Liuka e la Camera dei Segreti
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Giocata di Clan
Giocata del 09/11/2021 dalle 19:35 alle 20:41 nella chat "Luogo Sconosciuto"
[Giardino] Finalmente di ritorno a casa. La sera prometteva bene, tutto puntava ad un'uscita all'ultima ora del rosso per visitare il club del quale il Sumi gli aveva parlato tanto: il famigerato Ochaya. Tutto prometteva bene, fino a quando...una strano pensiero si è insidiato tra le parti più recondite del suo cervello. La conversazione che aveva avuto con Furaya, ma non sono quella, anche con Mattyse per dirne un'altra, gli aveva fatto ricordare di una cosa, o meglio, di un oggetto: un ampio calderone metallico; un contenitore di ferro battuto arrugginito ed usurato da tempo, il quale, all'interno, e all'esterno, riporta diversi segni di graffi e contusioni, quasi come se qualcuno se la fosse presa in modo corporale con quel bizzarro pezzo di latta. La mente del rosso, gioviale come è, non ci si sarebbe soffermato troppo, se non fosse che...il calderone è chiuso dietro una porta che non ha mai avuto il permesso di aprire. Perché nascondere un oggetto insignificante? perché renderglielo inaccessibile? Quel maledetto contenitore è diventato un vero e proprio tabù da quando, da piccolo, lo ha visto per la prima volta: nascosto, in mezzo alla legna, dietro una delle tante fornaci di famiglia. Più cercava di non pensarci e più gli tornava in testa, quasi si fosse ammorbato ai propri pensieri. Per questi motivi, oggi, ora, si trova lì: nel giardino della propria abitazione. Il rosso, d'altronde, non è neanche stupido, la sua scelta, oltre che guidata, è stata presa anche in vista del fatto che tutti gli altri componenti del suo nucleo famigliare, oggi, questa sera stessa, sono usciti per delle consegne: chi per portare il pane, chi per andare nella zona industriale a preparare cibo per i più bisognosi. Era ora o mai più. [Salotto] Essendo che ci vive in quella catapecchia, di certo, entrare non sarebbe stato un problema: si alza un vaso, se ne spostano due, et voilà...un bel paio di chiavi, di riserva, nascoste a tradimento; sua madre adora fare cose del genere, soprattutto quando sa che il caro capello diaspro farà ritardo nel tornare a casa, o sarà fuori tutta la notte. Una mano sul pomello della porta, l'altra a tenere le chiavi, un profondo respiro per tenere se stesso. Aspetta qualche secondo, come a voler riflettere. Scuote la testa, come aveva detto "ora o mai più". Affonda le chiavi nella serratura e...gira, spingendo, in contrapposizione, il pomello verso l'esterno. La porta è ormai spalancata, non si torna più indietro. L'aria di casa, spesso calda e calorosa, ora sembra...fredda, distaccarsi da lui. Chiude la porta dietro di se, stacca le chiavi e le getta sul primo ripiano che gli capita a tiro, per poi, dirigersi a passo lento e ridondante verso la suddetta porta: alla fine del corridoio, esattamente dopo la camerata dei propri genitori ed esattamente di fronte alla propria. Ci impiega minuti per arrivare davanti a quel varco ligneo, minuti in cui ragiona, in cui non sa cosa aspettarsi. Il sorriso assente sul volto lascia spazio ad una espressione preoccupata, segnata dal crucciarsi delle sopracciglia e delle labbra. Eccoci qui, finalmente, faccia a faccia con lei: la stanza proibita, la fine della propria immaginazione. Di solito quel posto è ben guardato, addirittura chiuso con un lucchetto a volte, eppure, questa singola volta sembra che...il lucchetto sia già aperto?. [Corridoio] Il lucchetto è aperto? Perché? Non era mai successo prima d'ora, di solito viene messa premura nel fare in modo che quella stanza, se non il corridoio stesso, siano inaccessibili. Deglutisce, andando, lentamente, a portare la mano destra sulla maniglia. Lentamente fa per affondare, portando il gomito verso il basso e...aspetta, è bloccata. Sbatte le palpebre, quasi rincuorato che quella stanza gli sia, ancora per qualche minuto, limitata. Si guarda attorno, gli serviva qualcosa per forzare quella serratura poco oliata e, quasi sicuramente, arrugginita. Farlo a mani nude? Si, ma metti che poi si rompe...come diavolo la richiude?! Sarebbe scontato il suo venir brutalmente assalito da una quantità indicibile di domande. Pensa pensa...hum...oh, certo, anziché farlo con le mani...con un vaso. Rialza il capo, si guarda attorno ed eccolo lì: il vaso preferito della madre, contente delle campanule; questa farà male. Già, aveva completamente abbandonato l'idea di non volerla aprire con la forza, eppure, insiste nel non usare le proprie mani, chissà, magari riesce ad inscenare un furto con scasso. Torna davanti la vaniglia, con il vaso tra le mani, ben stretto tra le falangi sudate, e...SBAM: una movimento verticale, secco, proprio sul punto in ottone che segna una piccola curva e l'inizio della maniglia. Qualche secondo, una spinta e...la porta si apre, insieme alla maniglia che cade a terra. Un furto con scasso no? Quindi...tanto vale...e lancia il vaso per terra, facendo in modo che questo si rompa. Deve sperare che nessuno si accorga di niente, o farà davvero una brutta fine in quella casa. [Ufficio] La porta si apre lentamente, lasciandosi andare ad un sinistro cigolio. La stanza è avvolta dal buio, dalle tenebre più totali. Il puzzo che ne esce è lo stagnamento di qualcosa di vecchio, probabilmente, nessuno fa arieggiare quel posto da anni. Deglutisce nuovamente, andando, esitante, a portare la mano destra contro la superfice lignea del grosso varco. Da una lieve spinta con le falangi, la porta si apre lenta, cantando il solito e macabro cigolio, per poi, rimanere lì. Fa un passo avanti, uscendo definitivamente dal corridoio. Allunga la mano sinistra contro il muro dal medesimo lato alla ricerca di un interruttore della corrente, qualche minuto e poi...SWITCH, lo trova, premendolo secco con il polpastrello dell'indice. Quella stanza era...un ufficio, un classico ufficio. Sbatte le palpebre, inarca le sopracciglia. < Ma che diavolo...tutto qui? > si chiede, portando la mano destra al capo, in modo da grattarsi il cuoio capelluto. < Beh...grazie mamma, grazie papà, gli uffici mi fanno davvero paura... > sarcastico come pochi si consola da solo, si parla come riflesso incondizionato di quella nuova esperienza. Qualche minuto per immagazzinare la delusione ed inizia ad indagare. La stanza non è davvero nulla di più che un ufficio: una scrivania in mogano posta davanti la porta; una comoda poltrona imbottita di rosso; quattro librerie, un paio per lato della stanza; diverse piante ornamentali, ormai secche; e...una strana pedana, esattamente a destra della porta, con, sopra, il fantomatico calderone. Eccolo lì, dopo tutto quel tempo l'aveva ritrovato quel maledetto contenitore. Mosso da un'improvvisa voglia di scoprire si getta sulle ginocchia, poggiandosi sulla pedana, per poi, far spalmare gli occhi contro l'impolverata superfice dell'oggetto. Poggia le mani sul calderone, lo liscia con i palmi, fino a quando...un rilievo, una specie di targa dietro di esso: sulla parte dell'oggetto che punta il muro. Fissa le falangi attorno le maniglie e, a forza, gira l'oggetto sul posto, per poi, tornare in ginocchio. < Una targa...? > si chiede, assottigliando lo sguardo. Allunga la mano destra sul rilievo metallico ed inizia lisciare, sempre più velocemente, al fine di spazzare via la polvere. Quando ha finito, beh, quello che compare è unico nella propria natura. [Ufficio - Calderone] La targa legge... < "In onore di Kehi Yoton, Ninja dai baffi di fuoco. Un regalo per te e per la tua famiglia, in onore del vostro nuovo, nascituro, nipotino" > rilegge quella citazione stampata in eleganti caratteri cubitali più volte, ancora ed ancora, lo fa talmente tanto che ormai lo sa a memoria. Alza le braccia, porta entrambi le mani tra i capelli. < ...Nonno, ma certo > un ghigno beffardo nasce sul suo viso fanciullesco, mentre le falangi esplorano quella foresta in fiamme che sono i suoi capelli. Perché glielo avevano nascosto? Perché ridursi in questa miseria in questa catapecchia? Perché? Tante domande frullano nella testa del rosso, il quale, però, sente qualcosa dal profondo iniziare a bruciare: un forte sentimento di riscoperta, di inaspettata felicità. < Beh...questo spiega molte cose, e non mi lascia deluso... > ammette tra se e se, per poi, portare le mani in direzione del labbro superiore. < Aspetta...quindi crescerò dei baffi da paura? Oh no, no no, quelli no grazie...non è un'ottima eredità > ride con se stesso, con quel vuoto che finalmente è stato colmato, dopo tutto quel tempo, dopo tutti quegli anni. Il come spiegherà tutto alla sua famiglia è un altro discorso, per ora, deve fare in modo di procurarsi delle prove. Di fretta e furia estrae il telefono dalla tasca, per poi, dopo aver inquadrato la targa...TAC, scattare un foto. Guarda che questa sia venuta bene, lucida, lineare. Esulta, stringendo la mano destra in un pugno, per poi, mettere via il dispositivo. Il resto della stanza sarebbe da esplorare, si, ma non c'è tempo: i suoi stanno per tornare. Si alza quindi, ed esce dall'ufficio, ora, in direzione del corridoio. [Giardino > Quartieri Povero] Una veloce corsa per attraversare il corridoio, questione di pochi attimi, si, ma doveva fare una cosa. Si ferma davanti ai comodini e...inizia ad aprire i cassetti, uno ad uno, per poi, riempirsi le tasche di piccoli oggetti, addirittura, lasciando un cassetto a terra. Furto con scasso, decisamente molto meglio che affrontare la realtà. Una volta finito con il corridoio si proietta in salotto, nel quale, sposta qualche sedia, muove qualche oggetto qua e là, butta qualche libro a terra. Riprende le chiavi da sopra il tavolino e si dirige verso la porta, per poi, dopo essere uscito nel giardino, chiuderla dietro di se. Non gira tre volte, non chiude la porta del tutto, per poi, limitarsi nel gettare le chiavi a terra: visibilissime sopra lo zerbino. Si guarda velocemente attorno, per un attimo, e poi schizza via da quel posto, letteralmente, se ne esce correndo, addirittura scavalcando l'entrata. Solo quando è tra le strade, di nuovo in mezzo al quartiere povero, si sente al sicuro. Quello che ha scoperto oggi...cambia tutto, potrebbe addirittura cambiare la situazione in cui vive la sua famiglia. Scuote la testa: troppe idee, troppe emozioni, a lui pensare faceva venire l'emicrania!. Sospira fortemente, per poi, dopo aver ripreso il telefono, ricontrollare la foto: si, c'era ancora, non si era immaginato tutto. Sorride flebilmente, socchiude gli occhi, assume la propria placida espressione da accidioso: una maschera, qualcosa con cui far finta di non sapere nulla. Sotto gli occhi della Luna, madre delle sue peripezie, si allontana, al fine, di nuove avventure. Quella giornata, questa serata, cambierà per sempre la propria identità...o almeno...inizierà col farlo, col botto. [Exit]