E' la primissima volta in cui Kurako viene davvero convocato alla Magione della Yakuza. Ed essa gli si presenta davanti senza coperture e senza modestia. Una Magione degna di un damyo, curata più di quanto di presuppone, con campi che solo ora stanno rimettendo un accenno d'erba verde pallido a causa delle nubi che, ricordandoci che la primavera è iniziata, s'estendono con pigrizia sulle punte imponenti di quello che sicuramente non è un umile casa. Non gli è stato detto niente, a dire il vero. Una missiva con la ceralacca che presenta il noto simbolo della mafia. Un richiamo al suo capezzale, molto semplicemente. Non un indizio, non un motivo. Un po come quando una persona ti scrive "Ti devo parlare" e non ti da alcuna spiegazione. All'interno è tutto tradizionale, estremamente curato, le pareti in carta di riso scorrevoli e i pavimenti lignei ricoperti di tappeti, ornamenti, tavolini bassi. Agli angoli della casa, può scorger delle persone silenziose. Alcune leggono. Alcune passano la cote sul filo della mano che, graffiando le orecchie di chi passa, lascia una scintilla brillare nell'aria, proprio nell'incontrarsi tra luce e filo della lama. Alcuni chiaccherano, in un cima pienamente tranquillo, mentre due donne vestite con kimono pregati accompagnano il nostro shinobi fino all'ultimo piano della magione. Silenziose. Con il capo basso di chi ha paura di qualcosa. Garbate. Insomma, una donna di questi tempi--che non sia una Kunoichi, preferisce rimaner sulle sue e non impicciarsi in affari maschili. Ma quando arriva alla porta, una scia di sangue decora il tappeto color crema che ricopre interamente l'ingresso delle larghe scale di marmo. Qualcosa è morto. Ed è stato indubbiamente trascinato via. Eppure non c'è traccia alcuna del corpo. Un silenzio tombale, grave, accoglie il nostro Senjuu tra le sue braccia soffocanti. E il profumo di una casa curata, si mischia al metallico del sangue vermiglio che sporca il terreno. Nessuno sta parlando, nessuno sembra aspettarlo, ma iprovvisamente, una voce roca e graffiante lo reclama. "Si si, venite avanti-- ho finito di fare quel lavoro." Oscurata dal buio delle tende chiuse e pesanti, di un color denso, rosso, ed il batter del vento contro le finestre ci suggerisce l'arrivo delle pricipitazioni probabilmente più prossime. Una sagoma nera come la pece, ha i piedi appoggiati sul bordo dell'enorme cattedra dove un sigaro--non è mai stato fumato del tutto. Una sigaretta fine gli pende dalle labbra. Un punto rosso nel buio. "Tu devi esser Kurako--" Incalza, spostando con la sinistra dei fogli riportanti dei Kanji ordinati, battuti a macchina, dove ci son i dati essenziali del Senjuu, ma non tutti. "Kurako, Kurako Senjuu. Il braccio destro di quel ciccione pieno di se che ha fatto un fosso, nella mia cazzo di poltrona." La voce par un filo nevrotica, eppure non si sbilancia dal suo posto. Più come la reazione di qualcuno che torna a casa, e trova tutto sottosopra. "Ho sistemato tutto, ma la poltrona---" La poltrona, oramai è sfondata. E' un problema.
E quella figura che non si sposta in alcun modo dalla sua postazione, ciondola sotto una luce fioca che penetra dalle finestre, le punte degli anfibi neri e rovinati dal tempo, da cui si intravedono un paio di pantaloni da samurai -stretti appena a metà polpaccio- del medesimo ed identico colore. Uno sfumarsi in grigio e nero di quella luce triste che illumina le giornate piovose. E lo sfrigolare della sigaretta tra le labbra, sostituisce le parole del giovane nuovo capo della mafia. Un po il tipo di uomo instabile che si prende ciò che vuole quando vuole. Lascia che il giovane entri e si avvicini alla cattedra, lasciando uscire dal lato delle labbra una nuvoletta di fumo scura che così come nasce, muore nell'aree circostante, creando una nebbiolina ben poco fitta che si dirama subito. <Nhh.> Suono della lingua contro il palato, mentre le suole degli anfibi scivolano via con tonfi stanchi e secchi, battendo una *tump!* e l'altra..*tump!* contro il terreno ligneo e sporco zeppo di sangue, manco fosse chissà quale animale ad aver ucciso brutalmente l'ex Capo Mafioso. <Guarda qui--braccio destro, ragazzo brillante, molti contatti. Nato a Konoha e dichiarato morto.> La mano che passa sulla carta, solo ora si mostra sotto quel raggio di luce. Ogni dito, ogni singolo dito, porta un anellino stretto che preme e ricopre i polpastrelli, finendo in artigli di lucido carbonio nero, più simili a quelli rapaci: ovvero, fortemente incurvati verso l'interno e incrostati di sangue, al momento- sporca, battendo informazione dopo informazione, il dossier di Kurako. <Come non esser curiosi, eh?> Lo domanda in modo retorico, uscendo dall'ombra, con la sigaretta che pende ancora sulle labbra.Un viso dai tratti morbidi, non fosse per i piercing che lo decorano: due anellini al sopracciglio destro, gli snakebites metallici al labbro. Un bridge del medesimo colore e di sfuggita, un pallina sulla lingua che cozza contro i denti di tanto in tanto. Gli occhi d'uno yakushi, oro puro e scintillante, ovviamente non dal tratto allungato. A mandora, sottili. Così come son affilati i suoi tratti e le movenze nervose. Un giovane uomo da circa venticinque anni, biondo grano. <Oh--ma non temere. Quando lasci casa tua aperta, sei quasi sicuro che qualche brutta pantegana entri a farsi il nido, no?> Gli pone la faccenda come lui stesso la vede. Ma la cosa divertente è proprio che non gli frega niente. Niente! Cioè, è talmente tranquillo che la mano opposta fa cenno verso le due ragazze rimaste a lato della porta. <Cosa siete voi due, decorazioni? Portate da bene al mio-- Braccio destro.> Sottolinea la parola, quasi a volersene capacitare da solo, più che dimostrarlo a Kurako. <BEH, questa poltrona è da buttare. Ma altre piccole cose, si possono aggiustare con un po di polso.> .. <E di pazienza.> S'incurva in avanti, arpionando il bordo dell'ampia cattedra e mostrando solo ora, da sopra la nuca -lato sinistro-, l'elsa d'una clayton spessa che porta il Kanji "Oboro" in prezioso oro puro al cento per cento. <Qualcuno ti ha spiegato.. di cosa fai parte, ora?>..<In uno spicchio, tu mi appartieni..> Rauco, gli esce, slittando la linguetta adornata dal piercing sulle labbra superiori. <Tranquillo, non ho intenzione di abusare sessualmente di te.> Beh, di lui. Degli altri non si sa.
http://25.media.tumblr.com/0d8ec6ddcc6f3a57b6244a37f0409dbb/tumblr_n2jqhd3f6K1s0r8d6o1_500.gif -- Jinto Oboro
Quello che se ne sta li, tranquillo come chi non ha niente da fare la domenica pomeriggio, lascia che gli artigli si stacchino con assoluta lentezza, tintinnando nell'area in modo non propriamente fastidioso. Lo guarda con l'ossessione del cane che deve controllare una mosca muoversi, come se-- al primo passo falso di Kurako, potesse saltagli alla gola e strappargli i polmoni a mani nude. Del resto il Senjuu stesso, non può sapere quale tipo di potenza si celi nel caro Oboro. Le spalle basse, molli, di chi non gli importa niente. <Seh-> Con una certa sfacciataggine, s'alza dal suo posto, mentre una delle due donne ben vestite, s'accosta a Kurako versando in una ciotolina piccina e fonda, il liquido dolce che è il Sakè di Kiri, lievemente ambrato, libera nell'aria lo sbanfo alcolico di un prodotto fresco ed appena maturato, come il retrogusto fruttato che lo differenzia dagli altri. Muove un passo al di fuori dalla scrivania, un'altro, un'altro ancora. <Diciamo che sono un tipo che si annoia in fretta. Da una baracca, ad una magione.>..<A chi cazzo importa chi entra in casa, quando sei sicuro di porterlo schiacciare. Anche le blatte enormi fanno paura. Ma sono sempre--blatte.> Non si piega alla considerazione del Senjuu, portandosi la destra a coglier la sigaretta, mentre la cenere accumulata cade mollemente in terra. La sinistra invece, arpiona la tenda pesante, scostandola dall'altra, aprendo una visuale sul bosco dei ciliegi non troppo lontano. E tuttavia, desolato. Kusa, visibile, sembra un punto grigio in una mappa. Piange, questa città. Piange dei morti, e ride della vittoria. Lo lascia parlare per intero, andando a dire senza pochi giri di parole: <Ti ha preso per il culo.> Si, che gli fotte a lui? Non l'ha mica reclutato. E' che a Jinto va bene, Kurako. Gli sta simpatico. <Ma vedi, Kurako, la Yakuza deve esser un arto unico. L'unico braccio d'un corpo. Un grande organismo dove: Ti stupirò..> Incalza, guardando fuori dalla finestra e tirando una nuova boccata. <C'è l'amore di una famiglia. E la crudeltà di una dittatura.>.. <Forse avrai altri progetti. Forse hai già in mente di usare questo mezzo, per arrivare altrove. Non me ne frega un cazzo. I documenti dicono che sei il mio braccio destro, ed io non voglio un mercenario, come braccio destro.> Un mercenario, che potrebbe tradire la famiglia mafiosa. <Perchè; ti chiederai.>..<Perchè in quel posto, sei solo un gradino più sotto di me. Perchè in quel posto, erediterai tutto il mio lascito in questo mondo di merda.> Insomma, quello che gli vuole spiegare, va forse oltre l'ottica di Kurako stesso. E' vero, la Yakuza ha spacciatori, spiee, mercenari. Ma son tutti gradi troppo bassi. Son tutti ratti che.. tra un anno o due, verranno schiacciati. Ma non è facile spiegarlo, a chi entra con l'ottica di..? Non lo sa nemmeno Jinto, almeno non ne ha idea, al momento. Sa solo che tal "Kurako Senjiuu" è il suo braccio destro. Ed ora, vuole conoscerlo. <Piglia pure il tuo bicchiere e seguimi, ti voglio far vedere una cosa.> Lo dice tutto d'un fiato, con una fitta di nervosismo che si placa subito, buttando giù il suo liquido nel bicchiere e pigliando il collo del sakè. Un cenno con la mano alle due donne, per far cenno di andarsene via a far altro, altrove, mentre attenderebbe Kurako solamente, per uscire dalla stanza e spostarsi verso l'ala ovest: I dormitori. <Sai cosa pensa la gente, quando si parla di Yakuza? Malagente. Voci sporche. Assassini. Spietati. Calcolatori. Arrivisti.> Lo dice con una vena sprezzante, con un passo lanciato e svelto, aspetta solo adesso che Kurako lo affianchi, trattandolo come si tratta un amico, non un sottoposto. <Tutte vere, te lo assicuro.> Sisi, cioè, non smente niente. Son proprio gente di merda. <Ma tra di noi, Senjuu.> Incalza, bloccandosi davanti all'ala nuova. Il busto che si volge verso Kurako, gli occhi che paion sonagli taglienti. Gli scavano dentro, come se potesse legger oltre quelle bende. <Tra di noi siamo una famiglia. Non esistono persone più importanti di te. Non esistono persone meno importanti di te. E da capo-- devi mordere chiunque morda la tua famiglia.> La mascella scatta, giocoso come un pazzo psicopatico, mimando un morso che fa risuonare in aria il cozzar degli ultimi denti metallici, probabilmente persi alla battaglia di Kiri, pezzo della sua storia. <Cosa vuol dire esser Heddo no Yakuza?> Una domanda retorica, mentre allunga le dita della libera a posarsi sulla spalla del giovane braccio destro. <Che sai mordere più forte di tutti gli altri. E che sai preservare nei secoli, questo. Che sai farti rispettare. E che hai un onore che risuona per tutto il villaggio o--> sarebbe meglio. <In tutte le terre ninja.> Si ritira, gira il pomolo della porta, ed un brusio ovattato cresce, un vociare di bambini che giocano. Di ragazzini che litigano tra i letti disordinati, ma puliti. Nulla di principesco, solo una serie di "alcove" dove riposano i classici ragazzini raccolti dalla strada. Raccolti dalla guerra. Ospitati nella Magione, e futuri occhi, braccia, della Yakuza. <Per diventare Heddo. Devi saper diventar padre. Devi saper dare, e sfruttare al meglio quello che ricevi. No--non pensare che io sia un cazzo di bonaccione, ma un tempo avevo un desiderio.> Tira l'aria tra i denti, graffiante. <Non sputar mai sull'onore di questa casa.> . <E' la famiglia, di chi non ha saputo cosa vuol dire averne una.> Dallo spiraglio nel portone, un bambino biondo chiaro, che somiglia all'Heddo, sgrana gli occhi incalzando una corsa verso la porta. <Padre! Padre!>
Gli occhi di Jinto, nel silenzio trattenuto da Kurako, si spostano ridenti su quel bambino che lo chiama "Padre". Le labbra che si curvano dolcemente verso l'alto, il mento che s'alza in un cenno che vuol dire: Rimani li, che ho da fare. E quello, il piccolo, spinge i pugni in un moto capriccioso verso il basso, allargando la maglietta che lo ricopre di poco, sformandola, in modo che penda verso la patta dei pinocchietto color nocciola. Sbuffa sonoramente, ma appena schiude la porta, torna a giocare con qualcosa di molto simile ai lego di legno -mattoncini di castagno levigati- assieme ad altri bambini. Questo come ha detto, non vuol dire in nessun modo che l'Oboro si faccia pestare i piedi. Quello che è in questa casa, rimane in questa casa. E come ha detto al jonin stesso; tutto quello che è stato detto sulla Yakuza, è dannatamente vero. E quello, guardando tra le righe, è il figlo di una prostituta a basso costo, che ha voluto riconoscere e tenere come sangue oboro erede. La porta si chiude, con una sola girata di pomello, la classica che fa scattare la chiusura corretta della porta, ovviamente non sono chiusi a chiave. La destra che si allunga verso Kurako, verso la sua spalla, battendo una pacca vivace, come se non stesse riaprendo in nessun modo le sue ferite. L'aver perso tutta la sua famiglia. L'aver perso sua sorella, suo padre, il suo amato fratello. Loro madre. Questo passato, è solo un bagliore enigmatico che muta in rabbia e sadismo puro, scivolando via, sulle labbra che si piegano in un sorriso. <Sono contento di essermi spiegato al meglio.> Si congratula con se stesso, ma in una parte, è pure fiero delle parole per Kurako; allora quella blatta non ha solo buttato merda sulla sua famiglia. Beh, bene. Quando tornano sui loro passi, Jinto s'è già scolato buona parte di quel liquido dolce, con la foga del bambino che mangia un dolce. Come se dovesse ammazzare ed affogare qualcosa dentro di se, da qualche parte. Ne compie tutto il tragitto in silenzio, fino a tornar alla stanza principale. L'ufficio. Una stanza grande. Con appesi i ritratti degli ultimi grandi capi-famiglia, le loro mogli, i loro figli. Alcuni sono soli. Altri si son ritratti con l'intera Yakuza ristretta. Ma un ritratto, il più grande, è appeso sulla scrivania ora illuminata dalle lanterne ad olio sulle pareti. Oboro. Un uomo dall'aspetto duro. Una donna aggraziata e dal sorriso gentile. Una bambina in fasce. Jinto da piccolo. E Zico, al suo fianco. Sotto il suo braccio. Ambo con un sorriso vivace e biricchino. <Puoi scegliere una delle suite della magione, quella che preferisci. Hotta, la governante, ti darà la chiave senza farti domande. Puoi vivere qui, restare qui quanto vuoi. Puoi andare e venire. Ma non sparire mai, ho sempre bisogno del mio braccio destro.> Glielo notifica calmandosi, sprofondando nell'enorme poltrona dove effettivamente, sembra più piccino del suo metro e ottanta d'altezza e spessore. Non un energumeno, sia chiaro. Ma sei muscoli degni d'un oboro. Data la spada che porta sulla schiena. La lascia andare a terra con un tonfo sordo, mentre le due ragazze entrano nuovamente nella stanza. Le guarda un po accigliato. <Ma che siete-- portatrici del chakra-wifi? Cioè sentite la mia presenza qui, e vi fiondate--posso avere un po di pace con il mio uomo?!> Batte un pugno sulla cattedra, vibra, tuona, facendole stringere nelle spalle e ritirare immediatamente. Eh, insomma, sono moleste! <Bene, Kurako. Credo di averti detto tutto. Ho bonificato gli ultimi arrivati, tranne quelli toccati da te. Hai il permesso e dovere, di fare lo stesso discorso che io ho fatto a te, a chi entra in questa casa. Se ti sembrano utili, ma non fedeli. Lasciali agli ultimi gradini della scala. E-- soprattutto. Non possono andare oltre il primo piano della magione. Questo piano, è per la famiglia soltanto.> Gli spiega rimanendo calmo e portandosi alle labbra una nuova sigaretta, che lascia spenta. Pende, sotto le parole. <Credo di aver finito-- quelle ragazze che vedi, son pagate per farvi divertire. Sempre meglio che farlo in strada, non credi? Se vuoi liberar la bestia-- a me non sono mai piaciute, non so- forse perchè l'ultima s'è presentata con un figlio.> Accenna ad una risata ironica, paterna quasi, con quella voce roca che sa tutta di quel che era suo padre un tempo, Hajime Oboro. <AH! Prima che te ne vai. Ho sentito che Yukio Kokketsu, il kage di Kusa, ha dei progetti interessanti. Qualcosa che mi stuzzica, e non poco. Ti chiedo solo il favore di--> Striscia verso di lui un fascicolo bianco scritto a mano da qualche aiutante. <Di capire di cosa si tratti. Le voci cambiano di bocca in bocca, e non son esattamente il tipo che avanza alleanze su castelli di carta. Nh?> Gli fa l'occhiolino, lasciando che Kurako prenda il fascicolo con le informazioni base sulle voci. Un associazione speciale alla difesa di Kusa. Ma molto, molto speciale. Una sorta di suicide squad di squilibrati, nessun nome ancora, solo un progetto. <Puoi tornare a far quel che facevi prima, è stato un piacere.>.. <AH! Uscendo mandami una delle ragazze. Oh ma una, con..> Le mani si posano sul petto, indicando un davanzale abbondante. <Eh, non farmi scherzi che se mi mandi Hatta, questo si ritira e non si fa più vedere. Altro che Oboro. Mazza di ferro. Tch.> .. <Ci vediamo Kurako! Torna presto! Ricorda il davanzale!>
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