasma passato. E le basta questo per capire che forse ha trovato quanto cercato. O forse no. |

18:01 Kurona:
  [Cuore della Foresta] Si dice che il tempo si rifletta in qualche modo sui nostri desideri: Con il sole siam allegri, con la pioggia malinconici, con il temporale arriva una vena di tristezza. Una fitta allo stomaco, che ci spinge ad esser negativi, con noi e con tutto quello che ci circonda. Ma non abbaseremo Kurona a rifletter il tempo, quanto il tempo, a rifletter Kurona. Come le nubi che avvolgono la Foresta che separa il paese del suono, dal paese del fuoco, una venatura violacea spacca a metà il silenzio, rimbombandole tra le pareti di quella scatola cranica affollata e dolorante. Il viso corrucciato in una smorfia che penzola tra il fastidio, ed il nervoso. I passi -la corsa- che si sussegue senza sosta, dovesse ripercorrere tutto d'un fiato l'intero perimetro della Foresta e setacciarlo fino a svenire in terra. I capelli corvini lasciati oscillare sopra ed al di la delle spalle; Quant'è che Kurona ha smesso di curarsi di se? Mesi? Le punte fradice che escono verso l'esterno della capigliatura, gonfia, arricciata, pende fino a sfiorar e appiccircarsi al fianco, al costato. Contro la guancia lucida di pioggia, contro la fronte--quella frangia mozzata. Lascia dietro di se, la leggera brina, come una scia d'acqua spruzzata. Che slitta sul capello, e l'abbandona, mossa dalla forza di gravità. Si fermasse, non sarebbe poi tanto diversa da quella, a dire il vero. Si lascerebbe andare, morire, soffocare, nella paranoica sensazione che sia presa in giro da se stessa. Maestra dell'Illusione, illusa da una sciocca radice umana; sarebbe quantopiù ironico, non è vero? Oh, la grande, la grande ed eroica Kurona. Dal ghigno snervante e dalla flemma intoccabile. Colei che s'è battuta per Kusagakure in onore di suo padre. La grande insensibile Kurona che gioca con i sentimenti di un uomo. E con le paure di una donna che si sente minacciata. Questa sagoma di carta, manga rifinito ed innalzato ad esser arte ultimata -- che vien pateticamente sconfitta dalle sue stesse debolezze, che per assurdo, altro non vorrebbe -non potere, non verità, non soldi, non fama- che ritrovare la sua.. Bambina. Quando il sonno della furia s'interrompe, ricoprendo lo scroscio delle sponde del lago, dell'acqua piovana che batte sullo specchio e ivi si mischia, mescola, viola nel viola, arresta il passo rimanendo sul lato -a qualche metro- della riva. Le labbra dalla pigmentazione rossa che si schiudono, ansimanti, lasciando che oziose gocce solchino la pelle, dalle gote, alle labbra stesse, percorsa da torrenti che-- dopo una terribile nottata del quinto giorno d'incubi, son mera acqua e non lagrime. Abbandonano il viso, riluttanti, scivolando oltre il mento, tra l'erba novella di quest'anno. S'incrina a destra, a sinistra, andando a ricercar il suo interlocutore. Ma--il suo interlocutore, non è altro che una sagoma sul ciglio del lago. Una sagoma che la riflette, in tutto il suo patetico splendore. Il ciglio destro che s'inarca, in uno sguardo arricciato e torvo. <..> Schiude le labbra-- ma per quanto possa voler ribattere, non ne esce nulla, nulla se non un sospiro. Aver tentato di bruciar il vecchio, per un nuovo migliore? Oh--oh l'ha già fatto molte volte. Molte volte, s'è costruita da sola. Dall'Okiya in cui è stata venduta. Ad oggi, volesse cambiar vita, sgretolerebbe quella corrente- Ma a volte, gli spettri ritornano. Come Kiryuu. Come Enma. E lei, che solo avrebbe voluto disperatamente il loro amore, finisce per ritrovarsi qui. A bocca asciutta. E con il cuore-- arido. <Non giocare con la mia mente. Non ne sei all'altezza.> Chiunque tu sia. Chiude gli occhi, docile, immergendo la punta dell'anfibio nell'acqua e rialzandola, come a voler distruggere la sua figura. Una figura che lei, non riconosce più. <Non sono nella posizione d'esser giudicata, da molto tempo. Ho già pagato per i miei peccati.> Certo, magari non con lo stesso peso. Ma--Kurona, del resto, non ha mai dato peso ai suoi peccati. [CK ON]

Pagare per i tuoi peccati. Davvero lo pensi? Eppure a te stessa non puoi mentire, ed in quello sguardo riscopri la consapevolezza che stai negando a te stessa anche solo di facciata: quella di esser cosciente di non aver saldato nemmeno un quarto dei tuoi gesti e delle tue intenzioni, che siano passate, presenti o future. Il tuo Karma ridotto in debito e tu, incapace di accumularne in maniera positiva, non sai come smaltirne il residuo per raggiungere la tua pace interiore. Sai che, per quanto tu possa aspirare al Nirvana, questo ciclo samsarico non smetterà mai di tormentarti – e non rivedrai mai la faccia del Demone che, dopo la tentazione e le cento vite, sarà in grado di farti raggiungere il paradiso. Quella è roba per Santi, è roba per anime pie. Questa che senti, effimera è terrena, è solo una preparazione. Batte le palpebre lei che da te ha imparato a svezzare il suo interlocutore con il medesimo ghigno snervante ed isterico, mentre lembi di consistenza fanno del suo riflesso qualcosa di più. Come polvere soffiata via nel deserto, i tratti di troppo vengono lentamente sottratti da quel visto che assume le sagome del tuo fiore – tuo, esattamente come l’unica cosa che effettivamente puoi sentire tale. Un pezzo di te. Non è all’altezza? < Da una tua costola sono nata io. > metaforizza, lasciandole intuire che oltre al semplice concepimento vi sia dell’altro: esattamente come all’esegesi, un legame che trascende ogni forma di affetto blando, un rapporto di dipendenza e comunione che ha addirittura le sfumature del sacro che pare dimenarsi alla presenza di così tanta profanità. < Chi se non altri che me, può riuscirci?> sentenzia, serafica, lasciando scorrere il flusso delle sue parole per incentivare il magnifico fiume del suo piano che finisce nel cuore della madre, la sua menzogna pare inebriare e la sua anima abbeverarsi ai flutti del dolore che fa sgorgare dagli occhi: adesso li vede, distinti, quelli di Enma. Il suo viso che pian piano riaffiora, nella memoria, con prepotenza – la sola forza che possono avere i pensieri dolorosi, quelli che si tenta di reprimere. < Chi, se non io, può giudicarti?> scevra di qualsiasi aforismo, concisa come poche volte ha fatto: la sua esile corporatura immersa nel tessuto nero di un kimono floreale, un obi bianco a fasciarle la vita ed i capelli neri in uno chignon legato dietro il capo. Emerge lentamente dal lago, quasi sospinta dai flutti, mentre la destra vien protesa in direzione del viso di Kurona. < Giocare.> calca quella parola, come fosse una cosa nuova. < Oh, madre. > pigola, mordendo il labbro inferiore: lascia quasi intendere, con quelle parole, il tempo trascorso e privo di giochi. < Quanti me ne devi?> Quanti “giochi” le devi? Quanto tempo le devi? Nonostante tutto, per quanto possa esentarsi dal marasma umano, ella non è altro che l’egoista che sembra. Ed è forse questo che, dopo aver tentato d’accarezzare il viso di Kurona, congederà l’arto destro per poter ricercare il polso altrui con una certa irruenza che pare sfociare anche nella violenza. < Non posso lasciarti andare.>< Non ora che ti ho ritrovata.> suonano quasi come un deja-vù, una mina vagante per la mente di Kurona: le stesse parole che quel giorno si sarà sentita dire e che ora sembrano addirittura scavarsi la strada, come l’acqua, nei suoi ricordi. E più salgono a galla, più la morsa altrui stringerà sul polso con l’intento di bloccarla lì. Con la mancina provvederà ad estrarre dal Kimono un kunai, la punta scintillerà sotto lo sguardo di Kurona mentre la stessa Enma proverà a porgerglielo < Ma puoi scegliere di porre fine al nostro gioco ancor prima di iniziare: che magnanima sono.> Liberarti di lei nel modo in cui avrai già compreso, ma allo stesso tempo evitare l’unica possibilità che hai di rivederla. Attende, muta, aspettando che sia Kurona a fare la sua scelta: prendere o rifiutare?

19:04 Kurona:
  [Riva del Lago] Con tutto l'astio che si può impiegare nel guardare uno stupido riflesso, rimane li -perchè, ci rimane poi, è tutto un dire- a sentir quel che ne esce dal riflesso. E le spalle, come portatrici di grandi macigni, s'abbassano in una curva triste e spossata. Un mezzo passo, ne gira il corpo per trovarsi di rimpetto a quella sagoma instabile nell'acqua tormentata da nuove e perpetue gocce. Ed è nella sua natura, non ribattere nell'immediato a chiunque le stia parlando. Forse per il cortese gesto di lasciar spazio a chi di rivolge a lei. Forse per ponderar al meglio le sue parole. Alza il mento, lo sfumarsi di quel disegno in cui si affoga ad ammirar il poco d'arcana bellezza che gli rimane: Le labbra. I tratti, rotti da venature nere che non può più nascondere in alcun modo. E mentre sfuma, gli occhi rossi son posati con attenzione alla carotide, come rami di pioppo, che si ramifica sul collo in un alone malato, infetta da i Kami solo sanno che cosa. <Tch.> La lingua che svetta sul palato, ne fa uscire un rumorino, uno schiocco leggero, come chi palesa l'ammontarsi di un irritazione già palesata in precedenza. Ma eccola, eccola che appare-- il suo fiore, esattamente. I tratti docili, e quei capelli che un tempo eran corti e disordinati, chiusi ed adornati in uno chignon composto. Un kimono-- qualcosa che ha visto raramente, addosso alla sua piccola Enma. Indietreggia di un passo, la gamba destra che riman indietro rispetto alla gemella, preme appena la punta contro il terreno, attendendo quelle ultime parole. Una distorsione, come aghi sotto pelle, le manda frammentarie visioni di Enma, una bambina di tredici anni in un corpo da adulta, che la stringe in lacrime e nella furia, affanna il suo desiderio di non lasciarla più andare. Nell'aggressività, compresa da Kurona, di chi ha perso tutto e vuole tutto indietro. Gli occhi chiusi, il viso si abbassa come chi ha una fitta d'emicrania, andando incontro alla mano di sua figlia. <Mia--mia piccola Enma--> Il dolore di quell'allucinazione, che si distorce, ma lascia dietro di se un frammento nella psiche tormentata di Kurona. La sua--la sua bambina. E' qui. <Ti devo tanti giochi, quanto la mia vita deve tanto del tuo tempo a me..> Una frase sospirata, non è che una nenia dolce sul sottofondo strascinato del vento, delle nubi, e dell'acqua. Ed ella, come altrimenti dovrebbe reagire? Il peso del corpo si sposta in avanti, andando ad avvolgere sua figlia con entrambe le mani, con ambo le braccia, tentando di stringerla, in una morsa materna, preoccupata. Ma il brucior e la presa sul polso minuto, bendato, ne contrae i muscoli e pizzica l'attenzione. La può sentir addirittura sospirare, in una metafora, per averla trovata. <Non ti lascerò più esser troppo lontana da me, Enma. Tu-- tu non hai idea, di che sogno terribile-- di che-- Ero così, così frustrata.> Come se una passata di spugna potesse far crollare tutto, tutto quello che c'è stato prima e dopo Enma. Ogni muro, ogni barriera, ogni nemico, sfumatura, evento. Il timor d'essa, sarebbe all'ultimo posto in questo momento. Non ritira in ogni caso la mano dalla sua stretta, non ne avrebbe il motivo-- ma quando il kunai vien messo in mostra e-- nella confusione di chi non capisce, ancora un altra volta qualcosa la rapisce dalla realtà. O dall'illusione- distorsioni del viso pallido di sua figlia, la riportano ad un ragazzo di tredici anni. Pallida pelle, per occhi color del sangue e crine di nero pece. E il sangue, dal petto, alle mani, il kunai. Suo fratello. Le palpebre si serrano con violenza, mentre le spalle si muovono nello spasmo di scrollarsi di dosso quella precisa immagine. No--no lei. Lei ha pagato, per tutti i suoi peccati. Si prende solo un secondo, ansimante--cosa le sta succedendo? Un secondo per realizzare che il suo braccio non le sta notificando la presenza di Enma, legate dall'esser Anfore della Madre Tsukiyomi, qualcosa nel sangue-- qualcosa sulla pelle. Ne prende possesso -di questo pensiero- solo quando al di la della propria spalla, vede la prima punta della stella sita sull'avambraccio, coperta quasi totalmente dalle bende. Qualcuno sta giocando a farle male, qualcuno che la conosce. Il chakra in quel pigro reciclarsi di continuo, finirebbe per plasmarsi sull'intera figura della Kokketsu, andando ad allargarsi, come linfa, ricoprendone il sistema venoso e arterioso, finendo per alterarsi in suiton-- l'elemento che ne accende le funzioni. Nero, pece pura, s'attiva rigando le gote e macchiandone la pelle di schizzi di sangue. Due lacrime fan capolino su quelle occhiaie d'insonnia, morendo oltre il mento, notificando l'avvenuta attivazione dell'innata. Questione di un secondo, in cui la mano ancora dietro alla schiena di Enma.. <Enma..> Corrompe quello guardo, come se chiunque essa sia ora-- le stia davvero pugnalando un muscolo scoperto. Le bende scostate ne fanno uscire il sangue, per un metro di lunghezza composto da un bastone di sessanta centimetri, ed una lama arcuata di quaranta spessa si e no venti centimetri, che dovrebbe formarsi a filo della gola di quella figura. Uno spiraglio nelle labbra ne mostra un ghigno a denti stretti. <Ku-ku-kuku-ku> Una risata fatta di soli copetti di diaframma, mentre gli occhi pigri, raggiungono la piena apertura per la prima volta, mostrando un anello di sangue, simili--simili davvero, a quelli di un ratto. <Tu--tu non sei mia figlia.> .. <Mia figlia-- è l'Anfora della Somma Tsukiyomi. E io non sento il dolore... Della tua vicinanda--> Biascica le parole, curvandosi sulla figura che si trova di fronte, senza dare una risposta, ma ponendo una seconda domanda. La lingua biforcuta, spittata, passa discordante a carezzar come una serpe gli angoli della bocca. <Non mi prendere per il culo. Io--- conosco la fedeltà di mia figlia nei confronti di Tsukiyomi!> [CK ON 1/50][Kokketsu no Hijutsu on][-2 pv][Ninjutsu 40]

Fa delle parole e dei ricordi una gabbia indistruttibile, incapace d’essere dissacrata dai gesti e alla stessa maniera da qualsiasi arte magica. Ricompare davanti a lei, esattamente come il peso dei doveri ai quali ancora deve assolvere: nel guardarla sembra addirittura divorarla eppure, lì quando i sensi della Kokketsu paiono tirar acqua al mulino della sagoma di sua figlia, i fili di quel sottile inganno – che propriamente così non si può chiamare – vengono tesi e spezzati. Prima che il tutto si sgretoli, tuttavia, in quell’abbraccio ove la stessa Kurona percepirà il freddo incalzare sulla pelle, potrà notare come alla fin fine quel kunai si prepari a scivolare dolcemente nel dolcevita: non un attacco né il tentativo di stroncarle la vita, sembra addirittura una premura, un gesto finalizzato a “qualcosa di più” che un semplice regalo – qualcosa che inevitabilmente potrà constatare. Si sciolgono le braccia da quella morsa dove l’illusione più grande è quella dell’affetto; abbraccia un fantoccio, forse. Abbraccia un ricordo, abbraccia ciò che è vecchio e non riesce a bruciare. Quanto le ci vuole per passare da un abbraccio alla violenza? Nemmeno un battito di ciglia, e la composizione di un lirismo fatto di sangue macchia le note di questa giornata. Il sangue si mischia all’acqua e con esso forma il pugnale perfetto per quella sagoma che altro non è che un grumo di vuoto e risentimento: la pugnala, sformandola, e alla stessa maniera sgretolandola. Il viso di quella copia apparentemente consistente, ancor attaccata all’acqua del lago, si deforma non trovando tra l’agonia del dolore e la goduria per quest’ultimo una concreta stabilità. Come un vaso rotto, coccio a coccio, quella stessa immagine cade al suolo pezzo dopo pezzo ricongiungendosi con l’acqua e mescolandosi prima di dissolversi – voracemente – all’interno del lago stesso: e dire che le è bastata una semplice accortezza per svincolarsi dall’illusione, né una nota di dolore in più né un rilascio. Una semplice crepa in quel grande disegno. E se adesso la pioggia continua a rigare il viso del fiore di loto, l’acqua del lago torna calma per una manciata di secondi. E fu il silenzio. E fu rimpianto. E fu la calma prima della tempesta, un nuovo rigetto. La stessa acqua del Lago si dimena impaziente, adesso, fino a costringere le onde a diventare veri e propri colossi: un rigetto, quello dello specchio d’acqua che ora sembra più una distesa sconfinata che una pozzanghera – che s’alzerà per circa sei metri di pece nera e che provvederà ad inghiottire Kurona del tutto, lasciando al suo posto il nulla. Davanti a lei, in quel mare di pece, una sagoma: sempre la stessa, sempre il viso di sua figlia. Le braccia s’innalzano, e guardandola negli occhi le dita iniziano a formare lentamente il sigillo della capra e del cane al suono di < Ippen – Shinde Miru?> *Vuoi provare a morire, per una volta?*. Al solo suono, quell’immagine si deforma per l’ennesima volta e davanti a sé la costruzione perfetta e gemellare della Kokketsu. Così come le streghe ardono sul patibolo, così come la terra viene bruciata, ella stessa potrà vedere la sua morte: un patibolo l’aspetta, ma non è di certo l’impiccagione ad attenderla. Troppo veloce, troppo indolore. Mille aghi a trapassarla, ora, ove il più grande si presenta sotto le spoglie di un palo appuntito pronto a trapassarle lo sterno, colpendola al cuore. Alla stessa maniera, come sacrificato la figlia, ella stessa viene immolata: e le sarà difficile scindere se stessa effettiva dalla se stessa di quell’illusione che, per la grande forza psichica della Kokketsu, le risulterà tale. Lasciata a sanguinare, in quel velo illusivo, il corpo vien innalzato e al di sotto del palo che sorregge l’intera figura di Kurona una vampata di fuoco vien alimentata con legno e vento. Le fiamme la divorano, pian piano, zampillando e iniziando a divorare la pelle – sciogliendola, fino a poter vedere nello stesso fuoco i lembi del tessuto martoriato, il sangue di cui ella stessa è formata appiccicarsi al legno, nero come la pece. Pian piano, la stessa composizione del cranio perde la propria forma: vien modellata dal fuoco, la carne vien così cremata ma prima di raggiungere effettivamente la sommità, gli ultimi appigli sul viso saranno cibo degli avvoltoi pronti a pizzicarla, cavarle gli occhi e divorarla, lasciandosi abbrustolire con il suo stesso corpo – diventando polvere. Vive “una delle sue morto”, almeno una volta nella vita: dicono che sia il primo passo per il samsara. Ad accoglierla, tuttavia, non vi è nessun paradiso come prospettato. Come se fosse stata effettivamente deglutita nella gola dello stesso Lago, la sensazione dell’annegamento pervaderà la sua mente fino a sputarla su qualcosa di apparentemente duro ma resistente. Terra brulla. L’odore opprimente del sangue, ferroso, raggiungerà le sue narici: nulla di nuovo per chi è abituato a controllare il liquido ematico, eppure estremamente fastidioso. Un nuovo scenario si staglia dinanzi a lei, una volta infuocata ed il nulla – la steppa sconfinata dai colori acri del rosso – ricondurre direttamente ad uno scranno fatto di teschi, ossa e corpi decimati. Un trono s’erge, scintilla d’oro nero, e a capeggiare è la sagoma minuta di Enma – di nuovo. Troppo blando per risultare l’inferno, pecca di elementi benchè paia alla stessa maniera “caldo”. A riprova della veridicità di quanto accaduto e della presenza di sua figlia, riflesso sputato della Kokketsu, il bruciore imperverserà lì dove il marchio si spande sul corpo di Kurona, legandola allo stesso bruciore in cui è vincolata lei che – inerme – giace a quella che sembra essere una trance. Assottigliando le palpebre, potrà notare – incastrato nell’occhio destro – un bagliore cremisi: a sforzarsi, potrebbe raggiungere anche una conclusione approssimativa ma, prima che possa anche solo pensare d’avvicinarsi, verrà intercettata da una voce maschile < Irashai, Kurona Kokketsu.> Benvenuta. Una figura distinta, maschile, s’erge – privo di fronzoli se non un semplice completo nero, classico, del medesimo colore in cui è incorniciato il volto a causa della filigrana nera dei capelli. Lo sguardo, a tratti magnetico a tratti abissale, assapora l’immagine della kokketsu. < Mi dispiace per i modi un po’ bruschi, ma non ho avuto altra scelta per attirarti fin qui.> quello, un posto fittizio ma nel suo essere finto sembra reale. S’avvicina con estrema lentezza, allungando verso di lei la mano destra e porgendole… un anello. < Immagino che questo ora possa tenerlo tu.> un anello dell’Akatsuki che indica il Sai, sfigurato quasi da renderlo illeggibile. Il bruciore vien accentuato. L’anello di Enma è lì, nelle mani di un ipotetico estraneo. < Lascia che ti spieghi.> principia, rivolgendo uno sguardo a quello scranno inviolato. < Ritorniamo all’epoca dei Kami, a quella dei grandi Izanami e Izanagi. Quando il padre, colui “che invita” – Izanagi – s’immerse nel lago per purificare se stesso, pulendo il suo occhio sinistro diede alla luce la grande Amaterasu. Pulendo il suo occhio destro, diede alla luce il grande Tsukuyomi. Soffiando il naso, invece, diede alla luce il grande Susanoo.> il tutto, come detto, alla fonte del lago ove l’acqua purificò il sommo Izanagi. < Tsukuyomi sembra aver voluto dare lei una possibilità: puoi vederla nel suo occhio destro.> Lo Sharingan ipnotico a presiedere in quel mare di rosso < Ma Amaterasu non sembra essere dello stesso avviso.> di fatto, l’occhio sinistro risulta “normale”. Il risultato? Un Daburu Mangekyō fallimentare. < Come intermediario, anche se sembra assai assurdo, Susanoo ha deciso di intervenire. E così, il suo corpo, giace in questo limbo fino a quando non sarà dato un responso. > questo è quanto ha “accettato” di spiegare – lui, semplice servo di Susanoo. Non le sarà nemmeno difficile capire che non si tratta di una persona vera e propria, dinanzi a lei. Forse è una copia, ma tanto le basta per comprendere quanto sia *irraggiungibile* ora come ora sua figlia.

21:53 Kurona:
  [Riva del Lago] E' l'attimo di un petalo di ciliegio che pigramente scivola verso terra; ti ricordi, solo cinque giorni fa, ci pensavi? Il petalo che percorre cinque centimetri per secondo, fino ad accasciarsi su un tiepido letto d'erba. L'udito ovattato--il lago silenzia. E quelle parole, mentre sprofonda nel buio, vanno ad amplificarsi ed incastrarsi nella sua mente -Vuoi provare, la morte, per la prima volta?- E ora.. Quale sarebbe la risposta corretta? Gli occhi vanno sbarrandosi nel sentirsi sprofondare, la terra che si sgretola sotto i piedi e le mani, le braccia, che affannano per ritrovar la stabilità confortevole del terreno-- ma non c'è verso. Mentre i fotogrammi si formano davanti a quei rubini, in una facciata parallela, appare una donna minuta ed insicura che corre su pavimenti di cristallo in via di corrosione. Si crepano, si distruggono, allargano. E di quella che era l'unica base, rimane un bianco asettico. Nessuna macchia, nessun cambiamento. E lei, che conosce sia quei sigilli, che questa sensazione, accoglie ogni immagine in bilico tra il ribrezzo e lo shock. La mia prima morte. Dev'esser uno di quei traguardi dei quali ci si ricorda. Bruciata, divorata, fino a lasciarne ossa e ceneri. Il viso che si contrae. <NHF--> I denti stretti, a lasciar andare uno straziante mugolio. E un ringhio, non urla, non riesce- Ma si lamenta come un lombrico cotto dal sole, senza poter evitare quelle immagini ma soprattutto- senza poter evitar l'immagine di sua figlia che le scivola dalle mani, un dannato clone, intangibile. E come una macchia d'inchiostro di seppia, il nero del sangue demoniaco si apre, l'avvolge, liquido, ne sente il puzzo-forse, tanto da provocarle un conato di vomito- tanto da ricordarle un cadavere in decomposizione. <E--> La prima volta che apre le labbra, con il fiato spezzato e la mente logorata da un illusione così--così vivida, così realistica da avvolgerla. Probabilmente talmente debole dalla calma dopo l'adrenalina, da non voler respingerlo. E quell'accenno di voce biascicato tra il rumore nullo dei suoi pensieri-- non si riconosce più. <Enma -- ai.> Pure davanti a codesta illusione, il suo unico chiodo fisso e quella che s'erge ora su un trono d'oro nero. Bragia che ne carezza gli ornamenti, riacquistando con la lentezza di una persona spaesata i suoi sensi. Non parla, non si pronuncia. L'haori lievemente inclinato oltre la spalla lasciata nuda dal dolcevita, tanto lungo da coprirle i fianchi, scivola bagnato e pesante, gocciola sul terreno di quel posto--dove-dove sono? Un pensiero che si formula, arricciato su se stesso, zoppicante. Il viso rotto dalle lacrime nere. Le mani pregne del sangue nero che ne disegna schizzi di sangue sulla pigmentazione bianca. Il petto mosso freneticamente dagli spasmi della paura e le labbra--quei petali vellutati, d'un opaco rosso sfumato dall'interno verso l'esterno. Un passo-la sua bambina, la vede- è ancora-è ancora la sua morte, questa? E colui che si fa avanti per primo, posandole nel palmo teso in accoglienza dell'anello. L'anello di sua figlia, appartenente all'Akatsuki. Lo osserva- cosa vuol dire? Una serie di domande che non vengono poste, perchè le risposte arrivano in seguito. Un errato mutamento. Per completarlo, Enma, avrebbe dovuto ucciderla. Ma queste son informazioni che lei non può avere- certamente. <Wakatta-> Una parola secca, stanca, incredibilmente sterile come il petto di Kurona. Un occhio mutato, un occhio no. Si lascia dietro le spalle quella sagoma, prendendosi la libertà di camminare in direzione di sua figlia. Un passo, un altro. La pianta del piede che schiaccia senza grazia alcuna tutto quel che si para sul cammino che divide lei, dalla sua bambina. Il Sen che scivola sul palmo, roteato dal pollice, fino a raggiungere il dito a cui corrisponde. <E dimmi-> .. <Come sta, ora?> Immobilità. Questa donna che non si lascia andare neanche ora, di rimpetto alla minuta figura della sua bambina. Accenna un sorriso, un fantasma di quello che dovrebbe realmente essere. Le guance gonfiate, le mani che si tendono nel tentativo di toccarla. Scansa i capelli, piano, passando destra e dritta sotto l'incavo delle ginocchia e avvolgendole con l'opposta la schiena-- ma non per portarla via, no. E' come se fosse, incredibilmente stanca. Mai arresa. Stanca. E potrebbe mettersi li con lei-solo--solo cinque minuti. Si siede su quel trono, tenendosi sulle cosce, contro il ventre, la sua bambina. <---> un sospiro di piacere. Non ha mai potuto godere di questo. Non ha mai potuto sentire Enma davvero sua, non fino ad ora. E pensare che avrebbe dedicato la sua vita ad educarla. Pensare che avrebbe rinunciato ad esser una kunoichi, per esser madre. Accenna ad un sorriso compiaciuto, nei suoi pensieri. Qualcosa non si può leggere, se non in quello sguardo-- quello sguardo dolce che non ha mai rivolto a persona viva. La tiene traversalmente, la testa contro il petto. <Lo senti il mio cuore, bambina mia?> E' un filo di voce, un sussurro tra i capelli corvini e corti di quella bambina di tredici anni. E le mani, tra bende e sangue, passano a carezzarle il viso. Vuole stare così- così per sempre. E dare ad Enma la madre che non ha mai avuto. E prendersi lei, tutto quello che le hanno strappato dalle mani. Solamente-- gli occhi schiudendosi, fanno sorgere una goccia tra le ciglia corvine, lucida, cristallo d'anima. <Amore-- conoscete, voi, l'etimologia di questa parola?> Non guarda quell'uomo davvero. Semplicemente, lascia che le parole scivolino in bollente fiato sul viso della sua bambina. <E' associato al trasporto istintivo, passionale. Aggressivo, animalesco, mero istinto.> .. <L'amore-- è istinto-- divertente no?> Le labbra piegate si accentuano, le spalle si muovono un paio di volte. <E noi abbiamo modificato quella parola associandola a qualcosa di puro-- ahahah- non c'è niente di puro.. Nell'amore.> .. <O forse, questa sensazione, è effettivamente pura.> L'istinto- è purezza? Lei, forse, non lo sa. Forse, si. Rimane a cullar se stessa, con il calore di quel corpo. Il capo che s'abbassa e come un foglio di carta velina, macchia il viso di Enma con le sue lagrime. Una-- come il tonfo di un gong. Un'altra. Altra. E prima che possa rendersi conto, son un moto continuo. <A solo-- tre tomoe di distanza da me-> L'unica differenza tra di loro. L'unico ostacolo, vetro, pellicola-- tra il suo sangue, e quello uchiha. La fronte contro quella di Enma, il viso arricciato. Un solo passo da pace, a disperazione. Singhiozza. Si lascia morire, crollare, tra fiumi stabili che abbandonano il mento, le gote, lasciando un bacio sulla fronte di sua figlia. <HAI VISTO DOVE CI HAI PORTATO?!> La voce, isteria pura. Trema, spasma, trattenendo a se Enma-- come se fosse un corpo sgonfio d'anima. <NOI CHE TI ABBIAMO SERVITO ED ONORATO!> .. <NOI CHE ABBIAMO CONSACRATO QUESTA VITA- L'UNICA VERA VITA- A TE! A TE SOLTANTO!> La fronte che spinge verso quella di Enma, l'avvolge, la trattiene a se, le ginocchia che tremano impercettibilmente. <QUAL'E' IL PUNTO DI QUESTA VITA, SE TUTTO QUELLO CHE CI VIEN DATO-- CI VIEN STRAPPATO VIA DALLE MANI?> La vita-- ci regala gioie, ma poi cerca di riprendersele. [CK ON 2/50][Kokketsu no Hijutsu]

Perché piange lei, la bellezza perfetta che terrebbe sotto i piedi la vinta umanità? Quale male misterioso divora il suo fianco? Lei piange, insensata, perché ha vissuto e perché vive: ma quel che soprattutto ella deplora, e la fa fremere sino ai ginocchi, è il fatto che domani bisognerà che viva ancora. Domani, e domani ancora, e sempre. Un sospiro. L’affascina. Ne è tremendamente attratto, lui, che a fronte di questo risulta l’unico testimone nonché vece dei kami stesso. Quella donna che, devastata dentro, ora come ora non sa fare altro che porre una semplice domanda: come sta. Semplicemente…come sta? E può vederlo da sé, ma non decifrarlo. Può immaginarlo, come sta, ma non capirlo nell’effettivo. E’ come osservare dietro una lastra di vetro l’esperimento malriuscito di un medico fallito – e tu, incapace anche solo di comprendere quale sia il male che affligge tua figlia, ti chiedi… come sta. < Sull’orlo del crepaccio. > attende che qualcuno la mandi giù o le tenda la mano, per farla risalire. < Come staresti tu, tra la vita e la morte ed incapace di prendere una decisione di tua spontanea volontà?> come ti sentiresti, tu, consapevole di non poter staccare la spina? Fortunatamente il coltello ha la manica rigirata dalla tua parte ma, di contro, presenta una doppia lama. < Voglio essere sincero con te, Kurona Kokketsu.> sentenzia, abbassando di poco il capo ma senza demordere. Più volte si sarà sentita ripetere che < Da grandi poteri derivano grandi responsabilità.> certo < ma chi non riesce a pagare il saldo? Chi pagherà, per gli errori degli altri?> hai deciso di prenderti carico già di troppe cose: le tue allieve, le tue geiko, tuo padre stesso. Per quanto tu possa tappare la falla da un lato, la nave – prima o poi – affonderà. Devi solo decidere chi salvare. E ti osserva quasi assente, mentre le tue braccia lambiscono Enma. Ci si aggrappa alle speranze, anche quando sono queste a giacere sul punto di morte. Si china su di lei, tra le braccia il corpo ed il suo odore ancora intatto: gli occhi aperti, quasi privi di vita, anelano attimi d’attenzione che fino ad ora non ha mai avuto e tanto le basta – vedere lei, sua madre – per farle nascere l’unico mezzo ghigno, sul volto, che vagamente assomigli ad un sorriso. Sono le lacrime calde, quelle che rigano il volto di Kurona, a nascere dal suo viso e morire su quello di sua figlia ricongiungendosi a lei: e proprio quando l’ennesima lacrima raggiunge le labbra di Enma, quest’ultima si schiudono in un rantolo di voce < M-mi ricorderai?> combatte con il proprio travaglio interiore, l’incapacità di potersi togliere la vita da sola. Ricorderai la bellezza delle carezze, la dolcezza del calore, l’incanto della sera – madre dei ricordi, amante delle amanti? Ancora cinque minuti. Concessi, in tutta la loro pienezza. Nel religioso silente, anche colui che dapprima ha parlato – tace. Contempla. Lascia che l’ultimo rantolo di calore avvolga la figura di Kurona, per poi rispondere – in qualità di servo degli Dèi – alla sua fiumana di parole. < Assai più che la Vita, ci tiene la Morte con i suoi legami sottili.> serafico, pacato – come solo chi ha dentro di sé consapevolezza e rassegnazione può essere. Inspira. < E’ stata una sua scelta, Kurona Kokketsu.> rivela, evitando d’avvicinarsi a quello stesso scranno che ora ospita la figura delle due. < Così come la scelta che ora si para dinanzi a te.> come se non bastasse martoriare un’anima già allo stremo. Te l’ha detto, sarà sincero < Rimarrà così *per sempre*.> si può definire il “per sempre”? Esiste? < Il suo limbo è perpetuo poiché incapace di adempire al suo potere. Per poter soddisfare i requisiti, avrebbe dovuto semplicemente fare una cosa. Uccidere. Ma non una persona qualunque.> no, sarebbe stato troppo facile. < bensì la persona più importante per lei.> ed è peggio che ricevere un colpo al cuore, un trauma oppure la perdita dell’udito. < Il prezzo suo prezzo è la tua vita.> questo, quanto pattuito. < E non è stata in grado di pagarlo.> per questo, giace nella stasi eterna. < Per questo, Kurona Kokketsu, tutto quello che ci viene dato ha un prezzo e se non vien saldato, ci si vede strappar via dalle mani quanto desiderato e ottenuto.> del resto < Noi siamo il frutto di quello che ci è stato fatto: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria. > Se solo non avesse osato. Se solo non si fosse spinta così “oltre”… se solo … < Ma-mma.>

23:13 Kurona:
 Avete mai visto morire una persona? Non parlo del momento vero e proprio in se, certamente. Ma qualcosa di peggiore. Vederla morire lentamente, giorno dopo giorno, quando la sentenza la sappiamo tutti -ma nessuno ne parla. La guardi allora da lontano, giorno dopo giorno, la vedi dimagrire. Non parlare più. A volte la morte ci rende confusi, o silenziosi. A volte invece ci lamentiamo senza aver la certezza che sia per un fastidio, un richiamo, o un dolore. O forse, è una reazione delle nostre corde vocali? E quando vedi qualcuno morire, ti accorgi di come pariam più piccoli e indifesi, in quel momento. E la mano calda che stringi sul bordo del lettino- l'inferno nell'attesa. Una sensazione che sbriciola l'interno, ci lascia un vuoto. Quella di sentir, attendere, quella mano tra lenzuola tristemente bianche. E' morta? E' ancora calda. E l'attesa, l'attesa per sentir quella mano divenire fredda, immobile. La malinconia nel guardarla anche da lontano- dalla porta dell'ospedale-, e vedere che sta guardando il soffitto. E che si sente sola quando non ci sei. L'agonia nel vedere il suo mezzo sorriso confuso quando progetti qualcosa per il futuro. Qualcosa che- non avrete il tempo di fare. Tic-tac. E' il tempo. Ci scivola così dalle mani. Ci porta via qualcosa. Una per una, inevitabilmente. A volte al momento giusto, a volte troppo presto. E Kurona si dondola, si culla, crogiola, tenendo i denti stretti in una morsa e lasciando andare una nenia, un lamento continuo, un tremito della voce, delle ossa, di quella schiena ricurva che solo ora, solo da questa prospettiva, par proprio quella di una madre. Sente. Il cuore che batte. Sente le parole. Sente Enma. Sente tutto, ma semplicemente, si ritrova ad esser piccola ed impotente. Come può, come può esser torturata in questo modo? Come può, dover decidere della vita di sua figlia. Come possono i Kami, ridurla così. Rispondere ai suoi capricci. "stupida.." biascica contro il viso, parole che affogano tra le lacrime, guardando da dietro il velo appannato e rosso, gli occhi di Enma reagire. La tiene tra le braccia, le spalle che si restringono, oscilla i piedi nel vuoto di quel trono, troppo spazioso, troppo immenso il mondo, i kami, il potere, per esser afferrato da kunoichi mediocri come loro. Attende che sia terminato il verbo di quel servitore dei Kami, loro unico spettatore. "Se il dio è buono, allora dovrei lasciarla così. O è magnanimo-- o- è magnanimo metter fine a questo limbo?" Lo dice a se, più che a l'altro. La fronte bassa, spossata, svuotata, resa un automa piangente da questo esser investita. Apre gli occhi su Enma, tenendo la fronte contro la sua. Ascoltandola. Ascoltandone il respiro. "Omocha.." Un soffio, un soffio spento. Il sangue nero che scivola sulle nocche, ne crea uno strato scuro, lucido, lentemente. Quelle dita affusolate, dalle nocche ossute, che tengono il capo della sua bambina con quel fare tremante. "La cosa più bella che io abbia mai fatto-" .. "Distrutta dalle mie stesse mani." C'è un incrinatura isterica in quella voce, quasi gracchiante, quasi tragliente. Il sangue che si forma attorno alle cinque dita, come un sole che attorciglia i suoi raggi attorno alle prime, seconde, ultime falangi. Come artigli, si formano prolungamenti appuntiti delle sue stesse dita, plasmati li addosso, come lame nascoste sotto la pelle. La fronte arrossata, così come il viso, scivola di lato, slitta con lo scheletro dell'impotenza, la gota che scivola contro quella della sua bambina, ansimante- bloccata- contratta. Le dita aperte a far il prossimo passo- ma non è così facile, non lo è affatto. La gola brucia. E la psiche manda immagini distorte e disturbate eppure-- la guerra era finita-- e ora. <Nf-nf-nf-> I molari che si serrano, muovendo quella mandibola dal taglio netto, ansimare taurino, sfumature nere che si muovono, sotto la ramificazione delle vene. Gli artigli si incurvano, arapaci. <AHHHHHHHHH!> Il bicipite, la spalla, s'abbassano. Così come il gomito che avvolge il costato di Enma, ne segue il movimento, spingendo l'innata sotto la pelle della sua bambina, facendosi strada con violenza. Stringendola a se, tenendosela addosso, contro il petto, contro la propria pelle infetta, morbida seta. S'allungano quegli artigli, corpo unico, avvolgendo come una serpe il principale organo che pompa nuovo sangue mantenendo vivo un determinato corpo. Le labbra schiuse, tentennano, trattiene quell'urlo, contraendo il ventre, gli addominali, spingendosi in avanti, come se volesse lasciarsi andare, ma quel tubicino di sangue nero, con la violenza di quella vena demoniaca, lo strizza, lo svuota, lo tira verso l'esterno <Avrei solo voluto--> Gracchia, corvo ferito, tira su le ginocchia, la trattiene a se, ancora di più. Come a voler far il nido su quel trono e riposare li-- è così-- così stanca. <Fossi più figlia mia, meno figlia di Sasuke Uchiha.> Espira, piano, attendendo-- come dicevo in cima-- che diventi fredda. <Ma tu hai scelto lui--> .. <Lo capisco.> .. <Non mi sarei scelta neanche io.> [CK ON 3/50][Kokketsu no Hijutsu II ][-2 pv][40 NIN]

Assenza. Non una parola, non una risputa. Nulla. In quell’attimo fatto di assordante vuoto, sarà soltanto lei a prendere una decisione – afferrare la propria identità con le dita e scuoterla affinchè diventi più forte dei tuoni. Ed è caldo, buono, l’ultimo dono che le fa – un abbraccio, di quelli che hanno il sapore di materno. Di quelli che la mancanza non sanno fartela avvertire, nonostante gli anni passai in solitudine. Ed è di nuovo nero, in quel mare di rosso. E’ di nuovo… il suo profumo. E’ di nuovo i suoi occhi. E’ di nuovo amore: quello malato ma viscerale, sincero ma deviato. Sgrana le palpebre colui che assiste solo e che come le divinità non reagisce, né si pone in mezzo. E’ una scelta, coincisa e ponderata al limite delle capacità di una donna mentalmente stremata. E se è così che ha deciso lei, allora neanche i kami interverranno. Si congeda sparendo, non come fumo quanto più come la polvere – la medesima delle ceneri in cui s’è tramutato quel legame. E la sente, lei, la seta del suo corpo strusciare contro la porcellana del suo viso. Sente le sue mani, la sua vicinanza – quel battito scandito e all’unisono, col proprio. Mai cuore perse più battiti. Inspira lentamente, come ultimo tributo alla vita e poi… è un attimo. Mani, unghia, sangue. E’ un attimo e quel male, benefico, raggiunge la sua pelle e s’insinua in quest’ultima. Ancora per una volta, sporca del sangue di sua madre. Ancora per una volta, le sue mani sul suo corpo. Ancora per una volta l’abbraccia, come lo stesso giorno in cui è venuta al mondo: com’è nata, così muore. Nel sangue. Non una lacrima, nemmeno una – lei che mai s’è concessa a tanto, adesso sembra addirittura sorridere. E più il sangue di Ruko raggiunge le sue arterie, più la pace dei sensi pare accoglierla anche nell’esile gesto di issare la mano destra e sfiorare coi polpastrelli quel viso rigato dalle lacrime e dai sensi di colpa, deturpato dal carico ingente che la vita ha deposto su di lei senza curarsene < S-sorridi, mamma.> come ultimo regalo, glielo devi. Almeno questo, glielo devi. Come il tempo che adesso le dai e che mai prima d’ora le hai regalato. Come tutti i giochi sottratti, l’amore che hai covato in solitudine tenendola all’oscuro. Si spegne, la fiamma di una candela consumata fino allo stoppino. Si spegne lentamente, balugina mentre divora la cera – si spegne cancellando parte degli abusi, del dolore, dello stesso affanno causato da qualcosa d’irraggiungibile. Si consuma nella sola, magra, consolazione di non aver dovuto ricorrere ad una vita per poter mandare avanti la propria. E così, mentre lentamente la vita scivola via dalle sue dita, le labbra si protendono alla ricerca di quelle altrui per sugellare la fine nell’unico gesto d’affetto e nei rantoli di parole che fuggono dalle cremisi fessure < Ti amo.> un attimo e… spira. In silenzio, quel labile confine viene spezzato, reciso, come il cordone ombelicale che lega una madre con il proprio figlio. Dentro l’anello, un solo accorgimento – una piccola incisione: … - come solo i mostri sanno amarsi. [ E n d ]

Summary: Kurona, preda degli incubi da ormai cinque giorni (generati dalla disperata volontà di trovare sua figlia) ritorna alla Foresta della Morte per cercarla. Mediante l'illusione generata da una copia fittizia di Enma Ai, viene attirata e risucchiata all'interno del Sakkaku Jogoku - il limbo dove Enma Ai è rimasta bloccata. Il suo corpo inerme è posto su di un trono posto in cima ad una pila di scheletri ed un mucchio di ossa. Un servitore dei Kami appare spiegando la situazione a Kurona: Enma Ai, nel tentativo di risvegliare lo Sharingan Ipnotico, si è rifiutata di obbedire agli ordini stipulati con Tsukuyomi, Amaterasu e Susanoo. Mentre la divinità alla quale ha prestato giuramento, Tsukuyomi, ha accettato di concederle la possibilità anche senza sacrificio, Amaterasu non ha concesso ad Enma la capacità di evocare lo Sharingan Ipnotico giacchè la bambina ha rifiutato di uccidere la persona alla quale teneva di più: sua madre. E ora, nella stasi totale, Kurona è chiamata a prendere la decisione più importante: uccidere sua figlia.


//OFF.
Alla fine ce l'abbiamo fatta. So bene che in teoria non bisogna assegnare eventuali punti esperienza per un ambient che coinvolge un solo pg, ma dopo queste 6 ore e passa d'intensità direi che è un "premio" più che meritato questo mezzo punto (sai meglio di me che i px non fanno di certo la qualità di una rol). Mi è piaciuto particolarmente, nonostante la complessità della situazione. E' uscita una cosa completamente diversa da quella che mi ero immaginata, ma spero di essermi adattata alla situazione così come spero che ti sia piaciuta.
Ti ringrazio particolarmente per la giocata, mi è piaciuta molto. <3