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Mamma voglio diventare oyabun

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con Tsumi, Saigo

22:14 Tsumi:
 La notte scorre e avvolge le lande sabbiose del quartiere sunese, facendo calare un silenzio quasi inquietante in quella magione che potrebbe essere teatro di una decisione storica da parte del giovane Jikken. Non è passato molto tempo da quando si è ritrovato invischiato in mezzo a una lotta tra bande rivali di diversi quartieri, da quando ha scoperto una abilità nascosta sin da allora, capendo cosa gli avessero fatto anni addietro con quegli esperimenti. Di quella notte ha solo qualche sprazzo di ricordo, come la ragazza che lo ha portato via di lì e quelle immagini che gli hanno attraversato la testa poco prima di rilasciare il suo potere. Da quel momento ha evitato di tornare da Sango, se non per una visita sporadica, giusto per dirgli che stava bene, tutto intero. Sin da allora è stato più alla magione del clan Noribiki che da altre parti. D’altronde, ha dovuto allenare quella nuova abilità e solo quell’uomo ha potuto capirlo almeno un po’. Il trauma non è stato di certo leggero ma da quel momento ha maturato dei nuovi pensieri, una nuova concezione di quel mondo che lo circonda, di quelle strade che lo hanno tormentato. Vuole riprenderle, vuole calpestarle di nuovo e riviverle ma da vincitore stavolta. < … > Il silenzio non accenna a consumarsi in quella notte. Solo dei piccoli passi leggeri si odono, dei sandali piccoli per un ragazzo di bassa statura. Si muove lungo il piccolo soppalco di legno sui cui lati si ergono le porte scorrevoli delle varie stanze. Tutto in stile antico, anche se all’interno i comfort e le tecnologie non mancano. Insomma, passa da una casa all’altra diventando un peso per qualcuno. Non gli sta piacendo quella situazione. Il giovane indossa un kimono, come di consueto, nero come la pece contornato da qualche linea rossa che sottolinea i bordi del vestito, slacciato a lasciar vedere l’intonso busto senza peluria; a coprire le gambe dei pantaloni anch’essi neri, poco larghi all’altezza delle caviglie. La mano si porta su una delle porte scorrevoli davanti a cui si ferma, girando il busto verso di essa. Aveva detto alla ragazza che voleva parlare con l’uomo, voleva delle risposte. Ha tante domande, forse troppe. Apre quella porta, andando a muovere qualche passo all’interno di essa, senza chiuderla dietro di se. Si ferma al suo centro, proprio accanto a un piccolo tavolino in legno, scorgendone il poco ma elegante arredamento. Attende, sperando che l’uomo lo trovi.

Un randagio. Infondo è così che si è ritrovato a descrivere spesso quel ragazzo nei suoi pensieri, lo sta aspettando nella sala comunque, lì gli è stato fatto sapere che lo avrebbe trovato ed è lì cxhe il ragazzo alto e muscoloso si sta dirigendo. Scalzo, i piedi coperti solo da un paio di calzini in cotone nero, si muove silenzioso per quella magione, anche casa sua ora. Vestito come il più classico degli impiegati fa la sua comparsa andando a spostare la scorrevole porta di fogli di riso. La destra va semplicemente ad aprire l’ingresso mentre la mano sinistra è tenuta sul nodo della cravatta sul colletto della camicia bianca. L’indice portato più in alto, medio e pollice che aiutano muovendo il resto di quella chiusura così da andare ad allentarla e permettergli quindi semplicemente da allargarla andando poi, con un singolo gesto fluido a togliersela. Non indossa gli occhiali, si possono però scorgere appesi al taschino di quella camicia bianca. Appare stanco, quasi provato ma il tono resta comunque caldo e gentile, esattamente si è fatto conoscere. Quel randagio è in qualche modo il suo randagio. Cintura in cuoio nero a reggere in vita i pantaloni dello stesso colore dal taglio classico ed elegante. Muove i primi silenziosi passi in quel luogo puntando lo sguardo su Jikken <mi hanno detto che volevi vedermi> si limita così ad annunciarsi per poi andare a deviare appena il cammino verso il tavolo di quella sala comune dirigendosi invece verso un mobiletto sulla destra. Due piattini che vengono presi con la mano destra, il sakè estratto dalla sinistra <immagino che avrai molte domande per me> poteva aspettarselo. Si siede ora, incrocia le gambe, il petto è ben dritto e fissa dall’altro lato del tavolo il nostro genin. Poggia i piattini sul tavolo e li riempie di quell’alcoolico. Un po’ a testa. Porge quindi a lui la sua parte, come se le stesse riconoscendo come un pari. Lui è stanco e prima di affrontare una difficile conversazione sembra volersi concedere un formale momento di svago

22:36 Tsumi:
 Lo sguardo è puntato in un punto non ben definito della stanza, perso nei suoi pensieri come suo solito. Quei giorni sono stati davvero infernali per lui ma anche molto formativi sotto molti punti di vista. Qualche passo viene ancora mosso all’interno della stanza, lasciando le braccia penzolare mentre lo sguardo si sposta in alto ad osservare l’orologio. E’ tardi. Il ticchettio delle lancette è l’unica cosa che rompe quel silenzio. Sembra un bimbo che sta aspettando il papà. Si annoia visibilmente mentre lo aspetta, tanto che fa avanti e indietro per quei pochi centimetri con movimenti quasi senza controllo. L’uomo entra mentre lui gli da le spalle. Il rumore della porta scorrevole lo sobbalza, facendolo fermare da quei movimenti tanto scomposti. Si ricompone, mostrando una posizione eretta. Solo quelle braccia penzolanti disturbano la visione. Sosta il sinistro, puntandolo verso la figura dell’uomo, il corpo segue quel movimento in maniera leggera, mentre le iridi del moro incontrano quelle del Noribiki, ormai suo maestro, non solo per la loro abilitò. < Si. > risponderebbe secco andandolo a squadrare da capo a piede. Un bel vestiario da lavoro che non gli riconoscerà mai addosso. < Sei appena tornato… > Afferma con voce lieve, capendo che come al solito sta sacrificando parte del suo poco tempo libero per stare dietro a lui, il randagio. Lo segue con gli occhi mentre inizia a prendere i piattini e il sake. Solo dopo che poggia sul tavolo gli oggetti lo guarderebbe nuovamente. Lo imita, muovendo passi verso quel basso tavolino. Si cala portando le mani ad afferrare le ginocchia che si piegano quasi immediatamente, toccando con il sedere il pavimento. Incrocia le gambe mentre le iridi si posano di nuovo su di lui. < Forse troppe. Ma devo capire e poi decidere > schiocca le labbra mostrando una forte decisione a lui. Il piano d’azione c’è ma deve capire come muoversi ma soprattutto il perché. Troppi pensieri affollano la sua testa e ha bisogno di quell’uomo per ordinarle, lui che ha vissuto quelle cose, lui che sembra così ordinato ai suoi occhietti.

Lo osserva ma soprattutto è chiaro che lo stia ascoltando, mentre l’odore del legno si mischia a quello del sakè e del sudore di quella stanza. Quante le emozioni che l’hanno attraversata dalla sua creazione? Un dojo recente, non può avere certo più di dieci anni eppure già così pregno di lacrime, di sangue, di gioia e di tristezza, il sudore di chi si allena fino allo sfinimento, il sudore degli amanti che si nascondono, la fatica di chi un giorno comprende di star sbagliando tutto e allora si rimbocca le maniche per evitare che altri finiscano come lui. Tante le storie che si incrociano in quel luogo ma che vengono sintetizzate dal piattino di sakè che lentamente si porta alla lebbra di quell’uomo. Attende che Jikken lo imiti prima di inclinarlo e fare il primo sorso, quasi esaurendo il contenitore di quella bevanda. Lo appoggia solo dopo al tavolo, si gode il sapore di quel liquido sulla sua lingua, il bruciore lungo la gola e la capacità che ha di renderlo nuovamente sveglio <dimmi tutto risponderà a tutto ciò che posso> semplice, diretto e accogliente. Ogni sua parola, ogni suo gesto ed ogni sua espressione per quanto apparentemente seri possano sembrare sono circondati da una nota di caloroso affetto, lo ha preso in simpatia, sotto la sua ala in qualche modo. Si è ritrovato in una guerra non sua e non solo è riuscito a salvarsi ma si è dimostrato anche fratello in quell’innata. Non gli interessa, così come pare non interessare al capoclan, da chi lui discenda o se abbia una vera discendenza. Il governo possiede i loro geni, potrebbe innestarli in chiunque ritenga degno quindi è inutile fossilizzarsi sull’antico concetto di clan, meglio comprendere ad abbracciare il mondo di oggi in tutte le sue sfaccettature, persino quando un vagabondo salvo per il semplice capriccio del destino bussa alla tua porta manifestando il tuo stesso potere. Sorride accondiscendente e versa ancora da bere ad entrambi

23:08 Tsumi:
 Quell’odore pungente del saké inizia a riempire quella piccola stanza e arriva alle sue piccole narici, dandogli quella sensazione di bruciore già dall’odore. Vogliono trasformare il ragazzo in un uomo, forse un po’ forzato ma ormai siamo in ballo e allora balliamo. I suoi occhi si posano su quel bicchierino contenente il sakè, mentre l’uomo davanti a sé lo ha già deglutito. Veloce e indolore, sembrerebbe. Subito dopo lo vede sprizzare di energia. Negli occhi del moro invece si può notare la titubanza: le stesse si muovono prima guardando l’uomo e poi il sakè mentre i denti superiori vanno a mordere leggermente il labbro inferiore. Le mani, poggiati sulle ginocchia, stringono leggermente i pantaloni. Si sta facendo coraggio. Tutto d’un botto, decide: porta la mano destra sul bicchierino, afferrandolo pesantemente e porta quest’ultimo alla bocca, che si apre leggermente. Il sakè sgorga sino alla gola, iniziando a bruciarla senza timore. < BLEARGH > un rigurgito quasi. Chiude la bocca e porta la sinistra alle labbra come se stesse per vomitare. Gli occhi si chiudono mentre una lacrimuccia scende dall’occhio destro. Ecco cosa succede ad imitare quelli più grandi. < Che schifo … > Afferma sussurrando tra sé e sé. Il bicchiere viene poi poggiato con schifo mentre deglutisce nuovamente come se stesse scacciando il demonio dalla sua gola. Riapre gli occhietti, posandoli di nuovo sulla sua figura. < Si, ecco… > Direbbe iniziando a riprendersi da quella brutta esperienza. Si schiarisce la voce, rimettendosi in posizione eretta. Inspira profondamente prima di schioccare le labbra e proferire quelle parole che potrebbero cambiare tutto < Voglio prendere il controllo delle strade! > Afferma deciso, quasi tutto d’un fiato, socchiudendo gli occhi. Si è fatto abbastanza forza per dirlo. Non sa la reazione che possa avere l’uomo < Ho deciso di ritornare a calpestare la strada ma da vincitore stavolta > Afferma nuovamente calando un poò lo sguardo, timoroso della sua reazione. < Devo solo capire come fare. Sono confuso e devo fare ordine. So solo che mi servono degli alleati in questa battaglia > Un piccoletto bassino e senza esperienza vuole dominare le strade di Kagegakure. Annamo bene.

Così composto e stanco da quel lavoro, un uomo che potrebbe anche apparire come anonimo, uno dei tanti nulla di particolare, un uomo che nasconde dietro a quell’aspetto comune una storia unica e per questo importante. Osserva quello che ancora è un ragazzo ai suoi occhi ma che in qualche modo già riconosce come simile, verso cui prova il desiderio di guidarlo, forse aiutarlo a crescere e farlo diventare un uomo, proprio come sta facendo ora offrendo del sakè. Lo osserva mentre l’altro se lo porta alla bocca, lascia che gli occhi scuri si focalizzino su quel ragazzo e si limita a distendere i muscoli quando ne osserva il disgusto, come se saperlo ancora lontano da quel mondo, o quantomeno immaginarlo così, lo facesse tranquillizzare. Proprio quel singolo istante in cui abbassa le difese le parole di Jikken lo colpiscono con la stessa potenza di un pugno diretto alla bocca dello stomaco. Strabuzza gli occhi, incredulo e sbatte più volte le palpebre. Apre appena le labbra andando a formare quella tipica espressione di sorpresa sul suo volto normalmente così serio e composto. Muta poi velocemente. Il tempo di prendere un respiro, chiudere gli occhi e lasciare che le parole del ragazzo raggiungano davvero la sua corteccia celebrare ed eccola quella fragorosa risata. Scoppia a ridere a crepapelle portandosi le mani sulla pancia inizialmente e flettendo il busto in avanti. La risata si placa, pian piano, andando a scemare mentre lui riprende fiato e mostra una singola ilare lacrimuccia sotto l’occhio destro. La mano sinistra si allunga cercando di spostarsi su quella bottiglia di sakè così da versarsi un nuovo bicchiere. Ormai ha smesso di ridere <scusa ragazzo> ammette lasciando che l’alcool tocchi nuovamente le sue labbra. Tace mentre beve, riflessivo ora, mentre nella sua testa tante le frasi che ora vorrebbe rivolgere a quel novizio del clan, dovrebbe spiegargli forse quanto sia sbagliato aver a che fare con la criminalità, dovrebbe affrettarsi a farlo chiudere con quel mondo eppure non può biasimarlo. Lo comprende visto che lui per primo ai suoi tempi era stato mosso da un obiettivo simile <non dovresti sbandierare la tua idea ai quattro venti tanto per iniziare> non lo rimprovera, solo avvisa come un bravo mentore <io sono fuori dal giro da molto, la ragazza che hai visto dubito si metterà ancora in mezzo, ha già corso un bel rischio ma posso darti ciò che so> rimugina e finisce il bicchierino di sakè

21:11 Tsumi:
 Il bruciore ancora in gola per quel sakè, terribile per un ragazzo che non lo ha mai provato prima. Strabuzza ancora gli occhi mentre una piccola lacrima continua a solcare il candido viso del Noribiki. Vista che si sfoca un pochino, dopodiché va ad asciugarsi gli occhi con la larga manica destra, in maniera non molto fine come si suole dire. Tutto questo poco prima che l’uomo di fronte a lui prende a ridere alle sue affermazioni. Lo sguardo si incupisce mentre lui continua a sghignazzargli davanti la faccia, stendendo un velo più che pietoso alle sue intenzioni. < … che cazzo ridi? > Afferma con voce lieve, sembra che le labbra neanche si siano mosse. Lo sguardo corvino puntato su di lui in attesa che finisca < COSA C’E’ DI DIVERTENTE? > Urla, ormai palesemente infastidito, sputacchiando vigorosamente per il tavolo, incontrollato. Se voleva farsi sentire da mezzo dojo, beh ce l’ha fatta in pieno. <…> Un attimo di silenzio seguono le sue scuse mentre lo osserva ancora, alquanto indispettito. < Scusa un corno > Beh lo ha palesemente preso bellamente in giro. Lo ascolta poi, senza muovere un muscolo. Viso che si rilassa visibilmente, per poi spostarlo da ambo i lati come se cercasse qualcosa o qualcuno. Ritorna poi con lo sguardo verso di lui, aggrottando la fronte < … ci sei solo tu qui, a chi dovrei sbandierarlo?> Risponde così alle sue parole mentre egli prosegue < Non vi ho chiesto di mettervi nella mischia. > Afferma, ponendosi serio nei suoi riguardi < So che sei fuori dal giro. Ma ti rispetto e volevo che tu sapessi cosa ho intenzione di fare. > Fa una breve pausa, sbuffa intenzionalmente prima di proseguire. < Ho incontrato un uomo l’altro giorno > Eccolo. Sta per descrivere il suo precedente incontro con Rasetsu < Un tipo particolare, bello sboccato. Un genetista attualmente. Dà l’aria di sapere il fatto suo in quanto a criminalità. > Afferma < Specifico: non voglio diventare un criminale come loro, ma ritengo che l’unico modo per togliere il “potere”… > Storpia quasi con la voce quest’ultima parola < .. a questi tipi sia giocare nel loro stesso campo. Per questo mi serve lui. E guarda caso … > Un attimino di suspance < … ha un debito con la Yakuza. E ne era il capo, tanto tempo fa. > Si ferma, lo guarda fisso negli occhi < Dimmi cosa sai sulla Yakuza. Come opera, in quali contesti e se alcune gang sono affiliate a loro. Se lo sai, ovvio > Termina così il suo dire lasciandogli campo aperto per rispondere ai tanti quesiti posti.

Perché ride? Già, non c’è nulla da ridere davanti ad una simile dichiarazione d’intenti. Non risponde. Lascia che il ragazzo si sfoghi, mostri la sua passione e la sua enfasi e lo ascolta. Yakuza. Quel nome tanto lontano così come perennemente temuto lo adombra palesemente ma non dice nulla di merito. Lo ascolta e scuote la testa <della Yakuza non so nulla, è tutto finito quando sono arrivati loro> non ne parla. Tace. La sua adolescenza, i suoi momenti felici con gli amici, la gang quel semplice modo idiota di farsi rispettare con i cazzotti e poi tutto finito. Soldi, droga e un giro in cui non avrebbe mai voluto finire, in cui nessuno voleva davvero finire ma che li ha comunque avuti come protagonisti <ti consiglio di fare attenzione però, con loro non si può scherzare, un passo falso e sparisci> parla per esperienza <so solo che tra tutte le varie gang esiste un accordo di neutralità all’interno di un locale notturno, l’Ochaya> che centri la mafia? Un po’ ci crede, non capisce come potrebbe essere diversamente, quei ragazzi che passano il tempo a picchiarsi per qualche centimetro in più di strada. Lo osserva ma non prosegue, non ha altre informazioni che si sente di dare <se proprio devi dichiarargli guerra prima assicurati di avere dei buoni alleati> un consiglio nulla di più. Si rialza quindi <e non gettare fango sul clan> queste le uniche parole con cui stanco ora andrebbe ad erigersi su quel tavolino. Di colpo tutta la fatica della giornata sembra colpirlo, i capelli appaiono quasi più spento e le occhiaie si mostrano, il viso sembra consumato, forse è stato quel discorso a risvegliare tutto questo sul suo corpo. Un lieve inchinarsi verso Jikken e se poi non venisse più interpellato se ne andrebbe sparendo verso la sua stanza pronto a rimuginare e dormire. Chissà se avrà la forza di aiutarlo, forse dovrebbe ma ormai ha chiuso con quel mondo

22:33 Tsumi:
 Le parole dell’uomo arrivano come una cascata. Non si azzarda a fermarlo quando gli parla della Yakuza e di quel locale, sconosciuto a lui per ora se non qualche voce dalla strada stessa. < L’Ochaya. > lo ripete, cercando di fissarlo nella sua memoria. Lo fa sempre quando reputa qualcosa molto importante. Lo ripete fino a che non gli entra nella testolina per sempre. La mano si porta al mento, strofinandosi appena contro di esso, pensieroso nel suo fare. Non lo sta neanche guardando in questo momento, perso tra i suoi stessi pensieri. < uhm … > Solo un mugugno sussegue quella scenetta. Sa dove partire dunque ma non ha ancora un gruppo ben formato tale da poter dichiarare guerra alla Yakuza ovviamente. < Logoramento … lenta. > Parole a caso ma che ben si allineano con i suoi pensieri. Dovrà attaccarli dal basso, distruggendo le loro fila, dalle più piccole e insignificanti. Una guerra lenta. Scuote la testa poi, muovendo le iridi nuovamente verso la figura dell’uomo davanti a lui. < So che non sarà facile. E non sparirò così facilmente, non stavolta. > Non arriverà qualcuno ad aiutarlo di nuovo, per quanto debba la sua vita e incolumità a quella ragazza che lo ha tratto in salvo e a lui che lo ha accolto nella sede del clan, che lo ha capito e preso sotto la sua ala. < Stai tranquillo, non sarò da solo. > Ha in mente un’organizzazione di qualità, con gente che sa il fatto proprio e può condividere quell’obbiettivo, quell’ideale che sembra solo la vendetta di un ragazzino verso un mondo che non lo ha mai accolto veramente, masticato e sputato. < Il clan? Non dico a nessuno di farne parte. > Afferma facendo spallucce e un’espressione sorniona. < Ho l’impressione che avrò bisogno di un posto felice in futuro e penso sia proprio questo. > Qui ha trovato pace, accoglienza e comprensione verso quello che è. Non rivelerà mai a nessuno di far parte di quel clan e anche quando lo negherebbe fino alla morte. Lo osserva, stanco, muoversi verso la porta. Solo un’ultima frase gli verrebbe rivolta mentre egli inizia a varcare quella soglia < Prima o poi dovrai raccontarmi del tuo passato, sai? > E lo lascia andare mentre gli da le spalle. Lui sa che lo ha sentito e sa anche che sta sorridendo, un tenero contorno per un glabro faccino innocente che vuole conquistare le strade di quell’enorme metropoli. Sa anche che lo farò, un giorno si siederanno e quell’omone stanco gli racconterà di quello che ha passato, magari davanti ad un sakè. Magari la prossima volta gli piacerà [END]

No px per la tipologia.

Semplice ambient così che il piccolo Jikken possa iniziare a muoversi per i torbidi corridoi delle gang e della Yakuza