Specchi.
Free
Giocata del 24/09/2021 dalle 15:28 alle 23:13 nella chat "Luogo Sconosciuto"
E piange il cielo. Sta iniziando ad abituarsi a quel meteo. Inizia a sentirsi quasi protetto, il biondo, da quella pioggia. Protetto dallo sguardo giudicatore del sole. Pupilla del mondo. Pupilla opposta alla sua. Sta iniziando a comportarsi come un abitante del distretto nel quale si trova, quello di Ame. Sta imparando che correre sotto la pioggia è un controsenso. Non solo perché accelerando il movimento l’unico risultato è di bagnarsi di più, più in fretta. Ma soprattutto perché la pioggia non è qualcosa da cui scappare Indossa una sorta di stivale ai piedi, di pelle si, ma sottile tanto da sembrare una calza nera, atto a tenere il piede all’asciutto, mentre si dirige attraverso il quartiere delle famiglie di Ame, verso quella casa che già una volta ha cercato di raggiungere. E c’è riuscito. Non chiede indicazioni questa volta, libero di ignorare chiunque non sia il vero obbiettivo del suo muoversi. Ciò che brama. Ha imparato, dalla migliore, cosa indossare quando quella è la sua meta. E sfoggia un nuovo kimono per colei che abita la casa che sta raggiungendo. Le stoffe sono quelle di una sartoria che lei ben conosce. I colori però, son diversi dall’ultima volta. Non più colore dell’acqua ma colore del buio, quello più oscuro, il nero. Hakama ampio, molto simile a quello precedentemente indossato, completamente nero, a vestire le gambe facendone scomparire le forme dei muscoli, alla vita una cintura nera con ricami dorati, richiamo della parte superiore del chimono. Anche questa nera come la notte, dalle ampie maniche e soprattutto dall’ampio scollo a vu sulla parte frontale. Abbastanza profondo da arrivare fin quasi al basso ventre, sopra, l’Haori ad impreziosire, invece è un’esplosione di colore rosso. Un vermiglio rosso sangue, dai toni cupi, a decorare la figura. Il volto affilato, decorato dai soliti dragoni d’inchiostro che spiccano ai lati del cranio liscio, è impreziosito da quelle due gemme nere che adesso puntano, senza riguardo, la porta dell’abitazione che ha raggiunto. I capelli tenuti, come al solito, in una lunga treccia che si asseconda i movimenti del corpo, lungo la schiena. Tutta la figura è zuppa. Rivoli d’acqua percorrono il volto affilato e il petto lucido – almeno la sua porzione visibile – per infilarsi nel chimono. Individuato lo stipite, ci abbatterebbe due volte il pugno. Non con forza, ma sicuramente non con delicatezza. Non sa essere delicato. La casa sembra letteralmente un disastro. Evidentemente non ha ancora capito come riuscire a gestire al meglio il randagio che adesso vi abita, sebbene sia anche consapevole d'esser stata lei a donargli il proprio indirizzo, di certo non se lo aspettava alla propria porta, ne che le chiedesse un tetto sopra la testa e che lei accettasse. La casa non si presenta pulita come al solito, anzi, il profumo da donna s'è mescolato a quello del ragazzino non impregna più le varie stanze se non la propria, il pavimento è ricoperto di abiti nuovi , di kimoni e vestiti moderni, alcuni gettati, altri invece riposti ancora nelle solite buste. Ma li sta ignorando, palesemente persa verso qualcos'altro, all'interno del cuore della propria abitazione ove si apre quel piccolo giardino; molto semplice in verità, trattasi di un laghetto con alcuni fiori, e qualche pianta acquatica, e poco più in la un albero le cui foglie lentamente iniziano ad ingiallire . Come all'esterno anche il cuore della casa ha quei passaggi in legno creati per collegare le varie stanze, con quella tettoia che permette anche di sostare li fuori al riparo , per oggi, dalla stessa pioggia. L'acqua che scivola dal cielo, l'odore che assapora perfino sulla punta della lingua, di quella freschezza che scivola sotto il kimono blu che indossa. Carezza la pelle, lenisce l'animo, il petricore che accompagna i propri sensi in qualcosa di simile alla concentrazione avuta al Senjutsu. Sospira lentamente, la veste che smuove piano per via del venticello che entra dalle porte aperte del salone principale, le spalle che rimangono nude li dove la stoffa è scivolata verso il basso, trattenuta morbidamente da quella cintola in vita ma molto più sottile rispetto a quelle utilizzate per uscire. E' in tenuta da casa, sola , avvolta dal rumore della stessa pioggia, seduta sui cuscini con un piccolo tavolino esterno a sorreggere una teiera, eppure la mente non può fermarsi di colpo, non può alimentare quei dubbi che la tormentano, merito di quello sguardo nero, pesante, lo stesso che riesce a farla tremare. E viaggia tra quello scuro sguardo, e gli occhi neri invece del ragazzino, entrambi con un passato simile, legati da chissà quale violenza che ne ha spezzato le menti, gli animi. Sa di dover mantenere una certa distanza perfino con il biondo, eppure le viene così naturale ronzargli intorno come una piccola farfalla attirata dalla luce. Le mani si portano al viso, delicate le dita sottili stringono quella tazza di tè caldo per berne un sorso ..ma la tazza ormai è vuota < oh > la sorpresa tinge il viso al suono di quel battente, abbastanza forte da poterlo sentire lei stessa. Il corpo che s'alza sinuoso, la veste che scivola sotto i glutei di qualche centimetro coprendola, i passi che si fanno morbidi nei piedi privi di scarpe, per giungere davanti la porta < Jikken, ti ho detto che puoi entrare senza bussa-> la morbida voce che si spegne quando finirà di aprire la porta per trovarsi di nuovo, davanti, il biondo. Il viso pulito che s'alza verso il suo, l'ombra scura in cui si perde per qualche attimo. Potrà vederla anche lui, imperfetta, coi capelli che scivolano sulla spalla sinistra , il viso spoglio, così come la veste, non bella quanto quella che indossa il ragazzo. < Shinsei > ritrova la voce, sorpresa e deliziata nel vederlo li , di nuovo < entra > farà un passo lateralmente facendolo entrare, di certo la pioggia non sarà un problema nemmeno per lei < non sapevo venissi > e come avrebbe potuto mai saperlo? Eppure sul viso si apre un piccolo sorriso, nulla di più, prima che egli varchi l'ingresso vero e proprio e possa immergersi nel caos totale. Abbiamo trascurato, nella descrizione. Un collare di stoffa nera, elastica, che fa quasi da seconda pelle, alla base del collo, a coprire marchi prima ancora evidenti, e che ancora adesso, nel movimento, capita di intravedere. La sarta ha preferito mandarlo in giro con un collare. Lui si è fidato solo perché l’ha raccomandata l’Ishiba. Resta fermo, ad occupare la porta scorrevole con le spalle. Approfitta di quell’attimo di tempo per scuotere il capo, chiudendo gli occhi neri per evitare che la coda finisca col colpirlo negli occhi. Non il massimo dell’eleganza in effetti, ma ha bisogno di liberarsi di una parte di quell’acqua e la rossa non ha modo di vederlo. Perché a paralizzare quel movimento è la voce di lei. Un nome viene pronunciato, insieme alla possibilità di entrare senza bussare. Un informazione che viene immagazzinata da quella mente spezzata, giusto un’istante prima che l’altra apra la porta. Sa esattamente dove trovare quel viso, ed è per questo che lei lo troverà ad aspettarlo, quello sguardo. Austero, ma non indifferente. Non con lei. Uno sguardo che s’immerge senza grazia nel blu degli occhi di Sango, scavando a fondo quasi potesse cercare da solo la risposta alla domanda che gli è sorta in mente. Eppure non v’è domanda che viene proferita, ne risposta da cercare, si lascia annegare da lei e contemporaneamente la attrae in un pozzo oscuro senza margini. Nel sentirle pronunciare quel nome, quasi richiamato dalle viscere della terra stessa, un sorriso affilato si dipinge sul volto del biondo, mentre lo sguardo s’assottiglia un filo. Gustandosi le sfumature del tono che lei gli riserva. Delizia, questa l’ha conosciuto. Sorpresa, questa è una nuova emozione che inchioda negli occhi di lei. Non c’era l’ultima volta che si è fatto trovare davanti casa sua. <Sango> le mormora di rimando spingendo il suo nome con voce bassa ma vibrante, viva, ardente. La osserva invitarlo a entrare, scostarsi per lui, ha modi di far scivolare lo sguardo via dagli occhi di lei, lasciandole lo spazio che necessita per respirare. Le oscure vanno a sfamarsi in altri lidi, scivolando sul collo, godendosi quella mancanza di trucco, quelle vesti da casa, quei centimetri, quegli spazi, quella morbidezza. Segue la linea delle spalle nude, così come quella delle gambe. Ma nel suo complesso, è ancora uno sguardo fugace, per quanto pesante possa essere. E lo è. S’infila occupando lo spazio da lei lasciato, stando attento a non bagnarla con la sua veste. <Immagino di no. Non ti ho avvertita.> Con un movimento rapido e ben controllato, farebbe scivolare l’Haori. Il soprabito rosso come il sangue è zuppo e gronda acqua, non vuole lasciarlo entrare in casa. Potrà notare lei che le maniche del chimono sottostante, non sono lunghe, bensì arrivano fino al gomito, lasciando visibile l’avambraccio elastico e allenato. Ha l’Haori in mano e sta per lasciarlo cadere nella postazione riservata ai sandali, senza grazia. Dona alla rossa le spalle, per ora. Privando le nere affamate della sua visione. Ma. Si ferma. Quasi come una statua. e l’unica cosa che la rossa potrà sentire, è l’aria inspirata dalle narici del biondo. Quella casa non ha lo stesso odore. Le nere, inesorabili, corrono avanti esaminando ciò che vede della casa. Disordine. Vestiti maschili sul pavimento. Ancora silenzio, mentre lentamente, ma inesorabilmente, compie una rotazione che dovrebbe portarlo di nuovo sulla rossa, saziando finalmente lo sguardo, e non solo <Ti disturbo?> Non v’è rabbia nello sguardo nero che gli dedica, ne nervosismo. Solo una nota di curiosità. <Vuoi che torni in un altro momento?> L’Haori viene quindi tenuto in mano. La domanda è chiara, le ha chiesto di manifestare la sua volontà. E lui la esaudirà, qualunque essa sia. Per questo non appoggia l’indumento, ne si toglie i sandali. Perché conta solo quello, in definitiva, la volontà di quei due. Le iridi che si impregnano della sua visione, aspetta quello stesso sguardo, pesante, quello che la confonde e l'attrae allo stesso tempo, non pare volerne fare a meno, ne ricerca con la stessa intensità dell'Uchiha. Non ha nemmeno tempo di potersi concentrare sul suo corpo, non ancora almeno, presa dal chiudere quella porta facendola scivolare di nuovo .. brividi, li percepisce quelle due nere pozze su di se, si annida allo stomaco, lo stringe, le toglie quasi l'aria, come se avesse quasi paura eppure non ne rifugge, non s'è mai sentita spaventata dalla sua presenza; istanti in cui si volterà , per poterlo guardare davvero. Scivolano le azzurre sul collo, su quella pelle celata e torturata proprio da lei, e il rossore lieve giunge alle guance, così come delle mute scuse a quello che non si azzarderà a nominare, non quando lo rifarebbe. Nota l'haori, il rosso intrigante che l'attira a lui, deboli passi verso la sua stessa figura, vicina quasi da poterlo sfiorare muovendo una mano. La veste nera non sfugge al proprio sguardo, ne le braccia lasciate in mostra, probabilmente più pratiche di quelle lunghe, e perdutasi nei propri pensieri nel guardarlo, dovrà essere la voce altrui a destarla da quello che pare un sogno ad occhi aperti , spalle comprese nella loro interezza < mh?> non è il momento di perdersi questo! Sbatte le lunghe ciglia per qualche attimo, solleva di nuovo il collo per vederne il profilo < oh no, entra pure > cercherebbe di sfilare lei stessa quell'haori dalla sua mano , senza di quella non sarebbe andato da nessuna parte, no? < lascia che l'appenda, si asciugherà prima > un invita a mollarla insomma e restare, non che si trovi a disagio in quella situazione, vestiti maschili compresi, eppure se li guarderà meglio potrà vedere che son piccoli, molto piccoli per un nanerottolo di un metro e sessanta circa. < scusa il disordine > il labbro che viene morso ripetutamente, cerca le parole perfette per poterle dire, per spiegare quella situazione, iniziando a camminare all'interno della stessa casa cercando di non spostare troppe cose < ho un ragazzino che vive sotto il mio tetto e sulle mie spalle > il dono della sintesi non è per lei, chiaramente < era un.. randagio > lo paragona ad un gatto, un piccolo randagio trovato per strada < gli ho offerto la cena > tace per un attimo, cercando di vederlo ancora, di voltarsi e cercarne le pozze < non so come ma..adesso vive qui > seppur non se ne veda l'ombra in verità del piccoletto, solo qualche vestito nuovo dopo avergli buttato via quelli vecchi e malandati < siamo soli > la voce che s'accalda, bassa, suadente a proprio modo seppur non si stia sforzando di usarla, ma con lui le viene naturale. Un invito a restare, a spogliarsi di ogni maschera, a far crollare quei muri invalicabili.. porterà quella stoffa ad asciugarsi, probabilmente nella zona lavanderia, lasciandolo solo per qualche attimo prima di ritornare < mi fa piacere che sei venuto > lieta ma curiosa di sapere cosa abbia portato il ragazzo da lei, per un'altra volta. La osserva. Finchè può almeno, finchè, per i movimenti sincroni dei due, lei non finisce alle sue spalle. Non ha controllo su quella porzione dell’ambiente intorno a se, si limita a percepire quasi il corpo di lei sfiorargli il chimono. È ancora presto per far crollare maschere, muri e catene. Eppure deve socchiudere le oscure, trattenendo un brivido. Ha modo tuttavia di osservare la reazione di lei, alla sua domanda, con quelle ciglia che sbattono e la voce convinta, insieme al tocco che avviene sul capo di stoffa che sta tenendo il mano, lo lascia a lei senza obbiettare. Ha avuto la sua risposta. <La tua sarta mi ha detto che questa è la stoffa che le ricorda di più “la signorina Ishiba”.> Commenta notando lo sguardo della rossa sul drappo. È evidente che se quella è la risposta, c’è stata un’esplicita richiesta del committente. Una dedica <Io la trovo più simile adesso che è stata sotto la pioggia.> Fin troppe parole, ma necessarie per spiegare l’origine di quel chimono, e l’intenzione con cui è stato realizzato. La lascerà andare, sfilandosi le calzature, per poi entrare in casa. La ascolta scusarsi. Osserva ciò di cui parla di nuovo. Mentre continua a carpire l’aria con le narici, un’aria strana. <è casa tua. Non ti scusare.> Lui sarebbe l’ultimo a poter parlare, e infatti non c’è giudizio. Non c’è disagio ne altro sul volto affilato. Solo lo sguardo che la osserva muoversi, rimanendo fermo per un attimo. Senza ritegno, si gode quelle movenze sotto la veste morbida. Ma non tarderà ad entrare in casa, evitando accuratamente di toccare i panni, così come ha fatto lei. Ascolta la sua storia, mentre si avventura verso il cuore di quella casa. Lo sguardo si poggia sui dettagli, sulle decorazioni scarne, sulla foto, li da qualche parte, sugli origami rossi. Ora ne comprende la provenienza. E infine quei vestiti che ignora. La lascia parlare, carpendo il suo sguardo, mentre si avventura da solo, verso il cortile interno, aperto ad accogliere la pioggia su quell’albero. Dovrebbe notare ben presto il punto in cui lei era seduta, con la tazza ormai vuota di thè e li si dirige anche lui, restando in piedi tuttavia e spingendosi con i piedi nudi sulla passerella di legno fino ad arrivare a pochi millimetri dalla pioggia. Ne ispira il profumo con il naso, socchiudendo gli occhi, ma non perde una parola delle frasi di Sango. Tiene lo sguardo sull’albero del cortile, ma il sorriso si stende affilato sul viso del biondo quando sente di avere un ragazzino sulle spalle <Le tue spalle sono nude.> Sentenzia sorridendo. Ma poi si concentra sulla descrizione del ragazzino, sulla vicenda. Non ha idea di dove si sia diretta la rossa ne, di conseguenza, da dove si possa palesare di nuovo, semplicemente si limiterebbe a voltarsi di spalle, verso l’interno della casa, bramoso di intercettarla con lo sguardo. <Non so come.> Ripete le parole di lei, che come sempre, lo spingono a ragionare <Di sicuro non è contro la volontà che qualcuno può avere il permesso di entrare senza bussare in casa tua.> Sa quanto la sua ira possa essere funesta <E se non era contro la tua volontà, allora lo hai voluto.> Prosegue con quel suo ragionamento, cercandola con gli occhi, ma aspettandola dov’era seduta prima che entrasse <E se lo volevi, al massimo la domanda da farsi è “cosa ti ha spinto a volerlo con te”.> Prosegue. Perché parla così tanto? Perché Sango ha la capacità di spingerlo a riflettere. E ci riescono in pochi. <Ma forse hai già la risposta a questa domanda.> C’è da supporlo. Quella storia non può non riportare alla mente del biondo la storia di un altro randagio che è stato nutrito e…acceso dall’Ishiba. Come al solito, nelle sue riflessioni non c’è giudizio, ma solo un tentativo lanciato nel vuoto di riflettere con lei. A lei decidere se coglierlo o meno. Quella non è la sua storia. Non intende far altro se non guardare non quella situazione, ma la rossa, da uno sguardo esterno, concentrato su di lei. Non può non affilare il sorriso, quando lei conferma la loro solitudine. Sorrino che s’allarga, mentre la aspetta, nel sentire il piacere dalla sua presenza <Anche a me.> commenta. Non è capace a scaldare la voce come lei. Ma è sincero. <Volevo parlarti> è adesso che la voce si fa più bassa, buia e vibrante, quasi un richiamo per lei, per la sua attenzione. Recupera quella veste, la piega bene su quel braccio, percepisce la stoffa lussuosa, l'elaborazione che ha portato alla creazione di quel piccolo gioiello . Sorride nel sentirlo parlare, frasi che si susseguono così che possa tornare a guardarlo con quell'intensità, senza sentirsi di troppo, troppo curiosa, troppo desiderosa perfino. Percepisce quella richiesta che è avvenuta da parte del biondo, qualcosa che possa ricordarla, in qualche modo. < devo dire che sei bravo con le donne > una frase che racchiude qualcosa di più, qualcosa che non dirà, ma lascia che sia lui a comprendere il significato delle proprie parole. Avanzano entrambi, lei più sicura nella casa che ha imparato a conoscere bene, lasciando spazio di manovra al nuovo arrivato, di poter prendere ciò che desidera, sebbene non abbia molto di proprio, seppur adesso quella casa sembra..viva. Come se infine qualcuno le avesse dato un anima, e non la dimora di un fantasma. Ritorna li, a quella stanza, le mani di nuovo libere per ritrovarlo di nuovo, davanti la stessa pioggia che l'ha accolto. < vuoi toccarle?> che richiesta strana, che domanda strana, eppur non se ne sente in imbarazzo. I piedi che poggiano su quel legno, nudi s'impregnano dell'umidità stessa, del freddo, pur di avanzare verso di lui, anche lei ad un passo da quella stessa pioggia. Allunga lenta la destra verso di essa, il palmo rivolto verso l'alto a formare quella piccola conca < .. > sospira in quella nuvola di calore che sboccia dalle labbra morbide, eppure non vi sono parole, solo sensazioni . I passi altrui che la ridestano, la destra che torna a morire al proprio fianco , ne osserva il viso, lo sguardo profondo, la mente che elabora le proprie parole per trarne un discorso unico. Un filo senziente, lei stessa che ha deciso di aprire la sua porta al giovane, e ne segue il ragionamento fino a quando la voce bassa non smetterà di vibrare nella propria cassa toracica. Si, non può che dargli ragione, sebbene non abbia davvero pensato alla motivazione che l'ha spinta, quanto più al come prendersi cura di un mezzo selvaggio. Anni e anni in quelle strade come non possono indurire e annientare di odio e dolore una creatura? < è di Ame > sussurra, tornando lentamente verso quei cuscini al riparo, per adagiarvisi con calma, prima le ginocchia per poi stendersi di lato e allungare un poco le gambe. La veste che salirà ancora di più, consapevole anche di questo < ha perduto tutto quello che aveva > una delle tante storie, delle mille storie < quando ero piccola, il mio villaggio e la mia casa furono distrutte > l'evento finale che li portò al crollo totale < mia madre morì, mio fratello non c'era, il mio clan mi ripudiava. Ero sola. > non v'è dolore in quel racconto, solo quell'amarezza che spinge le labbra a continuare a parlare < avrei voluto una possibilità in quel momento > è quello che ha donato, sia al giovane nanerottolo, ma anche al biondo. Una possibilità. Non ha dunque necessità di spiegare perchè lo abbia fatto, dovrebbe esser chiaro come il sole la stessa motivazione, eppure manca qualcosa, lo stesso azzurro che sfila verso i neri, il silenzio che diviene pesante nel sussurro che deve donargli < è stato sottoposto ad esperimenti > anche lui, come l'Uchiha. Entrambi legati da un passato simile, e un presente similare allo stesso modo. Accoglie quelle parole, e le successive accendono di nuovo la propria curiosità , quel brivido che si annida allo stomaco, scivola sulle labbra che fremono , lo sguardo perso totalmente insieme alla voce. Le ci vorrà qualche attimo per mettere in moto la lingua < mentre parliamo, vuoi qualcosa da bere?> memore del loro ultimo incontro, e per quello che provvederebbe a sollevarsi < l'acqua è ancora calda..se volessi il tè > o almeno, dovrebbe. Nemmeno il tempo di finire per ritrovarla di nuovo li, tazze alla mano destra, bottiglia di sakè e bustine nella sinistra. Gli sta dando scelta, come sempre. < dimmi tutto > un invito il proprio a..lasciarsi andare. La osserva muoversi per casa. Ascolta la voce musicale mandare richiami da altre stanze. Scuote il capo biondo e ancora bagnato al dire di lei <Pensaci, sei tu che sei brava con gli uomini> Non è stata forse lei ad indicargli quella sarta. Non è forse per lei che è vestito così in ghingheri? Va detto, sta iniziando ad apprezzare quegli indumenti, più comodi di quanto pensasse, ma questo è tutto merito di colei che, tra i due, è quella brava a tessere. Lui è il risultato di quella tela, su alcune cose, è invece calamita e calamità, per altre. Non può non notarla, la diversità di quell’ambiente, adesso che sono in due a viverci. Ma non sembra poi troppo colpito. Come non lo era dall’asetticità di quell’edifico poco prima che venisse condiviso. Ha avuto la decenza di ignorare, almeno con lei, quei pochi cenni di lei che ha notato in giro. Abbassa lento lo sguardo dall’albero su quella mano, perché è la pioggia che sta toccando? Perché lei è la pioggia. E quella domanda che gli arriva, lo porta a far scivolare le oscure lungo l’avambraccio, superando quella maledetta stoffa, fino alle palle delle spalle <Si> Non è una sentenza. È un sibilo prolungato, insieme ad un sospiro che sembra voler aggredire e nutrirsi dell’aria che lei stessa ha lasciato alla pioggia. È un sussurro proferito nel tentativo mal riuscito di trattenere qualcosa di più ferale. Un ringhio. Un si graffiato e prolungato. Ardente. Reprimerà un brivido a pizzicargli la schiena e la lascerà andare a sedersi. Ruotando il corpo fino ad averla di fronte, osservandone l’eleganza con la quale effettua quei movimenti, Almeno tanto elegante quanto quella stoffa leggera che le accarezza la pelle, salendo e lasciando alle oscure carne di cui nutrirsi. E lo fa, senza pudore, lasciando emergere quel bagliore oscuro che finora solo lei ha saputo richiamare dalla gabbia più profonda nella sua mente. Ma solo finchè lei non inizierà il suo racconto. Lo sguardo quindi salirà alle iridi di lei. Cosa le offre? Non può farle altro se non qualcosa in cui perdersi. Ma la ascolta con tutta l’attenzione che ha. Ha sentito quella storia. Seppur ulteriori nuovi dettagli vengano aggiunti. E soprattutto il collegamento con il ragazzo, chiarisce ogni cosa. Non c’è altro da dire. Annuisce due volte al dire di lei e non aggiungerà altro, lasciandola libera di proseguire o di chiudere l’argomento. Lui ha capito qual è la scheggia di specchio che ha visto nel bambino. Quale pallido riflesso da coltivare ha trovato. Compie due passi in avanti, piegandosi verso uno degli ampi cuscini. Lo afferrerebbe con una mano dalle dita affusolate ma forte. Per poi raddrizzarsi e percorrere con lentezza quasi esasperante, i passi necessari ad evitare il tavolino e trovarsi dalla sua stessa parte del tavolo, solo allora lascerebbe il cuscino, affianco al suo, per poi voltarsi e sedersi. Incrocerebbe prima i piedi, il destro sul sinistro, per poi abbassarsi, trovandosi quindi a gambe incrociate, di fianco a lei, con lei tra il biondo e il tavolo. Ma quel sussurro gli arriva presto, pesante come lei lo ha trasmesso, che nelle sue orecchie, nella sua mente, si fa macigno, e poi proiettile che lo colpisce dritto dove non deve essere colpito. Rabbrividisce serrando gli occhi. Non è il momento quello per lasciarsi andare a nebbie e voci. Ma il brivido per dura. Alza istintivamente la mano destra, passandola ripetutamente sugli occhi serrati dalle palpebre. Un dolore violento, che però non dura più di qualche secondo. Non spezzato. Non questa volta. Questa volta ha ripreso il controllo. Abbassa la mano poco dopo <Ci parlerò.> commenta salendo di nuovo con lo sguardo, violento e bramoso su di lei <Voglio incontrarlo.> Cosa potrà nascere tra piccolo e grande randagio, tra piccola e grande cavia, tra scintilla e fiamma? Lo vedremo, non è quello l’argomento della serata. Lei si presenta lesta con una scelta, e lui non ha esitazioni. Non questa volta. Sarà una visita dalle emozioni forti, e lo sarà fino in fondo. Bramoso corre con lo sguardo verso il viso, e poi scende giù sul collo, sulla spalla, andando al braccio e quindi alla mano che tiene il sakè e i bicchierini. Un gesto con il capo, lento ma preciso. Non dovrebbe aver bisogno di altro per comunicare con lei. La scelta della bevanda, per loro due, inizia ad essere una sorta di segnale. Ed è qualcosa di viscerale che lo spinge ad una scelta così rapida e senza esitazioni <Nell’archivio.> Comincia, settando subito il loro ultimo incontro come scenario, ciò che è successo. <…> Schiude le labbra ma nulla ne esce. Non c’è sconcerto ne tristezza nello sguardo, solo costante ricerca delle parole. Le nere vengono portate verso il giardino, in attesa di avere di nuovo la rossa al suo fianco. Dove lui ha scelto di posizionarsi. <Avvolte mi capita di vedere cose.> Procede con lentezza, ma con estrema sicurezza, come se ogni parola fosse scelta accuratamente <Di sentire cose.> continua. Non rabbrividisce. Non più. Si sta confidando con lei <Se non sono preparato ad un contatto fisico, se sono distratto… sento lame ardenti nella carne al posto di dita amichevoli.> Cosa diavolo sta facendo? Le sta spiegando perché si è comportato così <Volevo dirti che…> lo sta dicendo d’avvero? Lentamente il capo si volterebbe, qualora lei fosse lì, di fianco a lui, cercando quell’ovale, lo sguardo dell’altra, per prenderselo di nuovo <mi dispiace.> Ancora una volta, non riesce a mostrare sentimenti come si dovrebbe, ma quella voce, ridotta a sussurro, scura e vibrante, sta dicendo la verità, e la sta spingendo dritta nella cassa toracica dell’altra. < brava? > solleva quel sopracciglio, ripercorre il proprio passato, di certo non brava come dovrebbe essere < una volta un uomo ha cercato di uccidermi perchè non potevo dargli ciò che desiderava > seppur quel comportamento ancora la fa dubitare, non può che accompagnare il tutto con una breve risata < non sono brava come credi, nemmeno con i rapporti umani > quelli sono difficili da mantenere, tessere, nulla che sia semplice come lo è essere una kunoichi. Lo sguardo pesa su di se, sulle spalle, la pelle nuda rimane pallida per l'impossibilità di arrossire, e quel si che giunge al petto prepotente. Le secca la gola solo in quel modo, nel solo pensiero. Scivola su quel cuscino, scivola in attesa che la raggiunga , sa che accadrà, sa che verrà li con lei , trascinandosi quel cuscino per rendere comodo quel posto, circondati dall'odore della pioggia, dal suono, dall'odore stesso. Lo sguardo è per lui, dal basso verso l'alto, il corpo quasi steso nel proprio nido, vicina col volto alla postura più rigida del biondo. Rivede anche in lui quel dolore, quella colpa che si pone, il respiro che si fa pesante tra le morbide labbra, si risolleva sporgendosi verso di lui < credo che non si lasci toccare > così come lui, e lo sguardo rimane ancora fermo, si lega di nuovo al suo volto, all'espressione dura < potrebbe ascoltarti ma.. ha un caratterino molto spigoloso > quasi un avvertimento, nel caso debbano perdere entrambi le staffe e cercare magari di farle crollare la casa a suon di botte. Almeno che lo facciano lontano da li, o non lo facciano. Rivede quella brama, rivede quella bestia ancora li, la stessa scintilla che ha potuto notare nel momento in cui ha scelto il proprio posto . E ritorna con entrambi, eppure pare che la decisione sia differente, più sicura, più violenta, decisa, a prendersi ciò che desidera, che entrambi desiderano. Lo sente nell'aria, quell'elettricità che si crea nel solo momento in cui lo guarda. Il sangue sotto la pelle che freme, s'agita fino allo stomaco, al respiro che sta trattenendo. Le parole che non servono in quel secondo, si china delicata, poggia il tutto a quel tavolino, eppure il tè viene scartato immediatamente. Ma non è ancora il momento, deve costruirlo,con calma, lentamente. Curiosa di sapere, non potrà che avvicinarsi un pò di più, senza toccarlo tuttavia, lasciandogli quel suo spazio intorno, silente e attenta ad ogni parola pronunciata. Assimila quelle informazioni, assimila quei momenti in cui lo vede frantumarsi, in cui lo vede distruggersi. Specchio perduto, i pezzi incompleti del suo essere tornano a galla consapevolmente. Il silenzio ne fa da padrone,gli dona tempo, attenzione, e un breve sorriso finale alle sue scuse < perdonami tu Shinsei > non v'è giudizio nel proprio sguardo < non sapevo cosa potessi scatenare, prometto di non farlo più > finchè non ne sarà pronto lui stesso, finchè non vorrà lui stesso sentire le proprie dita sul suo corpo avrebbe ritratto il proprio desiderio. Un movimento per drizzarsi, per concedergli lo spazio di quella confessione, sporgendosi invero verso il tavolino vicino, basso, fatto di intrecci naturali, per calare il viso su ciò che ha portato, eppure ancora una volta sarà di nuovo li, a cercare le scure iridi, ad annegarci < toccale > sussurra , un rimando a quel si precedente, lo stesso si di un serpente. Così come la promessa, donerà lui la possibilità di fare ciò che desidera, di avanzare o ritrarsi. La voce che rimane bassa, calda, volendolo avvolgere nei propri suoni e richiami, seppur sia più vicina a quel tavolo che a lui, dandogli il proprio profilo, senza davvero guardarlo. I polsi snudano dalla veste, pallidi, nel momento in cui prenderà la bottiglietta panciuta e versarne il contenuto in quei piccoli bassi bicchieri in legno, larghi come piccoli dischi. Compie quel gesto lentamente, un rito che si ritrova a fare per proprio desiderio, per loro desiderio, entrambi consci che quel sakè ha un significato particolare per entrambi, taciuto, ma visibile per chiunque. Quell'attrazione che li tiene su quel filo invisibile, un'energia che le fa tremare lievemente le mani, qualcosa di troppo intimo per esser veduto da altri occhi, e rimane celato dalle mura di quella casa silenziosa. Li dentro non avrebbe avuto timore, le resta solo la speranza che sia qualcosa di condiviso. Lo stesso sguardo azzurro ritorna al viso del giovane, muta la richiesta di raggiungerla, di tornare li, vicino. La ascolta. Una cosa di cui non hanno parlato effettivamente, sono le esperienze precedenti. E anche quello resta un accenno al quale non risponde con altro se non con sopracciglio inarcato. Sarà lei ad approfondire, quando vorrà, o a lasciare tutto nel passato, ancora per un po'. Seconda frase, il sopracciglio, sempre il destro, s’inarca ancora di più. <Sai quello che vuoi.> E tanto basta? Si. Tanto basta per lui tanto quanto per lei. È per questo che finiscono sempre con l’alimentarsi a vicenda. Hanno la medesima visione distorta delle relazioni. Qualcosa che si basa sull’egoismo. Eppure… eppure ne hanno parlato proprio in archivio. E come allora ha evidenziato l’impegno che si sono assunti l’uno per l’altra, con lo stesso impegno adesso è il momento di lasciar questo da parte. Perché? Perché con lei può. Perché lei sente lo stesso, viscerale, serpentesco bisogno di chiudere il cervello ogni tanto. E sono entrambi intenzionati a non negarsi l’un l’altro questa possibilità. Torna austero a guardarla quando lei richiama alcune piccolezze caratteriali del ragazzo. Austero, si, perché non sono preoccupazioni che possono scalfire una persona forgiata dall’oscurità di un buco nella terra, decorata da anni di vita come scarto della società, all’esterno dell’unica città presente al mondo, solo contro il mondo. E ora abbattutosi su quella città, preparandosi ad essere per essa flagello. Proprio perché hanno caratteri così comuni, spigoli così simili. Saprà nutrirsi anche di ciò che quel piccolo vagabondo ha da dire. Ma non risponde, lascia intendere alla rossa, la non preoccupazione e nulla più. Quel bambino è rimasto anche troppo in quella conversazione. E si, quello spazio in cui spegnere il cervello di cui entrambi hanno bisogno, necessita di esser costruito. Ed è per questo che discorsi vanno affrontati. L’ossessione del biondo per i dettagli, spesso lo porta a questo. Detestabile, si, ma è lui. Lui che si volta ad ascoltare quella voce, per lui richiamo, a tenere lo sguardo su di lei, avido di dettagli, di quel collo affusolato e perfetto che ora vede di profilo, immergersi in quei capelli rossi, l’angolo della mascella, non pronunciato come quello d’un uomo, ma comunque presente e armonico, le gote, che brama veder arrossire, e in fine lo sguardo. <No.> è l’abisso ad inghiottirla insieme a quella parola, secca e perentoria. Non aspetta che sia l’altra ad invitarlo, probabilmente le due cose arrivano insieme. Ma allungherebbe la mano, piegando l’avambraccio all’indietro per raggiungerla, tenterebbe, se lei lo consentisse, di appoggiare il palmo, con eccessiva delicatezza, sulla pelle tra la spalla e il collo della spalla che lei ha più vicina a lui. Il tocco dovrebbe arrivare quasi da dietro, con il pollice a poggiarsi sulla parte esterna della spalla, verso il biondo, e le dita a toccare le clavicole, completando un tocco, rovente, solo per lei. Tenterebbe, se lei lo consentisse, di riavvicinarla a se, permettendole di bruciare la distanza che li separa. Solo allora, abbasserebbe la mano, avvicinando di poco il volto. <Quanto ti costerebbe mantenere una promessa del genere?> Lo sguardo oscuro cerca incessantemente quello di lei. Vuole perdersi in quel blu senza darle tregua. Quasi fosse un bisogno fisico di scavarle dentro e capire le vere emozioni che la dominano, per poi condividere con lei le sue. <Non voglio che tu mi prometta questo. Avrei preteso ben più che le tue scuse, se il tuo tocco mi avesse infastidito> è sempre un mormorio basso, costante, <e probabilmente sarei morto per questo> Tira le labbra in un sorriso affilato, tagliente, nel tentare, questa volta lui, di sua spontanea iniziativa, di fare ironia. <Ti sto chiedendo scusa per come reagisco…> Si prende il suo tempo, in quel mormorio che ora si fa ancor più serio e profondo <Sango> la nomina, la chiama, richiamo ancestrale <perché non è una cosa che posso controllare, ma non posso fare a meno di quel tocco, che in quell’archivio, insieme al dolore, mi ha donato una via d’uscita da me stesso> parla dal profondo di se, al profondo dell’altra <non v o g l i o> eccola li, ancora a dominare i loro discorsi, la volontà. Non vuole, privarsi di quel tocco. È per questo che ha tirato fuori quell’argomento. Come lei ha deciso di stringere quel legame con lui, offrendosi di aiutarlo, lui ha deciso di stringere un legame con lei, dandole un ruolo persino nei suoi momenti più privi di coscienza. <Tu, puoi.> eccolo il sugello, due parole, ferme e granitiche. Probabilmente non reagirà mai come una persona normale, e per questo le scuse, ma qui si va oltre. <se vorrai> la richiama ora, la volontà di lei. Si sporge quindi un po' di più verso l’altra, allungando il collo teso e solido, quel movimento in realtà è propedeutico a porgerle il braccio più lontano, teso, ad aspettare il suo bicchierino, ma le labbra, fameliche, ne approfitterebbero per avvicinarsi all’orecchio, nel quale spingerebbe solo una parola <posso?> un sospiro, rovente e gelido insieme. Posso cosa? La mano aperta, chiede il suo bicchierino di Sakè chiede… quello che il sakè implica. Quella bevanda particolare, che solo in alcune occasioni si condivide. Sa davvero quello che vuole? Per la maggiore, si, eppure ci sono quelle volte, le volte come questa, ove il semplice incrociare degli occhi la destabilizza. Dovrebbe alzarsi, smettere di stare li, smettere di fare qualsiasi cosa, il solo pensiero di andarsene brucia allo stomaco, se ne pentirebbe in pochi attimi di una decisione del genere. Sussulta, il petto che sobbalza lievemente, e tace, accondiscendente alla sua frase, sa cosa vuole adesso. Se avesse voluto mandarlo via, se avesse voluto allontanarlo, lo avrebbe fatto ,no? Eppure sono ancora li, entrambi, egoisti di natura. Le mancano quei pensieri, mancano alla propria conoscenza di come egli sia vissuto, cresciuto, sentito. Eppure la propria promessa non ha l'effetto desiderato, quello di garantirgli quello spazio, non invaderlo, non sfiorarlo, e il No pronunciato la ferma da quel che sta facendo. Un brivido scivola alla schiena, li ove sente lo sguardo, si ferma perfino il respiro per un attimo. Il tocco rovente giunge alla pelle fredda, sensibile, poggia sulla spalla con naturalezza, eppur non potrà sentire quel che prova anche lei, non potrà comprendere quei brividi che la animano, quel respiro mozzo che potrà sentire, delle gote che s'arrossano. Tende il collo lievemente a dargli tutto lo spazio che vuole, ravvicinandosi invero al suo viso, tremendamente vicini adesso, e potrà sentirne il respiro affaticato, così come le gote rosee, lo sguardo morbido e torbido, le labbra schiuse.. Quanto le costerebbe quella promessa? Affonda nelle iridi alte, ne ricerca quella falsità che potrebbe dire. Nulla, non le costerebbe nulla. Una parola, una singola parola che non riesce ad uscire, muore tra le labbra < molto > sussurra, non volendo rovinare quella voce con la propria, un accompagnamento, caldo e lento, un sottofondo così come lo è la pioggia intorno a loro. Pende dalle sue labbra, pende dalle sue parole, dalla sua mente, e quanto è raro vederla in quel modo? Impegnata così tanto ad esser arrogante, a non prestare udito a coloro che sente inferiori, adesso diverso. L'attenzione è completamente per lui, ne comprende quelle parole, quella volontà che supera perfino il dolore della sua stessa mente frammentata. Forte. Lui lo è, in quella sua decisione, molto più forte di lei. Lo sguardo torbido, decisamente incantato, e li, in quel potere che le dona, andrebbe a sollevare la destra lentamente. Proverebbe a porre quella mano li, al suo viso, delicate le dita a carezzarne il profilo; se vi fosse riuscita la sola punta delle dita partirebbe dalla tempia, seguendo il profilo dello zigomo, della mascella, per terminare alle labbra < lo voglio > un sussurro proibitivo anche quello, per le sue sole orecchie, per la sua sola confessione, per sussurrarla alle sue stesse labbra. Che se ne cibi, ne faccia il suo nettare, che possa infilarsi delicata all'interno dei cocci del suo essere, li tra i frammenti a renderli meno dolorosi. La stessa mano che scivolerebbe adesso verso il collo, in quella fascia utilizzata per non lasciar vedere ciò che gli ha fatto, e fermarsi nella curva perfetta che lo unisce alla spalla, soffermandosi sulla clavicola nascosta dalla veste. Può, vuole, due concetti perfetti per allungare in quel modo le proprie mani su di lui, seppur permangono delicate per non romperlo, non ancora. Lo osserva avvicinarsi in quel modo, il braccio allungarsi, la voce stuzzicarle il lobo , dona altri brividi, e li , così vicino, potrà sentire il respiro che viene trattenuto. Può cosa? Il corpo che trema lievemente a quel contatto < si > senza nemmeno sapere, come potrebbe tirarsi indietro a quella sua domanda? Con la coda dell'occhio potrà notare dunque la mano protesa al tavolo, la richiesta del bicchierino. Respira, di nuovo, viva, e la destra a prender il sakè, porgendolo a quella mano grande e forte, dura nello sfiorarla, probabilmente percorsa da qualche cicatrice. Lascia quel bicchierino li, per lui, per prendere il proprio, e alzarlo delicata al suo indirizzo, vicino abbastanza in quel momento da dover alzare il viso sul gigante, diversi centimetri sopra di se, ancora a sovrastarla con la sua mole. < Shinsei > un sussurro, caldo, così come il liquido che andrà a bere, scivola tra le labbra, la gola che brucia, l'esofago, dona una scarica di vita, e qualche goccia sfuggita alla presa scivola all'angolo delle labbra cercando di morire oltre il mento, e tuffarsi nel proprio seno. DADO 100 - sappiamo già per cosa.
Sango tira un D100 e fa 31
E pure oggi si tr0mb4 ancora domani. Tornerò alla prossima pvt
D 100 - da 0 a 50 è femmina, da 51 a 100 è maschietto
D 100 - da 0 a 50 è Ishiba, da 51 a 100 Full Taijutser
D 100 - Da 0 a 80 è bambino singolo, da 81 a 100 gemellare
Sango tira un D100 e fa 27
Sango tira un D100 e fa 58
Sango tira un D100 e fa 65
La ascolta. Non ne ascolta solo le parole. Ascolta il suo corpo, le sue reazioni, la percepisce sotto le dita, fresca come una coppa d’acqua per un assetato per lui, che per ora, mantiene quel tocco fin troppo delicato. Rispettoso dei voleri dell’altra, forse, ammesso che siano questi, ma sicuramente non rispettoso dei suoi, percependo la parte più torbida e oscura di se picchiare contro sbarre invisibili autoimposte, come se quella pelle fosse un richiamo costante, lo è soltanto guardarla, figurarsi toccarla. Eppure si è permesso quel tocco, con la forza necessaria per ignorare quella parte di se, e con altrettanta forza si priva di quel piacere tattile, perché? Perché l’ha riavvicinata, e per ora tanto gli basta. È un tremito che lo coglie nell’allontanarsi, come se ogni polpastrello lottasse per restare su quella pelle. Arriva solo dopo quella prima parola da lei sussurrata, e se decidesse di tenere lo sguardo negli occhi neri di lui, non ci troverebbe la meschina felicità di averle dimostrato la sua debolezza. Come al solito, tra di loro non è mai un semplice parlare. È un riflettere. Ri-flettere. Cosa? Se stessi. L’uno nell’altra. Senza menzogna, ognuno consapevole tanto dei propri difetti e delle proprie debolezze, quanto di quelle dell’altro. In quello sguardo lei troverà la consapevolezza di Shinsei ad accoglierla senza giudizi. Sono sullo stesso piano. Lui le sta ammettendo di essere pronto ad accettare, da lei, qualcosa che fa male, solo perché proviene da lei. Lei ha ammesso che non riuscirebbe a separarsi da un contatto solo perché è da lui che dovrebbe separarsi. Simili anche in questo dunque. Custodi d’un legame ancora troppo violento per essere chiarito. Nudi entrambi agli occhi dell’altro. Non riesce ad evitare lui quei suoi inviti, non riesce a nascondersi lei da quegli occhi. Ed ecco che ci pensa lei, a sugellare prima ancora che con le parole, con i fatti, alzando la mano e cercando quel contatto. E lui? Fa altrettanto. Potrà sentirlo lei, sotto quel tocco, un leggero tremito della pelle rovente. Potrà sentire il respiro del biondo che, freddo in contrapposizione col calore della pelle, si spezza. Ma andrà avanti, perché lei può farlo, e dovrà farlo quando le reazioni non saranno così pacate. Andrà avanti e si renderà conto, l’Ishiba, che il tremito s’arresta e che, come è capitato altre volte, quel volto affilato, dalle gote quasi spigolose, austero e liscio. S’avvicina alla sua mano, premendo contro di essa. L’attenzione però è al volto di Sango. Che da quella posizione potrà godere del profilo appuntito altrui, e di uno solo degli occhi neri, che la cerca ossessivamente <Lo vuoi> schiuse le labbra, in quel sussurro che ripete le sue parole, per poi affilarsi in un sorriso che snuda la dentatura <Ti prendi sempre quello che vuoi.> Potrà mai essere un vanto poter toccare qualcuno quando il resto del mondo non può? Ma no, ovviamente no. È un segreto, piccolo ma enorme, custodito tra di loro non serve altro in fondo. Quello sguardo ora scorre sulle labbra schiuse di lei. Su quei sospiri spezzati, su quei brividi leggeri e mai scomposti che la attraversano, si nutre di quelle emozioni e non ne è mai sazio. La osserva rispondere affermativamente senza ancora aver capito cosa di preciso stesse chiedendo il biondo. E lui per adesso, rispetta quella indecisione lasciandola correre ai ripari, troppo incatenato a se stesso per approfittarne. Ed è anche arrivato il momento di finirla con le buone maniere. Giunto il bicchierino tra le mani, senza guardarlo, con lo sguardo immerso in quelo di lei, si godrebbe il suo nome accarezzato dalla voce di lei, prima di mandar giù, d’un sorso, tutto il sakè, piegando all’indietro la testa. Un ringhio gli suscita quel bruciore immenso alla gola, ma torna di nuovo sull’altra, abbassando il bicchiere. Nota un dettaglio quella goccia che scende lungo la guancia, fino al mento e, esto, andrebbe a frapporre la sua mano alla caduta, perché? <Ora so che non mi lascerai cadere.> Il riferimento è a quello che dovranno attraversare. Lui con lei al fianco. Nello sguardo che le rivolge la nera consapevolezza. Aveva bisogno di sentirglielo dire. Di sentirle manifestare la sua volontà di esserci. Non in chimono, in una stanza della sua casa, comodi e isolati. No, di esserci quando ne avrà davvero bisogno. Una consapevolezza tanto profonda da torcere le viscere del biondo, facendogli schiudere di nuovo le labbra. Mentre il dito che ha fermato quella goccia tenterebbe, se lei lo consentisse, di ripercorrere il percorso al contrario. Toccando col polpastrello il mento, per poi risalire fino alla guance e fermarsi a pochi millimetri dalle labbra, che tenterebbe di impegnare abbassando di poco il capo e schiudendo le sue, sottili, ma roventi, cercando l’umido contatto con quelle di lei, carnose ma più fresche. Si richiamano, impossibile non sentire quella loro energia, la stessa che s'accende immediatamente nel momento in cui si trova così vicina, ne può sentire l'odore, il respiro, lo stesso che fuoriesce dalle sottili labbra che possiede, li ove incede il proprio sguardo, li ove si sofferma..ma è la profondità di quello sguardo a farla tremare, la sua pesantezza, l'intravedere quella bestia relegata a quelle catene smaniare di uscire li e ora. Trema al solo vederlo, inconsciamente avvicinandosi di più al pericolo, cercando di liberarlo dalle sue restrizioni e poterlo rivedere, ancora e ancora. La mano che carezza quel viso, ne percepisce il calore , la pelle sotto le dita, il tremito al proprio tocco. Scivola come fosse cristallo , per non romperlo, per potergli carezzare le labbra e sentire il respiro sulla propria pelle . Un tocco che non si sottrae a nulla, che accoglie dolce il viso in quella pressione che egli mette ; ha deciso, hanno deciso. Lei, l'unica, lui, il sole. Toccarlo può bruciarla, scottarla, scende la mano al collo, percepisce il suo stesso battito in quel punto preciso, sente il petto sollevarsi per prender aria . Se ne nutre, come fosse la propria aria, come fosse la propria linfa vitale. Ne rimane incantata da quello che mormora, dalle labbra, dalla voce stessa, consapevole che egli l'abbia compresa in davvero così poco tempo < sempre > quello che vuole è lui, e finchè anche lui la vorrà li vicina, il loro egoismo avrebbe avuto sfumature ben più dolci, liete, violente. Non che sia vergine di rapporti umani, di corpi che s'uniscano, eppure qualcosa l'attrae ancor di più, quella sensazione strana allo stomaco, come se in quello sguardo possa davvero trovare qualcuno di perfetto. Perfettamente deviato, con inclinazioni macabre e letali. Si prende ciò che vuole. < e tu? > lo stuzzica, vuole farlo, vuole sentirglielo dire, ammettere quella sua essenza egoista che vede scorrere nel profondo dei suoi stessi occhi. Passa quel bicchiere, lentamente, fissandolo dritto in viso, senza farsi problemi di quel profilo, quanto più vederne l'espressione, il desiderio . Il proprio che viene dimezzato, scivola ancora un altro pò di quel liquore, scivola quella goccia cercando di morire ; la stessa goccia che viene recuperata, veloce da quella mano, vi annegherà, come annega anche lei nelle sue parole < .. > no, non lo lascerà cadere da solo, troppo egoista per poterlo fare, o lasciare andare. Sente il tocco sulla pelle, ripercorre la strada fatta, si inoltra sulle labbra morbide e le troverà schiuse, il calore che andrà a impregnarne il dito. Si tendono leggere, piume a baciare quel dito, prima di tentare di spostare quella mano con la propria, ed avvicinarsi al suo viso. Lentamente, dal basso, in attesa che si volti completamente verso di se. In quel momento proverebbe a porre le proprie labbra sulle altrui, un bacio dolce, casto, come le ali di una farfalla, li ove le azzurre muoiono, ove il cuore batte feroce < No > non lo lascerà cadere da solo. Un piccolo sigillo, per riaprire lo sguardo al mondo, per poterlo osservare da quella rinnovata vicinanza, ne ricerca lo sguardo, il desiderio, lui stesso e anche quella bestia. Si, prende tutto ciò che desidera.