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con Kan, Shinsei

15:46 Shinsei:
  [Ingresso] Pesanti anfibi graffiano il mattonato del viale dell’ospedale, che dal cancello esterno conduce direttamente all’interno. Anfibi neri nei quali s’infilano ampi calzoni dello stesso colore, tenuti alla vita da una cintura lisa, ma comunque nera. A copertura della parte superiore del corpo solo una felpa, dal tessuto fino, che si lascia trasportare dal vento aderendo alle forme scolpite del corpo del biondo. La zip è lasciata abbassata a metà, mostrando il petto liscio sotto di essa. Le maniche sono tirate su fin sopra al gomito, liberando gli avambracci che si immergono nelle tasche della stessa felpa. Il cappuccio è abbassato, lasciato cadere morbido sulle spalle e dietro la schiena. Il volto affilato è dipinto nella solita espressione austera, quella con la quale osserva tutto ciò che non gli interessa, senza prestare attenzione a nulla che non la meriti davvero. Lo sguardo nero, oscuro e pesante, è incastonato in occhi dal taglio affilato come la lama d’un coltello. Sguardo reso ancor più feroce dal colore della pelle intorno agli occhi, scuro, quasi avesse messo in dosso del trucco. E invece no, è solo che non dorme. Ma non ci sono altri segni evidenti di questo. Spiccano a decorare i lisci fianchi del cranio, all’altezza delle tempie, i dragoni d’inchiostro nero, mentre i capelli d’un biondo pallido sono tenuti in una splendida treccia elaborate e tenuta da un sottile drappo di stoffa rossa come il sangue, solo un ciuffo è lasciato libero di scendere fin quasi al mento, incorniciando il viso. Ha l’aria d’un teppista, lo sguardo violento e l’abbigliamento assolutamente inadeguato per un posto pubblico, ma non sembra preoccuparsene troppo, mentre sale senza fretta gli scalini che lo porteranno all’ingresso. All’accettazione. Avvicinandosi alla signora del bancone schiuderà le labbra sottili, per pronunciare semplicemente <Kan.> quasi aspettandosi che la poveretta li dietro comprenda. Inalando aria dai polmoni per esalare un pesante sospiro col naso <Sto cercando Kan.> Se solo sapesse il cognome <è un medico. Lavora qui.> Non ha molte altre informazioni, ma un’altra cosa che non ha è la faccia di uno disposto a tornare indietro senza aver parlato con chi sta cercando. Non ha problemi a perlustrare stanza per stanza, se serve. Ma per ora resta fermo. Mani nelle tasche della felpa, sguardo affilato, espressione austera, mentre le iridi spaziano per i presenti, già in cerca del suo obbiettivo. Le orecchie restano tese a percepire la risposta.

15:56 Kan:
  [Ingresso] Non mette piede nel distaccamento dell'ospedale di Konoha fin da tempo immemore, oramai lavora in maniera fissa in quel di Kusa, non solo per esigenze quanto per una missione a dir poco fondamentale da portare a termine. La giornata di oggi risulta quanto mai strana, si trova li in via del tutto eccezionale per una richiesta di personale prima delle nuove assunzioni e, inoltre, deve continuare il proprio studio affiancando diversi medici da cui apprendere le nozioni di base della medicina. Quale miglior posto se non quello per farlo? Il vestiario del Konohano risulta atipico, strano ai più eppure originale nella sua bellezza effimera composto da un paio di blue jeans nel ricoprire gli inferiori arti, più smosso in zona polpaccio e caviglie e sandali shinobistici per finire la parte inferiore. Marrone cintura con fibbia dorata legata alla vita ed una camicia blu di lunghe maniche sul busto, bottoni inseriti nelle apposite fessure ma le ante della stessa risultano separate permettendo la mostra del fisico allenato del diciottenne. Polsini viola e bordi blu concludendo con un camice bianco ospedaliero nel cui taschino sul pettorale sinistro è pinzato il badge con il nominativo Kan Sumi. Albina chioma pettinata ma allo stesso tempo scomposta, lunga non oltre il collo. Portaoggetti legato alla cintola, fianco destro come parte selezionata trovando al suo interno fuda e inchiostri speciali, favoriti dal clan per portare avanti la suprema bellezza dell'arte ereditata al momento della nascita. Occhiali di nero colore, lenti rettangolari, sottili concludono l'outfit, sul viso nel donare un aspetto particolare al genin. Dopo i recenti avvenimenti a Kusa, all'Ochaya, il lavoro si è intensificato notevolmente, i pazienti risultano numerosi e il medico a cui lo hanno affiancato gli ha banalmente chiesto di andare all'accettazione per quantificare il numero di pazienti così da capire la mole di lavoro da svolgere. Procede con passo spedito rifilando varie occhiate da una parte all'altra della struttura giungendo nei pressi dell'ingresso; intento a dare una veloce occhiata il proprio nome risuona all'orecchio attirandone inevitabilmente l'attenzione. La figura di Shinsei sosta al bancone dell'accettazione tra l'arrabbiato ed il deciso richiede espressamente di lui <Mh> incuriosito smuove il passo avanzando nella direzione dell'uomo accorciando la distanza da esso continuando nell'udire il verbo proferito <Non lavoro più qui da mesi, ora sono fisso all'ospedale del distretto di Kusa> chiarisce fin da subito <Sei stato fortunato a trovarmi> ovviamente lo è, un viaggio a vuoto, dopotutto, non è contemplato <Tu saresti?> non riconosce l'uomo, quella serata ha attirato la sua attenzione su altre vie e la memoria elimina tutto il futile. [Portaoggetti: fuda e inchiostri speciali]

16:11 Shinsei:
  [Ingresso] Si spostano veloci, gli occhi neri, sulla figura del ragazzo albino, senza però che il capo venga ruotato, finendo per donargli un’occhiata affilata, praticamente di profilo. Pesante l’oscuro sguardo immagazzina dettagli senza farsi problemi ad indugiare su quella figura, corporatura, vestiario, dettagli fisici del genin che ha di fronte, vanno a completare la figura parzialmente conosciuta, mascherata come lo erano tutti, in quella festa. Sarebbe effettivamente difficile che si fossero riconosciuti, visto che erano entrambi mascherati, ma il nostro biondo qui, ha il vantaggio che quella sera, grazie alla rossa, ha conosciuto il suo nome, e può ricollegare l’eccentrica figura che ha davanti al cameriere travestito che alla fine non l’ha servito. Mentre l’altro non ha che la statura, per cercare di fare dei collegamenti, visto che il biondo aveva i capelli neri, aveva nascosto i tatuaggi, mascherato gli occhi e si era presentato vestito da Yukio Kokketsu. <mh> Un mormorio basso mentre ascolta l’altro e lentamente, solo ora, compie quella rotazione atta a portarsi frontale all’albino. <bene> Una parola che non è riferita a niente di ciò che l’altro ha detto. Non è importante come lo abbia trovato o quanto fortunato sia stato. L’importante è che adesso ce l’ha di fronte. Lo sguardo, dopo aver esaminato la figura, si schianta sugli occhiali di lui, quasi a volerli sfondare e cercare lo sguardo di lui. Come se potesse davvero vederle, quelle iridi al di là delle lenti scure. La domanda che l’altro pone gli inarca leggermente il sopracciglio sottile, il sinistro, verso l’alto, <Shinsei> Risponde pacato, continuando ad osservarlo dall’alto, riportando la conversazione su un piano equilibrato, ora entrambi possono chiamarsi per nome. <Parliamo> dovrebbe esserci l’interrogativa alla fine di quella parola, ma è assai poco presente, colpa sua, che ancora non ha capito come si parla alle persone <Ci vorranno solo due minuti> Ammette e solo adesso smetterebbe di guardarlo per iniziare una rotazione che lo porterebbe addirittura a dargli le spalle, guardando invece verso l’esterno <Fuori, se si può. Odio questo tipo di posti.> Si costringerebbe a starci, se necessario, ma non esiterebbe, se ricevendo anche il minimo cenno di assenso, a dirigersi verso il giardino.

16:34 Kan:
  [Ingresso - Esterno] La mascherata da Yukio ha coperto egregiamente le altrui fattezze tanto da impedirgli un riconoscimento. L'altezza può essere un valore aggiunto ma in vita sua ha visto molte figure di altezza elevata, egli non fa distinzione, ergo, quel dettaglio non viene preso minimamente in considerazione ripercorrendo solamente le fatte dell'altro. Osserva il vestiario indossato scrutandone i dettagli, il tatuaggio sul capo così come la treccia bionda, un colorito molto affine al bianco della propria chioma eppure sono gli occhi ad attirare in maggior misura l'attenzione, occhiaie presenti in maniera marcata. Una veglia costante si direbbe, poco sonno, qualcosa capace di incupire lo sguardo di chiunque rendendolo infervorato anche in momenti di tranquillità eppure quella serietà lo spiazza, inattesa da parte di un'estraneo corrispondente al nome di Shinsei. Un semplice moto di assenso a quel nominativo non andando oltre, le domande trovano il loro tempo ma non adesso, non davanti a tutti quanti dove orecchie indiscrete possono sentire i loro fatti. Le maniere dirette dell'altro non lo spiazzano ne lo sorprendono, al contrario portando le labbra ad ampliarsi appena in un mesto sorriso divertito dalla situazione creatasi. Una richiesta di parlare ma cosa mai possono dirsi due estranei? Ne conosce il nome, vero, ciò non basta ad intraprendere qualsivoglia discussione in merito. Sospira alla fine annuendo, acconsentendo a parlamentare con l'altro <D'accordo, se insisti> quanto meno può apprendere qualche informazioni in più ed essere meno all'oscuro. Sta per volgere la schiena all'altro all'arrivo di tal verbo, l'ennesima richiesta a bloccarlo sul posto lanciando una veloce occhiata all'esterno dell'edificio <Ma solo due minuti, non posso allontanarmi troppo> nel proferire ciò smuove il passo verso l'esterno dell'edificio oltrepassando la soglia delle vetrate che ne richiude l'ingresso immettendo se stesso al di fuori. Nessuno nei dintorni, i pazienti sono dentro, i medici all'opera e lui? Sta gozzovigliando con qualcun altro li, senza nessuno a circondarli. Attende silente di essere seguito, di vederlo uscire a sua volta lanciandogli una veloce occhiata <Dunque, parliamo. Cosa ti serve?> chiede in primis quando un pensiero ne attraversa il geniale intelletto <Ma prima, come sai il mio nome? Chi ti ha detto dove potermi trovare?> giuste domande quelle poste dall'albino, curiosità impossibile da tenere a bada quando si tratta di simili accortezze. [Portaoggetti: fuda e inchiostri speciali]

16:49 Shinsei:
  [Ingresso] Sostiene lo sguardo altrui. È una persona abituata a ricevere sguardi, visto l’aspetto, e anzi quello di lui pare, per ora, privo di cattive intenzioni o intenti giudicanti, quindi ci mancherebbe che non riesca a sopportarlo. Attenderebbe d’esser superato, senza problemi, per poi seguirlo, e continuerebbe in realtà, scendendo gli scalini che poco prima ha salito, fino a fermarsi a metà, e flettere le ginocchia, portando il bacino in basso fino a sedersi sui gradini. Le mani vengono spostate dalle tasche. I gomiti poggiati sulle ginocchia allargate, gli avambracci e le mani dalle dita affusolate vengono lasciati a penzolare all’interno, mentre con lo sguardo cerca di nuovo il suo interlocutore. Sembra ignorare le sue prime due frasi. Decisamente non interessato al fatto che abbia poco tempo da dedicargli. Ha accettato quella conversazione, tanto basta. <Non mi serve niente.> Secco nel parlare e diretto, senza fronzoli e senza menzogne, per ora. Tiene lo sguardo sull’altro, prima di sollevare un avambraccio e portare indice e pollice a pizzicare alla base del naso, chiudendo un attimo gli occhi e appoggiando su quella pinza fatta dalle sue stesse dita tutto il peso del cranio. La stanchezza lo rende troppo ruvido. Inspira profondamente, espirando col naso <Sei stato tu a darmi il tuo nome> Risponde riaprendo lentamente gli occhi, sollevando di nuovo il capo sull’albino e lasciando di nuovo cadere l’avambraccio tra le gambe piegate e allargate <L’hai detto a Sango, la notte dedicata al Serial Killer, all’Ochaya> Fornisce tutte le coordinate necessarie per farsi riconoscere adesso, anche sotto quel travestimento che indossava. Aspetta qualche secondo, lasciandogli metabolizzare le informazioni che gli sta dando e ignorando il fatto che potrebbe essersi nutrito di carne umana quella sera. Di un orecchio per la precisione, non è il momento di pensarci. Ci sono cose più importanti di cui parlare <Sei l’unica persona di cui Sango mi ha parlato come un amico> Pone un’enfasi particolare sull’ultima parola. Mantiene il tono di voce basso, non ha bisogno di urlare, ma la voce è comunque profonda, nasale, in un certo senso musicale, ma su tonalità oscure, vibranti indirizzate all’altro, come lo sguardo nero come un baratro. <Mi sembrava giusto fare la tua conoscenza, capire perché hai un posto simile nel suo cuore> Una nota, un velo di curiosità si fa presente nella voce, ma non solo, anche nello sguardo, come se cercasse di capire, di capirlo meglio.

17:04 Kan:
  [Ingresso - Esterno] Ne segue il moto del corpo senza perderlo di vista, il sorriso lento svanisce dal volto dell'albino ricercando comprensione nel fare dell'altro, rude, privo di educazione quasi, estremamente diretto e senza tatto. Richiede, pretende e lui l'acconsente? Per certi versi si, curioso di comprendere chi sia quello figura davanti a se con il cui impeto è giunto fino al distretto Konohano per incontrarlo. Nulla necessita l'uomo, dettaglio capace di incrementare la sete di conoscenza, desideroso di apprendere quanto più possibile da quell'incontro tanto strano quanto improvviso sul proprio luogo di lavoro. Attimi di silenzio ne ricevere la prima nozione, ha proferito il proprio nome egli stesso; dubbi, domande, quesiti vengon posti a se stesso ripensando agli ultimi giorni vissuti, ai possibili incontri fatti e mai, in nessuno di essi, il biondo ha mostrato la sua presenza enunciando la propria esistenza. Necessita di spiegazioni nell'incrociare i superiori arti al petto, dorate fisse sul capo altrui affiancandolo in quella seduta per rimanendo in piedi, guarda dall'alto verso il basso con quell'aggiunta di informazioni. Ochaya, e lei l'ha detto? Breve il flash ad attraversarlo, ricorda la richiesta di lei, la risposta affermativa donata <Tu sei il tipo vestito da Yukio> non una domanda quanto una constatazione sull'identità altrui. Un travestimento effettuato con dovizia, minuzia nascondendo tutti i possibili tratti riconoscitivi in favore della serata sui serial killer. Ottimo il lavoro svolto, non c'è che dire seppur non si congratuli il sorriso ritorna, in maniera mesta e pacata ma vien mostrato per l'ennesima volta <Ah si? Ti ha parlato di me?> rimembra il fare della donna quella sera, un impercettibile movimento dell'altrui viso, un leggero rossore nel rivolgersi all'uomo. Un peso non è stato dato ma ora, il tutto, viene richiuso in un cerchio pressoché perfetto. Svariati i pensieri all'attivo, l'intelletto comincia una serie di ragionamenti portati avanti uno dopo l'altro con possibilità infinite e la motivazione ben presto giunge all'udito del bianco. Inspira, espira, rilascia ossigeno all'esterno pensieroso, curioso a propria volta <Capisco> esordisce dapprima con una semplice parole <Perchè mai dovrei dirtelo?> non risponde bensì pone una nuova domanda al biondo, ben più importante di qualunque altra cosa <Chi sei tu per lei per venirmi a chiedere una cosa del genere? Abbastanza privata aggiungerei> riguarda la propria sfera personale eppure Sango gliene ha parlato, cosa ha detto? Cosa è uscito dalle labbra dell'Ishiba? Questo interessa lui oltre all'apprendere cosa rappresenti l'altro nella vita dell'ex mukenin. [Portaoggetti: fuda e inchiostri speciali]

17:32 Shinsei:
  [Ingresso] Lo osserva riflettere sulle parole che ha fornito, fino ad arrivare a quella conclusione che è una sentenza, e che verrà confermata dalle labbra sottili che si tirano in un ghigno affilato. Si, è lui. Un sorriso distorto che dura giusto il tempo di dargli una conferma inutile, prima di svanire lasciando il posto all’espressione austera che sempre si dipinge sul viso. Un’espressione che però s’è macchiata di curiosità, come se, il fatto che l’albino sia stato definito “amico” dall’Ishiba, gli conferisse uno statuto diverso, di persona degna della sua considerazione <Si. L’ha fatto> Conferma. Annuendo piano una volta <Non mi ha detto molto, in realtà. È una persona riservata con ciò a cui tiene, e io non sono un impiccione> Si. Questo ha percepito, l’evidenza che quell’albino che ha di fronte abbia una considerazione particolare per la rossa, e tanto è bastato per spingere la sua curiosità sull’albino. E non è tipo da farsi dire le cose, ha preferito direttamente andare a cercarlo. Ascolta e a quella prima domanda, di nuovo, tira le labbra in un sorriso, tanto da snudare le zanne <Non devi dirmelo tu> Commenta semplicemente guardandolo <Lei ha un modo particolare di scegliere le persone che tiene vicine, te ne sarai accorto. Cerca qualità che emergono da sole, senza bisogno di usare le parole per descriverle. Lo capirò da solo, col tempo, cosa l’ha spinta a considerarti suo amico, e incontrarti mi sembrava un giusto inizio.> Spiega, articolando finalmente una frase più lunga dei soliti mugugni che rivolge a chiunque. Lo sguardo si tiene su di lui ancora qualche secondo. Quella domanda lo porta a raddrizzare la schiena e a serrare la mascella, guardandolo serio, lasciando morire ogni sorta di sorriso possa avere avuto sul volto affilato <Io sono il padre di suo figlio, Kan> Commenta lapidario e diretto lasciando che quelle parole investano l’albino senza riguardi ne tatto. È una cosa che sicuramente avrà già ipotizzato, non può escluderlo, ma non è una persona mediatica, questo lo si è capito. Potrà osservarlo, l’albino, schiudere le labbra, e abbassare finalmente quello sguardo dal suo volto, portandolo tra i suoi stessi piedi, <Grazie per essere stato con lei ed averla aiutata a scoprirlo>. Una frase più mormorata, privata, con un tono di voce meno freddo. È stato contento di non saperla da sola in quel momento, ma con qualcuno di cui si fida.

17:52 Kan:
  [Esterno] Umetta le labbra passando la lingua su di esse in maniera al quanto repentina ammorbidendo le carni, togliendo la secchezza mentre le dorate sfuggono sul volto dell'altro inquadrandolo ancora dalla propria altezza la quale, attualmente, risulta ben più elevata rispetto all'altrui. Quella seduta consente di ergersi al di sopra di chi, in normali contesti, l'avrebbe surclassato. Ottiene la blanda conferma dell'ovvio, poco importa attualmente, glissa su quell'argomento in favore di qualcosa di ben più corposo come l'Ishiba e il rapporto stretto con il biondo sconosciuto. Non comprende ancora la natura del rapporto instaurato tra i due, non può lontanamente immaginare cosa vi sia sotto in realtà <Di questo gliene sono grato> non esser al centro di discorsi, non sentir il proprio passato svelato a sconosciuto di cui non è nemmeno al corrente dell'esistenza <So quanto sia riservata, ci ho messo un po' a farla aprire> non specificando ulteriori dettagli di quanto avvenuto tra loro nel passato ma il tempo necessario per un'apertura è decisamente elevato. Non basta una notte di passione no, quella è solo l'inizio del rapporto creatosi, evoluto in qualcosa di più. Amici si eppure è proprio quell'amicizia ad essere incrinata dal mero punto di vista dell'albino da dopo l'incontro con la Kokketsu. Lento il moto scendendo uno scalino per sedere al fianco dell'altro a circa un metro di distanza, spazio vitale mantenuto nell'ascoltare quella disquisizione, quel commento mentre le dorate si incastonano nell'oscure di lui. Leggero il sorriso creatosi sul volto nell'udire quanto viene proferito, concorda con tali parole, su questo il torto non risulta presente, al contrario, nella rossa tale qualità emerge effettivamente nella scelta delle amicizie <Beh, allora> arto superiore destro allungato nella direzione di lui, mano aperta attendendo quella stretta, richiedendola da un momento all'altro <Piacere di conoscerti, Shinsei e...basta?> senza cognome, un secondo nome o un clan di appartenenza. Il primo incontrato senza tali particolarità, ovviamente non richieste, solo un mero modo per completare il quadro generico. Piccole minuziosità messe da parte davanti alla rivelazione, forse la più destabilizzante fino a quel momento. Il biondo padre del figlio della rossa, egli, mai visto prima sta per avere un figlio con l'Ishiba. Dorate chinate al suolo, cessa di sostenerne lo sguardo ricercando comprensione in quelle parole. Qualcosa non quadra, non torna in quanto sta succedendo, tutto troppo strano, in netto contrasto con le conoscenze in possesso <E' il mio lavoro, l'avrei aiutata in ogni caso> non solo come amico bensì come medico il cui compito è quello di dar retta ai pazienti <Come è nata la vostra storia? Da quanto tempo va avanti? Perchè so molte cose di lei ma il tuo nome non è mai venuto fuori prima, specie in campo sentimentale> giuste domande vengon poste, non dettate dalla curiosità bensì dalla volontà di carpire quei dettagli in precedenza sfuggiti. [Portaoggetti: fuda e inchiostri speciali]

18:27 Shinsei:
  [Ingresso]  
Non ha problemi a guardarlo dal basso, perfettamente conscio che quella è una condizione che si è scelto, prima di abbassarlo per quel ringraziamento che gli dedica. Ma andiamo con ordine. Annuisce una volta, con calma, ascoltando il dire di lui. Lo ascolta parlare di quanto ci abbia messo a far aprire la rossa. Non commenta, non ne ha bisogno, probabilmente fatica a comprendere, o semplicemente non gli importa. Lui e l’albino hanno vissuto con la rossa situazioni non paragonabili, per due persone evidentemente diverse <Non mi ha detto molto di te, se non che sei un medico, che hai una ragazza che non le piace per niente, e che… si fida di te> La ricorda, quella serata al parco, in cui la rossa ha assicurato che si sarebbe affidata proprio all’albino, per capire il perché di quei leggeri malesseri. Preme con il tono della voce su quelle ultime quatto parole, tenendo lo sguardo nero, profondo come un buco nero, nelle iridi dorate dell’albino, oltre gli occhiali. È chiaro l’intento. Le considera parole fondamentali. A conti fatti, l’unico motivo che rende quell’albino degno di ergersi dalla palude di nullità in cui lui stesso, sbagliando, inserisce tutto il mondo. Una responsabilità. Perché a fidarsi di lui non è una persona qualunque, ma qualcuno a cui il biondo tiene. Si sposta poco dopo su quella mano, lo sguardo nero, la osserverà per lungo tempo, fino a quando l’albino non si sarà stancato di tenerla su, Solo all’ultimo, lascerà scattare la sua mano, più grande, dalle dita forti e decisamente non delicata. La stretta è forte, solida, la pelle è rovente, e il gesto è rapido, solo un istante, prima di sfilarsi. Potrà percepirlo, l’albino, l’irrigidirsi del braccio, e il contrarsi dei muscoli delle mascelle. Come se quel contatto creasse fastidio, bruciore, dolore quasi. Qualcosa che viene sopportato, senza proferir lamento, ma solo per il tempo necessario <Shinsei e basta.> Conferma. Parlare delle sue informazioni genetiche sarebbe tanto complicato che potrebbe tenerli li per ore. E soprattotto. Non condivide le sue informazioni così tanto. <No, Kan> Questa volta è secco al punto da lasciar trasparire una vena d’ira nel tono, per come è stato trattato quel “grazie” che ha elargito. E quanto ci mette lui a ringraziare? Troppo. È una parola preziosa che non usa mai, e non accetterà che venga trattata in quel modo <Non ti ho ringraziato per quello che hai fatto come medico. Ti ho ringraziato perché sei stato per lei una persona amica. Faccio molta fatica a ringraziare la gente. Non lo faccio mai. E non c’è bisogno che tu risponda, soprattutto se devi dire st..> Si ferma. Come si vede l’influenza della rossa sul suo linguaggio. È come se un guinzaglio invisibile fosse stato tirato, come se una voce udibile solo a lui gli avesse impedito di continuare. Non è il caso di alzare i toni per una cosa del genere, effettivamente. Gonfia il petto, traendo un profondo respiro, che viene di nuovo esalato dal naso sottile <Lascia stare, hai capito. Avrà bisogno di altro in futuro. Cose per le quali io non ho le competenze. Mi fa piacere che abbia una persona di cui può fidarsi> Chiude secco, parlando veloce, cercando di ricucire. Gli arrivano, per finire, quelle domande. Tiene gli occhi su di lui mentre ascolta la sua curiosità, e li assottiglia, come lame, cercando di capire a cosa sia dovuta quella curiosità. Si prende lunghi attimi di silenzio per rispondere <Non hai mai sentito il mio nome perché se Sango è riservata nel parlare dei suoi amici, figurati quanto può essere riservata nel parlare di me.> Non è un amico, per la rossa. Non lo è mai stato, e non ha paura di dirlo <Queste sono informazioni che dovrà essere lei a decidere se darti o meno, Kan. Non so quanto profondo sia ciò che vi lega, ma io ti conosco appena, e non mi apro facilmente con le persone> Per niente, a dire il vero. Sembra squadrarlo di nuovo <So che hai la sua fiducia, e questo è un buon inizio.> Sembra quasi lasciare uno spiraglio, per lui e l’albino. Chissà. Di sicuro quella è la ragione per cui lo ha avvicinato. Il resto è nelle loro mani <Piuttosto. Lavori all’Ochaya> Non è una domanda, come non lo era quella dell’albino poco prima, sul suo travestimento. Ormai hanno ricollegato entrambi, eppure lui sembra attenda anche solo una blanda conferma. Ha qualcosa di cui parlare, ancora, con l’albino.

18:56 Kan:
  [Esterno] La parola fiducia emerge in maniera preponderante all'interno della discussione, punto cardine del loro incontro, fiducia posta nell'albino da parte della rossa. Vorrebbe poter ricambiare, dire a sua volta di fidarsi di lei ma dopo i recenti avvenimenti, dopo quel modo di porsi nei confronti della nanetta, tali sentimenti sono mutati, teme per quanto possa accadere, teme di dover fare i conti con la realtà ritrovandosi dinanzi ad una scelta netta quanto definitiva. Un solo modo necessita, uno per poter far combaciare entrambe, trovare una convivenza non di piacere ma di sopportazione, mettere da parte quell'attrito nullo creatosi di punto in bianco per un mero discorso di razzismo verso un clan il cui sangue discende dal primo Hasukage, il vero artefice dell'ira dell'ex mukenin. Egli non sa nulla dell'albino se non quelle informazioni basilari, medico, con una ragazza e niente di più. Il non piacere emerge, non commenta su questi dettagli non volendo informare ancora l'altro di determinate tendenze, il terreno va tastato, preparato prima di fornire informazioni di un certo tipo <Ti ha detto il necessario, d'accordo. Si è solo dimenticata di dire che sono anche uno shinobi di Kagegakure e che abbiamo svolto una missione insieme> alzata di spalle nel renderlo partecipe di piccoli eventi del passato. Shinsei dimostra fin dalle prime parole il suo essere riservato, poco disposto al dialogo ma ben disposto verso coloro il cui rapporto con Sango risulti amichevole, una deduzione palese anche a un bambino, gli indizi sono presenti in maniera eclatante ma ancora non riesce a penetrare l'altrui mente, leggere in quegli occhi senza ulteriori dettagli è difficile, arduo. Non demorde, specie quando la mano è stretta, un contatto veloce quanto rigidi, rifugge istantaneamente senza neanche dare il tempo all'albino di stringere a propria volta. Mascella contratta insieme al braccio, un sintomo verso chi prova dolore o forse una sfiducia. Piccole informazioni da tenere ben in caldo in attesa del momento propizio <Shinsei e basta, meglio, facile da ricordare> scherzandoci sopra, stemperando appena il momento di tensione creatosi mentre la mente rimugina su quei dettagli, anche mentre il secco no viene fuori, portato avanti dall'ira dell'uomo come se avesse commesso chissà quale peccato. Non prova timore, paura o ansia nei confronti dell'altro; estremamente tranquillo quanto pacato ascolta le motivazioni di quel ringraziamento <Stronzate? Volevi dire questo?> conclude la frase comprendendo a pieno il discorso da lui fatto <Non hai la minima idea di come ci si rapporta, vero? Ne di cosa abbia voluto dire> tira su con il naso, schiarisce la voce <Le parole a volte vanno lette tra le righe e il non detto era, semplicemente, che non serviva ringraziarmi> andando a spiegare qualcosa palese agli occhi del bianco, non tanto per il biondo <Devi tenerci davvero molto se sei arrivato a ringraziare, questo è un bene> qualcosa comunque non torna in quel discorso. L'essere incinta di lei, la relazione con l'altro perchè, a conti fatti, si tratta di questo, non di altro; non si fa un figlio per una scappatella, l'attenzione è necessaria. Arti superiori distesi all'indietro poggiando i palmi della mani sulle mattonelle dei gradini lasciandolo parlare, sprofondando nei propri pensieri, nei ragionamenti <Questo discorso non ha valenza con me, so più di quanto tu immagini per questo mi stupisco> riflette, pensa ancora una volta e forse una lampadina si accende <A meno che qualcosa non abbia interrotto il momento...> volge lo sguardo alla volta di Shinsei, sorride avendo trovato, forse, una risposta <...quando le ho comunicato della gravidanza, poco prima era presente la mia ragazza. Ecco perchè ne sono all'oscuro, non voleva parlare davanti a lei> ragiona, parla da solo giungendo alla risposta più logica possibile di quella sua ignoranza <Non riguarda soltanto te ma anche lei. Non ti sto chiedendo qualcosa che riguarda te in particolare, perciò, la storia è sempre quella, sia che me la racconti tu, sia che lo faccia lei> al massimo cambiano i punti di vista, il succo resta quello, non può cambiare in alcun modo. Di nuovo la fiducia, tirata in ballo, usata come mezzo, come motivo per far proseguire la conversazione. Sospira leggermente rilasciando aria dalle narici <Si, quella sera era il mio primo giorno. Quel posto mi ha divertito come cliente e ora mi diverte come lavoratore> iridi alzate al cielo con il sole intento a tramontare minuto dopo minuto <Vuoi una buona parola per farti assumere?>. [Portaoggetti: fuda e inchiostri speciali]

19:22 Shinsei:
  [Esterno] Annuisce brevemente, annotandosi nel cervello le informazioni che lui gli pone, e aggiungono dettagli al quadro del Sumi che il biondo si sta dipingendo in testa. Troppo abituato a non farsi toccare per nascondere dietro la finta disinvoltura il bruciore che il tocco della pelle dell’altro gli provoca. Ah se solo sapesse per la sua mente spezzata cosa significa farsi toccare. Si limita a regalare all’albio un nuovo sorriso, affilato e tagliente, apprezzando la volontà di tagliar corto sul nome. Una questione che avrebbe potuto essere troppo spinosa. Le successive parole, pacate e tranquille, s’insinuano nella sua mente. Non risponde a quelle due domande su cosa volesse dire. Era chiaro come il sole. Ma alla terza schiude di nuovo le labbra sottili <No.> No che non ne ha la minima idea, è evidente, così come è evidente dal tono e dallo sguardo quanto poco sia interessato ad imparare. Troppo difficile modificare un carattere del genere. Completamente ineducato a vivere in contesti sociali, con delle regole da rispettare. Lo osserva, osserva lo stupore che manifesta fin dall’inizio, osserva la sua convinzione di sapere molte cose della rossa vacillare perché qualcosa è sfuggito, tenuto nascosto da lei. Lo osserva interrogarsi sui motivi, darsi delle spiegazioni. Osserva e ascolta quella mente muoversi, con un velo di interesse, come sempre quando ha la possibilità di vedere la mente umana in azione. Di nuovo, alla fine, arriva il tentativo di spingerlo a parlare. Si raddrizza con la schiena <Non funziona così, Kan, io e Sango non siamo intercambiabili. È lei ad avere un rapporto confidenziale con te, non io. È a lei che devi chiedere, non a me. Io non mi apro mai.> Ammette, assoluto come sempre, per poi dover tornare indietro <quasi…mai> un’eccezione c’è. È evidente. <In ogni caso, io e te partiamo da oggi, e non ci saranno problemi, finchè non tradirai la fiducia di Sango> Commenta semplicemente, lasciando poi correre lunghi momenti di silenzio in cui anche lui ragiona. <L’ospedale di Kusa, mh> Evoca quel posto in cui non è mai stato, a dirla tutta <magari passo li qualche volta> Sta imparando, da Sango, ad odiare quel distretto, ma in fondo odia in maniera praticamente indistinta tutta Kagegakure ad eccezione di un appartamento ad Oto e del distretto Ishiba. Il discorso vira veloce su Ochaya e quel che l’albino dice parla del suo modo di divertirsi, del fatto che era la sua prima sera. Ma l’idea che lancia, s’infila nella mente del biondo come una lama <Sarebbe… un’idea, si> Ammette facendo andare gli ingranaggi del suo cervello <Cercano guardie del corpo?> Chiede, prima di sbattere due volte le palpebre, quasi scacciando pensieri insistenti <Quella sera ho colto un nome. “Kemono”. Sai chi sia? Dove posso trovarlo?> Chiederebbe tornando a sondare quelle lenti scure con lo sguardo nero, pesante, insistente.

19:42 Kan:
  [Esterno] Rapportarsi con altri è un prerequisito fondamentale, anche il solo mentire manifestando comportamenti diversi dal normale modo di porsi vuol dire aver compreso a pieno parte dell'animo umano. L'essere umano vive di apparenze, di specchi senza mai voler veramente scoprire la verità su quanto si cela dietro una figura. Shinsei si mostra estraneo a tal contesto, un secco no al quesito proposto andando ad annotare nella propria geniale mente un'ulteriore dettaglio sulla diffidenza insita in lui. Il passato è sempre artefice dei comportamenti futuri di qualcuno, chissà quale sia il suo ed il solo fatto che scelga di non aprirsi mai non rende l'indagine semplice; al contrario, studiarlo è al quanto arduo, una sfida appagante, interessante per l'intelletto del bianco il quale è già in moto per trovare la migliore delle risposte unendo tutti quanti i puntini. Non pone altre domande, totalmente inutile, solo una perdita di tempo mentre continua in quel suo riflettere vagliando varie ipotesi su egli, sulla relazione con la rossa, su come sia nato il tutto e, specialmente, sulla fine fatta da Akendo, dal matrimonio mandato in fumo per lui. In quel racconto un particolare dev'esser sfuggito, un non detto non colto, impossibile si tratti di un'incidente di percorso, non dopo aver visto in lei tanta sicurezza sul da farsi. Sospira estraniandosi dal mondo intero, immergendo se stesso nell'oscurità della propria mente lasciando a Shinsei il compito di riempire lo spazio circostante con la propria voce esprimendo nuovamente quei concetti <D'accordo, come vuoi> taglia corto notando un minuscolo particolare, quel quasi mai aggiunto alla fine. Evidente come Sango sia penetrata in lei ben più affondo del previsto, gli artigli della donna sono incastrati nella mente del biondo assuefacendolo, totalmente votato a lei fino ad aprire se stesso; medesimo rapporto con Shizuka, medesimo punto debole venuto a galla <E partiamo da oggi dunque e magari alla fine del turno andiamo a berci qualcosa, che ne dici? C'è un posticino a Konoha fantastico> invito palese ad uscire, passare una serata in sua compagnia, forse per conoscersi, forse per studiarlo ancora e ancora, chi lo sa <Di sicuro mi trovi li. Come detto, non lavoro più a Konoha, sono qui solo perchè me lo hanno chiesto altrimenti son in turno quasi sempre con la mia ragazza o con un altro tizio> anch'ella medico come lui, non si pone molti problemi nel renderlo palese, dopotutto, chiunque si reca all'ospedale può conoscere la rossa. Dorate tornano nelle oscure dell'uomo osservandolo silente qualche momento, un'idea vien fornita <Questo non te lo so dire ma potresti provare a chiedere come buttafuori. Ne vedo uno diverso quasi ogni sera, perciò, magari, è il ruolo più alla portata di tutti> sicuramente l'unico su cui può mettere bocca essendo un posto prettamente pubblico. Quel nome pronunciato è risposto con uno scossone del capo, lento <Kemono...mai sentito, forse è il nome dell'uomo con la cicatrice sul viso, sai, quello al bancone> rimembrando la serata a tema serial killer <Altrimenti, è probabile che lui sappia chi sia anche se potrei avere un altro modo aggancio a cui chiedere> riflette, pensa con la figura della ballerina come punto di riferimento <Come mai t'interessa?>. [Portaoggetti: fuda e inchiostri speciali]

20:05 Shinsei:
  [Esterno] Annuisce alle prime tre parole che l’altro gli riserva. No, non si esporrà. Non adesso. Ma quell’invito ha il potere, per la prima volta, di modificare l’espressione che il biondo ha sul viso. Lo sguardo sottile, scontroso, austero, ferale, s’allarga, colto dalla sorpresa. È stato invitato a prendere qualcosa da bere dopo il lavoro. Davvero? Solo in un’altra occasione ha ricevuto un simile invito. E la sorpresa è visibile. Le labbra si schiudono <..ok.> Semplicemente. Quasi assaporando quel momento, con sorpresa, come se fosse qualcosa alla quale non è abituato. Ma quell’espressione sparisce presto, lasciando posto di nuovo, a quello sguardo affilato che lo cerca <Ho immaginato fosse un medico. Se non lo fosse stata Sango non ti avrebbe mai perdonato di averle concesso di esser presente in un’occasione tanto privata> Non che la rossa l’abbia fatto, a dirla tutta, ma queste sono cose di cui non si occupa. Resteranno tra l’albino e la rossa. D’altronde anche solo il fatto che lui si sia spostato nel distretto di Kusa gridava a gran voce un’influenza della Kokketsu con la quale si accompagna. Ascolta il suo dire su Ochaya. <mh> un mugugno riflessivo, breve e contratto, è l’unica cosa che per ora gli esce dalle narici. Intento a riflettere su quanto sta dicendo. Magari cominciare da buttafuori potrebbe poi portarlo a ruoli diversi all’interno del locale. È una pista. <mh> Su Kemono. Continua a riflettere. Si, potrebbe essere lui, non ha ricordi molto lucidi di quel fine serata, ma ricorda di averlo visto ricomparire. Ma il fatto che non sia una informazione certa la rende di fatto praticamente inutile <è un nome che ho sentito a fine serata, subito prima che andassi a recuperare Sango per portarla via> Tra tutti e due, effettivamente non ne hanno fatto uno sano. <Se riesci a sentire questo tuo aggancio, sarebbe perfetto. Credo che a breve farò una visita nel locale. Potrebbero aver bisogno di un buttafiori o roba simile> Non sarebbe mai in grado di servire in altro modo, se non con il ruolo di malmenare la gente. E quel locale sta catalizzando l’attenzione di tante persone. Di colpo fa leva sui gomiti, tirando si su fino a stendere del tutto le gambe e drizzare il bacino, tornando ad essere molto più alto dell’albino <Ti aspetto fuori dal cancello.> E detto questo, non esiterebbe a superarlo, degnandolo solo di un cenno del capo. Incapace di salutare come si deve. Ma se l’altro ne seguirà i movimenti, lo vedrà poggiare le larghe spalle sulla cancellata, all’esterno, incrociare le braccia e restare li, fermo, come una statua di sale. Sarà una cosa veloce. Il quartiere Ishiba lo attende, ma lo accompagnerà nel posto che ha in mente. Berrà qualcosa di rigorosamente analcolico, prima di salutarlo.[End]

20:28 Kan:
  [Esterno] Denota l'espressione sorpresa sul volto del biondo, un semplice invito scatena una simile reazione in lui dando conferma di come, la sua vita, non si costernata da bei ricordi, al contrario. Sorprendersi per una cosa del genere può significare poche cose, tra queste un totale allontanamento da parte del mondo nei suoi confronti oppure, in via drastica, una completa assenza di gentilezza o cordialità riconducibile a diversi fattori. Non conosce, non sa, ipotizza solamente e pur facendolo, ogni pensiero risulta lontano dalla realtà effettiva dei fatti, distanti dalla concezione creatasi nella mente dell'albino. Nuovamente si parla dell'ospedale, di Shizuka, di Sango, degli eventi accaduti in quella triste giornata in cui tutto è precipitato inevitabilmente riuscendo a scorgere la tristezza sul viso della Kokketsu <Se proprio devo dirla tutta, sono autorizzato a chiedere consiglio ad altri colleghi prima di emettere una diagnosi. Per questo esiste il segreto professionale, ciò che accade in ospedale resta in ospedale a meno che non sia il paziente a volerlo rendere pubblico. Detto ciò, lei aveva tutta l'autorità del caso per essere presente> continua a difenderla in maniera diretta, senza giri di parole, difende lei, la sua posizione, la professionalità dimostrata nell'arco di tutta quanta la conversazione. Nonostante ciò, la propria presenza a Kusa non risulta legata a lei quanto ad altri avvenimenti, ben più importanti, gravi e di cui si necessita un'indagine. Non aggiunge molto di più, spiega, informa cosa possa servire all'Ochaya e di come quel nome sia per lui sconosciuto seppur avanza delle ipotesi, è l'uomo? Non lo sa ma se non è lui, sa sicuramente a chi ci si riferisce <Non ho sentito nulla, la mia attenzione era verso quella ragazza a terra. Sai, stava morendo dissanguata> un fatto improvviso eppure, deve constatare ancora le di lei condizioni, comprendere se si sia ripresa, se le cure apportate abbiano sortito l'effetto sperato e se il bambino sia sopravvissuto <Ti farò avere mie notizie o quanto meno, chiederò a Sango dove trovarti per dartele> unico modo per poterlo contattare, trovare <Se sarò presente, ti spalleggerò> conferma l'intento di volerlo spingere ad essere assunto pur non comprendendo la natura delle indagini dell'altro. Annuisce andando ad alzarsi a sua volta, scuote il camice ospedaliero <Ci vediamo a breve dunque> il turno è quasi finito ma restano ancora dei pazienti a cui dare retta. Oltrepassa nuovamente la soglia entrando nella struttura, finire il proprio turno e poi andare a bere qualcosa in compagnia dell'altro. [END]

Shinsei decide che è arrivato il momento di conoscere Kan. Una delle poche persone di cui Sango si fida.

è l'inizio di qualcosa. Starà ai due decidere come portare avanti gli sviluppi. Per adesso, l'Ochaya torna di nuovo nel mirino dei due.