Parte 1 - Inizio.
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Giocata dal 28/09/2021 22:13 al 29/09/2021 03:13 nella chat "Piazza Centrale [Oto]"
Una falce di luna taglia il cielo sgombro. La luce tinge tutto d’argento, anche quel palazzone popolare, alla periferia del centro di Oto. Una nota di poesia? O forse lo rende ancora più fatiscente rispetto alla visione con il sole. Dipende dagli occhi di chi guarda. Avrebbe potuto darle appuntamento in qualsiasi altro posto, e invece è proprio li. Di fianco al portone cigolante e sverniciato del palazzo nel quale ha trovato un posto per dormire. Indossa un jeans nero, aderente ai muscoli delle gambe che lo riempiono. Infilato in scarponi neri alti fin quasi al polpaccio. Una cinta di pelle nera alla vita, una felpa nera a coprirlo, le maniche lunghe son tirate su oltre i gomiti, lasciando scoperto l’avambraccio. È una felpa con la zip sul davanti, lasciata aperta solo fino a metà. La luce lunare ad infilarsi nella V lasciata aperta dalla cerniera, illumina il petto lucido e il collo marchiato da profondi segni neri. Lividi che guariranno, ma non stasera. Il cappuccio è abbassato sulle spalle, lasciando libero il volto affilato, decorato dai due dragoni stilizzati d’inchiostro che s’arrampicano fino alle tempie, ai lati del cranio affilato, e impreziosito dalle due gemme nere che ne compongono lo sguardo, infilate in occhi dal taglio sottile, dalla pelle scurita per il poco sonno. Labbra sottili completano l’espressione austera che riserva al mondo che lo circonda. Capelli tenuti in una treccia, a lasciare libero quel profilo e a dargli ancor di più quel look da poco di buono. Così vestito, in quel posto, effettivamente ha l’aria di qualcuno a cui stare lontano. Ma non se ne dispiace. Se ne sta fermo, con le larghe spalle appoggiate al muro affianco a quel portone, il piede destro sollevato e poggiato anche questo sul mattonato pieno di murales contro i mangiaramen. Le braccia sono incrociate. Eppure è nervoso, si nota dal fatto che i draghi sono in un moto incessante, danzano per via dei muscoli della mascella che si contraggono di continuo. Diavolo se è nervoso. Ha ricevuto quel biglietto, particolare, senza dubbio, sarebbe magari bastato un messaggio? Si, ma non ha dato il suo numero al biondo, dunque rintracciarla potrebbe esser difficile, non impossibile, sia chiaro. S'è preparata come per andare da qualche parte per uccidere, ovvia che la mente porti li, dato l'indirizzo donatogli, e no, non vicino a quelli che dovrebbero essere i clan di Otogakure, tantomeno quello degli Uchiha. Avanza spedita, veloce, leggera quella stessa notte ove non v'è pioggia in quella piccola parte delle terre del suono, coi capelli rossi vermiglio al vento, ma stretti nell'alta coda di cavallo alla sommità del capo. Ogni passo risuona nell'aria, negli anfratti meno vivi, quelli che userà per raggiungere il palazzone che egli ha deciso come luogo di incontro. Indossa dunque un paio di shorts neri, stretti, che poco lasciano all'immaginazione di fianchi, cosce, e sedere. Di una maglia a maniche corte del medesimo non-colore, come la notte, stretta sul corpo risaltandone le forme burrose, con una scollatura anche lei a V, probabilmente mostrando nella pelle pallida, nuda, quello che altro non sono che segni speculari del biondo. Sulla coscia destra è stato stretto quel porta kunai, ne porta due, entrambi con tre punte, e sulla schiena invece un porta oggetti, con una pillola per recuperare chakra, con un altra che potrebbe salvargli la vita. Un set di fumogeni accompagna l'intero set. Sebbene sembri rilassata, il viso pallido, appuntito sul mento, i capelli rossi a contornarlo, gli occhi vividi d'un azzurro intenso, qualcosa nell'espressione la disturba. Un senso di nausea, qualcosa che non comprende, qualcosa che ovatta i suoni fuori da lei e che sembra proteggerla, allontanandola dalla realtà in qualche modo, seppur la stia vivendo. Giunta li , a qualche metro di distanza, non potrà non riconoscere il biondo stesso, e nasce spontaneo il bianco dei denti, snudati da un sorriso affabile, dolce se potrebbe mai esser dolce, per vociare, calda < Shinsei > un richiamo, un invito a vederla, guardarla < come mai siamo qui?> perchè l'ha invitata li? A quell'ora della notte poi, sebbene non troppo tarda ne troppo vicina, si interroga, ma ciò non spegne il tremore che avrà nel corpo, ignorando il malessere strambo che l'ha presa, per unirsi a lui, vicina, cercando di invaderne lo spazio personale fermandosi a mezzo metro da lui se concesso, e vociare, in un sussurro < hai qualcosa in mente?> ovvio che pensi alla loro ricerca sui veleni, sui Doku e tutto il resto, rimanendo in evidente attesa . [equip - porta kunai : 2 kunai a 3 punte | porta oggetti : 1 tonico recupero chakra, 1 tonico recupero pv, un set di fumogeni] A guardarlo, così vestito, è perfettamente mimetizzato nell’ambiente. Quasi fosse partorito direttamente da uno di quei vicoli sudici che danno sulla strada principale che l’Ishiba sta percorrendo. E potrebbe mai non riconoscerla? Esiste un’altra chioma rosso fuoco, attaccata a una donna di quel tipo? No, non c’è. Ben prima di poterne ascoltare la voce, lo sguardo nero, la punta. E da li non si stacca. Sono le larghe spalle invece a separarsi dal mattonato dipinto del palazzo, spinte dal piede che si stacca anche lui, dal muro. Le braccia si srotolano per finire rilassate lungo i fianchi. Eppur non si muove, vuole che sia lei ad avvicinarsi, solo per una attimo, nel sentirsi evocare da quella voce sopprime un brivido che si trasforma in un sorriso affilato, distendendo le labbra fino a snudare la dentatura bianca. Non c’è niente di buono in quel sorriso. Non per chi non sappia leggerci dentro il semplice piacere di vederla. La vede, si, e la guarda anche, lasciando che quello sguardo pesante vaghi sulla figura, saziandosene. La lascerebbe avvicinare. Quello spazio personale è sacro, eppure c’è chi può violarlo. Farebbe di più, se gli fosse concesso, alzerebbe la mano destra, aperta, verso il volto pallido e perfetto di lei, tentando di prendere il mento nell’incavo tra il pollice e l’indice, e di chiudere poi le dita sulla pelle soffice, le quattro da una parte del viso, il pollice dall’altra. Un tocco presente e mai delicato, ma non troppo invasivo, quello che le dedicherebbe, tentando di spingere lo sguardo nero in quello di lei, azzurro, intenso. Potremme mai cogliere l’espressione disturbata sul suo volto, potrebbe mai, scavando in quegli occhi, cogliere quella nota di malessere? Mentre aspettiamo di scoprirlo, non esiterebbe a tentar di prendere per se un bacio. Veloce e asciutto, ma non un semplice tocco. D’altronde lo sappiamo, non è abituato a essere delicato. Non lo sarà certo con lei. Un sorriso affilato, di nuovo, per lei, mentre, qualora tutto ciò fosse andato a buon fine, abbasserebbe la mano lungo il fianco, privandosi con rammarico leggibile nello sguardo, di quel contatto. Per questo l’ha incontrata in un posto pubblico. Perché sa di non poter andare troppo oltre. <Siamo qui…> La voce è la sua, bassa, vibrante, tranquilla. Di certo non urla, non se ce l’ha così vicino. <Perché ti ho promesso sincerità.> Ammette, tenendo su di lei lo sguardo tagliato, reso ancor più oscuro dalla notte. Riuscirà da sola a collegare <E mi sembrava giusto cominciare da qui.> Allontanerebbe una mano dal corpo, per indicare il portone ammaccato e sverniciato. <è qui che vivo.> Semplice e diretto, verso di lei, abbassando il braccio. Si fa pensoso <Vivo… diciamo che ci dormo> Ultimamente vive più da un’altra parte che li, ma lasciamo stare. Si fa pensieroso di nuovo <Dormo… diciamo che mi ci appoggio> Non sta dormendo molto, la pelle scura intorno agli occhi, che ne rende ancor più animalesco lo sguardo, ne è la prova <Mi sembrava giusto dirtelo.> Attende ora, le reazioni, cercando con lo sguardo nero, mai domo ne calmo, il suo, avido, come al solito, dei dettagli che la compongono. Si, si mimetizza lui perfettamente, probabilmente agli occhi di molti qualcuno da temere, da tenere alla larga, di quelli che possono sfondarti la porta di casa con un solo calcio, e colui da cui invece vola, letteralmente, voluttuosa nell'etere, per raggiungerlo il prima possibile. Non si ferma a guardare qualcosa di conosciuto, non le serve a nulla, non quando il proprio obiettivo si trova a pochi metri da lei. Lo invade, coscienziosa della sua possibilità, per ritrovarsi a sollevare il capo e lo sguardo, in quel morbido sorriso di cui pochi hanno avuto la fortuna, o sfortuna, di vedere dedicato. Il suo stesso sguardo provoca sempre quel brivido viscerale, pesante, scuro, la scuote nella mente e nell'anima prima di tutto. Sospira leggera, sentendo quelle mani calde sul viso, una in verità, abbastanza grande da poterla afferrare come vuole, e donare quel bacio veloce, ma profondo, di certo non disdegnato. Potrà vedere qualcosa, un semplice fastidio, mentre scosta lo sguardo e deglutisce profondamente più volte, in vari sospiri brevi cercando di ignorare il corpo. Chiede, ovviamente curiosa, e ascolta le sue risposte, in verità anche guardandosi intorno, chissà mai che debba combattere questa notte, che ci sia qualcuno che osserva, qualcuno da cancellare. Ma no , niente di ciò che aveva ipotizzato si trova ad esser reale, solo quella confessione, quella che sembra esser difficile per lui, di quella che pare esser la sua casa, attuale, o almeno, posto di riposo. Riposo, sempre che possa esserlo, ne vede le occhiaie profonde scavate sul giovane viso grazie anche alla luce che ne andrà ad imprimerne ancor di più profonde. Ma vi è dubbio, nel proprio viso, lo vedrà lui quel grande punto interrogativo < non sei andato dagli uchiha?> domanda più che lecita, ricorda bene di averlo accompagnato quasi fino all'ingresso dei vari clan, ma non avendo alcun permesso s'era allontanata, di certo non per lei quel posto adesso. Seppur, adesso, stringa i denti sul labbro inferiore, comprensiva? < anche io quando sono tornata ho abitato in case differenti > piccole, strette, le stesse che sapevano di muffa e puzza, di condivisione per pochi giorni perfino, di certo non sarà l'unico lui a dover reclinare le proprie voglie per qualcosa che si può permettere, ditelo ad una donna ricca che s'è trovata spogliata di ogni ryo - probabilmente finiti nelle mani di uno in sedia a rotelle che voleva solo vedere delle donnine nude < perchè non mi hai chiesto se potevi venire da me?> è solo quella la propria domanda, perchè non glielo ha chiesto? Perchè non si è appoggiato a lei? Eppure ricaverà una risposta dalla propria domanda. Orgoglio. Lei l'avrebbe fatto? < ..ho dovuto dare qualcosa , io, all'attuale capo clan ..> attuale capo clan, non proprio capo clan, vi pone quel lieve divisorio, visibile nello sguardo quasi arrabbiato, infastidito che dona < per aver la mia casa di adesso > ricordi Shinsei? Nulla viene dato per nulla. L’osserva, concedendole quello spazio che lei non esita a prendersi, prendendosi quel bacio che lei non esita a concedergli. Non le è sfuggito, dunque, quel… qualcosa. Quel qualcosa che sporca quello sguardo che tanto bene conosce, quell’ovale perfetto che non ha segreti. Si marca quell’espressione austera, stringendo le sopracciglia al centro, sopra al naso affilato. Infastidito lui, nel leggerla infastidita da qualcosa. Ed ecco che tutto s’interrompe. Compresa quella conversazione. Non ha modo di capire il perché di quel qualcosa. Ma ormai è a caccia di quell’impurità. La mascella si serra. Il suo solito, unico modo di mostrare nervosismo. S’incolpa ovviamente. Non può far altro. Portare una donna come lei in posti così fatiscenti, grazie che è infastidita. Sospira forte dal naso appuntito. Si scuserà appropriatamente <Camminiamo.> Questo è un mormorio basso, solo per lei. Senza smettere di tenerle lo sguardo addosso, come se non ci fosse altro da guardare. Come se fossero nel vuoto. Inclina solo leggermente il capo, indicando la direzione opposta alla quale l’Ishiba è arrivata <Li dietro c’è un parchetto e siamo già quasi in centro. È…Meglio.> Avranno modo di sedersi su una panchina, in un parco illuminato, almeno. Sembra un ordine quello che ha impartito, eppure non muoverà un muscolo se non sarà lei ad acconsentire, affiancandola a quel punto. In ogni caso, qualunque sia la sua decisione, ne ascolterà le parole. Le domande. L’ha portata li per rispondere, infondo. È giusto che le faccia <No.> Risponde subito, come al solito, secco, quasi la determinazione che lo domina si manifestasse anche attraverso la voce <Non ancora.> Continuerebbe poco dopo <Ho seguito il tuo consiglio.> Quale consiglio? <Se ti presentassi al mio cospetto in questo stato, non ti accetterei.> Ripete le parole dell’Ishiba per come le ricorda, stampate nel cervello. Ma era proprio questo che l’Ishiba intendeva? Ha dato la sua interpretazione di quelle parole, ovviamente <Quando… Starò meglio.> Quando… quando? Per questo si è costretto in quello stato. Vergogna di se. Non dovrebbero metterci molto, qualora l’Ishiba avesse approvato lo spostamento, a trovarsi di fronte l’ingresso del parchetto, luci accese, poca gente, panchine libere, erba curata. Non devono essere tanto lontani dalla zona delle statue. Sarebbero costretti a donarsi il profilo, ma lo sguardo di lui resta comunque su di lei. Instancabile. Ne ascolta la storia, si prende quel labbro stretto tra i denti. Si, comprensione che arriva e che scalda. Non gli fa mancare il suo supporto lei. In un moto di gratitudine allungherebbe l’indice della mano che, morta, giace lungo il fianco, per una fugace carezza a lei. Probabilmente la differenza d’altezza porterebbe il gesto ad accarezzare il polso, o il dorso della mano. Qualcosa di appena percepibile, mentre ascolta. Crolla verso il basso, lo sguardo, quando lei non gli chiede ciò a cui farebbe più fatica a rispondere. Lascia passare lunghi istanti di silenzio.<Perché> schiude le labbra per risponderle. Ma non lo fa subito. Non le dovrebbero servire parole per scavare in quello sguardo nero e trovare la vergogna di se <Perché non sarò un peso.> Commenta scacciando quelle sensazioni negativa. Sincero dopotutto. È per questo che non ha chiesto. Torna con lo sguardo e l’attenzione su di lei, da quel profilo alto e parzialmente immerso nel buio, la osserva, la ascolta. <…> è una storia che lei le ha solo accennato, ma che non hanno approfondito <Cosa?> Chiederebbe poco dopo. Ovvio il riferimento a quel “qualcosa” che gli ha fatto irrigidire la mascella. Da buon cavaliere, allargherebbe la mano, arrivati alla panchina, per concedere a lei la seduta. Ovunque voglia. Oh com'è facile imbrogliarsi, com'è facile vedere altro in altre espressioni e parole, leggerne un significato differente. Lo vede, quel nervosismo, eppure non ne trova il motivo, il perchè, nulla se non quella prima parola imperativa. Si desta dal proprio torpore, allerta, sempre, ma non per questo non disinvolta, affiancandolo in quel cammino con la propria solita sicurezza, di certo non sarà quell'area a farla innervosire, per nulla. < meglio?> richiede, adesso, di nuovo curiosa, del perchè dovrebbe esser meglio in effetti di quella sua casa, appartamento , stanza che sia. Cammina, come un soldato farebbe, schiena dritta, collo dritto, alto per portare anche le azzurre sul suo volto, ma anche intorno, sempre pronta nel caso debba accadere qualcosa che non dovrebbe accedere. Accoglie quel suo no, il suo non ancora, e poi un consiglio che lei stessa ha dato? Si, lo ha dato, ma in una conformazione ben differente dalla sua, molto differente < .. > si ritrova a sorpirare, ma anche a sorridere adesso < stavo parlando degli Ishiba > inizia lei stessa, imbastendo un discorso particolare, di sicuro privato < sono molto legati alla bellezza dei modi e delle parole > lei stessa è frutto di quella scelta e ricerca, perfetta bellezza, perfezione in qualsiasi cosa < un tempo avrei preteso lo stesso.. > un tempo, quanto tempo fa in effetti? < prima di comprendere che la bellezza non si annida solo nei modi e nelle belle parole > si, gli sta spiegando come il proprio dire non abbia davvero nulla a che fare con lui e con gli Uchiha, ci prova almeno, la colpa è propria per essersi espressa in modo tanto orribile < hanno faticato perfino nel prendere me > ma quella, è un'altra storia, di bellezza crede d'averne per natura, anche nei modi di fare, anche se come egli ha potuto vedere, non si faccia scrupoli nel lancio di bacchette < non devi avere i miei stessi dubbi , non dovresti porre domande che non hanno senso di esistere > per lui , giovane fiamma appena nata, non ci saranno problemi simili < sono tornata dopo aver diviso il mio clan, dopo aver dichiarato guerra ai vecchi str- > no, si ferma, arrossendo, portando avanti lo sguardo, verso il parchetto, vicina a lui tanto da sentirne il calore sulla pelle < bacucchi > meglio < cosa ti aspettavi da una come me?> da una mukenin, cosa ti aspetti Shinsei? Che sia ripresa da tutti? Che la gente la veda e sorrida? Perchè ci saranno solo sguardi di odio e orrore per chi sa chi sia, solo sguardi di morte, desideri che sia morta. < starai meglio > lo vuole, lo crede, non ci sarò nulla a fermare quella convinzione. Avanzano verso l'ingresso del parchetto, calmi nel loro incedere, sebbene debba fare molti più passi per stargli al fianco, di quella leggera carezza che dona alla propria mano, provoca spilli sulla pelle, affondano, veloci, e li prende per se, cercando di ricambiare quel tocco con la mano, in cerca della sua, per stringerla alla propria , dolcemente, in quel calore, nel silenzio del non detto, sempre che venga accettata. Sembra ascoltare un disco rotto, quelle mere scuse blande che si pone su di se , portando le azzurre al cielo, ammirando per un secondo la luna e tornare a lui, seccata < smettila di dire cose senza senso > lo rimprovera così come rimprovera Jikkan per come si comporta < non sei un peso, per nessuno. Quindi vedi cosa devi fare, o potrei davvero arrabbiarmi . > e lui non vuole vederla arrabbiarsi così come è accaduto a Kusa, vero? Lo sappiamo tutti che non lo vuole, quindi Shinsei, avrai modo di rivedere il tuo comportamento. < non mi piace quando parli così > un chiaro riferimento alla serata precedente < quindi sii egoista > un ulteriore invito il proprio, sperando che venga accolto come dovrebbe. La strada che si fa più buia, in quelle panchine poco illuminate dalla luce, dell'ombra che egli le getta addosso non se ne preoccupa, nemmeno lo chiede a se stessa ne allo sguardo . Ma cosa ha dato? Adesso prende lei tempo, di quello che serve , sedendosi con la sua mano, di certo molto più cavaliere di molti altri, di certo più elegante nel farlo < il mio corpo, la mia .. "sottomissione" a lui > mima le virgolette a quella sotto missione di cui parla, qualcosa che non sa alcuno, solo uno del passato, ma non per questo nominato, rimane celato ancora , ma qualcosa ricorda quel loco, quello che vivono < mi sembra di tornare a dieci anni fa > sussurra, sorride < a ciò che vivevo io al tempo, in mezzo a quella foresta di morte > la propria casa, altro che tetto sulla testa, caldo, e tutto il resto. La ascolta, condotto da quella voce musicale, sperduto marinaio guidato dalla sua sirena, in quel mare blu profondo che lei cela negli occhi. L’espressione austera spazia per un attimo nei dintorni. I pochi che ancora girano per il parchetto son lontani, figure inutili presto dimenticate in favore di lei. <Si, l’ho notato> Il legame con la bellezza degli Ishiba. E ne conosce solo una. E ne conosce la bellezza. Le labbra si stendono un poco in un sorriso tagliente. Sorriso che lascia presto il posto alla sorpresa. Non è una frase buttata la quella che lei ha detto. Ha cambiato il proprio modo di percepire la bellezza. <mh> il sorriso che le dona si fa leggermente più morbido, se morbido si possa definire qualcosa che nasce da un viso tanto affilato, ma queste piccole differenze non dovrebbero essere difficili da notare. <Forse no> risponde al suo successivo dire, pensieroso, ragiona con lei <è che quando mi sono sentito dire quelle parole mi sono accorto dello straccio che ero quel giorno. Mi sono convinto fosse giusto presentarmi da loro nel mio momento migliore.> La ascolta raccontare e nel sentire quel principio di turpiloquio il taglio degli occhi si sgrana, si prende quel rossore, ne sorride. Lo stava dicendo davvero! Ma non si lascia mai cogliere in fallo, la rossa, e si corregge, suscitando un sorriso che s’allarga, accompagnato da una risata composta solo da ampi sospiri col naso <Niente di meno, in effetti.> Ammette. Poteva forse andare in un modo diverso? Tanto la questione della parolaccia, quanto quella della guerra alla vecchia generazione del suo stesso clan. No che non poteva. Quel tocco che arriva lo fa sussultare, non sarà mai facile abituarsi. Ma non si ritrae, anzi. Accetta quella stretta e la ricambia, mal celando la sorpresa di un simile gesto. Abituato ad essere lui a concedersi libertà. Ma d’altronde ha concesso a lei uno statuto speciale, e quindi…sorride. La guarda alzare gli occhi al celo, ammonirlo. Si prende la strigliata, assottiglia lo sguardo, lo sposta perfino. È difficile cambiare la visione che ha di se, gli occhi esterni possono aiutare, ma la percezione interna è qualcosa di radicato in quel passato ammuffito e corrotto che ha dimenticato <Oh no> scuote il capo, scacciando ricordi di bacchette volanti <Hai ragione. Pessima scelta di parole.> ammette <Mettiamola così, quando un amico mi ha trovato questa sistemazione, non…> occhio alle parole <non eri quello che sei ora, per me.> Sincero, visibilmente concentrato a trovare le giuste parole, ma completamente sincero. Come le ha promesso <E dopo… non è mai venuto fuori l’argomento> Ammette. Si è considerato sistemato. Almeno finchè non ha visto, a casa di lei, i vestiti di Jikken. La osserva sedersi, con quei gesti eleganti che lei sa sfoggiare, si gode ogni millimetro di lei finchè non si è accomodata. Poi tocca a lui. Con passi calmi, aggirerebbe la panchina, trovandosi ben presto dietro allo schienale, dietro a lei. Non dovrebbe volerglici poi molto, alto com’è, a scavalcare con una gamba e poi con l’altra. Trovandosi a sedere sullo schienale della panchina, esattamente dietro di lei. Con le gambe di lui piegate al ginocchio ai lati, senza bisogno di toccarla, e i gomiti appoggiati sulle ginocchia, lasciando gli avambracci penzolare all’interno, davanti a lei, le dita lunghe, nel vuoto. Avvolgente l’oscura figura, ma non pericoloso. Non per lei. Potrà osservare, lei, i muscoli degli avambracci tendersi non appena sente le prime tre parole, e se alzerà lo sguardo verso il suo mento, troverà contratti anche i muscoli del collo. Nessuno fa niente per niente, è vero. Ma è l’ombra di un momento, quella tensione si scioglie presto in un sorriso affilato, mentre abbassa lo sguardo su di lei, conscio del fatto che sottometterla non è possibile. <Prima o poi sarai tu a richiedere la sottomissione altrui. Di nuovo> La vede già, in quegli occhi neri, la visione di ciò che sarà. Una visione che spinge nell’azzurro dei suoi, li dall’alto. La osserva sospirare, sorridere <Se sono ricordi che ti fanno sorridere, va bene.> certo che va bene, ci mancherebbe <Ora dimmi. Cos’hai? Cosa ti infastidisce?> Niente sfugge a quello sguardo nero e nel tono basso e vibrato sarà facile per lei cogliere una nota di preoccupazione. Lieve forse all’ascolto, ma se proferita da lui, lascia quel sentore viscerale e profondo. L’attenzione torna a lei. Abbassando anche il volto, cercandone lo sguardo. < oh menomale > sospira con enfasi, falsa attrice adesso < chissà cosa direbbe mia madre adesso se stessi vicino a chi non conosce la bellezza degli Ishiba! > alza la voce, così come alza il viso, non v'è dolore, rammarico, nulla per quella figura che ha nominato. Il nulla più totale, di un essere a cui non pensa nemmeno , nemmeno s'è mai interrogata su un ipotetico padre in effetti, il proprio mondo si è concentrato su qualcuno di molto più vicino. Potrà riconoscerne quel sorriso, non rifuggirne, spaventata o chissà cosa, curiosa in verità , ma anche ascoltando quelle sue premure < se non ti senti pronto, va bene > non avrebbe di certo forzato lei un eventuale ipotetico incontro, non ha alcuna possibilità , adesso < se pensi di non stare meglio della prima volta che ti ho visto, sbagli > decisamente migliore, in viso, nei vestiti, perfino nei modi, almeno così appare accanto a lei, decisamente più a suo agio, capace anche di ricambiare il tocco della propria mano, i stringerla a sua volta. Ha uno statuto speciale no? Usiamolo. Con la coda dell'occhio potrà notarne la sorpresa tingersi sul viso, eviterà d'osservarlo da vicino, per concedergli la possibilità di poter essere ancora così sorpreso. Ascolta il suo dire, eppure qualcosa la cattura, una singola parola < amico? > sorpresa, si, ma sinceramente lieta che possa lui stesso chiamare qualcuno in quel modo. Sa bene come possa esser difficile per lui qualsiasi contatto, lo ha visto, specialmente fisico, sebbene sia molto più ragionevole di Jikken in quel suo essere, molto meno spaventato nel mostrarsi con lei. Ma non era quello che ora è per lui. Una frase accolta, lieta, lenisce il petto con quel calore di cui pare inconsapevole nel cercare delle parole perfette < adesso, cosa sono? > chiede, curiosa nel sapere la risposta, ma la sa già la stronzetta, vuole solo sentirgliela dire < e quindi non vedo motivo per rimanere qui.. > ma potrebbe esserci < se non vuoi rimanere qui > avere comunque una sua indipendenza, lontana, fuori da lei, lo accetterebbe senza batter ciglio, non è mica sua madre o chissà cosa insomma. Siede, calma, la schiena poggiata alla panchina ma le spalle rimangono dritte, piegandosi lievemente in avanti così come il collo, la testa, la coda che oscilla verso la spalla destra cercando di scavalcarla, allo stesso modo in cui sentirà l'altro fare, dietro di se , sorpresa nel sentirlo, vederlo, dietro le proprie spalle, sollevando il viso e il collo in sua direzione.. pessima mossa < oh dia- > riporta la testa in basso, la mano di nuovo davanti le labbra, cercando un controllo, un contegno, un movimento che non doveva fare adesso, che le porta quel lieve capovolgimento della mente, prima di assestarsi, di nuovo , storcendo il nasino, l'odore stesso di quella natura si insinua avida nelle narici, provoca quello starnuto che ne segue < etchu > si, lo ha fatto, mettendo il capo verso il basso per nascondersi insomma . No, non è perfetta come al solito, ma di segni di freddura o malattia non paiono essercene, anzi, sembra stare molto bene, i capelli più vividi, lo sguardo più acceso, la pelle pallida che diviene candida, più calda perfino per lei < scusa > obbligatorio dirlo per rimettersi di nuovo con la schiena alla panchina, riscaldata, protetta in effetti dalle sue lunghe gambe, dalle braccia che sfiorano il proprio corpo .. < oh no, non chiederei mai la sottomissione del mio clan > avida si, ma innamorata a proprio modo, in quel vacuo sorriso che probabilmente lui non potrà vedere, magari può immaginarlo ? Si. < mi piaceva, ho vissuto mesi nella foresta, insieme alle mie compagne > no, non ancora confessa, ovviamente , e ascolta quella domanda, di chi non è stupido , anzi < ..perdonami, non sto molto bene in questi giorni > sembra in salute però, niente rossori, calore, fitte di dolori < provo fastidio al mattino e nei movimenti un pò più bruschi.. un pò di nausea e giramento di testa, nulla di che > nulla che non possa affrontare in effetti < oltre.. > oltre cosa? < la fame perenne > ha fame, anche allora, ecco perchè proverà a spostare di nuovo il capo, il viso, lo sguardo verso l'alto, lentamente adesso, vedendolo un pò come una polpetta di polpo pronta ad esser mangiata. Si, molto , molto romantico Sango. La prima frase della rossa, detta con quella naturalezza, non può non suscitare un sorriso disteso e affilato sul volto <Che avresti ancora parecchio da fare con lui?> Prova a rispondere, tentando, alla fine, di destare buonumore. Mossa incauta forse. Conosce ancora troppo poco di lei per capire quali tasti possono essere toccati e su quali invece è meglio tralasciare. Ma d’altronde trattenersi sarebbe inutile. L’ha detto tante volte anche a lei. Ha giurato che sarebbe stato se stesso senza farsi troppi problemi, e allora sia, correrà ai ripari se servirà, come fa sempre ogni volta che spara frasi che la infastidiscono. Il sorriso muore ovviamente poco dopo. Si sente pronto? No, certo che no. È costante il bisogno di sentirsi migliore, qualcosa che lo lascia inquieto, che gli fa bruciare costantemente lo sguardo nero. Qualcosa che probabilmente non passerà mai, non quando una volontà tanto forte si trova chiusa in un corpo tanto umano, eppure è lei a scacciare quella nube con la frase successiva. Gioca col suo umore senza nemmeno rendersene conto. Di questo potere l’ha dotata, e non se ne dispiace. <No.> non è migliore. Come potrebbe essere <Sono un’altra persona.> Stesso obbiettivo, stesso furore ad infiammarlo, stessa voglia di spazzare via quel mondo in cui si trova incatenato. Ma. Ma c’è una sola differenza <Quella persona era sola.> Non la guarda. Non c’è bisogno. Le parole, se scelte con cura, se sincere e convinte. A volte bastano. È fiero nel proferire questa frase, austero, come se quella consapevolezza gli donasse la forza di ardere con più vigore. Lei chiede, curiosa, avida di lui, e lui l’ha portata li per rispondere <Si. Matono si chiama> era un argomento da toccare <è di Oto. Capelli neri, corti, occhi neri, annoiati. Adora il thè> Breve descrizione <Gli ho quasi rotto una spalla la prima volta che l’ho conosciuto.> Poteva andare diversamente <è l’unico oltre te che ha saputo…> cerca le parole <parlarmi> Ammette. Certo è un tipo di vicinanza radicalmente diversa, ovviamente, ma è giusto che lei conosca tutto <Cercalo. Quando hai un attimo. Parlaci. Digli cosa sei per me. Si fiderà> Dovrebbe continuare a parlare, dovrebbe raccontargli il progetto che hanno. Ma lei… lei è curiosa, cerca le giuste parole per definirla. Non ne esistono. Sarebbero tutte pallida imitazione di quello che è adesso <Sei…> Una linea di rossore sulle gote affilate <il perno.> Che parola banale, quasi scurrile da pronunciare. Cosa può essere mai un perno? Semplice, qualcosa senza il quale non ci sarebbe movimento, sarebbe tutto fermo. Tanto è diventata? Tanto è diventata. Non dirà altro. Ascoltandola <se rifletti bene, un motivo ancora penso ci sia> Commenta serio <Hai Jikken a casa. Il ragazzo non deve vedermi in uno stato diverso dal quello che ha visto ieri sera.> Serio, quasi scuro nell’espressione sul volto affilato <E non solo perché nessuno mi vedrà mai così eccetto te. Potrei essere pericoloso per lui. Potrei indebolire il suo già precario equilibrio.> Perché si sta preoccupando per il ragazzo? Ci sarà tempo per parlarne. <Volevo parlarti anche di questo. Pensi ancora che casa tua potrebbe non essere un posto sicuro per quando…> la voce, forte e decisa, si spezza in un brivido. Cos’è? È paura. <Tempo fa, prima di…scoprirti> Scoprirla, non conoscerla, la conosceva già, l’ha scoperta dopo <Quando mi hai dato il nome di Rasetsu, Ho parlato con Matono. Non gli ho detto cosa dovrò affrontare, non so se capirebbe, ma sa che avrei potuto aver bisogno di una mano…> Riflette, vuole farlo con lei <…non lo so…> ammette, con un velo di sconforto nel parlare. Ascolta quindi le sue scuse, la osserva. Quello starnuto la porta ad osservarla meglio, assottigliando lo sguardo <Non scusarti.> non con lui. Mai con lui. Mai per questo. La ascolta ricordare. Le sorride <Chi erano le tue compagne?... parli al passato perché le hai…perdute?> Anche lui non si fa remore a chiedere, ma nella voce c’è una nota di delicatezza che le lascia percepire. Di chi teme di toccare tasti troppo dolenti. La ascolta di nuovo parlargli del suo malessere, ma la interrompe alla prima parola <Non. Devi. Scusarti.> più fermo nel tono. Come per lei, anche a lui non piace sentirla in dovere di comportarsi in alcun modo con lui. La ascolta descrivere il suo malessere <mh.> Sospira pensoso abbassando il capo fino a poggiare le labbra su quello rosato di lei. Un tocco leggero <Fatti visitare, per favore.> addirittura per favore? Si. <Fammi sapere.> Una preoccupazione che fatica a trattenere, unita al rammarico di non avere risposte da darle. < oh si > risponde di getto, lieta della risposta < probabilmente direbbe semplicemente di si, era un donna troppo debole > la descrive così, con freddura, distacco, distanza, come se non l'avesse messa al mondo una donna ma una macchina. Non importa che egli possa sentirla in quel modo, neppure chissà chi altro, non è un tasto che possa farle del male, mai. Ovviamente no, non vuole giocare con alcun umore, esprime i pensieri liberi, sussurrati nel freddo della notte stessa , consapevole di cosa stia parlando , annuisce, semplicemente, sembra davvero diverso adesso, di certo non più l'animale solitario con cui era entrato in quel villaggio. Ascolta invece anche quell'animo, fino alla fine della sua descrizione < l'ho incontrato > no, non dimentica niente lei. Nessun viso, nessun tratto, tantomeno lui < un giovane con il viso di Ekazu, un vecchio Uchiha > lo descrive così, uguale nel viso e nel corpo, probabilmente, senza sapere la vera correlazione che possa esserci tra i due, come l'aspetto e l'estrema somiglianza < .. > stringe i denti al labbro inferiore < Shinsei > lo richiama < non sono brava con la gente > inizia quello che pare il proprio responso < e credo di averlo maltrattato un po > un pò tanto, giudicandolo dall'alto al basso, stronza e egocentrica come è sempre, se non li, li non lo è stranamente a suo agio, senza la necessità ne il desiderio di farlo < ma .. > signori, abbiamo un ma da parte della rossa, un mezzo sbuffo tra le labbra < se è un tuo amico, cercherò di essere meno.. > meno? Suspence. < me. > si, come dire altro se non quello, trattenersi se quel ragazzo è almeno una parte nuova, importante probabilmente , qualcosa che potrebbe aiutarlo, qualcuno che potrebbe stargli a cuore. Ci avrebbe provato, almeno questo può concederlo, ma se provasse a fare qualcosa che la infastidisca non creda che possa perdonarlo facilmente < se prova a far qualcosa, lo troverai appeso a testa in giù nudo per le strade di Oto > avverte, con il suo tono sicuro, di chi sa cosa vuole e cosa non vuole, almeno di quelle parti non è nuova, anzi. < sia chiaro > chiarissimo eh! Lo ha avvisato insomma, meglio di nulla, per lasciare il posto invece alla propria curiosità, di sapere, ingorda se ne nutre, senza ribattere, solo un piccolo sorriso davanti a se, null'altro. Avrebbe senso parlare? No. Lo ascolta, lo ode parlare del ragazzino, di quello che egli potrebbe provare, di quel suo equilibrio, e la rughetta al centro della fronte sboccia di nuovo, fastidio. < non credi sarebbe meglio se glielo chiedessi prima?> già, dopotutto loro due cosa possono saperne di ciò che può o non può il ragazzetto? Niente, se non chiederglielo prima, se non interrogarlo prima di tutto e capirne la visione < e non mi sembra che sia andata così male ieri, non ti ha ringhiato ne cercato di morderti > cose che probabilmente son capitate proprio a lei in quei giorni, sebbene ne sia uscita stranamente viva < ..per quando?> quando cosa? Non lo sa, non lo capisce, rimane a metà quella dannata frase stuzzicando la propria curiosità, anche nel veder quella che sembra paura, e lascia che sia la voce del ragazzo a impregnar l'aria intorno a loro, riscaldandola, riscaldandosi anche lei grazie alle gambe e alle braccia , sente freddo, stranamente, abituata all'umidità e alle temperature più rigide un clima autunnale è facilmente apprezzabile, ma non adesso, mentre rabbrividisce, spingendosi poco indietro per non farlo cadere, ma per sentire il diretto contatto coi suoi pantaloni, caldi, spera. Ascolta il suo dire, quello che le chiede, tra le righe < hai parlato con Matono, e non chiedi direttamente a me?> offesa? eccome, stizzita a proprio modo come una bambina che si offende per non esser stata invitata ad una festa di compleanno, di certo non v'è paura per lei. Scusarsi? < è educato farlo quando si è in pubblico > piccolo insegnamento, sebbene cerchi di non sembrare saccente, e le sue compagne..loro, mancano. < erano le tigri della foresta > confessa senza troppi problemi, un informazione per chi scavasse, troverebbe davvero facilmente < evocazioni > annuncia d'un tratto, senza spiegare molto, ma a lui decidere se indagare o no, lei è comunque li, non v'è rabbia, stizza, solo antichi ricordi < non riesco più a richiamarle, non sento nemmeno l'energia della natura > non come prima, potente, perfetta, equilibrata < sembra che sia violenta anche lei adesso > intrisa della rabbia di coloro che son morti. Sta male? Non proprio, infastidita è il termine perfetto, per quella nausea e per quella fame < domani passo da Kan, lui saprà dirmi > un nome, detto così, leggero e naturale, per accorgersi di non averne mai parlato in verità < è il mio unico amico, un tipetto .. indisponente, arrogante, viziato, coi capelli bianchi e gli occhi dorati. > le somiglia, no? < sebbene stia con una ragazzetta che dovrebbe esser già morta per mia mano > oh, che bello, eccolo il romanticismo, sorride lievemente, cercando di nascondere il malessere, provando tuttavia se concesso, a poggiare il capo sulla sua gamba destra < solo per un attimo > sussurra, li, nel caso ci fosse riuscita. La ascolta parlare in quel modo. No, non ferita ne offesa ne triste ne…niente. Niente. Non infierisce. È un argomento che sembra non esser presente in lei. E quindi non sarà presente in lui. Di nuovo una lieve linea di sorpresa si dipinge sul volto austero e ferale di lui. Si sono già conosciuti, la ascolta. Non può vedere il senso di colpa afferrarle il labro fra i denti, ma a sentire quelle parole si, gli arriva. Si limiterebbe a far scendere il capo, piegando il collo in avanti e sporgendosi anche lievemente col busto, fino a entrare nel campo visivo di lei. Ma al contrario, ovviamente, con il ciuffo libero dalla treccia piegato in verticale, poi la fronte, poi quello sguardo nero e feroce, il naso appuntito e tutto il resto <No.> Vieta <Lo sai. Non voglio che tu sia diversa mai. Non sentirti in debito di fare qualcosa di diverso con altre persone per quello che c’è qui.> qui dove? Qui racchiuso in questo sguardo che si stanno scambiando. Le regala un sorriso affilato, al contrario, <Questo è solo nostro> spinge le parole tra i denti, sfiorandole il naso con il suo appuntito prima di alzare di nuovo il capo. <Era un ragazzo senza obbiettivi quando l’ho incontrato, senza orizzonte. Senza… una volontà propria. L’opposto di te> Commenta <Ora…> Riflette. Che sia lui stesso fiamma nera, acceso dall’Ishiba, riuscito ad accendere qualcuno? <Valutalo. Se poi ti sta sul c…> Sgrana lo sguardo <Antipatico> avrà fatto in tempo? <non c’è problema> Conclude. Non è interessato al rapporto tra Matono e la rossa. Perché dovrebbe? Se la vedranno da soli. Si lascia sfuggire una risata nasale al dire di lei <già, lo immagino> L’argomento volta poi verso il ragazzo, Jikken. Ascolta trasportato dalla sua voce ciò che ha da dire. Sospira <è andata meglio di quello che pensassi, ieri.> risponde <Scusasetihofattoarrabbiarevolevosolospingerloaparlare> Tutto d’un fiato, veloce come una scheggia. <Parlagli se lo credi giusto.> Le risponde, mantenendo la voce bassa, solo per lei. Riflettendo. Deve trovarle, le giuste parole, lei se le merita <Ti sto dicendo che sono io che non voglio farmi vedere in difficoltà da nessun altro.> nessun altro a parte chi? C’è da chiederlo? C’è solo una persona che ha dimostrato di poterlo sopportare. Supportare. E resterà la sola. Almeno per ora. Ecco l’altra domanda, pesante, un altro brivido. Ok, ispira pesantemente fino a gonfiare la cassa toracica <Pensi ancora che casa tua potrebbe essere un posto sicuro per quando Rasetsu avrà svolto il suo compito?> Pone completamente la domanda a lei, con lo sforzo di chi soffre nel ricordare cosa dovrà subire. La spinge a riflettere, con lui, ma con la consapevolezza di quanto ha appena detto, che non ha intenzione di mostrare ad altri che a lei la propria debolezza. È giusto che ne riflettano insieme. La ascolta poi lasciarsi infervorare dal fastidio, dall’offesa. Sorride tagliente. Riuscirà mai a farne una giusta, piega di nuovo il capo, tentando di appoggiare il mento appuntito si rossi capelli. Di lei <Ho parlato con Matono di questa cosa quando ancora non mi sarei mai permesso di chiederti niente. Le cose sono cambiate. In archivio ti ho detto che mi sarei affidato a te, e a te solamente> Ricostruisce la cronologia degli eventi <Dopo quello che ci siamo detti è arrivato Jikken.> ed eccoci al punto di partenza, alla domanda che le ha posto poco sopra. Dovranno trovare una soluzione. Socchiude lo sguardo, sollevandosi da lei, per paura di aver messo troppo peso. La ascolta, ancora una volta sorride affilato fino a snudare le zanne <Ma certo> era ovvio, no? <Una forza della natura può forse avere compagne che siano da meno?> Domanda a se stesso <Certo che no> La ascolta nella sua preoccupazione, e di nuovo, tenterebbe di appoggiare le labbra sul suo capo rosso <Torneranno da te. Tornerai da loro.> Non può essere diversamente. <Kan.> mastica quel nome, evocando nella sua mente l’immagine che lei gli descrive, sollevando lo sguardo verso il nero davanti a lui. Ascolta e assottiglia lo sguardo <Sei gelosa di lui?> Di getto. Prima di sentire il suo capo appoggiarsi sul suo interno coscia. Quella parole, scuote il capo, scostando il gomito opposto alla gamba sulla quale si è appoggiata, per portare la mano al volto di lei, una carezza irruenta e indelicata, sul volto, questo tenterebbe. Tenendo li la mano sulla pelle <Solo fino a quando vuoi> la corregge. Con lo sguardo basso su di lei <Sei fredda.> una constatazione.
Giocata del 29/09/2021 dalle 15:35 alle 19:42 nella chat "Piazza Centrale [Oto]"
< suppongo però tu non voglia vederlo morto > si interpone lei stessa, chissà che possa accadere, ma di certo per quanto sia affabile con lui, cosa molto particolare, strana, non lo è con tutti, specialmente con coloro che non le dimostrano la verve necessaria a porre il suo sguardo su di loro, distoglierlo almeno < proverò a vedere se ha trovato la spina dorsale dunque > si, lo aveva già deputato un debole a cui non prestare orecchio, occhi, e avrebbe continuato se non fosse proprio per il biondo. Non che sia chissà quale sacrificio, al massimo lo malmenerà un pò e appeso da qualche parte in pubblica piazza, nulla di più..spera, giusto per non vederlo perdere quel suo amico, nuovo amico. Il discorso che passa invece su Jikken, sul loro primo incontro, inaspettato per tutti e tre, eppure non sembra esser andato così male, ai loro occhi, chissà che il giovane non la pensi in modo differente? Ascolta quelle scuse degne di un rapper, veloci parole unite da un unico fiato, e le comprende, davvero < non dirlo mai più > un ordine il proprio, sebbene non abbia negli occhi quella rabbia della notte precedente, non ha nemmeno bacchette a disposizione da poter lanciare al biondo. Sarebbe passata oltre, per Jikken anche, solo una volta, l'ha già sprecata. < si > lo avrebbe fatto < si sta un pò lasciando andare, mi fa toccare perfino i suoi capelli > è lei l'autrice di code, trecce, lisciature, tutto ciò che potrà vedere sul giovane Amese, così come vestiti, cibo e rimproveri. Ma il discorso prende una piega più seriosa, pesante, di qualcosa che deve avvenire, e brucia nelle vene l'impossibilità di poterlo aiutare lei stessa, di lasciare a quel dannato rosso le armi per distruggerlo < ..credi che ti lasci andare da solo da qualche parte con Rasetsu?> lo crede davvero? < dovresti legarmi da qualche parte > e forse nemmeno quello servirà, per tenerla ferma dovrebbe metterla ko temporaneamente, chissà che ne sia davvero capace? Una domanda interiore, curiosa dell'eventualità della stessa. Si ritrova a pensare alla propria casa, alla sua conformazione, alla sua possibilità di star li, con lei, con loro. < credo di si > suppone, analizzando con la mente ciò che già conosce < siamo alla periferia, circondati da alberi, occlude la vista > anche negli eventuali spostamenti insomma < sono un Agente Scelto, un membro del clan da tanti anni, dunque nessuno dove mettere il naso > insomma, qualcuno da cui star lontano, specialmente da quando porta quella divisa con quella spilla che pare aver perduto ogni suo significato profondo, vero < dipende a chi tu voglia anche dire della tua..vacanza > una definizione decisamente più dolce della sua probabile futura condizione, oltre lei, chi potrà mai saperlo? < Jikken andrà avvertito > confida anche nel suo alienarsi dal mondo, da eventuali contatti ravvicinati, da quelle chiacchiere da bar dove può spiattellare tutto in giro < non si avvicinerà nessuno > a costo di comprare lei stessa una tigre e piazzarla davanti la porta. La vede, la sofferenza, la vede negli occhi, eppure non se ne lascia condizionare, vuole esser forte anche per lui, donargli un appiglio, un luogo sicuro ove sentirsi libero, debole. < suppongo dunque che anche Matono possa esser considerato dei ..nostri?> di quel pensiero sui Doku che ancora l'accarezza, su quel voler entrare nei laboratori? < se ti fidi di lui, mi fiderò anche io. Bisogna trovare alleati > una guerra non si combatte mai da sola, si devono creare situazioni, tessere legami, attrarre altri, per esser sicuri di non fallire. < chissà se sarò ancora loro degna compagna > che il contratto si sia sciolto? Il loro patto di sangue e chakra, è vivo? Alla sua domanda sull'essere gelosa potrebbe ridere, potrebbe davvero farlo, eppur non lo fa, seriosa in viso < è una Kokketsu, non meritava nemmeno di nascere. Se avessi portato a termine il mio compito, Kusa non esisterebbe più, sarebbero morti tutti > innocenti, clan, tutti quanti distrutti < non smetterò mai di odiarli tutti quanti, sono nati da un sangue immondo, moriranno nel silenzio > li ove nessuno potrà mai sentirli, ricordarli, e un giorno accadrà, personale la vendetta che allieta l'animo, personale ancora il voler vedere le loro teste inchiodate a dei pali alle porte di un villaggio. Monito per tutti. Oscuri quei pensieri, trovano linfa nella propria essenza, radici oscure che accecano e soffocano quel cuore, per ridestarsi, scuotere lievemente il capo < se dovesse mettersi in mezzo, ucciderò anche lui > la decisione è stata presa molto tempo prima, avrebbe tolto lei nel caso la vita al bianco, solo se necessario, sia chiaro. Non la troverà mai a pensar di uccidere qualcuno solo per il piacere e il gusto, per qualcosa di più grande < per un bene superiore > un sussurro, basso, caldo, che potrà il biondo Uchiha sentire perfettamente, d'un azzurro intenso guarda lassù, lontano, rivedendo per un attimo le sagome d'un castello dorato, meraviglioso, ma solo un attimo, nulla di più. S'appoggia, la guancia fredda su quella gamba, ne prende il calore per se, spostando anche le gambe sulla panchina cercando di raccoglierle e farle passare sotto l'altra sua gamba < un pò > si, è fredda, la pelle è pallida come neve, e solo allora cercherebbe di poggiare su di essa non la guancia, ma la nuca, voltando l'intero corpo, così da poterlo guardare dal basso verso l'alto avendo un appoggio , cercando di riportare di nuovo la sua mano al viso < ho pensato alla questione.. clan > non nominerà coloro il cui veleno fa parte del respiro, ma qualcosa dovrebbe suggerirglielo, come lo stesso non nominarlo < rapire qualcuno.. o convincerlo?> con l'inganno, a dare una fiala del proprio veleno, più che sufficiente come pagamento per Rasetsu. No? Assottiglia lo sguardo nel sentire la prima supposizione della rossa lo spiazza. Beh no, non ha motivo per voler morto il moro di Oto. Non per ora almeno. Ma non può certo sapere in che guai potrebbe cacciarsi egli stesso. La rossa non è una persona da prendere sotto gamba. E questo l’ha imparato <Se farà i suoi errori, pagherà, ne sono sicuro.> Non è tipa che lasci correre, lei, ma annuisce lentamente a quel suo secondo dire. Magari è cosi, magari le discussioni tra loro due hanno contribuito a formare nel moro una consapevolezza diversa. Non può saperlo. Se la vedranno da soli. Ha cose diverse di cui riflettere con lei. Preme le labbra sottili l’una contro l’altra nel sentire quell’ordine. Se l’aspettava. Ha visto il volto di lei spiazzato a quella cena. Annuisce nel sentirla parlare, nel sentirla raccontare di Jikken, assottiglia lo sguardo. <Ci tieni> Riflette, quasi con se stesso per un attimo, prima di condividere con lei le riflessioni. Ha già avuto modo di chiederle che cosa l’abbia spinta a tenerlo in casa. Hanno già parlato di come la volontà della rossa sia fondamentale per ogni cosa, tanto ardente da coinvolgere anche il biondo e, adesso, Jikken <Non credo sarebbe mai in grado di farsi da solo capelli come quelli che gli ho visto sfoggiare ieri> Si. L’aveva intuito. Si sofferma un attimo, tirando fuori un sorriso affilato. Oltre ad essere, dei due, i primo ad esser finito sotto il tetto di Sango, è anche il primo a farsi pettinare da lei. Un pensiero che gli snuda le zanne, tanto tirato è il sorriso, sopra di lei. Ci sono prime volte e prime volte. Lei stessa cambia presto argomento. Un nuovo argomento delicato <Io… ci ho parlato di nuovo> Ammette, sempre sincero. <Credo che dovrò andare da solo da lui.> Riuscirà a spiegarsi prima che un kunai si pianti nel suo collo <Ti dirò ogni volta dove e quando sarò da lui per le sue…> rabbrividisce <Sedute> Deglutendo <Ma non posso farle con te al mio fianco…> Quanta forza ci vuole per privarsi di un appoggio come quello che lei fornisce? Quanta forza ci vuole per mettersi da solo nelle mani d’un carnefice? <Non sono in grado di impedirti niente, Sango, ma sono troppo forte quando mi sei vicino e…se voglio che la cosa funzioni devo fare in modo che lui possa…rompere le mie difese.> Arriva a serrare anche i pugni. Scosso da un fremito di paura che a lei non può sfuggire ma che lui si sforza di far durare il meno possibile <A te spetta un compito più arduo> ammette. Parla con difficoltà. Quasi come se stesse lottando contro ogni stilla di se che correrebbe nell’abbraccio della rossa all’istante, pur di non sopportare da solo quel che dovrà sopportare. Ma la volontà che lo domina è più forte. <…aiutarmi a rimettere insieme i pezzi, quando lui avrà finito> un sussurro vibrato, nella notte <puoi farlo?> lo chiede a lei. Stanno parlando. Ha bisogno di sentirselo dire. La riflessione si sposta sulla casa come posto adatto, ed eccolo comparire, quel tono analitico, freddo e razionale che lei usa e che richiama in automatico lo sguardo oscuro e pesante su di lei. Per godersela in quell’analisi, come quando ha analizzato graffi da medicare. Accetta quella riflessione. La pondera. Non può negare ciò che lei ha detto, ma dall’altra parte il solo fatto che lei non sia da sola li dentro e che qualcuno diverso da lei potrebbe vederlo vulnerabile lo porterebbe a scappare nel fondo del finto bosco che hanno ricostruito nel distretto di Oto. Gonfia la cassa toracica, per poi espirare dal naso, un lungo sospiro <Mi fido di te.> Conclude. E sia. Sarà quello il suo posto sicuro. Ci penserà lei a Jikken. Lo farà d’avvero <Fai in modo che non succeda.> Che nessuno si avvicini a lui nei momenti in cui non può gestirsi. Fa pesare quella domanda come un ordine, ma non può non aggiungere, alla fine, un mormorato, stanco <…Per favore…> Sta imparando a fidarsi, la sua natura imporrebbe di gestire lui ogni cosa ma… in fondo, nel profondo, sa di non poterlo fare. Si tiene a quell’appiglio che lei porge. Non potrebbe fare altrimenti in quella situazione. Debole. Serra la mascella. La ascolta parlare di chi avvertire dell’assenza. Per un lungo istante lo sguardo viene celato al mondo, dalle palpebre che si chiudono. <Tu sai già tutto, l’unica altra persona è Matono> Non ha alti, a dirla tutta. <Per adesso si> si può dire che si fida <Finchè le nostre strade non dovessero separarsi> Non pone limiti alle possibilità. Come al solito. Ascolta quindi le sue parole sulle tigri. Sorride <Cosa faresti per esserlo, Sango? Per riaverle come tue compagne?> Mostra quella fiamma che ti vibra dentro, Sango. Un bagliore affamato si disegna nello sguardo nero del biondo.
Ascolta poi il dire di lei sulla Kokketsu. Kokketsu come Rasetsu… Kokketsu come Yukio. Si. L’ha scoperto quando ha fatto le sue ricerche per la festa all’Ochaya. Probabilmente può ricondurre proprio a quest’ultimo quell’odio, sapendone la storia <mmh> la ascolta riversare quell’odio, ascolta quella determinazione che lo infiamma <Quale bene superiore?> Ansioso di sentirglielo dire. La osserva accoccolarsi. Un sorriso non suo compare su quel volto affilato, mentre tenterebbe di piegarsi tanto da rubarle un bacio. Un gesto al quale dedicherebbe il giusto tempo, considerando quanto difficile sia per lui, privarsi delle labbra di lei. Ma le negherebbe mai il contatto della mano, lasciando passare il pollice su e giù sulla pelle della guancia <Abbiamo parlato anche di questo con Rasetsu> Continua con tono rilassato. <La richiesta è di un doku vivo.> ammette. Era l’opzione peggiore <Propone di individuare il soggetto giusto e proporgli… un lavoro. Pagherebbe 500 ryo per due fiale di veleno. Mi ha suggerito il nome di due suoi ex assistenti dello stesso clan da menzionare in caso dovesse servire> Cerca di richiamare alla memoria i dettagli dell’incontro, per essere quanto più dettagliato possibile con lei. Deve esserlo. <Consiglia di avvicinare la persona che selezioneremo, capirne gli interessi, assecondarli, conoscerla insomma…> Un approccio che decisamente non è da lui. <Da una parte preferirei trovare un…> Doku? Meglio non dirlo <Uno di loro, spaccargli la spina dorsale e portarglielo legato in un sacco> Ammette senza remore <Ma forse è il caso di vagliare anche questa possibilità.> Ammette, Cercando il suo sguardo, curioso delle di lei riflessioni <Sei tu quella brava in queste cose> ammette. Avrà consigli utili da dare. Il discorso su Matono, su Jikken, troverà il suo tempo e la sua fine, quando hanno qualcosa di più importante di cui parlare, qualcosa che ormai si avvicina pericolosamente alla realtà. Rasetsu sarà colui che metterà mano alla sua mente, potrà leggerne i pensieri, i ricordi, la mente frantumata potendo avere un bel pò di modi per poterlo distruggere, annientare, la preoccupazione vi è, per quell'essere stronzo che altro non è che il rosso. Tze. Sbuffa, consapevole della verità delle sue parole, consapevole che deve affrontare lui i suoi demoni, farli propri, conoscerne il volto, l'odore, la sostanza, l'importanza . Deve rendersi debole perchè tutto ciò si possa definire completo, perfetto, unico, e lei? < si > può farlo, riprendere quei cocci, rimetterli insieme? Non ne è sicura, ma adesso, in quelle parole, mette tutta la propria sicurezza. Avrebbe fatto per qualcun altro, qualcosa che non è riuscita a fare per se stessa. Vuole dargli quella sicurezza, che quando sarebbe caduto, avrebbe allungato la mano, per sollevarlo, o per annegare. Tutto rimane in bilico, tra il forse e delle promesse che probabilmente nessuno dei due può mantenere, non per propria volontà almeno, solo finchè il fato non decide che così dovrà essere. Si fida di lei. Ah quali dolci parole amare, si fida di chi non deve fidarsi insomma < anche io > ripete, con calma, spostando solo adesso lo sguardo, cercando il suo scuro, nero, di quei tremiti che ha visto, che ha volutamente ignorato, che non si senta debole li, con lei. < non passerà nessuno..> quello? Cercherà di prometterlo, che in quei momenti, non vi sia alcuno a cui fare del male, alcuno in grado di comprendere chissà quanto sia dilaniato per avere un appiglio, tantomeno Jikken . < bene, dovrò andarlo a cercare dunque > Matono ovviamente, e lo avrebbe trovato, senza dubbio alcuno, ma tutto cambia, passano oltre, a quelle tigri che non sono pù sue compagne, fidate, amiche, una famiglia nella quale rifugiarsi e fidarsi ciecamente l'uno dell'altra. < tutto > la vera domanda dovrebbe essere : cosa non farebbe per riaverle vicine? < qualunque cosa, ma so cosa mi richiederanno se dovessi trovarle.. e le troverò > non ha dubbi, forte nella convinzione, nel proprio obiettivo, tornare di nuovo ad esser lei quella tigre bianca, ritornare a quel nome donatogli proprio nelle terre del Suono, su quella terra alta, il monte delle serpi, da colui che fu custode del sei code, e del segreto dell'eterna immortalità. Un pensiero che dona a quel corpo uno spasmo violento di desiderio, qualcosa che sa di volere, ma ancora non come raggiungere. Deve esser cauta nel farlo, passo dopo passo. Così come il loro attimo, seppur incredibilmente non pare aver astio alcuno contro Rasetsu, seppur Kokketsu, anzi. < scoppierà una guerra > l'elettricità dell'aria è forte, senti il fermento nascosto Shinsei? Senti i desideri dei singoli rinascere come nel passato? L'egoismo, la voglia, il desiderio < basterebbe una miccia, un singolo passo per scatenare odi e rancori del passato > torna quello sguardo, duro, fiero, fisso su di lui < la pace non esiste, è solo un momento tra due guerre > quello dove gli animi dei non guerrieri si riposano, si adagiano, e alcuni, pochi, rimangono pronti, per prendere per se ciò che vogliono. < voglio comprendere molte cose, di una torre alta > un riferimento a quel centro di Kagegakure, al suo governo < distruggere l'erba e bagnarla del loro sangue > mettendo in pace, così, il proprio animo finalmente. Ma davvero le basterebbe? Davvero si fermerebbe a guardare quel mondo finire e basta? No. Mai. Ascolta come abbia parlato con Rasetsu, di ciò che suggerisce, di ciò che invita a fare. Rimane silente, ascoltando < due ex assistenti? Chi? > li ascolta quei nomi se vorrà dirli, eppure non ne pare molto interessata, anzi < Non ci servono nomi di chi non è altro che un nessuno > non ricorda in effetti un grande Doku riconosciuto in qualche modo , nemmeno nel suo passato < abbiamo sterminato metà di esso > ricorda anche a bassa voce, solo per lui < basterà il nome di Kimi Doku. Fu lei a prendere il suo clan e portarlo ad Oto l'ultima volta > di certo erano rimasti solo coloro che volevano tornare ad Oto, dunque, un asso da poter giocare. E sa, sa benissimo cosa ciò voglia dire, che di certo il ragazzo potrebbe si rompergli la schiena in un attimo, ma convincere qualcuno con le buone maniere? Sfoggia un sorriso pregno di malizia, proprio a lui, uno scoccata di calore, intimo, violento < che sia un ragazzo dunque, è molto più facile > pensa già a qualcosa < sempre che non ti dia fastidio > curiosa nel saperlo in verità ma convinta di poter far molto senza nemmeno doversi sporcare le mani < di solito cascano tra le braccia di una donna che reputano bella e che li sappia adulare a dovere > e li, infine , un sorriso < so benissimo come convincerlo.. > si, nasconde qualcosa, lo sguardo stesso che si illumina nel suo, ma qualcosa che ancora, non dice. Rimarrà celato, non perchè non si fidi, solo per accendere la curiosità altrui. < e rendergli questa proposta appetibile. > si, lo sa bene. Ascolta, abbassa lo sguardo spostandolo su quello blu di lei, da quando ha cambiato posizione, non lo lascia più, oscuro e inesorabile, costantemente assetato dell’azzurro di lei. Riuscirà a leggerne i dubbi, scavandole dentro? Ascolta quella parola, quell’assenso, indice della volontà di lei di stargli vicino. È sufficiente. Non è tanto stolto da non capire le difficoltà che quella richiesta implica. Ma non la farebbe mai. A nessun altro. Al punto che a prima ipotesi che lei ha vietato era quella di rintanarsi in qualche buco. Annuisce. Nessuno dei due sa a cosa andranno incontro, ma almeno non saranno soli. Annuisce lentamente anche al successivo dire di lei. Conferme giungono dalla rossa.
<Un’altra cosa, prima.> A conclusione <Rasetsu mi ha detto che un tempo… avrebbe potuto farmi sparire dei ricordi e sostituirli con altri.> Ricorda benissimo di averlo preso per il collo solo all’idea <Mi ha fatto chiaramente capire che non ne è in grado adesso ma…> Certo che ci ha pensato. Cosa succederebbe se non avesse più memoria di lei? Un altro fardello che s’aggiunge ad una volontà già impegnata a condurre se stessa nelle mani d’un carnefice. <non mi fido>. Niente di tutta quella situazione lascia ben sperare. Sono appesi al fatto che il biondo e il rosso abbiano bisogno l’uno dell’altro. Tralascia su Matono, che presto avrà una…rossa sorpresa a quanto pare. In bocca alla tigre. Si concentra però sulle risposte che lei fornisce sulle tigre, lo sguardo piantato in quello di lei, a godersi ciò che ha chiesto, l’avvampare di quella fiamma, l’alzarsi tanto alta da bruciare qualsiasi cosa. Eccola, Sango. Bella e terribile allo stesso tempo. Percepisce quel brivido di desiderio. La osserva in preda alla sua volontà. Solo sorda volontà, senza piani, senza freni. Fuoco. Si nutre di quella fiamma. Non l’ha voluta accanto per niente. Ecco quello sprone ardente che lei sa essere, senza nemmeno saperlo. Riuscirà a percepire lei, dal suo sguardo, l’orgoglio e la fierezza per ciò che la rossa sta mostrando? Non lo nasconderà. <Cosa ti chiederanno? > Ringhia basso. Non c’è bisogno di chiedere se ne sarà in grado. La risposta è una. Si o morirà nel tentativo. Questo dice l’ardore che percepisce in lei. Completa e splendente per il suo sogno. Si. Prima o poi sarà così anche lui. Completo e splendente in un sogno che adesso giace nascosto, spezzato, nella nebbia. Ne ascolta il successivo dire, un sorriso affilato si disegna sul volto. Guerra. S’immerge nello sguardo di lei, tingendolo di nero, guardando direttamente nella sua anima ciò che la muove, quasi come se non avesse bisogno di parole. Annuisce mentre quel sorriso s’allarga, snudando le zanne <Sarò pronto.> Finalmente <Questo posto brucerà.>alza lo sguardo adesso, da lei, portandolo all’alone luminoso visibile davanti a loro, dovuto alla presenza dell’alto palazzo del governo. Quelli che le dedica in ogni caso, sono sussurri bassi e vibrati, solo per lei. L’argomento cambia, in quella girandola di conversazioni senza fine che l’ha chiamata ad affrontare. Domande prima, disinteresse poi. Non risponde, perché dovrebbe, se non le importa? La ascolta. La guarda, e quando lei gli dedica quel sorriso, quella malizia calore, Potrà notare chiaramente che lo sguardo s’affila, diventando un coltello per lei, e nel nero pesante che la investe, qualcosa si spegne. Non è un buon segno. O si? A lei deciderlo, perché quello sguardo ha spezzato catene, perso freni. Un fremito prende le labbra sottili, del biondo che lentamente disegnano un ghigno tagliente sul volto affilato. La ascolterà tuttavia, fino alla fine, ma nel frattempo, quella carezza, lentamente, tenterebbe di tramutarsi in una presa rovente, sul volto di lei. La sua, per lei. <Lo attaccherò.> Ringhierebbe tentando di avvicinare il viso fino a sfiorarle il naso col suo, appuntito <E tu mi fermerai.> continua basso <Questo gli aprirà il cuore alla fiducia, ti darà spazio di fare ciò che vuoi.> Geloso? Potrebbe mai conoscere un’emozione che sia umana quell’essere? No. Qualcosa di più profondo e viscerale s’è acceso. Qualcosa i cui segni sono facilmente riconoscibili per lei. <Andiamo.> oh si, s’è fatta decisa la sua volontà ora. Aspetterebbe tuttavia che fosse lei ad alzarsi, visto che è appoggiata a lui, per poi alzarsi in piedi sulla seduta della panca e scendere. Diretto dove? Che sia lei a deciderlo. Lascerebbe passare qualche attimo di silenzio <Perché lo fai? Portarti così tanto in prima linea?> Chiede. Donandole di nuovo lo sguardo lascivo e pesante. Ascolta il suo dire, quella sua parte, Rasetsu che potrebbe togliergli i ricordi, sostituirli.. < mmh interessante > ne trova un certo fascino < come ci riuscirebbe? Yukio mi aveva genjutsata tempo fa, era riuscito a sostituire il suo ricordo, il suo nome, con .. paura > freme, evidente, che quel ricordo sia scomparso, non ne prova più alcun terrore, nulla di più < chiesi ad un Uchiha la possibilità di cancellarlo.. ma ciò significa che potrebbe , se riuscisse , pericoloso, molto pericoloso > più di farsi metter mano alla mente per scoprire i ricordi, ma modificarli? Ne è evidentemente terrorizzata, che rientrino anche nella propria mente, così come è accaduto troppe volte < puoi indagare per me? Se può farlo anche lui, che collegamento ha avuto con Yukio ?> sa bene che i Kokketsu siano dediti all'arte del loro sangue, riconducibile all'abilità sul ninjutsu, non sa altro, di certo indagare non farebbe male. Lo confida, il suo fuoco, rovente, e cosa potrebbero mai chiederle quelle tigri? < dimostrargli la mia forza > che sia bellezza, fisica, lo stesso ardore, di nuovo saranno loro a sceglierla. Gli sguardo che non si lasciano, non l'abbandona, nell'oscurità che mostra anche lei, dell'egoismo, dell'odio, della rabbia, tutto nato da qualcosa di dolce, intimo, meraviglioso. Amore. Tutto quel mondo non si regge per caso su di esso? Sull'averlo avuto, sul non averlo avuto. Entrambe facce di una stessa identica medaglia. Entrambi affondano nella guerra, nel desiderio perfino di vederla, nel desiderio di poterla combattere. Sboccia anche da propria parte quel sorriso, ormai le parole sono al loro termine, culminano nella loro voglia taciuta. Il pendolo del tempo che stringe su di loro, arriverà quella tempesta, vuole che arrivi, al costo di provocarla lei stessa. Affonda di nuovo nel passato, in ciò che è stata, ciò che è. Chiede, ne vede quello stesso sguardo, e rabbrividisce nel freddo della sera, ma non ne rifugge, che lo veda bene. Lo vede quell'animale fuoriuscire, così come la presa sul viso, impossibilitata a muoverlo, se non lo sguardo, se non il respiro veloce, il piano è completo, sanno come agire, quando? < di notte > li ove gli occhi saranno meno attenti, meno visibili saranno le loro gesta, come quelle di lui, possessive, ne può leggere i segni, le inclinazioni, così come il viso trattenuto, quell'ordine pregno di volontà, portandola ad alzarsi lentamente da quella stessa posizione . Diretti? All'alloggio del biondo, ovviamente, vuole vedere coi propri occhi, ingorda. < perchè sono una kunoichi > lei vive come un ninja, rari i momenti ove rilassarsi davvero, sempre presa da qualcosa, importante o meno che sia. < perchè non sono morta dieci anni fa > chiude così quella conversazione, la notte sarà loro testimone di tutto il resto. [end] Ascolta la risposta di lei. Un sopracciglio, leggermente, s’inarca. Forse ha fatto bene a non manifestare in toto il terrore di trovarsi senza un ricordo di lei. Lei che invece manifesta interesse per quella capacità. Ne ascolta la storia. Annuisce. Yukio..di nuovo. Lentamente sta ricostruendo la storia di quei due. Inizia a comprendere meglio la reazione avuta da lei a quella maschera. Ascolta anche le implicazioni di quella tecnica. <Mi ha fatto capire che non può più farlo. Se mi ha mentito cercherò di scoprire di più> Commenta semplicemente <Ammesso che riesca a rendermene conto> Come ci si rende conto di avere un ricordo contraffatto? Tiene per se quel timore, profondo. Forse è giusto così. Si prende in carico il compito che lei gli affida. Potrebbe fare diversamente? No. La osserva poi rispondere sulle tigri. Dev’essere meraviglioso avere un obbiettivo così ben definito in mente. Invidia. No, non invidia, sincero orgoglio di vederla in quel modo. D’altronde solo una fiamma simile avrebbe potuto accendere il biondo come lei ha saputo fare. La ascolta. Ma non ascolta più parole. Ascolta il corpo di lei, che manda messaggi chiari. Annuisce. Si, sarà di notte. Per forza. <l’ultima cosa che dobbiamo fare è individuare il bersaglio.> Deve essere comunque qualcuno alla loro portata. Qualcuno che, se le cose andranno male, in due potranno comunque ridurre al silenzio, c’è da ragionarci, ma hanno le informazioni che serve avere per andare avanti. Ora tutti quei discorsi è giusto che spariscono nell’oblio mentre la affianca. <Stanotte un po' più viva.> Commenta solo, guardandola, mentre la conduce via da quel parchetto. [end]