Calore
Free
Giocata del 11/10/2021 dalle 15:05 alle 18:51 nella chat "Quartiere dei Clan [Ame]"
[Casa di Sango - Esterno] Passi stanchi conducono il biondo lungo il vialetto di quella che sta cominciando a considerare casa sua. Trascinati, senza forza, i piedi s’accavallano incerti, come se tutto si muovesse. Non c’è nessuno dei suoi cinque sensi che funzioni correttamente. La vista è annebbiata, ha la gola secca, e l’udito è ovattato. Come se i rumori esterni entrassero nelle sue orecchie ma lui fosse immerso nell’acqua. In compenso. Il volto affilato è d’un colore orrendo. Non più vivo e pulsante di vita, ma d’un grigio spento. Lo sguardo affilato, animalesco è dipinto in un’espressione stanca, le labbra sottili sono schiuse, cerca aria. Respira male, a fatica. Perle di sudore si formano sulla pelle grigia, scendendo lungo gli zigomi e lungo il collo, nella felpa che copre il torso, oppure colando dal mento appuntito. La zip della felpa è aperta fino a metà, lasciando intravedere quella fasciatura mal eseguita con la quale cerca di proteggere la ferita alla spalla. Jeans scuri per le gambe allenate, anfibi ai piedi. Capelli biondo pallido tenuti in quella treccia che è stata la rossa stessa ad eseguire, e che quindi tiene bene. Unica cosa bella in quella figura. Eppure il danno maggiore non sta certo nel fisico, che per quanto stravolto, è visibilmente sano, bruciatura alla spalla a parte. La mente è ridotta in macerie. A mostrarlo sono le iridi, d’un grigio scuro appiattito, stanco, smorto. Ha rotto quell’argine che gli consentiva un minimo di stabilità. E adesso la mente non riesce a trattenere più le voci. Le immagini che ha rievocato insieme al demone rosso si affastellano come lampi di luce accecante, ma più di tutto sono le fitte di mal di testa lancinanti a debilitarlo. In quei momenti il mondo si capovolge, lo stomaco si rovescia e non riesce quasi a stare in piedi. Raggiunge la porta con difficoltà. Avrà già ricevuto le chiavi? Chi lo sa, non sarebbe comunque in grado di cercarle, istintivamente afferra la maniglia come fosse una salvezza dall’esterno. Il volto è contratto, la mascella serrata. Dov’è il silenzio? Cercherebbe di aprire una porta che, essendo d’ingresso, non dovrebbe essere fatta per essere aperta da fuori. Non riuscendoci, s’appoggerebbe con la testa alla superfice della porta, alzando anche una mano. Non ha la forza di bussare, è un rumore quasi soffice quello che arriverà dall’altra parte <San..go> un mormorio, una supplica. Mentre tenta di sbattere con forza il palmo sulla superfice della porta, ma non ne esce niente di rumoroso, non come lui è solito bussare. Fa tutto troppo male. [Casa di Sango | Esterno > Interno] Tarda è l'ora ormai, da molto che il sole è crollato stanco dietro le montagne lontane, da molto che lo spicchio di luna s'è innalzato nel cielo, accompagnato di tanto in tanto a quelle nuvole passeggere, ma nulla di più che il vento dell'autunno a sfiorire gli alberi, ormai spogli rivelano la loro corteccia, si raggrinziscono lentamente, muoiono, ma non del tutto, torneranno a fiorire prima o poi, torneranno ad esser vivi e meravigliosi. E la stessa donna attende dal proprio giardino, no, non quello interno, ma quello esterno, quello che sosta proprio attorno alla casa, curato si, ma non meticoloso come si potrebbe pensare, togliendo di tanto in tanto qualche spazzatura portata li dal vento stesso. Di dormire non se ne parla, in attesa silenziosa che qualcuno faccia ritorno, che qualcuno ritorni. Oh quanto odia quella situazione, non può letteralmente fare nulla di utile, deve solo stare li ad aspettare come una comune mortale qualunque, un pensiero velenoso, il proprio, ma che comunque riesce a distrarla dalle lunghe ore di attesa, di entrata e di uscita da quella casa in modo convulso e spietato. Indossa un vestiario più pesante adesso, d'una maglia a maniche lunghe, di un paio di jeans attillati di un grigio fumo, e un mantello scuro e nero che copre le spalle, questo dotato di maniche abbastanza lunghe dal coprire parzialmente le mani fino a metà, alla nascita delle stesse dita. I lunghi capelli rosso sangue son relegati sotto il cappuccio alzato, lo stesso che le ovatta i suoni, i rumori del vento, ma nell'attenzione di sentire qualcosa di più, un rumore umano. Lo stesso che sembrano esser passi pesanti, strascicati sul sentiero di casa, per sollevarle il viso sottile e prender a correre verso l'entrata anche lei, sbucando dalla destra del giovane biondo crollato davanti lo stipite di casa. Un sussulto, niente di più, scavalcando l'entrata normale ed evitando le scale per porsi immediatamente sulla passerella in legno che la porterebbe in breve al suo fianco < sono qui > un sussurro caldo, il proprio, cercando di portargli un braccio dietro la schiena, e il braccio altrui sulle proprie spalle, non che abbia una forza immensa, tutt'altro, ma potrà servire come appoggio. Scivola la mano delicata sulla porta stessa, era già aperta < entriamo > calda la voce, seppur vi è quel fremito che la rende nervosa. Si, sapeva che l'avrebbe trovato in uno stato come quello, eppure vederlo e saperlo semplicemente son due cose completamente opposte, cerca di nascondere quel suo tremore, quel suo stesso timore, per esser lei stessa pronta ad accogliere quello altrui. Se fossero riusciti ad entrare, avrebbe solo atteso di poter chiuder la porta, e cercare di trascinarlo al centro di quella stessa stanza li ove cuscini e tavolo basso ne fanno da padrone. No, silenzio, serve quello per il momento. [Casa di Sango - Esterno] Come ha potuto non vederla? La nota sempre, la cerca sempre. Eppure non l’ha vista. Niente di lui funziona più come si deve, è evidente. Quella voce però fa il suo dovere, lei sa come usarla con lui lasciandogli udire quel caldo richiamo che s’infila in quel cervello ridotto in macerie. D’istinto si solleva dalla porta, voltandosi nella direzione in cui ha sentito la voce arrivare. Quello sguardo è privo di forza, di vitalità, della sua ferrea volontà, eppure si dipinge ancora in un’emozione, leggermente. La sorpresa lo sgrana quel tanto che basta. <S…sei qui.> Incespica con le parole, quasi a voler essere sicuro che non sia un miraggio, non vede che il profilo del viso della donna, ma non sarebbe mai capace di confonderlo, e quella voce poi, è la conferma che gli serve. Annuisce, senza smettere di ansimare e si, avrà bisogno di quel sostegno, al quale un minimo, non può evitare d’appoggiarsi. La lascia aprire la porta, eppure ciò che vede, per un singolo istante, davanti a lui, non è l’ingresso accogliente dell’appartamento, ma un lungo corridoio asettico, illuminato da neo freddi, tanto lungo che non si vede la fine, e di colpo una di quelle estenuanti fitte di mal di testa. Serra lo sguardo, vacillando <nnnnh> Non un ringhio, quanto un’espressione di sforzo. Quei dolori gli irrigidiscono ogni muscolo, come se stesse cercando di impedire, a forza di muscoli, che il suo stesso cranio esploda. Si lascerà aiutare senza remore, ma quando lei lo toccherà, potrà sentire che quell’uomo ha perso il suo calore. Fredda è la pelle, grigia e scossa da brividi. Ombra di se stesso, Cenere di se stesso, da essa pronto a risorgere, attraverso quel dolore che prova. Si lascerà andare seduto sul primo cuscino che lei gli metterà a disposizione. Seduto, istintivamente piegando le gambe fino a portarle al petto, cingendole con le braccia. Cercando quel bozzolo protettivo inutile, perché ciò che fa male non viene da fuori. Uno solo dei bracci in realtà cinge le gambe. L’altro tenterebbe di allungarsi verso di lei, tentando di fermare tra le dita solo un lembo del mantello nero che la copre. Un tocco insignificante del quale lei potrebbe anche non accorgersi, tanto è privo di forza <n…non> Tenterebbe di tirare quel poco che riesce verso di se. Forse riuscirebbe a mala pena a tendere un po' la stoffa. Di sicuro non riesce ad alzare il capo che, impietrito, guarda davanti. Cerca, con quei pochi mezzi rimasti al suo cervello, di tenerla li con lui. [Casa di Sango | Interno] No, non sta bene, affatto, niente di lui può dirle che la sua mente sia ancora integra, o almeno, quel tanto per renderlo quasi normale agli occhi di molti. Qualcosa s'è rotto, chissà quanto è andato a fondo il rosso per aprire la sua mente a ricordi che ha voluto cancellare, tenere celati a se stesso pur di non affondarci ancora e ancora. Lo lascia scendere verso il cuscino cercando di accompagnare il suo movimento senza cadergli addosso di rimando, per riposare anche lei per qualche secondo. Lo sguardo azzurro è allarmato, le parole che s'affollano nella mente, di domande, dubbi, di cose che vuole chiedergli, eppure lo sguardo nero, quello pesante, fisso, non s'appropria del suo. Stringe leggermente quelle labbra, scivolando verso terra con calma, proprio davanti i suoi occhi persi, davanti le sue gambe rannicchiate al petto, e di quello stesso braccio. Delicate le mani andrebbero a scivolare verso le sue, tentando di stringerle delicata, calde adesso < Shinsei > lo richiama in quel basso sussurro, accompagnati quella notte da quelle luci e dalle stesse candele che danzano nell'oscurità rendendo più caldo e accogliente quella stessa casa. Ma è li, deve chiedere adesso, deve farsi almeno un idea di ciò che egli sta vedendo, che par tanto lontano quello sguardo da tenersi a chilometri di distanza da quel loco. < cosa.. cosa hai visto? > non cosa vedi, cosa hai visto, il passato è d'obbligo per il momento, per non premere contro la sua psiche in quel momento di fragilità. Se solo volesse lei stessa potrebbe affondare le sue mani al suo interno, distruggerla completamente, spezzarla e non sarebbe più tornato nulla come prima. Se solo volesse però.. < sei a casa adesso > lo cerca, allarmata, la voce stessa che vibra di tensione nel non sapere esattamente cosa dire, cosa fare, non essendosi mai trovata in una situazione simile. Il cappuccio ormai è scivolato sulle stesse spalle adesso tese, così come tutto il corpo che si tende verso l'altro, alla ricerca di quella sua vitalità < cosa ti ha fatto Shinsei? > a chi si riferisca non è detto, se al rosso oppure a quell'Ona da lui stesso mormorato, e non sarà a lei decider di chi parlare, sempre che riesca in effetti a farlo. Rimarrà li, spostando solo la destra verso un panno lasciato su quel tavolino, recuperandolo per cercare d'asciugargli il viso dal sudore, dai brividi che lo scuotono, con estrema delicatezza, senza perderne il contatto visivo. Cosa hai visto, Shinsei? [Casa di Sango - Intrerno] Riuscirà mai a rendersi conto di quanto è fortunato, il biondo? Si perché avere qualcuno al proprio fianco che risponde in quel modo, con quella prontezza, è una fortuna rara “Tu sarai la mia ragione, quando io la perderò” Questo le aveva imposto, incatenandosi con lei a quel vincolo che entrambi hanno voluto. E a questo lei è chiamata ora. E a questa chiamata, risponde con la prontezza di sempre. Quando si piegherà davanti a lui, potrà notare che quello sguardo che lei cerca non esiste. Iridi morte la vedono senza guardarla. In un volto affilato e imperlato di sudore, contratto nello sforzo di zittire quelle voci e di reprimere quei flash. Scosso da brividi e leggeri tremori, ma quel nome. Quel nome evoca qualcosa. Se lei avesse la pazienza di tenere il suo sguardo nel suo, potrebbe accorgersi di come quel nome sia stato come se, per un istante, qualcuno avesse soffiato via la polvere grigia da quello sguardo, che di colpo la trafigge, tornando per un istante a quel vigore del quale lei si nutre, a cercarla con avidità. Le mani da lei toccate son fredde, umide, sudate, eppure, se lei lo consentisse, una di queste si solleverebbe verso il viso di lei. Fino a toccarlo. Quasi privo di forza, di vigore, di irruenza, un tocco delicatissimo sullo zigomo, che tanto adora, mentre lo sguardo si immerge in quello blu di lei. Eccola casa sua. Tenterebbe di portare avanti quella carezza, immergendo le dita nei capelli di lei e proseguendo sulla pelle del capo fino alla nuca per poi tentare, con quel poco di forza che ha, di tirarla a se. Non è uno dei suoi tocchi assoluti, categorici. Potrà opporsi senza il minimo sforzo. Ma noterà le gambe allargarsi per farle spazio e, se lo consentirà, si ritroverà in un freddo, instabile, delicatissimo abbraccio. E se lo accetterà, potrà da qui percepire il corpo del gigante rilassarsi, le labbra finalmente chiudersi e il naso inspirare profondamente quel profumo. La lascerà libera di chiedere, certo, ma si prenderà il suo tempo per rispondere. Per una volta, cullandosi lui nel calore di lei, prima di lasciarla andare, facendo crollare le braccia, come fosse troppo stanco. <...> Le labbra si schiudono ma niente ne esce in un primo momento. Tenterebbe di cercare ancora quello sguardo. Ma non con sicurezza, quanto con necessità. <Ho ricordato> Due parole, forse le più importanti che si siano scambiati loro due da quel giuramento che hanno condiviso. È a quello che si sono preparati. Per consentirgli di ricordare. E l’ha fatto. Eppure non v’è l’ombra di un sorriso sul suo volto. Che invece, subito dopo, si tinge di puro terrore. Quasi aggrappato allo sguardo di lei per non ricrollare in quel baratro. Colei che sola può mettere a tacere le voci dentro quella mente distrutta. Sarà in grado lei di rendersi conto per entrambi che quello è l’inizio che avevano programmato? Che le cose sono andate per il verso giusto? Non è questa la serata adatta, forse. Lunghi secondi di silenzio in cui il biondo sembra cercare di mettere in fila parole. Sempre appeso a quello sguardo che sta a lei decidere quanto a lungo sostenere <Io…> No, non il giusto inizio <Rasetsu…> Si meglio <Mi ha provocato…> Potrà sentire lei il respiro del biondo accelerare <…e poi io ho avuto… ho visto…> Agitato, sempre di più <e lui mi ha spinto più a fondo e io…> Di nuovo la tensione torna a tendere quel viso affilato e grigio, mentre solleva ancora le mani, quasi a cercare un appiglio <…ho ricordato…Ona> Di nuovo quel nome, mormorato con profondo terrore. Ma sarà proprio lo sguardo di Sango, se lei l’avrà concesso, il suo tocco, la sua voce a calmarlo. Tirerà lunghi, profondi sospiri e quel volto tornerà ad avere l’espressione stanca si, ma più tranquilla. Si sta impegnando a trattenere quella crisi profonda che lo ha investito, si vede. Sta tentando di mettere insieme i pensieri, perché vuole condividerli. <Abbiamo deciso che il metodo migliore era tramite un genjutsu…> Si mette nel processo perché è la verità. Bisogna ricordarlo, lui è li perché lo ha voluto. Ciò che non s’aspettava era cosa avrebbe visto nel genjutsu <Eri morta…> D’improvviso, senza alcun preavviso, quello sguardo nero si fa acquoso, proprio li, mentre la guarda, e due lacrime gli solcano il volto affilato, fino al meno, scomparendo sotto di lui. È un racconto ancora lungo. Ma lo condividerà con lei. Deve farlo. Per se stesso tanto quanto per lei. [Casa di Sango | Interno] Il ragazzo non troverà alcuna resistenza a quel tocco, poco importa che le sue mani siano sudate, fredde, la lascerà li accompagnandola al proprio viso con la propria, stringendola lievemente, concentrandosi in quelle iridi, concentrandosi per scavarvi fino n fondo, alla ricerca lei stessa di immagini che non potrà vedere, non coi propri occhi, ma almeno, percepirle? Avanza, in quel lento abbraccio, le proprie che si dilungheranno invece al di sopra delle sue braccia per stringerlo delicata a se, facendogli percepire il calore oltre le vesti, qualcosa che assume più profondità, qualcosa di differente che un mero corpo aggrappato ad un altro. Sospira anche lei, al suo collo, semplicemente per chiedere, comprendere, essere davvero la sua ragione in quel momento ove la mente non risulta che confusa, in preda a ricordi di chissà quale genere, tipo, portata, la stessa mente della rossa che si interroga a lungo in quel loro silenzio ove le braccia scivolano verso il basso, e lei potrà tornare a guardarlo, lasciando che le sue parole possano uscire, confuse, a tratti, senza quasi una connessione logica di ciò che è accaduto. Genjutsu. Stringe lieve la mandibola a quel solo ricordare lei stessa quanto terribile possano essere, di coloro che si intrufolano in una mente per sconvolgerla. < lo avevo immaginato > sussurra, per nulla sorpresa del fatto che l'abbia portato fino in fondo, di quel terrore che egli prova, di quello che non dovrebbe nemmeno più provare. < non è qui Shinsei, non è reale > cosa può esser reale in quel mondo? Non di certo un genjutsu, ma i ricordi si, e quelli sanno bene dove colpire e fare male . Ma lei, morta? Sorride, delicata, portando la destra a prender per se quelle lacrime che scivolano verso il basso < non potrei morire di certo ora > oh quanto sono crudeli i kami e gli stronzi a porre quell'immagine perfetta per lui, vederla morta, senza vita. Qualcosa che un giorno forse arriverà davvero, ma che adesso non si tratta d'altro che della sua immensa paura forse? < fidati di me, delle mie capacità. Non morirò qui, e per quante volte possano fartela vedere, puoi solo riderne > per quanto quell'immagine non sia altro che un enorme stronzata colossale. Sicura di se, si, ma più sicura per lui adesso, cercando d'avvolgere il viso tra le calde mani poggiandole se consentito ai lati del volto come a sorreggerlo < nemmeno lui è qui, ma è importante che quel ricordo, quelli che stanno venendo a galla, tu possa comprenderli > .. < solo dal dolore e dalla solitudine si può ambire a qualcosa di grande > e che lui ne abbia provate di entrambe ne è più che sicura < ma non lo sei più, adesso. > nemmeno lei lo è alla fine, ma adesso non le resta che tacere, lasciargli il tempo di metabolizzare, di inoltrarsi lui stesso nelle piaghe della sua mente, di ricordare un volto che avrebbe dovuto non conoscere. Ma a cosa servirebbe fuggirne, scappare da quello che è un passato, senza affrontarlo? < uccidilo > caldo e avvolgente, quel suo ultimo sussurro, e non solo di uccidere Ona, se sia vivo o morto poco importa, ma di ucciderlo nella propria mente, nei propri di ricordi. [Casa di Sango - Intrerno] Lenta, ma costante, piano piano, come solo lei sa fare, dona nuova vita a quelle braci che ha davanti, torna a farle vivere di nuova fiamma. Lei spinge parole verso di lui, lui le ascolta, come sempre. La lascia rispondere senza interromperla e, a quella parola, l’ultima che lei gli riserva, potrà sentire di nuovo la mascella contrarsi, i muscoli del volto trovare nuova vita, quello sguardo riacquisire di nuovo quel taglio animalesco e soprattutto il nero di quegli occhi esplodere di vita. Annuisce lui. Inchiodandola in quello sguardo e nutrendosi della vita e della motivazione che solo lei sa trasmettergli. <Una parte di me sapeva che non era reale.> Un tono molto meno sussurrato, torna a prender vita quella vibrazione bassa e costante tipica della sua voce. Vibra la cassa toracica spingendo parole per lei, lei che, di nuovo, lo sta riaccendendo, ricostruendolo. È più sicuro il tono di voce. <Quando ti ho vista li, nelle risaie di Oto, a sussurrarmi le tue ultime parole, questo ha scatenato in me un senso di vuoto profondo. Una solitudine infinita.> Non ha bisogno di urlare. Si lasca tenere il volto da lei finchè lei vorrà farlo, ma le mani, istintivamente cercheranno il suo corpo, un braccio s’appoggerà con il gomito sul ginocchio piegato per affondare nei morbidi capelli di lei, fino a toccar e la schiena in distratte carezze, sempre meno delicate e incerte, l’altra farà la stessa cosa. ma andando a spostare quelle ciocche dal suo viso, come a volerla veder meglio, o a giocare con quei fili di seta rosso sangue. Tocchi distratti che comunicano la ricerca di lei, <Questa sensazione ha scatenato qualcos’altro, e ho sentito di nuovo la voce di Ona.> La prima volta è stata con Matono. Ma non era un ricordo, quello, era una sua stessa illusione. Un brivido lo scuote al ricordo, la mascella si irrigidisce < mi ha chiesto “sai perché sei qui?”> ma qui dove? E quando soprattutto? Domande alle quali non ha trovato risposta. Perché? Lo spiega subito <Non ho resistito. La parte di me che era consapevole dell’illusione ha manovrato il corpo, mi sono colpito, spezzandola.> Vittima lui stesso della tremenda volontà che lo muove. Tiene lo sguardo che lentamente trova la sua pesantezza, la sua profondità, il suo furore, in lei. Per prendersi prima ancora che le parole le esprimano, le emozioni di lei <Ho chiesto a Rasetsu di immobilizzarmi per impedire a me stesso di interrompere di nuovo quello che stava succedendo.> Eccola di nuovo, quella suprema volontà che è andata oltre ogni logica, ogni ostacolo, perfino oltre se stesso, portandolo al collasso. <Ha usato il suo sangue nero> è giusto che lei sappia che ha visto quella strana capacità del rosso. <E ha ricominciato> Commenta in un sospiro. Per quanto quello sguardo stia tornando ferale, affilato, pesante, scomodo, vivo, furioso, si vede la stanchezza sul viso, che lei potrà sentire lentamente scaldarsi, grazie alle mani di lei, ma che non sembra migliorare troppo come colore. Non è stata una cosa divertente quella che si è costretto a vivere. [Casa di Sango | Interno] Lo richiama a se, lo richiama alla logica imperitura, alla ragione di ogni loro singolo respiro, di quella stessa stanza, di quel villaggio, lontano chilometri da quello che fu la reale otogakure, il reale loco in cui si vide morire per l'ultima volta, o quella che credeva esser l'ultima volta. Lo rivede quel nero brillare di nuovo, quel nero che s'ha di vita e di comprensione, di mente stessa. Sorride, calma alle sue stesse parole, di quelle che potrebbero davvero esser state le sue ultime parole, chissà cosa direbbe in quel caso? Lo sa già, le ha ripetute una sola volta, una sola parola, un solo singolare nome ormai troppo antico. Lo ascolta carezzandone il viso, così come lui carezza il proprio, sempre meno delicato, sempre meno interdetto, tremante, riprendendo lentamente il suo colorito, ma ciò non basta a saper che la sua paura, quel terrore sia scomparso, o non sarebbe stato così sconvolto < i ricordi uccidono se lasci che ti uccidano > sempre quei sussurri, caldi, accoglienti, li ove posson esser fatti senza paura alcuna, senza che nessuno possa ascoltarli. Perchè lui è li? Una domanda a cui nemmeno lei potrebbe rispondere, eppure qualcosa la spinge a parlare , a dir qualcosa < perchè sei vivo > solo da vivo può ricordare, solo da vivo può sentire quel dolore, quell'occlusione del petto, la mancanza stessa del respiro che viene meno così come la vita, o così potrebbe sembrare < dal dolore, dalla solitudine.. prendine la tua forza > perchè è quello che lei stessa ha conosciuto, quello che ha fatto per se stessa, spingendosi da se dentro il proprio turbolento fosso vuoto interiore e oscuro, per provare a rinascerne, completa, o quasi, matura e ormai fiore sbocciato. Lo ascolta ancora, di quello che ha fatto per mantenersi quanto meno fermo per non andare a scioglier di nuovo quella che è un'illusione pura < il sangue nero dei Kokketsu, l'hai visto anche tu, dunque > lei lo ricorda molto bene, vivido e di certo molto più potente di quello che probabilmente potrà mai rivedere, di un vecchio Tessai ormai morto che ancora odia < una parte di me ti direbbe di smetterla di farti del male > sorride amara in quel pensiero < ma la più importante ti chiederà di affondare tu nelle tue memorie, per ricordare ogni singolo passo, ogni singolo attimo, per quanto questi faranno male, saranno orribili, saprai davvero chi sei > chi è, chi è stato soprattutto < e potrai solo in quel momento innalzarti al di sopra di molti > a danzare lui stesso, lucciola adesso che girovaga furiosamente in quella terra, ma non ancora così luminosa da bruciarlo. Ricordi quando la seguisti verso Amegakure Shinsei? In quel momento ti disse il motivo per cui t'avrebbe aiutato , per rivedere una di quelle fiamme nuove sbocciare violente.
Giocata dal 11/10/2021 22:42 al 12/10/2021 00:32 nella chat "Quartiere dei Clan [Ame]"
Le parole di lei, come balsamo, leniscono quel profondo malessere. È ancora presto per ricomporre i ricordi che piano piano fluiranno da quella crepa che hanno aperto con Rasetsu, ma il mal di testa, lentamente si placa, le voci che gli affastellano le orecchie, lentamente si quietano fino a lasciarlo da solo con la voce melodica di lei. La vista si ricompone, tornando perfetta. Come se fosse un processo curativo, ma per la mente <Non permetterò che i miei ricordi mi seppelliscano.> Rifulge in oscuri bagliori, a tratti, quella sua volontà. È lei stessa a continuare per lui, manifestando i suoi intenti. <Siamo solo ombre senza volto senza i nostri ricordi. Pallida versione di ciò che potremmo essere. Io mi riprenderò i miei, dipingerò il mio affresco, e smetterò di sentirmi un’ombra senza storia> S’abbassa la voce, si fa inesorabile e determinato lo sguardo, mentre annuisce al dire di lei. Ricordando a entrambi il motivo per cui sono li, in quel momento, lui in frantumi, lei a riaccenderlo. Un processo che durerà il tempo necessario, ma che restituirà vigore e consapevolezza a quell’uomo senza passato. Annuisce. Avrà modo di riflettere anche su questo. Effettivamente lui e il rosso si stanno esponendo molto l’uno con l’altro. Lui ha assaggiato la resistenza di quei costrutti, ed era senza chakra. <Mi ha fatto tornare alle risaie, con te, ma stavolta c’era anche lui, con in mano la lancia che ti aveva trafitto.> Racconta, sempre meno provato, senza smettere di cercare quello sguardo, mentre una delle sue mani andrebbe, se lei glie lo consentisse, a poggiarsi sul viso di lei con il dorso delle dita. Una carezza volta a sentire il calore di quella pelle, a tenerselo per se. Lei invece potrà percepire come le mani restino fredde, ma meno umide. Ha smesso di sudare dalla paura <Il dolore che ho provato si è tramutato in una rabbia incontrollabile.> Lo ammette senza problema. Come altro avrebbe dovuto reagire? <E li mi sono ricordato di averla già provata quella rabbia e… sono tornato indietro. In un ricordo> Le racconta, cercando di mettere in fila, con precisione, i pezzi di quello che è successo. Sta faticando, si vede, ma è motivato, anchce da lei. <Ero in una stanza senza niente dentro. Bianca, con una parete a specchio> Ricorda qualcosa? Per la rossa si. La sua vecchia stanza, ma senza lo specchio <Ona era con me. Mi aveva appena fatto male, ero furioso con lui. Mi ha detto che avrebbe continuato finchè non…> Si ferma, cerca di recuperare le parole esatte <..finchè non avrebbe sbloccato il potenziale che mi ha innestato.> Commenta, soppesando lui stesso quelle parole. Quando quel mal di testa lo lascerà in pace avrà molto su cui riflettere <Finchè non sarei diventato ciò che sono stato scelto per essere> Continua, mentre nella sua testa la sua stessa voce si accavalla con quella del suo aguzzino, donandogli un altro, profondo brivido che gli drizza la schiena < Poi ha attivato il suo Sharingan, mi ha fatto male, non sono più riuscito a sopportare, Rasetsu ha fermato il genjutsu e…sono venuto qui> Completa quel racconto con aria stanca. Le ha donato tutto ciò che ricorda. No. Non tutto <Ha fatto il nome di Kunimitsu> La conoscono entrambi. Lui era bambino quando prese il potere, lei deve averla vissuta in un altro modo, ma è stato il suo travestimento alla serata serial killer. <è tutto…> Commenta tornando a guardarla. Bisognoso di quel contatto. [Casa di Sango | Interno] Cerca di donargli una via, un modo per poter rivivere quei ricordi, una motivazione ancor più grande magari , qualcosa che sia logica, che sia estranea dal solo dolore e dal senso di soffocamento che egli prova . Ci prova almeno, cerca di farlo con la propria voce, modulandola calda, cercando di richiamarlo a se, per non affogare nel nero oscuro di ricordi di chissà quale tipo, ma che adesso pian piano risalgono a galla dalle sue parole, e lei potrà udire tutto quanto e la sorpresa si dipinge sul viso, le stesse iridi che si sgranano violente, di quelle che s'aprono come ventagli oltre quelle lunghe ciglia nere, ma lascerà al racconto finire, morire in quello stesso silenzio, guardandolo dritto negli occhi, senza scostarsi, sospirando adesso < come ti faceva del male? > non lo sa, non sa molto di quell'essere dal nome di Ona, non sa praticamente nulla. Quali possono essere i modi per fare del male a qualcuno? Troppi, ma deve sapere, vuole sapere cosa fosse, chi fosse quel mostro e donargli lei stessa una forma nella propria mente. < ti ha innestato geni Uchiha > quello non è molto difficile da comprendere, eppure qualcosa manca, qualcosa che lei conosce bene, che ha imparato nel passato < ti ha.. ti ha sostituito gli occhi? > lecita la domanda, ne guarda quelle due sfere completamente nere, uguali a quelli di qualsiasi Uchiha, oppure s'è limitato al mero sangue? < so che è possibile se lo si desidera, impiantare un occhio nel corpo per far coesistere due geni completamente differenti , due innate allo stesso tempo > dovrebbe ringraziare Tenshi Senju per quelle informazioni, magari un giorno porterà un fiore per la piccola ragazza dai capelli rosa dritta alla vera Otogakure < mi hai detto che sei stato scelto.. per quale motivo? > perchè ha scelto proprio lui per quelle sperimentazioni? < non ricordi nulla di ciò che era.. Prima?> quel suo prima, quel prima che venisse scelto , che venisse portato chissà dove, da chissà chi. Ah, lo sharingan < non so cosa facesse Kunimitsu davvero, aveva creato un campo di concentramento di tutti coloro che si opponevano all'alleanza > li in quelle prigioni poi liberate proprio da lei e dalla Doku, e anche da un rosso di loro conoscenza < e quindi questo Ona era un Uchiha > stringe i denti al labbro inferiore < non penso che Kioshi avrebbe approvato > ricorda il motivo che l'ha portato a scegliere di tornare ad Otogakure, lo stesso motivo che l'ha spinto a prendersi il suo trono tra i Kage, il suo clan, riportare alla vita e alla gloria di un tempo. [Casa di Sango - Intrerno] Non si fanno attendere le reazioni della rossa. Osserva lo stupore dipingersi in quegli occhi così vivi. Da così vicino non potrebbe mai perderselo. Si immerge in quello sguardo come se potesse toccare con mano le domande che si affastellano dentro di lei, e che a un certo punto non trattiene. Quella prima domanda probabilmente è la più dolorosa che riceve. Una fitta al petto lo piega. Ricordare vuol dire anche questo. Rievocare i modi e le motivazioni per cui accadono le cose. Serra la mascella, ferito da quella domanda, pur comprendendone il senso. Ma a ferirlo maggiormente è il fatto che non è in grado di rispondere <non me lo ricordo> Mormorerebbe, con il tono colpevole nella voce profonda <Ho visto solo i suoi occhi rossi dietro gli occhiali rotondi. Tutto il resto è sparito. Non ho retto> Non li reggerà mai quegli occhi. Potrà forse comprendere la rossa il motivo per cui il biondo e il moro Matono si sono affrontati? Potrà forse capire quanto pesante sia stato per il biondo scoprire che vedrà quegli occhi sul volto di una persona amica? Probabilmente potrà, ma fino a un certo punto, perché quello che il biondo non ricorda, è quanto bruciante sia il desiderio di possederli lui stesso quegli occhi. La successiva frase gli tinge il volto affilato di pura sorpresa <Cosa?> è un’informazione che lo trafigge come una freccia. <C..che significa?> Impiantare geni Uchiha? È arabo. Ma soprattutto significherebbe per lui anche perdere quell’unica certezza che ha sempre avuto: il fatto che è un Uchiha. È giusto che lo sappia adesso? In questo modo? In questo stato? Starà alla rossa deciderlo. Ma potrà notare senza problemi come sia completamente all’oscuro di questa cosa. Probabilmente perché i suoi ricordi sono molto più fumosi e lenti ad emergere rispetto alla mente acuta della rossa. Ma risponderà al resto. E la reazione a quella seconda domanda, sui suoi occhi, è sempre la stessa, sempre maggiore sorpresa <Cosa?> Di nuovo completamente sconcertato <Io…Sango di che..> di che parli? Lo spiega lei, e lui non può che schiudere anche le labbra dalla sorpresa <n..non lo so..> Sembra rifletterci qualche secondo, ma di colpo una reazione diversa lo coglie, serrando la mascella e dipingendo il volto in un’espressione molto più dura <Sono i miei occhi.> Fino a quanto si possono distruggere le certezze di qualcuno prima di vederlo impazzire? Si terrà quella di certezza. Che almeno il suo sguardo resti il suo. Stupida quella risposta, sicuramente, ma non ha risposte per lei, non ancora arriveranno, fluiranno fuori da quella breccia creata, assalendolo di notte o quando meno se lo aspetta. Saranno settimane interessanti. Ma per ora, ricorda solo ciò che ha visto da Rasetsu. <Scusami.> Oh dei, lui non si scusa mai e ringrazia ancora meno, che è successo <è che… fa male..> Mormora piano cercando di abbassare lo sguardo, colpevole. Le fitte di mal di testa non lo abbandonano quando si sforza di ricordare. Ma si sente visibilmente colpevole di avere così poche informazioni da condividere. Arriva un’altra domanda e di nuovo <Non lo so> Commenta con una punta di sconforto. Ma si sforza di ragionare con lei <Io…> Sforzati Shinsei, forza! <Devo essere stato selezionato per…diventare qualcosa di nuovo…di migliore? Ma non so cosa> Ammette di nuovo. Sempre la stessa risposta. Eppure un’altra domanda arriva, un’altra fitta a quella povera mente provata <Io…> Torna a farsi incerta la voce, come se tutti quei dubbi, in quel momento, lo stessero portando a dubitare di nuovo di se <Ricordo che ero all’accademia. Che Kunimitsu era a capo del villaggio e…> Sforzati. Glie lo devi, per quello che sta facendo per te <…mi piaceva fare a botte> Oh, strano <ci stavo bene… in accademia… ero bravo> Non era bravo, era il migliore. Ma questo non può ricordarlo. Non adesso. Il nome di Kioshi lo porta a rialzare di nuovo lo sguardo. Si sono incontrati sotto quella statua la prima volta per un motivo. È stata la prima persona di cui loro due hanno perlato per un motivo <Kioshi se l’avesse saputo… mi avrebbe salvato> mormora basso <Io… da bambino volevo essere come lui.> Ecco cosa fanno gli eroi. Creano illusioni, gli Uchiha soprattutto. Tenterebbe di tornare a guardarla <... vorrei alzarmi> Commenta cercando anche di accennare un sorriso stanco. Ma non può farlo con lei praticamente tra le sue gambe, se lei lo consentisse, si metterebbe in piedi ma da solo. Le forze, lentamente, grazie a lei, tornano <ho sete...> Non sa ancora come orientarsi per bene in quella casa, ma la seguirebbe come un ombra dovunque decidesse di andare, se non accettasse il contatto fisico di una mano nella propria.
Giocata dal 13/10/2021 21:49 al 14/10/2021 04:02 nella chat "Quartiere dei Clan [Ame]"
Le domande si susseguono dalle labbra della rossa, si infilano, forse troppo in fondo per il biondo, le dita che sente affondare in quella melma che lo consuma, e sa cosa potrebbe avergli fatto, e sebbene noti quella sua espressione non si dimentica che è li non solo per sorreggerlo, ma anche per aiutarlo a proprio modo, razionalizzare quella figura, come lei stessa razionalizzò col tempo quella del defunto Yukio < è stato lui a lasciarti quei segni sul corpo.. > no, non è quella una domanda, ma la verità che comprende esserci, ovvio, l'aveva sempre sospettato, da quel suo non poterlo toccare in quel loro primo incontro facendo nascere quella sua reazione di paura, terrore, lo stesso che ha potuto avvedere nello sguardo nero e profondo di quel gigante, e che adesso invece non pare esserci più, non con lei almeno. Calma, calda la voce, la stessa che cerca di razionalizzare tutto quanto, di come la possibilità che gli abbiano impiantato degli occhi Uchiha possa esser molto, troppo alta. Stringe lei stessa quella mascella, l'espressione colpevole nell'averla pronunciata a voce troppo alta, troppo presto forse < quello che ti dico è solo quello che conosco > sospira affranta, che davvero gli abbiano portato via tutto? Non solo la libertà, ma il corpo, la possibilità lui stesso di decidere per se, gli occhi , la mente, cosa davvero ha patito? < vorrei solo poter vedere quello che vedi tu > quello che ha vissuto, per comprenderlo meglio < so che è possibile sostituire degli occhi con quelli di un Uchiha, suppongo anche degli altri clan con abilità visive > hyuga, seiun, insomma, coloro che utilizzano doujutsu . Spiega solo quello, non vuole addentrarsi sulle possibilità, solo per provare a porre la mano li, sul suo viso, delicata e calda, carezzandone la pelle dura sotto le punte di dita troppo morbide, troppo poco lavorate, di colei che ha vissuto meglio, decisamente, tra il lusso e la ricchezza d'un clan intero. < prima nemmeno volevi che ti toccassi, ricordi?> quel loro primo incontro lo rimembra? Li davanti gli occhi spenti d'un antico Uchiha < non mi importa che tu sia o non sia un Uchiha, Shinsei > non è la sua preoccupazione, non è nemmeno un pensiero per lei , non è di certo li per convenienza di clan, ma perchè lo vuole lei, egoista ancora, eppure in questo caso, si potrebbe non esserlo? Quelle scuse muoiono li, non risponderà ad esse, lascerà che possa sfogarsi , che possa parlare, che possa perfino alzarsi senza di lei che rimarrà a guardarlo dal basso, seduta ancora su quel cuscino, lasciando pure che le dia le spalle se lo desidera, che possa rifugiarsi anche nella solitudine, ma non prima d'averla finita di ascoltare < tu vuoi essere migliore Shinsei? > che domanda strana forse da udire da parte d'ella, eppur cela qualcosa ancora nelle azzurre, lasciando quei secondi a interporsi tra una frase e la successiva < puoi esserlo senza essere un Uchiha. > che verità strana e incontrovertibile, no? < anche io provavo rispetto per Kioshi > a suo modo le era stato d'aiuto per la propria crociata < eppure lui è morto. > un'altra orribile verità < così com'è morto Pain, e altri grandi ninja > tutti crollati sotto il loro potere, nell'ultimo loro attimo di gloria < ma in pochi tentano di diventare qualcosa di ancor più grande di loro, nemmeno ci pensano, nemmeno riescono ad immaginarlo > lento il corpo andrà a rilassarsi, sempre in quella posizione , seduta, portando le mani ai propri capelli per intrecciarli lentamente < non mi sembra il tuo caso. Ma di certo non devo esser io a convincerti ..> solleva il viso sottile, lo sguardo affilato, forse freddo, ma sicuro. Non v'è pietà ne altra emozione per il suo dolore, quello avrà il modo, il tempo per poterlo proteggere, ma debole? No, non lo vede debole. Spezzato, si. < devi convincertene tu > tace finalmente, ha forse detto troppo, parlato troppo, e il silenzio può esser un grande amico in questi casi, questo gli dona adesso, una visione differente, una visione che un tempo ci fu chi la portò ai propri occhi. Esser più grande di Konan stessa. Ecco perchè non si paragonerà mai a lei. [Casa di Sango - Salotto] Quando la voce musicale compone quella prima frase che vola ad insinuarsi nelle sue orecchie, nella sua mente, lo sguardo s’allarga ancora <…segni…> che parli delle proprie cicatrici? Si, deve essere questo di cui si parla. Abbozza quasi un piccolo sorriso, leggero, appena accennato, mentre la guarda con occhio nuovo <non mi hai mai chiesto…> Fa strano sentirselo chiedere. Ma la consapevolezza arriva dopo. Amara come il retrogusto di un liquore forte e secco. <…temevi non ricordassi.> Le labbra si schiudono prima di parlare, come se stesse cercando di mettere in fila le giuste parole e questo processo portasse via tempo e fatica. <Quella all’addome l’ho subita mentre cercavo di raggiungere Kagegakure> è una voce più dolce. Potrà notarlo, lei, con quanto piacere si confidi a lei e a lei sola. <Quella sul petto invece…> Le labbra restano schiuse, lentamente torna quella consapevolezza, e lo sguardo s’abbassa ancora <non…lo so> Commenta semplicemente. Un mormorio tutto vibrato e nient’altro. Già <ma.> eccolo, lentamente, rialzare il capo <io mi riprenderò quel ricordo, e quando me lo chiederai di nuovo, io ti saprò rispondere.> Lo trasforma in una promessa, in un giuramento, vincolandosi ancora a lei, perno di tutto ormai. E va bene così. È stato lui a sceglierla. Non ha intenzione di tirarsi indietro. Mai. <Q…quindi potrei avere degli occhi…> Non conclude la frase, rabbrividendo. Ma facciamo un passo indietro. L’hai notato, Sango? Non manca qualcosa nell’elenco di quei segni sul corpo? Perché non ha menzionato la schiena coperta di cicatrici orrende si, ma troppo precise? Hai notato che non c’erano specchi nella sua vecchia camera? Che succederà quando incontrerà la sua schiena in uno specchio, in casa tua? Sono domande per te, queste, alle quali dovrai aggiungere la pesante decisione che devi prendere: glie ne parlerai stasera, in quello stato? O aspetterai? Quando quel tocco di lei raggiunge il suo viso, lo sguardo si socchiude. Sarà ancora fredda la pelle per lei, ma sarà rovente il tocco per lui. Come sempre, quel bruciore che rasenta il dolore, ma che ha imparato a sopportare, perché sentire quei polpastrelli sul suo volto vuol dire semplicemente avere l’attenzione di quell’essere. Quell’attenzione che brama. <Potrei… non esserlo?> Eccola la domanda cruciale. Quella che non si è mai posto. Sin dal primo incontro, convinto di essere Uchiha. Eppure a lei non importa. Quelle parole come l’acqua nei suoi occhi, scavano nella pietra del suo cuore frammentato. Non risponde subito. Si alzerà, lentamente. Ha sete. E se lei deciderà di aspettarlo li, avrà ben presto visione dell’ampia schiena di lui. Eppure quella domanda lo inchioda li. Subito sopra di lei, in piedi, di spalle, fermo. Non risponde. Le sarà impossibile notare il suo sguardo assordo, avendo possibilità di vedere solo la sua nuca tatuata. La ascolterà, completamente, rabbrividendo come se potesse vedere quello sguardo freddo che si è meritato. Ha ragione. Basta. Di colpo lei potrà trovarsi un braccio teso, con le dita verso di lei, palmo verso l’alto. In attesa. Un gesto tanto veloce da far frusciare la felpa che indossa. Mano aperta. Se vorrà seguirla con lo sguardo, arrampicandosi lungo il braccio, potrà arrivare alla spalla stondata, e subito sopra… il profilo appuntito del volto del biondo la domina. Con quell’occhio nero, dal taglio affilato, oscuro e pesante ma vivo, furente, fiammeggiante, a prendersi quello di lei, freddo e sicuro di se per farlo suo. Ama vederle addosso ciò che prova, compresa quella consapevolezza, di cui si nutre con voracità immergendosi in quegli occhi induriti dall’esperienza. È uno sguardo che non ammette repliche, il gesto è chiaro, vuole la sua mano. E non si muoverà da li finchè non l’avrà ottenuta. Potrà sentire un calore diverso su quelle dita. Non ancora il suo, ma qualcosa di mai sentito fino a quel momento, questa sera. Le basterà appoggiarsi a quella mano, che la alzerà senza sforzo, portandola dritta dinnanzi a lui <Si.> Si cosa? <Voglio essere migliore. Migliore di me stesso.> Commenta. Una voce ferma, profonda, bassa e ferale <Sempre. Ogni giorno, migliore di me stesso.> Continua, tirandola lentamente a se tramite quel contatto che non ha smesso di tenere, mentre l’altra mano, se lei lo consentisse, andrà dritta dietro la nuca, a sostenerla perché dovrà alzare lo sguardo, per tenere il suo, e almeno potrà appoggiare una parte del peso sulla mano di lui, senza sollecitare il collo <Affronterò il mio passato, mi ricostruirò. Di venterò migliore.> Una volontà senza confini è tornata ad animare quello sguardo, troppo grande per esser contenuta e non essere comunicata a chiunque condivida con lui quelle iridi, lei soprattutto. < “Il passato fa male”> Lo ricorderai, Sango? Le hai dette tu queste parole <Affronteremo insieme il nostro passato. E guarderemo sorgere insieme una nuova alba> Ancora una volta li lega. Ossessivo, come sempre con lei <Ora dimmi, Sango> La evoca, senza smettere di tenere lo sguardo piantato in lei, ma spostandolo sulle labbra morbide < “non mi sembra il tuo caso”> Mormora adesso, ma con quella cassa toracica, le basse vibrazioni riempiono l’aria <Dimmi cosa vedi in me> Ne ha bisogno. Di sapere cosa vede lei. Ha bisogno di vedersi con gli occhi di lei. Perché lei può vedere il quadro d’insieme. Lei non è annebbiata e spezzata nei ricordi. Segni, si, son sempre quelli che lei potrà vedere così candidamente, li ove son stati posti < avrei dovuto chiederti il perchè la tua schiena è così macchiata?> è una macchia la sua, indelebile, non si fermerà di certo nel trovare parole migliori, ma non perchè non voglia semplicemente fargli del male, ma perchè non vuole mentirgli, non quando ciò che vede , ella sa esser benissimo la verità cruenta d'un corpo che rilascia le ultime vibrazioni di una vita passata che non si può cancellare . No, non s'è mai resa conto del fatto che egli eviti gli specchi nella propria casa, figurarsi in quella stanza ove il letto e i graffi hanno preso maggiore presenza nella propria mente. Ingenua dal credere che egli sappia consapevolmente cosa non nasconde, quasi mai in verità. < non devi farlo per me > stringe i denti, semplice nel proprio pensiero, non lineare, mai lo è stato, ma nella sua mente condita e condizionata violentemente dalla propria esperienza sa benissimo che mentire sarebbe solo stato un peso per entrambi, per lei nel farlo e nel doverlo trattenere come una specie di segreto - impossibile da reggere nella loro "relazione" e nella consapevolezza che prima o poi qualcuno lo avrebbe detto al proprio posto - e per lui, nel vivere nel non sapere. < potresti , si > la possibilità è viva, chiara, palpabile < ma avrebbe dovuto estrarre gli occhi da un altro Uchiha, vivo penso, non so come funzioni con i morti > cadaveri, morti, occhi estratti, nulla che possa farla fremere ne di desiderio, tantomeno di paura o disgusto, ormai abituata a molto , troppo peggio. Ascolta quella domanda, la stessa che pare esser un punto cruciale, non tanto per lei, ma per lui. Lo sa, sa benissimo cosa potrebbe portare, o può almeno immaginarlo < potresti non esserlo > non v'è accusa, disgusto, nulla, solo la calma interiore imperturbabile < non so davvero come funzioni l'innata degli Uchiha, non è qualcosa che posso capire > lei che non ha alcuna abilità di occhi è un mondo sconosciuto o quasi < potresti parlarne con il loro capo clan > no, non si diffida così tanto dagli Uchiha stessi, dal loro ex capo clan e kage ne ha tratto giovamento, così come Nemurimasen che l'ha messa al corrente di segreti improponibili . Li stima, senza dubbio. Ma ciò non cambia nel proprio sguardo se solo lui potrà, vorrà, vederlo. Non ne prova nulla di differente da ciò che ha mostrato fino ad adesso, dopotutto non è crollata sotto il suo sguardo rosso sangue, ma sotto solo il suo sguardo nero e pesante. Solleva quello sguardo, così come ha sempre fatto per seguirlo, non per vederne la schiena, ma per vederne solo adesso la mano - attratta invero dal movimento d'aria che ha ricevuto, da ciò che la sua percezione umana ha potuto avvedere con un mezzo brivido . Una mano che osserva , si, ma non ci metterà molto a porre la propria su di essa ricevendone il calore immenso, e sollevarsi aiutata da lui e dalla sua forza per mettersi in piedi, ma senza allontanarsi, come se potrebbe adesso. Lo ascolta, rapita dalla sua voce profonda e vibrante, di quello che è il suo desiderio che fuoriesce < sii migliore perfino di chi ammiravi > lo sussurra, si, ma come se fosse un violento attacco alla sua stessa persona, che vuole infiltrarsi tra le sue armi, le sue paure, per divenirne forza autoritaria e orribile allo stesso tempo. < consumati nell'odio e nella vendetta, trovane la tua forza per la tua fiamma.> che sia breve, o lunga, non importa. Vuole solo che possa raggiungere un calore tale da dover lei stessa allontanarsi per non rimanerne incenerita. < sempre > si, farà sempre male quel passato, qualsiasi passato, come il suo, come il proprio, non riuscirà mai a metterli a paragone perchè troppo diversi, troppo difficili da comprendere per chi non ha vissuto le loro esperienze. Lei non potrà mai davvero comprendere quello dell'Uchiha, lui non potrà mai davvero comprendere il proprio. Possono solo avvicinarsi, cercare di comprendersi, e forse ancor meglio, semplicemente amarsi per quello che loro sono. Sollevata, con lo sguardo nel suo, retta la testa da quella mano, ma sorride anche a quella domanda che non è una domanda, ma davvero Sango, cosa vedi in lui? Sospira, calma, lieta di quello che le chiede in quella notte < vedo me stessa >. Si, non avrà bisogno di dir altro. [Casa di Sango - Intrerno] Quella prima frase desta sorpresa nei suoi occhi. Una sorpresa visibile le labbra si schiudono <La mia schiena? Cos’ha?> In quello sguardo incapace di mentirle, potrà notare solo, irruenta come tutte le emozioni in lui si manifestano ogni volta, quasi violenta, la sorpresa, ma nient’altro. Ha ancora molto da scoprire su di se, siamo all’inizio, tanti sono ancora i gradini da salire, ma non è al punto di prima. Ha già delle informazioni <Non voglio farlo per te.> Risponde senza mezzi termini. C’è da dirlo, non sono due persone delicate, nel col resto del mondo ne tra di loro, se non in alcuni momenti <Ogni cosa che faccio è per me. Perché la voglio.> Torna violenta la sua forza di volontà a farsi sentire <Sotto quella statua, sotto la pioggia che per la prima volta ci ha bagnati insieme, io ti ho detto che mi sarei aperto con te perché tu l’hai fatto con me.> Ricordi che li uniscono <Ma il motivo per cui voglio quei ricordi è perché senza di essi sono incompleto. E io voglio essere migliore> Ecco ciò che congiunge quei due argomenti. Ascolta anche con più lucidità la questione del trapianto degli occhi. Meno spaventato, anzi per nulla, non ancora capace di mostrarsi curioso come dovrebbe, ma prende appunti. Niente di ciò che esce dalla bocca della Rossa viene tralasciato, Compresa la possibilità che non sia davvero un Uchiha. Una cosa strana da sentire. Confusa, per uno come lui, che la ricorda come una delle poche cose certe <…> Si schiudono le labbra, mentre si prende quello sguardo non mutato di lei, anzi, più forte, visto l’impegno che ci sta mettendo per aiutarlo a mettere in ordine quei ricordi, a labbra schiuse la guarda, e di colpo sorride <Sai, se qualcuno mi avesse detto una cosa del genere prima di entrare in questa città e conoscerti, l’avrei ammazzato> Sempre indelicato il linguaggio, ma almeno sta cercando, quando è con lei, di evitare il turpiloquio <Ora sento di avere altro oltre un cognome.>A cosa si riferisce? È ovvio. Per loro due deve esserlo, visto quello che hanno deciso di portare avanti insieme. Visto quello che hanno deciso di essere l’uno per l’altro. Ed è per questo che il tono, è leggermente più limpido. In quel marasma di pensieri distrutti e atrocità subite c’è un appiglio di luce. È per questo che non l’ha voluta all’incontro con Rasetsu. Perché questa donna è una fonte di energia inesorabile per lui. Annuisce al dire di lei successivo. <Ci parlerò, quando avrò tutti i miei ricordi. Quando avrò il quadro completo> Anche perché adesso non sa rispondere a troppe domande. Quei sussurri fluidi, oscuri, gli si infilano dentro fondendosi con la sua stessa anima e scuotendolo dall’interno. Istintivamente le labbra si schiudono, come se il respiro fosse appesantito da lei stessa. Troverà il modo. E cosa succederà a quella volontà che è già assoluta? Semplice, troverà uno scopo. Un obbiettivo su cui abbattersi. Forse, o resterà solo ceca furia. Dipenderà da un futuro ad oggi precluso. <Si.> Mormora semplicemente incassando subito dopo quella parola assoluta. Si. Farà male, sempre, ma presto lui non dovrà scappare da esso. Non dovrà averne paura. L’ultima frase disegna un sorriso affilato che s’apre come uno spicchio di luna argentata, snudando le zanne, imperioso. Lo sguardo resterà fisso sulle labbra mentre si muovono, prendendosi quel sussurro per se, quasi a volerle inghiottire in quell’oblio assoluto anche loro. Ma non può farlo. Può semplicemente mostrare un briciolo della fame che arde per quelle labbra, tentando di avvicinarsi per imprimere su di esse un bacio senza veli e senza confini. Qualcosa che però avverrà solo se coglierà il consenso che brama. <Cos’ha la mia schiena?> Tentando di mantenere la voce a quel basso mormorio vibrato che le dedica, depurandola da altri fremiti <Fammi vedere.> Decida lei il modo. Ha bisogno di sapere. Muta. Si, non parla, non riesce in verità a parlare perchè il cervello perde le sue connessioni più semplici, come se fosse uno shinobi jonin a chiederle come si impasta il chakra. Cioè , ci siamo capiti, son domande a cui non dovrebbero servire una risposta, anzi, delle domande che non dovrebbero esistere ne da dover porre! No, non può essere, non può rispondere, parlarne in quello stesso modo , ma poi, che diamine di domande sono? Il cuore parte al suo galoppo infinito, o magari che sta per finire in un mezzo infarto istantaneo, ma no, non parla, lascia che la sua voce possa farla solo calmare e rendersi ..nuova. Dimentica della sua prima domanda. < io mi sono aperta perchè ho voluto farlo > sottolinea, di nuovo lei con quella stessa sorta di freddezza, ma non è freddezza vera e propria, è solo grande lucidità mentale che adesso la discosta via dal suo corpo, dal suo sguardo, dalla sua mente e anima. < e se non volessi mai dirmi nulla, va bene. Chiederei io quando necessario > ecco dove è giunta, a cosa è abituata, e anche cosa vuole. Nessuna costrizione, solo la consapevolezza di poter chiedere, indagare, dare adito alla propria di curiosità . Lo accetterebbe comunque, si che avrebbe migliaia di domande da fare ma allo stesso tempo troppa consapevolezza di come quelle domande siano troppo difficili da poter ricevere, più che poter esser esposte. Sa bene il dolore che possano provocare, il ricordo che ne viene, tutto ciò che solo non si vorrebbe ricordare ma allo stesso tempo non si può dimenticare. Contrasti, sempre, è quello che ha conosciuto, lo stesso che il biondo potrà vedere nei propri occhi riflessi nei suoi così tanti vicini, in quella loro distanza, ma sorretti dalla sua calda mano tanto grande da poterle prender la testa con comodo, dal poter far sembrare le proprie mani di donna come quelle di una ragazzina tra le proprie. < non ho mai conosciuto mio padre, non mi importa. Ho disprezzato mia madre perchè debole. ho solo amato mio fratello perchè come me..> sorride, ride perfino con la candida voce innocente che raramente si fa strada in quella loro casa < no, era migliore di me > lo sarebbe sempre stato, egli non s'era macchiato di alcun crimine, si era solo sacrificato per un altra vita, la propria. < per me sei Shinsei > solo quello, solo quel nome ha davvero pronunciato nelle notti violente di passione che hanno avuto. In quelle di solitudine, in quelle di..di cosa? No, lo sa benissimo e quelle parole le tiene strette tra denti che s'ammorbidiscono, va bene pensarle? Volerle? Provarle soprattutto! < perchè farlo quando avrai i ricordi?> adesso a lei tocca chiedere, violenta, aggressiva, sfrontata nel suo stesso confronto che s'avvicina col viso, dal basso ovviamente, ma mostrando i dentini sul labbro ma l'espressione quanto mai più seria avuta con lui < hai paura per caso?> lo violenta con quelle parole, vuole farlo per far comprendere tutta la loro pesantezza < aspettare, aspettare, cosa poi? La morte?> si, sta calcando la mano lei stessa finalmente < cosa ti rimarrà dopo, poi, quando, se , ma..> ripete con voce quasi innocente e divertita quelle piccole paroline, ma non si ferma, lo stesso sguardo lo impone, il proprio < fallo ora che puoi. Fallo adesso che vuoi. Ma se hai paura fuggi, scappa. Ma se hai paura, puoi sempre comprender ancora di più > sicura quasi che gli Uchiha possano esser quantomeno clementi, non conosce quel clan adesso, ma confida in ciò che era il passato < fallo quando sei vivo Shinsei. Meglio sapere che non sapere > e adesso sarà sempre e solo lui a decider quella parte della loro relazione, di ciò che li unisce che nemmeno avrà una parola nella loro mente e nella loro conoscenza. Potrebbe lei stessa rendersi come quelle ragazzette che si ammorbano dai loro fidanzati , di quelle che piangono, fanno promesse, si sentono loro come loro sono suoi senza esser consapevoli dell'oggettualità delle relazioni morbose e .. bambinesche. Ma non lei. Non lui. Loro semplicemente si vomitano dentro ogni notte i loro demoni cercando di affogarli nell altro. E non hanno nemmeno bisogno di spazio o tempo, basta il pensiero riflesso, e consapevoli entrambi..se ne cibano. Orribili, orribili creature! Così li descriverebbero a vedersi. Che sia vero , si, lo possiamo credere tutti, ma anche tra le orribili creature possono esserci dei gigli? < vieni > una sola parola , soffocando il sentimento interiore, quello che soffoca violento la sua non consapevolezza, di quelle lacrime che mai sgorgano, mai lo faranno in momenti come quelli. Tace, violenta la tratterrebbe da quella sua mano stretta nella propria, e se solo fosse riuscita, andrebbe verso la propria stanza. Davanti il letto, ai piedi, sosta un armadio grande da almeno otto ante. Ma solo quattro di queste - esattamente ai piedi dei futon dei due - hanno uno specchio dall'alto al basso. < siediti > suggerisce, lei adesso, ma invitandolo se possibile con le mani a dare le spalle ai grandi specchi. Se vi fosse riuscita, la stessa andrebbe a prender dal proprio piccolo comodino uno specchio minuto e portatile, dal collo fine, si, ma dall'ampio raggio di 15 centimetri. Grande, pesante, così come la sua base e il suo scheletro proferiscono, ma nulla di invadente per chi come il biondo, della fisicità, ne ha fatto un arte < guardati nello specchio.. spostalo..> davvero non s'è mai visto dietro? Adesso lei stessa sazierà quella di curiosità, lei che lo affianca dando le spalle allo stesso specchio, solo per vere lui, alla sua sinistra, seduta in ginocchio, flessuosa e perfetta, nel silenzio. [Casa di Sango - Intrerno] Lo osserva, quello sguardo che per un attimo si fa attonito, strano, agitato. Non ha modo di chiedere ancora. Non ne ha voglia, ormai quella curiosità sappiamo che verrà saziata finalmente. Sono le sue parole, tremendamente lucide. Annuisce a lei, semplicemente, comprendendola <Così ho fatto io> Esseri liberi. Lo sono sempre stati. Liberi al punto da liberamente incatenarsi l’un l’altra. Annuisce due volte, lentamente, anche alla seconda frase da lei proferita <Potrai sempre farlo> Ha accettato le sue domande in quel momento, nella sera più difficile mai vissuta da quando è uscito da quel laboratorio. Se non è una dimostrazione quella. Dimostrazione che lei possa sentirsi libera di porre domande. Sincero è stato stasera nel raccontarle ogni cosa, sincero sarebbe sempre. Non ha motivi, per ora, per mentirle, ne è quella la sua volontà. Lo sguardo resta in lei mentre lei stessa le dona un ricordo, qualcosa di lei. Sempre ben accetto. Ma potrà notarlo lei, mentre parla del fratello, quel sopracciglio alzarsi, come se ci fosse qualcosa che non gli torna. Che non capisce. Poi… in quello sguardo nero solo stupore, per quella risata. Mai sentita con lui, eppure ora presente, se la prende, quello sguardo nero la inghiotte, quella serata luminosa, cibandosene anche con le orecchie. Incornicerà quel momento nella sua mente. Il momento in cui Sango ha riso in sua presenza per la prima volta. E d’istinto, potrà vederlo lei dipingersi sul suo volto, come riflesso del suo, un sorriso dolce. Mai comparso su quel volto, come di un bambino che scopre un nuovo sapore, o un nuovo colore, lui ha scoperto, un sorriso puro. È quel nome poi, a richiamarlo a se. E d’istinto annuisce. Conscio dell’importanza di quelle quattro parole. Va bene così. Non conta niente tutto il resto. Basta che ci siano l’uno per l’altra. Si prende quella provocazione in pieno. Quelle domande lo provocano. E provocano in lui una violenta fitta di mal di testa. Ma resta ad ascoltarle. L’unico cenno che quelle parole siano entrate nella sua mente, è il muscolo della mascella che si serra al punto da far scricchiolare i denti dentro le labbra congiunte. Eppure che dice quello sguardo nero? Se lei volesse addentrarvisi vedrebbe gli ingranaggi del suo cervello che girano e si incastrano. Che sta facendo? Sta ragionando. Come ogni volta che lei lo provoca, prende quelle provocazioni e le usa per se, per i propri scopi. Prendendosi quella pesantezza e non solo sopportandola, ma trasformandola in uno stimolo in più, per se. E poi? Poi fa quello che ha sempre fatto con lei: ri-flettere <Non è una cattiva idea. Non so quanto potrebbe volerci a riacquisire tutti i miei ricordi.> Mormora tra le labbra schiuse, tentando di placare il mal di testa <Ma non adesso.> Ferma ora la voce. <Ho bisogno di saper rispondere almeno a qualcuna delle domande che mi faranno.> Pratico, pragmatico nel condividere con lei le riflessioni <L’hai visto stasera, è un processo che ho cominciato adesso e ancora non so rispondere a tante domande. Andarci ora è semplicemente inutile. Sarei capace di dire solo una lunga serie di “non lo so” e “non me lo ricordo”> Commenta semplicemente <Ma è vero, aspettare troppo avrebbe ancor meno senso che andarci adesso> Sembra quasi riflettere E se dovesse metterci troppo tempo a rispondere, non si schioderebbe da li. La mano stretta in quella di lei, ma non si muoverebbe comunque <Continua a farmi le domande. In questi giorni. Condividerò con te ogni ricordo che dovesse presentarsi. Quando i “non lo so” come risposta saranno più ridotti. Andrò dagli Uchiha.> Ci sono delle informazioni chiave che vanno ancora acquisire. Ma andare dagli Uchiha potrebbe persino velocizzare il processo. <Che ne pensi?> Chiede il suo parere su una cosa così importante. Una cosa sua tutto sommato. Perché? Perché è con lei che sta riflettendo. In lei si sta riflettendo, e ha bisogno di sapere cosa dice lo specchio che sta guardando. Solo allora accetterebbe di seguirla in camera. Fa ancora strano entrare li dentro con tanta disinvoltura. Soprattutto quando non sono in situazioni passionali. Osserva quell’armadio. Da qualche parte potrebbero anche esserci le sue cose: I due chimono e il vecchio borsone. Tutto ciò che ha. Si ascerà guidare come lei chiede. Trovandosi in piedi, di spalle al grande armadio, con il futon davanti. Annuisce a quell’invito ma prima, tenendo lo sguardo su di lei senza pudore, scioglie il tocco della mano con lei per raggiungere la zip della felpa, abbassarla fino ad aprirla del tutto, liberando quel ventre sagomato sui suoi muscoli, marchiato da quella profonda cicatrice, e sopra di esso il petto lucido, marchiato anche quello, da una vistosissima cicatrice a croce, proprio sul cuore, verrebbero quindi snudare le spalle delle quali, se lei volesse, potrebbe constatare la contrazione dei singoli fasci muscolari che compongono quell’articolazione, quindi le braccia scolpite, fino a lasciar cadere la felpa a terra. E dietro? Dietro quel complicato intrico di fasci muscolari che si muove come serpenti, martoriato da quelle cicatrici sulle quali, forse, adesso, conviene soffermarsi un minimo. Intanto sono cicatrici che coinvolgono un’area che va dalla vertebra più bassa del collo fino alla curva lombare. Le spalle sono ampie, la schiena è forte, e quelle cicatrici la prendono in tutta la loro ampiezza. Sono tutta una serie di profondi tagli inferti in obliquo, adeguandosi all’ampiezza disponibile, seguendo lineee parallele a quella che si può tracciare tra la spalla sinistra e il fianco destro. A queste si sommano tagli profondi e lineari nella direzione opposta, sempre in obbliquo ma dalla spalla destra al fianco sinistro, e così via. Sembra di guardare una miriade di X, la cui precisione geometrica cozza con la fluidità e la sinuosità di quei muscoli, donando, effettivamente, un certo fascino, se non fosse che sono cicatrici, non tatuaggi. Tornando a noi. Tolto l’indumento, non resta che sedersi a gambe incrociate, davanti al futon e aspettare. Attimi che iniziano a fargli battere il cuore. Curioso, si, ma anche un po' spaventato. Lei ha parlato non solo di segni, ma di macchie. Come se quella schiena fosse sporca, ma di cosa? Prende quello specchio con una mano sola. Ma non guarderà subito. Ha intenzione di dedicare una certa malizia allo sguardo che le dedica mentre si siede. Affamato di vedere quelle curve muoversi. Malizia che lei tra un po', se volesse, dovrà recuperare. Perché basta uno sguardo incrociato. Basta una frazione di secondo in cui lo sguardo pesante e nero viaggia in quello gioco di specchi fino ad infrangersi sulla sua stessa schiena e… Si sgrana completamente <c…cos..> Ha appena il tempo di poggiare da qualche parte li vicino lo specchio o di darlo a lei, insomma. Le labbra schiuse, si muovono ma non riesce a parlare. Di colpo un profondo brivido lo prende, ma non è un semplice brivido. Lo scuote, al punto che d’istinto riversa la testa all’indietro rovinando sul pavimento. Le mani scattano al cranio, ai lati, infilandosi in quei capelli chiusi nella treccia da lei fatta e afferrandoli <n..> Cosa? Niente. Serra i denti. Non scapperà, non stavolta. Di colpo si volta piantando ambo i gomiti e le ginocchia sul pavimento Difronte alla donna, solo l’ampia schiena. Se lei utilizzasse lo sguardo analitico con cui lo guarda quando si fanno male, potrebbe notare che i muscoli della schiena cominciano a contrarsi, forti e flessuosi, come se stesse subendo davvero qualcosa alla schiena <nnnnnnnnnhhhhhnnn> Non è un ringhio, è un urlo soppresso. Chiuso tra le labbra, serrato dai denti. Non avrai le sue urla, Ona. Non dinuovo. Eppure quel coltello affonda ancora e ancora su quella schiena. Un coltello immaginario che riapre ferite vere, in preda ad un ricordo. E la schiena si inarca in tutta la sinuosità che un corpo così bene allenato consente. Ben presto i muscoli si fanno lucidi di sudore. Mentre quel grido soffocato in ringhio resta li, e lui tiene la testa tra le mani, stringendola quasi a volerla far scoppiare con le sue stesse mani.
Giocata del 17/10/2021 dalle 15:39 alle 19:58 nella chat "Quartiere dei Clan [Ame]"
Lo sa, sa che potrà farlo, porre quelle domande, eppure le cambierebbe davvero qualcosa? No, non le cambierebbe molto, solo la conoscenza che ha di lui, solo il voler saziare la propria curiosità scavando attraverso anni di sofferenza, eppure le andrebbe bene in entrambi i modi. Stringe lieve quella mascella, senza inoltrarsi in ulteriori parole per il momento per portarlo a pensare, a riflettere su quelle che sembrano essere le sue vere paure, su quello dell'avvicinarsi di nuovo a quel clan, a quella stessa innata che lui non sembra avere, a quegli occhi che sembrano così simili a quelli degli Uchiha dal farla dubitare. Tace. Deve farlo per permettergli di andare avanti lui stesso, recuperare la sua lucidità, essere di nuovo li con lei e non perduto nel labirinto della mente. Apprende anche lei qualcosa di nuovo, di dolce, nascosto, d'un sorriso che vi è su quello del gigante. Ne carezzerebbe il contorno con delicatezza, cercando di portar lei stessa quelle sottili dita alle sue labbra raccogliendone l'essenza intima e ultima, dolce e amante allo stesso tempo. Lo provoca, scuoterlo par esser il miglior modo per riportarlo alla sua logica, non perfetta, ma ragionata, pensata e messa allo stesso tempo in dubbio. Lo ode ovviamente, annuendo semplicemente a quel che dirà per ultimo, a quella domanda < non so cosa potranno dirti > calda ad avvolgerlo uscirà la propria voce, roca nel suo basso armonioso atto < ma son loro a doverti delle risposte, non tu . Per quante domande possano farti, era lui un Uchiha.. non tu > per quanto sappia che le proprie parole possano far male, è quella l'orribile verità, non era lui un Uchiha, non sarebbe mai divenuto probabilmente uno di loro , e crudele è stato il fato a cercar di renderlo qualcosa che non potrà mai essere. I suoi occhi mai si segneranno di rosso e nero, mai sanguineranno, mai si inoltreranno nelle menti dei deboli. Quanta crudeltà c'è voluta per continuare a cercare di renderlo tale? Quella crudeltà che adesso lei stessa mostra, seduta vicino a lui, a quella parete a cui volgono entrambi, la cui schiena di entrambi sarà riflessa nello specchio. La propria ancora coperta, la sua frastagliata da quella stessa crudeltà, di cicatrici perfette atte a chissà quale speciale punizione, da parte di colui di cui conosce solo il nome e le abilità, null'altro. Trattiene anche la rossa il suo di fiato tra i denti, di quel polso che trema lievemente nel passare la superficie riflettente, di quell'attesa di mostrargli qualcosa che egli pare non sapere.. strano, troppo strano non sapere che quello è il suo corpo che potrebbe vedere letteralmente ovunque. Lo vede quello sguardo che si spezza ancora, che crolla come lo specchio in frantumi quale è la sua mente, di quel dolore che si concentra su quella schiena, tra le mani nei capelli e nella testa per schiacciarla quasi a volersi annullare, di un dolore che ritorna. Rimane senza fiato, non sapendo bene cosa poter fare, cosa può fare in questo momento? Solo le mani leggere proverebbero a poggiarsi una sulla sua mano, li a quella testa, e una sulla sua schiena. Se vi fosse riuscita ne percepirebbe il sudore, i muscoli stessi che si contraggono, la linea delle cicatrici pesanti son state ricucite al loro tempo..solo per carezzarle lei adesso < Shinsei > lo richiama, allo stesso modo, dolce nel farlo < non è qui > lui non è qui, con loro, sono soli dentro quella casa, nemmeno Jikken par essere li in zona ormai < ..stai..stai ricordando?> è necessario riportarlo li, non affogare in quei ricordi, e sarà lei la parte della ragione atta a riprenderlo in quei momenti. Quello s'erano promessi, adesso è il momento di farla divenire realtà. Fa male. Sembra di percepirle davvero sulla schiena quelle ferite. Una per una, ma non li, protetto dalla sua rossa, in una casa confortevole, amato. No, quel dolore lo trasporta sul freddo pavimento di pietra bianca, lucido e freddissimo sulla pelle nuda, con il peso insostenibile del suo aguzzino sopra di lui a vedere il suo stesso sangue colare a macchiare quell’ambiente asettico. Ha ragione, la rossa, non sono più frammenti di vetro, quelli che ora sente nella mente, sono frammenti di specchio che riflettono il se stesso del passato. Sono finestre nelle quali viene catapultato. Accessibili quindi. Ma questo è un bene o un male? È impossibile dirlo adesso. A vederlo, uomo torturato da se stesso e dai suoi ricordi, è impossibile trovare un lato positivo alla cosa. Solo due persone possono farlo, e sono li in quella stanza. Perché possono? Perché sanno quanto tutto questo sia importante. Perché sono Shinobi e Kunoichi in grado di sopportare il dolore per un fine più grande. Ma quanto dolore si può sopportare? Ci sarà modo di scoprirlo. Ben presto anche quell’urlo spezzato e ingoiato di nuovo si ferma, lasciando spazio solo al dolore. A quelle contrazioni che investono prima il trapezio, i muscoli del collo e delle spalle e poi iniziano a scendere, fino a raggiungere i lombari, in quella lenta agonia di X ripercorse con la lama d’un coltello invisibile, da un aguzzino rivitalizzato nel ricordo su una schiena che però è vera e che risplende lucida e contratta sotto la luce argentata della luna che si diverte a disegnare quegli strani e sguscianti giochi di luce sulle forme dei muscoli. Quel tocco è la prima cosa che lo raggiunge, potrà percepirne ogni sensazione, il calore tornato ad esplodere, lo sentirà contrarre la mano sotto quel tocco ma prima ancora che lei possa provare a ritirarla sentirà le dita stringersi in quelle di lei in una presa che non ammette ritirata. Non adesso. Quel richiamo arriva alle sue orecchie, ma per la prima volta, il biondo non risponde. Continuerà a premere quelle mani, ora diventate tre, contro i lati del cranio completamente contratto. Non ha la forza di uscire da solo da quel ricordo, eppure ha rifiutato l’aiuto di lei. Perché? Il messaggio è chiaro. Deve finire di ricordare. Vuole farlo. Accetterà quel dolore e tutto quello che serve. Ognuno di quei tagli reca scenari diversi, parole diverse sue e del suo aguzzino e lentamente li rivive tutti. Scuote il capo però, lentamente, quasi impercettibilmente ma lo fa, quando lei lo rassicura. Lo sa. Sa che non è li. È lucido, e quando quella domanda viene spinta da lei, incerta, quella mano si stringe e la testa, impercettibilmente, di nuovo, si muove ma per annuire, li sul pavimento. Ha bisogno di quel tempo. Passerà qualche lungo istante, finchè anche i muscoli della bassa schiena non crolleranno, distrutti da quegli spasmi e lui si ritroverà in ginocchio, con i gomiti a terra e la testa tra le mani. Ansimante ma vivo, sopravvissuto a quel dolore e in esso rinato <n…> Le labbra schiuse cercano aria <non erano punizioni…> La voce è roca, come di chi ha davvero sforzato l’ugola, pur se nessun suono è uscito. <Erano premi.> tenterebbe lentamente di sollevarsi, usando le ginocchia come base d’appoggio e i gomiti per farsi forza, ma terrebbe in tutto questo di tenersi la mano di lei, se lei lo concedesse, e se si fosse trovato li, con i glutei sui talloni, eretto solo nel torso scolpito, tenterebbe lentamente di trarla a se. Mette una forza esigua in quel gesto, facilmente opponibile ma che se non trovasse resistenza, gli consentirebbe di tirare a se la mano di lei alzandola oltre il capo, mentre l’altra mano andrebbe a passare sul fianco opposto, fino alla schiena. Cos’è? Un abbraccio? In quel momento? E se non ora quando? Se non a lei, a chi può chiederlo, un momento di debolezza? È una debolezza nel corpo. Come se fosse stato troppo tempo lontano da lei. Ma se lei avesse voglia di cercarne lo sguardo, lo troverebbe più luminoso e furente che mai, anche se incastrato in occhi ormai esausti, anche se impreziosisce un viso devastato dalla stanchezza, quegli occhi sono occhi nuovi. Non rossi, no, ma mai stati così determinati <Per un fine superiore.> Mormorerebbe piano tentando di completare quell’abbraccio. Appena udibile da lei, ma niente disturba quei sussurri, anche se li sta ripetendo per se. E la stringerebbe con forza. Senza risparmiarsi, dandosi a lei completamente <Per un fine superiore> Mormorerebbe un’ultima volta tentando di affondare il volto in lei. Sempre qualora fosse concesso. Avrà molto da raccontare, non si negherà alle domande. Non l’ha mai fatto d’altronde. Resta li, in silenzio, con le mani su quel viso e l'altra sulla sua stessa schiena, carezzandola con calma, il calore del corpo che si mischia al suo , divengono uniti, una sola cosa, intima anche in quello stesso senso. Non se ne andrà, non andrà a spostarsi nemmeno sentendo quei brividi, ne quando non verrà alcuna parola per lei. Semplice, li, in silenzio, come una colonna atta a cercare di dargli conforto, una qualche tipologia di ancora, di aiuto, qualsiasi cosa possa fare nel silenzio di una stanza poco illuminata. Lo carezza, semplicemente. con moto lento spostando le dita sottili sulla pelle, sulla carne lacerata, sul viso a contatto di quella mano, perfino tra i capelli anche. Solo per esser li, vicina a lui, tentando di dargli quel conforto con la sola presenza che può donargli, finchè non sarà lui stesso a riprendersi la sua di voce, la sua stessa vitalità, per raccontarle ciò che erano per lui. Premi. Possono davvero considerati premi quelli? Lo lascia alzarsi spostando la mano che starebbe sulla schiena con calma, lasciando l'altra ancora con la sua, in quel gesto lento, calmo, che comprende. S'avvicina lei stessa per tentare di annullare anche quelle distanze, per renderle nulle, cercando di poggiare ancora le propria mani oltre le sue spalle, su quella schiena nuda, per tenerlo a se, riscaldandolo un pò, e poggiando la testa li a quella spalla, ma gli occhi sono per il suo viso, per le sue espressioni, per quello che prova adesso , per quel battito che potrà sentire, per quelle mani che stringono lei, e le proprie che stringeranno lui. Lo ascolta, ancora, stringendolo in quel momento di silenzio, scandito da una sola frase, la stessa che verrà ripetuta, la stessa che anche lei ha avuto modo di pensare e formare nella propria di mente. Attende adesso, il momento esatto in cui porre le proprie domande, deve farlo, non può lasciare che quel dubbio si insinui nella propria mente senza avere una risposta, e per quel motivo andrebbe ad allontanarsi quel tanto che basta per poter rimetter dritta la schiena di fronte al biondo, senza mai davvero staccarsene ma spostando le mani dritte alle sue spalle larghe e forti, che adesso le sembrano tanto fragili e deboli, pronte a spezzarsi sotto il peso di un orribile verità < perchè ti premiava in quel modo?> vuole che ricordi, dopotutto stanno facendo tutto quello per permettergli di ricordare , di riavere a se la consapevolezza di chi sia. < e per cosa ti.. premiava > no, non avrà la scelleratezza di poter comprendere come torturare al meglio qualcuno, non avrebbe mai avuto la forza di farlo lei stessa, di tenerlo in gabbia per chissà quanti anni per un esperimento. Per quanto sia crudele a suo modo, ha sempre preferito uccidere, e ogni uccisione pesa su quel suo animo in attesa della propria morte. < Shinsei > lo richiama cercando di mantenere la calma nella propria voce, alla ricerca di risposte che solo lui potrà donarle, che solo lui potrà ricordare < quale fine superiore intendi? > perchè poi prendere qualcuno e cercare di farlo divenire un Uchiha? Perchè renderlo qualcosa di differente? Cosa ne avrebbe ricavato Ona o anche Kunimitsu? Oh almeno una dei due l'ha uccisa lei, per vie traverse, insieme ad altri Uchiha. No, non sa nemmeno quanto sia impregnata di sangue la storia di coloro che nacquero dalla terra del suono, e una di quelle la ha davanti. Non può che trovare giovamento dalle movenze di lei verso di lui, flessuosa e morbida come un balsamo, la stringe, si sente stretto lentamente la cassa toracica si gonfia, solida come è solido il corpo, rovente e sudato ma comunque ferreo nella costituzione. Ad essere fragile è la mente che lo governa. E si gonfia premendo contro di lei per poi esalare un profondo sospiro, come a volersi lasciare alle spalle quanto subito. Di più, un lieve, piccolo momento in cui può abbandonarsi a lei. Ben presto quel sudore gli donerà freddo, si, ma per un solo momento si abbandona a lei. Senza lascivia nel tocco delle mani roventi che la stringono. Senza malizia. Con cosa ancora? Se solo sapesse come chiamarlo, quel qualcosa di tanto profondo che lo porta a volere lei e nessun altro vicino in quel momento. Ma lo sa che arriverà il momento in cui dovrà rispondere. Certo che lo sa. Se quegli sguardi continuano a cercarsi, se quello di lei, in quei pozzi neri può scorgere un cumulo di cenere e il becco spennacchiato d’una fenice emergere, lui in quegli occhi color oceano può leggere la curiosità e la delicatezza dell’attesa. Non ha conosciuto altre persone tanto delicate. O le ha respinte prima di conoscerle. Sta di fatto che quel tocco che adesso prova rassicurante sulle sue spalle stondate, un tempo faceva male ed è stato lui a decidere che avrebbe concesso a lei e a lei sola il permesso di attraversare quel dolore. Eppure la sente volersi scostare, e glie lo lascerà fare, riducendo la pressione sulla schiena e srotolando le braccia su quel corpo affusolato, finirà a tenere le mani ferme nella profonda curva dei fianchi di lei. Sono curve che conosce, che non esita a far proprie e a trarne il piacere che ogni uomo trarrebbe da quel contatto intimo. Eppure non sono li per questo, niente di ciò è presente in quello sguardo nero che adesso è difronte a lei, nella sua purezza, senza veli si, ma non nel modo in cui si sono abituati a privarsi di veli e catene. No, è senza veli perché è senza difese. Il taglio affilato degli occhi è contornato da un alone scuro che li rende ancora meno umani, eppure quella che lei sta stringendo è la versione più umana di quel biondo che lei possa vedere. Ma lei è li per aiutarlo, per ricostruire insieme a lui, si, e per allontanare dubbi. Ma sei sicura, Sango, che le risposte siano tanto migliori del dubbio? Quelle due domande poste, lentamente, sgranano lo sguardo, mentre lei parla. Consapevole, Shinsei, che dovrà rispondere, perché ha deciso di essere sincero con lei. Consapevole anche di quanto dolorose saranno quelle risposte, e se lei avrà il coraggio di spingersi in quello sguardo per ascoltare la risposta, potrà vederci l’abisso più nero che l’ha generato. <Perché il dolore…> Oh quanto è profonda la tana del bianconiglio <…mi dava piacere.> Una confessione. È vero, tra loro due è cosa nota. Ma perché dirla adesso? La confessione non sta nella frase in se, ma nel motivo per cui è stata detta in merito a questi ricordi. È stato educato a provare piacere nel dolore. Il suo corpo ne porta le testimonianze <…> Le labbra restano schiuse si, ma con un fremito che ne trasforma l’espressione del volto appuntito in puro disprezzo, mentre le mani si stringono appena ai fianchi di lei. Cercando in lei la forza di continuare. Ma non distoglierà lo sguardo. Potrà vederlo diventare acquoso, fluido quel nero, come petrolio, ma non lascerà una lacrima cadere. A che servirebbe. Può benissimo vederla la sofferenza di lui, in quello sguardo sgranato dalla consapevolezza. Innocenza spezzata dai tagli di un folle. Tela pura, bianca e perfetta, fatta a brandelli. <Una volta finito di utilizzarmi. Ona mi lasciava un taglio sulla schiena.> Un po' di piacere anche per lui. Qualcosa di caldo in cui consolarsi. Consolarsi nel dolore. Il respiro si spezza, la mascella si contrae, come ogni muscolo del corpo, ma non le mani, ancora li, su di lei, in quel mezzo abbraccio che le concede per farsi guardare, nudo non nel corpo, ma nell’anima, completamente, davanti a lei <Un taglio per ogni volta che sono stato la bambola di carne per il piacere di…> Troppo difficile diventa sostenere lo sguardo di lei . Troppo il ribrezzo verso se stesso per poter sopportare di farsi vedere così. Lentamente tenterebbe di abbassarlo verso un punto indistinto del corpo di lei, insieme al volto appuntito <…di colui che mi ha creato> La vergogna si dipinge sul quel volto appuntito. Richiamato solo da quel nome. Mormorato con meno calore, e con calma meno incerta. Torna a sollevare lo sguardo, incapace di resisterle <Ritrovare me stesso. Ritrovare il mio fine superiore, e seppellire quello dei miei creatori> Le risponde, ancora colmo di quella che è semplice vergogna verso se stesso. Mista a qualcosa che lei raramente ha visto in quello sguardo. Paura di ciò che leggerà in quello sguardo blu. Paura di essersi aperto troppo. Emozioni normali per chiunque decida di affidarsi completamente a qualcuno. Meno normali per uno così. Cresciuto in un mondo di assoluti, cresciuto nel dolore. Che ora tenta di ribellarsi a se stesso, ponendo la sua fiducia in una donna dai capelli di fuoco e gli occhi d’oceano. Resta in ascolto, di ciò che saranno le risposte alle proprie di domande, quelle che s'affollano nella mente della rossa, di quelle che ancora pongono dubbi su dubbi, e se lui non sa e non ricorda, potrebbe forse esser differente da ciò che è adesso? Potrebbe, ha visto Kioku, è completamente differente da Akendo, tanto da non provocarle più quello che provava un tempo - si, vi sarà sempre affetto e l'istinto di proteggerlo sempre da quel mondo crudele, ma non v'è più /quel/ sentimento. Potrebbe dunque accadere anche al biondo, e il non sapere si inasprisce dentro l'animo, allunga le mani dentro di se per instillare quel seme del dubbio che è nato, lo stesso che cerca di affogare pronunciando quelle stesse domande. No, avrà bisogno di vere spiegazioni adesso, non potrebbe mai raggiungere una tale perversione di intenti ne di atti, nemmeno immaginandole non avendo mai ricevuto e avuto l'orrore di poterle vedere lei stessa. Chiede, si, e il dubbio dovrà infine sparire, potrà sparire da quelle prime parole. Quelle che riesce meglio a comprendere, ma anche quelle che le faranno stringere le mani su quelle spalle stondate, affondando lievi le unghie, nel comprendere che si tratta proprio di /quello/. Quello stesso motivo che lei conosce, quello stesso motivo per cui quella schiena è stata segnata, come un contatore, di tutte le volte, di tutte quelle che lui probabilmente ha desiderato ricevere proprio da colui che ne è stato il carceriere e aguzzino, di ciò che forse ha perfino richiesto. Di domande che s'affollano nella mente che potrebbe scoppiare, di interrogativi che vengon messe da parte quando il respiro viene trattenuto senza rendersene nemmeno conto, se non quando i polmoni inizieranno a bruciare violentemente. Ispira, di nuovo, cercando d'allentare la pressione delle mani, dello stesso corpo cercando di rilassarlo. Ascolta ancora quella spiegazione nata da quei ricordi, e bruciano come il sale sulle ferite, fanno male al petto sentirle come kunai che affondano nella carne per strapparne la vita, il calore, il sangue stesso, rendendola ancora più pallida e spaventata, non da lui, ma dal solo provare ad immaginarlo, nella vergogna che vedrà riflessa dentro quegli occhi neri e profondi, scuri come l'abisso stesso, di quel battito del proprio cuore che manca all'appello lasciandola quasi in trance, come fosse morta di nuovo dentro quello stesso cristallo. < non ti sto giudicando > il sussurro che ne esce diviene spezzato, dalla pesantezza di ciò che forse era meglio non chiedere, per lui, per se stessa, ma ignorare il tutto avrebbe risolto forse qualcosa? No, assolutamente nulla, sarebbe valso zero in confronto a tutto quello, e sarebbe stata altrettanto egoista da poterlo ignorare. Ignorare lui, in effetti. < colui che ti ha creato.. > ripete quelle sue stesse parole < nessuno può creare nessuno > ah come si sbaglia, quanti cloni son venuti al mondo dal passato come zombie di pura tenebra usciti da quello che non è altro che un incubo . Proverebbe a lasciare la presa, la destra che si solleverebbe al suo viso per cercare di donargli quella che è una carezza, la stessa forza di una piuma a scivolar sul lato di quel viso affranto, di quella vergogna . Non dirà che aveva potuto comprender qualcosa di simile, eppure lei stessa, ai suoi occhi, l'amore assume sfumature differenti, di malattia quasi < non devi vergognarti con me > sussurra calda, la voce che riprende la sua forza, il suo volere, la sua volontà pura < lo..> si, deve chiederlo sebbene il dubbio sia troppo grande se possa porla o restarsene semplicemente zitta < lo amavi?> era amore quello che provava insieme al mero piacere della carne, di quel godimento che ne traeva da quel dolore che egli gli imponeva ogni singola volta? No, non avrebbe contato quelle cicatrici, avrebbe evitato di farlo per entrambi, contraendo la mascella ma negli occhi azzurri cosa potrà vederci se non..dolore e comprensione. Solo questo, trattenendo la furia di emozioni che prova, come la rabbia, l'odio viscerale e imponente.
Giocata dal 17/10/2021 23:12 al 18/10/2021 03:12 nella chat "Quartiere dei Clan [Ame]"
Sente quelle dita affondare sulla pelle resa solida dai muscoli delle spalle. Sente quel sussurro solo per lui, spezzato, pesante della stessa pesantezza di quelle rivelazioni. Pesante nella sua importanza. Quattro parole che vengono spinte nella mente del biondo e che lentamente ma inesorabilmente sciolgono il senso di colpa che gli lega lo sguardo, lo sguardo che si fa sorpreso. Lentamente, il naso appuntito, insieme a tutto il volto e a quello sguardo affilato, ma allargato dalla sorpresa, sale verso gli occhi di lei, spinto dalla sua mano che quasi con dolore si distacca da lui. Come se adesso a bruciare non fosse più il contatto ma la sua assenza. E la sorpresa dilaga quando legge in quello sguardo, ascolta in quei sussurri, percepisce con tutto se stesso, lei. Lei che comprende e addirittura…meraviglia, lei che prova il suo stesso dolore. L’empatia che fiorisce tra i due nella sofferenza. Sempre presente, sin dall’inizio probabilmente, in quel ri-conoscersi tramite l’altro, nel riflettere se stessi nell’altra persona, ora si palesa, meraviglioso fiore, tra quei due. L’empatia e la comprensione, che insieme costituiscono esattamente l’opposto rispetto a quell’egoismo nel quale si sono divertiti, ma che non c’è mai stato, se non nella loro intimità. <Non…mi giudichi…> Uno stupore genuino traspare da quel nero lucido e profondo, nel rievocare le parole di lei e ripeterle, come se non ci credesse. Istintivamente, tenterebbe, piano piano, se gli fosse concesso, di poggiare la fronte sulla sua. Come a cercare un contatto più intimo di quello del corpo<…Grazie> è un sussurro spezzato che si ferma li. Perché piangere è vietato. Ma è in un tono che non ha mai avuto. Par quasi che tenga tutto il tempo la voce impostata su un tono più oscuro e grave. Quella sussurro. Quell’unica parola che così di rado pronuncia, l’ha pronunciata con una parte di se che solo adesso è visibile. Il tocco, tuttavia durerebbe qualche istante, per poterle donare di nuovo lo sguardo. Quello, Sango, è lo sguardo di chi ha davanti qualcosa che non conosce. Di chi si trova in un contesto del quale non ha esperienza. Uno sguardo privo di tutto, come una tela bianca. Cosa ci comparirà, lo decideranno i prossimi momenti. Giungono le parole di lei. Su quel suo creatore. Padre putativo, oscuro che ha generato un’oscurità tale da ucciderlo. <Io ucciderò chi mi ha creato. Mi prenderò ogni ricordo, per poterlo uccidere anche…> è difficile, ma sa che deve farsi forza <…dentro di me> che luogo oscuro nel quale addentrarsi. Non avrebbe mai avuto successo senza lei. Eppure anche in quel momento emerge quella sua volontà. Ma senza l’austera fierezza di sempre. Non c’è bisogno. è tutto molto più semplice adesso… Altre cinque parole per la sua mente. Un nuovo balsamo che questa volta scioglie i nodi della vergogna. E di colpo non può che darle ragione. Perché si sta vergognando di lei? Forse perché le ha confessato quanto ha di più intimo? Chiunque lo sarebbe, eppure lui si ritrova a scuotere il capo, due volte e il labbro inferiore finisce addirittura tra i denti. Come a volersi rimproverare il fatto di essersi vergognato. E se lei volesse approfondire quell’espressione, riuscirebbe anche a trovare i due angoli delle labbra impercettibilmente tirati su. Non è un sorriso. Per nessuno lo sarebbe, ma per lei che così bene lo conosce… per lei potrebbe esserlo. Il sorriso che sa che ha sbagliato a provare certe cose. Perché è al sicuro adesso. Ma il tuono e i nuvoloni di quella fatidica domanda arrivano presto a portarsi via tutto. Eppure quello sguardo. Non perde quella purezza guadagnata in quel momento, cuore di una gemma che s’è schiusa solo in quella situazione, più intima di qualsiasi altra. Le labbra si schiudono, mentre lo sguardo viene travolto e riversa in lei una sola cosa: curiosità. <Che cosa vuol dire amare, Sango?> La evoca come a mantenere quel contatto con lei, indirizzando meglio la domanda in lei. Ecco il risultato di quell’oscurità. Di quella sofferenza. Un uomo che non sa cosa vuol dire l’amore. Quel sentimento che ha sentito nascere potente in lui. Ma non per Ona. No, molto, molto dopo. Dentro a una città. Dentro uno sguardo blu. Qualcosa che l’ha travolto impedendogli di chiamare qualcosa che è già suo, che sta già donando, ma che non sa di avere. Dal letame nascono i fiori, cantava qualcuno. Questo fiore è tanto delicato che potrebbe gelarsi al primo alito di vento. Non c’è cattiveria in quella domanda, ne tristezza ne secondi fini ne niente. Per lei tela vuota da scrivere. Qualcosa di incontaminato in un mare di nero. Un nero, che non la lascia, come le mani, ancora a cingerla, almeno parzialmente. Ripete quelle sue parole il cui eco andrà a diffondersi come vento li dentro, eppure non verrà portato via, no, questa volta si impregna nei muri, nel pavimento, in ogni oggetto, in loro stessi che si trovano a sentirle rimbombare. Il cuore che galoppa oramai da ore intere, infinite paiono, nel sentire il petto pesante una nuova volta, la seconda volta come se fosse morto di nuovo qualcuno, come se fosse morto lui, ma è lì dannazione! Caldo tra le mani che si cingono al suo viso, può sentirne la carne viva, il cuore, i muscoli, il calore stesso, ma nulla che ha la stessa gratificazione di uno sguardo che si tinge di uno stupore inutile e lontano per lei, che risponderà con quel timido sorriso. Dolce, breve, per confluire in un espressione più amara e dolorante a quel ringraziarla. Le fa male quel grazie. Punge troppo, da fastidio, dona traumi alla stessa che si rialzano dal passato per venirle a bussare alle spalle per trafiggerla. < non mi hai giudicato quando ti dissi di mio fratello > di come lo ha ucciso, ha ucciso l'unica cosa bella che avrebbe mai potuto avere, volere perfino, fino..fino a quando? Fino a che non avrebbe incontrato qualcuno che fosse li, per lei, come lei, e non più "degno". Ah quale orribile parola quella adesso che vi ripensa, degno, esser degno di lei, ma cosa significherebbe mai se non il proprio ego e il proprio volere della mente che entrano in contrasto per cibarsi di un cuore ormai sterile? < non abbiamo bisogno di giudizi Noi > pone l'accento su quel "noi" che pronuncia con forza, vibrando nell'anima la voce e ne esce che un eco vicino in grado di fargli percepire la propria forza, la propria volontà, di quelle che non avrebbe mai abbandonato, di quelle che l'avrebbero portata di nuovo su quel piedistallo. Avrebbero mai accettato un giudizio? Lei, mai. Mai che avrebbe ascoltato qualcuno per cui non valesse la pena fermarsi, fingere alcune volte, ma alla fine portare dentro di se quel nuovo cambiamento a destabilizzare l'intera sua concezione. Ma con lui non c'è stato nulla da destabilizzare, se non quel corpo che cambia, diviene più rotondo nel tempo, il pancino che si inoltra di una nuova vita adesso poco più visibile perfino ad occhi esterni. Eppure avrebbe potuto scegliere di non dire nulla, di nascondere tutto, di liberarsene, ma.. ha amato quella vita dentro di se come non ha mai fatto con alcuno, perfino con lui, con colui che sta toccando con le proprie mani grondanti di sangue versato, di vite che ha tolto, adesso ne avrà solo una da portare avanti. La loro unione, di qualcosa che vaga oltre il fisico e si intromette nei lembi di vite che non comprendono davvero cosa significa amare. E odia, odia da morire, peggior anche dell'odio che prova per Yukio - e ciò è tutto dire - di un essere innocente trattato in quel modo. < uccidilo > lo invita, con quella dolce violenza ad emergere da quella stessa oscurità in cui ha trovato rifugio < sei libero, fa ciò che più desideri > in quella sua nuova libertà potrà forse davvero trovare la sua via, il suo movente, il suo movimento da applicare per ergersi più in alto. E lei ci crede. Crede, lo vede, che quella fiamma che già arde potersi consumare sotto i propri occhi nella propria eterea gloria che persisterà. Come molti prima di loro, chissà che non avvenga invero ciò che loro vogliono, adesso, domani, tra anni , qualcuno o loro riuscirà. Una vergogna che non deve provare li, con lei, ne con nessun altro. Una vergogna che non ha senso d'esistere, ma non vi saranno mai da parte d'ella quelle solite parole di commiato dal "non è colpa tua" al "non ti preoccupare" e chissà quali cose confuse di parole sentite e trite, ritrite nella propria mente, di coloro che non hanno avuto la stessa comprensione ma solo un piccolo assaggio d'esse. Lei è li, basta questo, non ci saranno chissà quante parole per farglielo comprendere, anzi, ci sarà il silenzio e la presenza al suo fianco, o come adesso, d'innanzi ad ogni contatto. Da quella stessa fronte che si poggia sulla propria, al respiro che si fa violento e deciso, di una forza che non verrà meno per lei, figurarsi per lui. Quell'ultima, ultima domanda, viene riposta a lei, e .. silenzio. Come fosse nuovo? Si, perchè l'espressione stessa si condisce di quella che pare esser una ferita aperta, sanguina adesso a lui, come lui ha fatto con lei, in quelle difese che non reggono più, in quel respiro che quasi non ha senso d'esistere. E lei.. le si asciuga la bocca, lo sguardo scivola in basso li ove andrà a porre le mani strette tra loro convulsamente lasciando il corpo del biondo < io.. > io ? io cosa Sango? COSA VUOI DIRE? Le stringe quelle mani, violenta, vuole distruggerle < per me amare.. è.. solo una cosa > uno sguardo che s'è distratto da quella oscura pozza nera, ma a cui torna, ma non violenta, dolce e perduta come quella di una bambina < sacrificare la mia intera vita per qualcun altro > l'estremo atto d'amore, per qualcuno che invece pratica l'egoismo e ne decanta le passioni e perversioni, come può esser quello? Ma chissà, starà allo stesso Shinsei giudicarla ora, in quello sguardo che si perde violento in lui , dolce anche.. ma dolorante. < anche a costo di perdere tutto. > Sbocciano fiori questa notte, dentro il quartiere Ishiba del distretto di Ame. Di una bellezza rara, eppur nascosti nel più intimo dei gesti. Lo sguardo. Ma bisogna partire dall’inizio. C’è tanto da dire. Riuscirà il biondo a percepire quando quella parola che di solito considera un dono, per lei sia stata dolorosa? Riuscirà addirittura a provarne rimorso? Quel sorriso timido, che finisce in quell’espressione amara. Riuscirà a comprenderne la provenienza? Per fortuna ci pensa lei che spinge verso di lui il motivo di quell’amaro. L’amaro doloroso ricordo che riporta alla mente. Sbatte le palpebre. Ancora una volta spinto da lei a ragionare. A rievocare ricordi. Non l’ha giudicata sotto quella statua. E forse non facendolo ha saputo prendersi quel fiore che adesso è chiuso nella sua catena. Forse è stato proprio quello. L’andare oltre giudizi e pregiudizi, ad avergli consentito di addentrarsi nel cuore insanguinato di lei, consentendo a lei la stessa cosa, nel suo nero come l’abisso. E si sono esplorati, partendo proprio dal privarsi di ogni forma di giudizio. Scuote il capo al dire di lei <Non li accettiamo> Completa, usando anche lui quel “noi” seppur fuso nella forma verbale che usa. Si è fatto beffa sempre del giudizio di tutti, da quando è uscito dal suo inferno. Con lei sarebbe diverso. Subire un giudizio da lei farebbe male, sarebbe impossibile restarne impassibili. Eppure è questo il loro patto. No, di più, è il loro punto di partenza. Non avere bisogno dei giudizi. Rifiutarli. Una consapevolezza nuova illumina il suo sguardo nero per lei. Consapevolezza emersa dalla potenza di quelle parole, così come emerge forte, ma più fluido e dolciastro, l’odio profondo che lei gli spinge nell’anima con quel tetro invito. Infiammando di conseguenza il suo, profondo e totale, per il suo aguzzino, che lentamente perde quella strana nebbia di sentimenti contrastanti che lo avvolgeva, per lasciar spazio solo ad uno. Profondo e assoluto. Odio. Scava in lei, ma contemporaneamente scava in se stesso, con quello sguardo, con quelle parole. Si riflettono l’uno nell’altra, come sempre, ma meglio, più in profondità. E come dicevamo nascono fiori: anche quello, delicato e assoluto di lei, prende forma e si schiude al mondo. Quante volte hai mostrato te stessa in questo modo, Sango? Hai deciso di farlo adesso. E quella tela bianca che era la domanda del biondo, viene dipinta del più assoluto dei sacrifici. Questo è l’amore per lei. Questo sarà l’amore per lui. S’era abituato a quel tocco avvolgente sul volto, che di colpo viene interrotto. Per una frazione di secondo lascia quasi cadere il capo, ma senza gesti eclatanti, riacquisendo immediatamente il controllo di se. Lo sguardo vola a quelle mani che si stringono tra di loro violente. Quello sguardo che s’abbassa. E risale. Anche lei scoperta del tutto, senza veli. Mostrando quello che non può non essere un punto debole. Uno che hanno in comune evidentemente. Quelle parole giungono, dipingendo, ancora, una nuova consapevolezza. Perché ogni volta che si impara qualcosa, si genera consapevolezza. E lui ha imparato. La lascia fare, si, ma solo per qualche istante. Il tempo di metabolizzare quello che ha sentito, nutrirsi di ciò che lei ha mostrato per far in modo che diventi parte di se. E come è stato per l’abbraccio iniziale che lui ha chiesto, sarebbe lui stesso a favorire i movimenti di lei. Immediatamente una mano si stacca dal fianco e corre lesta alle mani, che afferra con irruenza. Nel fermo tentativo di spezzare quella stretta convulsa, avvolgendola nel calore rovente delle sue dita forti, che non ammettono repliche. Anche l’altra mano scivolerebbe lesta via dal fianco per dirigersi al volto di lei. Ad infilare il mento affilato di lei nell’incavo tra indice e pollice, le quattro dita ad avvolgerle le guance e il collo da una parte, il pollice dall’altra. Una carezza irruenta probabilmente, che è solo per lei. Un modo chiaro per farle capire qualcosa. Cosa? Potrà leggerlo in quello sguardo. Una profonda consapevolezza. Di cosa? Spiegare cosa significa “amare” per lei, vuol dire spiegare a lui cos’è stata davvero la perdita del fratello in quel modo. Un dolore che solo adesso lui può toccare con l’anima, e donarlo a lei tramite quello sguardo. Empatia. Come lei l’ha mostrata con lui. Di nuovo un riflettersi l’uno nell’altra, l’uno con l’altra. È uno sguardo che non lascia spazio a dubbi, a interpretazioni. Assoluto nell’accoglienza che dedica a quel fiore che viene offerto. Che la catena che li unisce divenga dunque Campana di vetro per quei fiori intrecciati. Vetro di sangue e d’oscurità nel quale custodire qualcosa.<Ascoltami.> Un invito oscuro, che sa sempre meno di invito e più di evocazione dei suoi sensi più profondi. Che il resto scompaia. <Tu hai amato e hai perso.> Tenterebbe, se quella presa irruenta ma non violenta, avesse avuto successo su viso perfetto di lei, di avvicinarsi. La voce, la sua. Sicura. Perché quando parla di loro due, o di lei in particolare, ha la sicurezza di chi ha accettato senza remore ogni cosa. Senza giudizi. <Sei morta e rinata, credendo che non avresti più amato.> Un chiaro riferimento a quella nefasta battaglia di dieci anni fa Potrà sentire la punta affilata del suo naso, sfiorare il suo, Sango, mentre pesanti sussurri vibrati cercano la sua anima <E poi hai scoperto che sai amare ancora.> Ciò che tenterebbe di fare a quelle parola è di attuare una leggera pressione sulle mani di lei, spostandole verso il suo stesso ventre, in una carezza congiunta a quella vita che cresce dentro di lei. In una carezza congiunta anche con la mano rovente di lui. Un gesto che se riuscisse dovrebbe portarla quanto meno ad ammorbidire quelle mani che si stringono. <E lo farai con tutta te stessa, come fai ogni cosa. Fiamma rosso sangue> Ne evoca la forma meno visibile agli altri, la più visibile a se stesso. Colei che lo ha acceso. <Io non ho mai amato.> Parla al passato. È importante. Tagliando via da quel sentimento la figura di Ona. Che all’inizio ha cercato d’esser padre, poi severo maestro, quindi tremendo aguzzino e infine folle padrone. Tutto, ma mai degno di qualcosa di così puro. <Odio rabbia e paura mi dominano. Le ho conosciute nel mio inferno, li dove l’unica cosa che desideravo era una coltellata alla schiena per ricevere…> S’irrigidisce la mascella <…un po' di calore> Una risposta completa viene data alla domanda da lei posta, l’ultima, sui sentimenti per Ona. <Ma ora…> Un ultimo movimento del viso, a tentar di portare le labbra a sfiorare quelle di lei senza toccarle, per spingerci dentro un sussurro <Ora che non ho che me stesso, Sango> La evoca, ponendo enfasi su quel nome <Io so per chi accetterei di perdere tutto> C’è bisogno di dirlo? O possiamo lasciare che un bacio sugelli questo momento? Perché è quello che tenterebbe di prendersi. Un bacio dei suoi, che non conosce delicatezza, riguardo ne pudore, ma che è carico di qualcosa in più. Consapevolezza? Dolcezza? Il nome non conta. È il frutto d’una meravigliosa tela dipinta. implicitamente felice che egli comprenda quel loro non accettare molto, nemmeno ciò che la società intorno a loro vorrebbero che facessero, solo per esser liberi di far ciò che desiderano, ciò che vogliono davvero, innominabile ed estremo, si, ma loro. Di ciò che narra è li , solo per loro, di ciò che ricevono entrambi ne sapranno godere, lei gode anche solo nel vederlo, nel sentire entrambe le mani lasciare il calore del proprio posto come un formicolio strano, di mancanza, per assoggettare invece lei, il viso, la spalla, il corpo, il collo, il cuore in quell'ultimo atto. Rapita, si, uccellino in preda a quel serpente bonario, di dolce fattura è quell'incontro, di armonia perfino, di odio e amore, di sentimenti tanto contrastanti che naturalmente andranno a fondersi e unirsi . Di carezze irruente che provocano brividi ignobili, troppo impetuosi da reggere, da poter mai mostrare in quelle che non sono altro che per lei volontà che la renderanno sempre più debole, perchè quello par esser il suo, punto debole. E ode, ascolta quelle parole che son li per lei, perfino confondendola. < io sono qui per te > ad annunciare confusa e preda di ciò che egli narra, di ogni piccola parte, carezza, sussurro, sguardo stesso che le andrà a donare. Ed ella cercherà solo di reggere il suo flusso, il suo essere, senza mai volerlo assoggettare.. o sarebbe stato come in passato, assoggettare una vita solo per sentirsi completa, solo per sentire quel briciolo di amore e di affetto che le è mancato sempre, di ciò che ha sempre e solo ricercato dopo quel fatidico evento nocivo. Ma adesso, son sole le dolci parole di colui che vuole a parlare e impregnar l'aria < amare è una debolezza > quell'unico insegnamento che ha sempre potuto comprendere, eppure narrati con voce dolciastra, ferrea anche, di ciò che non vorrà mai esser spezzato. Violenta perfino! Lei farà sempre ciò che desidera, ma la cosa che l'avvicina a lui è che egli sia in grado di farlo per se stesso senza nemmeno aver bisogno del proprio dire, sarebbe solo una consigliera, qualcosa di dolce e aromatico nell'aria come il profumo di una candela che potrebbe subito estinguersi se solo egli voglia. Ma lui non par desiderarlo, così come lei desidera semplicemente esser egoista, e di lui che non ha mai amato, di lui che non pare aver conoscenza di nulla oltre che l'odio, la rabbia, che tutto domina .. < calore > lo ripete lei stessa, di quel brivido interiore e del cuore stesso che si fa pesante < tutti meritiamo un pò di calore > lui, si, ma anche lei, parla d'entrambi, di passati nettamente differenti ma comunque son stati sempre da soli con se stessi. Lei a non richieder nulla, il nulla intorno a se, lui a richieder quei segni solo per sentir un pò di calore, e se fosse stata al posto suo? < avrei chiesto anche io un pò del calore tuo > confessa orribile , di quello che lui ha richiesto come segni sulla schiena, ma non sarebbe mai stato il solo , solo qualcuno di molto fortunato, e di molto sfortunato < Shinsei, vieni > un sussurro nell'apporre le braccia di nuovo intorno al suo collo, provandoci almeno, per sentire i loro corpi di nuovo a contatto, lei su di lui quasi < hai me > sussurrerebbe al suo orecchio < io ho te > ne è sicura, davvero. Ma non finirà li, di qualcosa che verrò di nuovo sussurrato < .. ...> semplice calore, solo per lui, non avrà altro da aggiungere quando corpo, mente, sentimenti sono cos' incredibilmente ferrei nella loro volontà. Gesti che vengono accolti da lei favoriti, parole che vengono ascoltate e che ricevono risposte sussurrate. Si nutre di quelle risposte come si nutre di quello sguardo, di quei respiri, di quei brividi che conosce. Di ogni parola assimila tutto, traendo a se ogni cosa. Annuisce alle prime quattro parole. Profondamente consapevole che quello che hanno passato insieme stasera, come il primo dialogo sotto la statua di pain, siano pietre angolari di quella consapevolezza. Lei è li. Una sicurezza sulla quale poter contare, Scoprendo il fianco debole perché tanto li c’è la corazza più forte. Ed a proposito di debolezza giungono leste le successive quattro parole. Un insegnamento proferito con forza, che richiama immediatamente alla memoria le parole da lei proferite quella prima volta che hanno deciso di aprirsi. Parole che lo mettevano in guardia sullo scegliere una ed una sola persona per la quale dare tutto. Altrimenti sarebbe andato tutto perduto. Eccolo la il motivo. Perché dare tutto per una persona, vuol dire porre se stessi nelle mani di qualcuno. Vuol dire esporre a qualcuno il proprio punto debole. Nella consapevolezza di poter essere colpiti, ma anche nella fiducia che solo protezione si riceverà. Metabolizza quelle quattro parole la sua mente, acquisendo quell’insegnamento, cornice di un quadro dipinto da lei. Amore è debolezza e disponibilità all’estremo sacrificio. Non sarà l’unica visione dell’amore, ma è quella di lei, imperfetta e soggettiva come è giusto così, trasmessa su quella tela bianca che è il biondo davanti a lei. Appropriandosi di quel quadro come il buco nero s’impadronisce di ciò che lo circonda. Annuisce nel sentirla parlare. Calore è ciò che prova quando soffre, calore era l’unica cosa che poteva ottenere in quel momento. Calore è ciò che chiede ogni volta che è con lei, insieme al dolore. Sono parte di loro, e non può che annuire a quelle parole. Eppure nelle sue labbra, con lei davanti, quella parola: Calore, assume un significato radicalmente diverso, si svincola dal dolore, e approda in qualcos’altro. Qualcosa di realmente, completamente piacevole. E lei, donna sincera, lo stupisce ancora con quella confessione una confessione che porta ad allargare leggermente il taglio affilato di quello sguardo nero. Quante volte, in quanti modi l’ha sentita chiedere quel calore? In quanti modi si è divertita a scatenarlo, per cosa poi, se non per quello? Tutti i modi di cui una donna, QUELLA donna è capace, ma alla fine, per manifestare un solo, unico, instancabile desidero: calore. Sbatte due volte le palpebre, evocato da lei, lascia andare le mani, lasciandole anche il viso, per far scivolare di rimando le sue intorno alla schiena, avvolgendola con le braccia scolpite. Arrivano quei sussurri. Due parole. Le labbra del biondo si schiudono <Si.> profonda consapevolezza nel tono vibrato praticamente senza voce, solo per lei. Confermando. Altre tre parole. Le labbra si schiudono <Si.> Certo che si. un sussurro, e quello sguardo si sgrana di nuovo. Oh kami quella serata quante emozioni ha regalato. Un profondo battito, scuote la cassa toracica dell’uomo, mentre la stringe, facendole percepire lo scuotimento di quel sussurro, solo un istante, e la presa su quel corpo affusolato si fa più salda, meno passiva, irruenta. Mentre avvicina anche lui le labbra, appoggiandole all’orecchio di lei, e spingendo in lei parole che resteranno per lei. Prima che su quella notte cali un sipario meritato che vada tutto in malora. Che restino loro due.[End]