Giocate Registrate

Giocate Disponibili
Calendario
Trame
Giocate Registrate

Kesareta Kako 消された過去

Free

0
0
con Fuji, Saigo

21:59 Fuji:
 Adesso si sente bene. Bene come un infermo che dorme e non sente i dolori; gli passano addosso come acqua che scorre i giorni. Si lascia illudere e vive l'apparente felicità del rinnovato senso di realtà e appartenenza a qualcosa. E' tutto così strano, ma la realtà gli appartiene certamente più del solito. E' lì, con un gomito poggiato su un tavolo ed il palmo dello stesso braccio che gli sorregge il mento. Le labbra son incurvate verso il basso mentre con un che di annoiato fissa il mondo attraverso la finestra di un treno. Tutto si muove. E sta lì in quel suo stato di semi-coscienza, angelicamente perfetto come se il suo cuore fosse morto. Ultimamente ha fatto cose che non faceva da un po': come divertirsi. Gioca bene a shogi; mangia, legge, dorme, passeggia, quasi presuntuoso. Peccato che non sia sempre e soltanto lui, ad agire. A volte è semplicemente quel suo atto dissociativo a spingerlo alla ricerca di qualcosa per riempire il tempo. Ironicamente, ci troviamo in un momento simile. L'illusione della mente si spezza. La faccia è animata nè dal sorriso dell'allegria, né dal silenzio della pietà. Un'espressione difficile da decifrare. E' immobile ad uno degli angoli del grande negozio di alimenti, con il capo un po' chino e gli occhi puntati sull'etichetta che descrive gli ingredienti di un tramezzino preparato. Non sta neanche leggendo. Semplicemente ha gli occhi puntati in quella direzione, con la mancina che sorregge il bastone della Shirasaya ed il proprio peso e la destra che tiene l'alimento osservato. I capelli corvini gli cadono di fronte impedendogli nel caso eventuale di veder bene quegli ingredienti. "ah-" le labbra si schiudono, facendo scappare un sussulto di sorpresa. Gli occhi si spalancano un po', fissa il tramezzino e poi il piano frigo da cui l'ha preso, vedendo di rimando da una superficie metallica il proprio riflesso. Guarda poi alla propria sinistra e alla propria destra, confuso come chi si sveglia di botto in un luogo nuovo. Ha indosso vesti nuove, che neanche ricorda di aver comprato. E' un abito sartoriale in lana vergine, dotato di una giacca a due bottoni, due tasche frontali ed una sul petto. Al lato è presente uno spacco e lungo i polsi ulteriori bottoni su cui son ripiegate le maniche. Il colore è simile a quello dei capelli di Aozora. Al di sotto porta un dolcevita bianco con collo alto. Certamente è elegante- anzi, per gli standard del Fuji a tutti noto, sembrerebbe persino cerimoniale. Solleva un po' il braccio che tiene il tramezzino e si sfiora la fronte col dorso, come stesse verificando qualcosa. Non è caldo, anzi. Sospira. Il tramezzino vien poggiato sul bancone di fronte e con la mano libera prende il telefono, guardando l'ora per poco più di dieci secondi. Ancora non è rientrato a casa. Continua a rimbalzare tra i genitori di Ryota e qualche Hotel. Non è che non vuole rientrare a casa, quella fase l'ha superata. E' semplicemente confuso. Viaggi nel tempo, faglie, Saigo... Aver salvato il mondo. Non lo crederà mai nessuno, ma l'ha fatto. Si fissa un po' le mani. Sente ancora in lui quell'energia. L'ha testato. Può portare indietro nel tempo le cose, in un certo senso. Se solo avesse avuto questo potere quando ha incontrato lei. Gonfia il petto, sospirando subito dopo. Non sarebbe cambiato niente. Poi, una realizzazione fulminea: non è un po' tardi, per fare la spesa? Ed in effetti ai suoi lati non c'è nessuna anima viva. Forse, alle spalle.. ? { chakra on }

22:17 Saigo:
 La sera prima non è rientrata, nessuno si è preoccupato. Alla fine per quanto il clan si consideri una famiglia lei non ne fa davvero parte, forse la stanza è ancora lì’ solo grazie all’intercessione di Haru, decisamente più amato e considerato rispetto a lei, quella ragazza sempre vista come un urgano di modernità, troppo vicina al consiglio e alle nuove abitudini per poter essere considerata davvero una di loro. Le piace vestirsi in maniera moderna, le piacciono le nuove regole e sembra fin troppo poco interessata al passato. Un clan che cozza in più punti con ciò che è lei ma nonostante tutto l’hanno accolta quando in lacrime e ubriaca si è presentata alla loro porta. Ora che il segno sulla gamba è quasi del tutto scomparso alla vista lei sta tornando alla sua normalità, a quel suo modo di vestire estremamente sofisticato. La sera prima è riuscita a lasciar andare tutto il suo odio, il dolore l’ha semplicemente abbandonata, relegato in un piccolo angolo della sua mente si sente finalmente abbastanza libera da poter tornare ad essere ciò che era, tendendo sempre a quel suo unico e malato equilibrio. Ciondola la testa lasciando che i capelli lasciati sciolti le si agitino intorno, una chioma color fragola che segue il rimo suggerito dalle cuffiette che nasconde sotto a quel mare colorato, la musica sparata nelle sue orecchie la isola dal mondo intorno e non la concezione del tempo l’ha persa. Il commesso dovrebbe averle detto qualcosa quando è entrata ma si è semplicemente limitata a sorridere ed annuire senza togliersi quella musica che rimbomba nella testa e l’anestetizza. Non le importa se ci sia qualcuno a guardarla, i suoi passi assomigliano a passi di danza mentre muove a ritmo tutto il corpo, deve comprare qualcosa per la cena e per questo si sta spostando tra una corsia e l’altra indecisa. Non ha proprio bisogno di fare la spesa ma deve comunque procurarsi qualcosa da lasciare nella camera, acqua, bevande e cibo spazzatura da spizzicare quando di notte non riesce a dormire. Per questo è lì e non si rende conto dell’imminente chiusa. Mostra quel suo finto senso di ritrovata libertà anche nei suoi abiti, gli anfibi bianchi che sono tornati ai suoi piedi, uno zainetto in pelle nera sulle sue spalle contenente tutto ciò che ha appena recuperato dal suo appartamento. Si muove come se fosse felice, come se stesse ballando sulle nuvole nascondendo la realtà anche a sé stessa, nascondendosi in una metrica di bassi profondi che le mandano il sangue al cervello, riff di chitarre graffianti ed una voce piena di rabbia, lascia che sia la musica ad urlare per lei. La minigonna in tessuto di galles rossa e nera sobbalza e volta ad ogni sua mezza giravolta, mentre le punte della suola in platica la tengono salda al terreno. Scopre parte delle gambe mostrando le calze a rete nere indossate sotto quelle parigine pesanti. Si sente forte per una volta o meglio: i vestiti la fanno sentire così. La cicatrice è del tutto invisibile. La minigonna è a vita media, inizia poco sotto al suo ombelico nudo lasciato scoperto da quel crop top a collo alto e maniche lunghe in lana nera. Espone il corpo mentre nasconde i sentimenti. Le forme vengono sottolineate ed esaltate da quell’abbigliamento mentre gli occhi sono stati truccati con una riga di eyeliner nero e del mascara, anche le labbra appaiono più rosse del normale, segno del passaggio di quel rossetto. Non è adulta ma vuole crederlo ed usa abiti e trucco per dare quest’impressione al mondo. Supera dunque la corsia degli snack arrivando in quella frigorifero, lì ci sarà la sua cena. Gli occhi aperti non si fanno troppe domande rispetto all’assenza di persone, anzi le piace essere lì sola. Svolta quindi lasciando che quella finta sensazione di felicità la pervada, lasciandola penetrare in sé fino al momento in cui non sarà davvero felice. Una giravolta, il piede sinistro che torna sul terreno e gli occhi incrociano un’altra figura, proprio mentre lui si volta a guardare indietro <NO> urla a causa del volume con le cuffiette. Pensa di averlo sussurrato. Si volta nuovamente, costringendosi a far finta di non averlo mai visto, mai incrociato. Intanto l’orario di apertura è stato ben superato e alcune luci vanno a spegnersi sui corridoi, resteranno solo quelle necessarie. Non ha sentito alcun avviso però. La musica rimbomba intorno a lei. Cerca solo la fuga andando a girarsi su sé stessa, tornando nel corridoio di prima e cercando l’uscita, persa per via di quella sensazione di panico che ora l’ha catturata

22:47 Fuji:
 Quasi una maledizione. Si volta lentamente assicurandosi che il perno principale di ogni suo movimento sia il bastone e conseguentemente il braccio meccanico. Se non fosse che sarebbe ancor più strano forse gli sarebbe più comodo andar in giro saltellando su una mano sola. Ma ora, non importa. Tutto è perduto. Merita questa vita di essere conservata? Sta continuando a domandarselo, ma la risposta sembra straripare non dalla propria mente ma dalle labbra di chi si trova praticamente di fronte al termine di quel giro. Manami. Saigo. Sì insomma, quella ragazza. Il capo si rizza come se avesse di fronte un animale rabbioso e dovesse mettersi in guardia. Un nodo di saliva gli si blocca in gola e va a piegar appena il busto, come a farsi un po' più stretto ed occupar meno spazio. Sono giorni che non può fidarsi di se. Per un momento un senso di tranquillità lo assale portandolo a credere di trovarsi semplicemente di fronte ad una visione non tanto dissimile da quella del treno su cui è solito viaggiare. Poi gli occhi si abbassano, incuriositi da quegli stimoli rinnovati: gli anfibi bianchi, la minigonna, le calze e le parigini. Poi, l'ombelico lasciato scoperto. La tranquillità accumulata svanisce come un castello di carte sul quale si soffia: Non se la immaginerebbe mai così. E' la prova di essere di fronte ad una delle poche cose del villaggio che non vorrebbe affrontare. Passa nella realtà una frazione di secondo, e lei sta già scappando nella direzione opposta. Percepisce una fitta al petto. Sapeva che sarebbe andata così. Viene punito per le sue rinunce. ed ogni impulso che tenta di soffocare lo ritrova nel proprio cervello, che germina e lo avvelena. Allora è ovvio, che agire sia un mezzo per purificarsi dal germe. Sì.. La sola via per liberarsi di un rimpianto o di una tentazione è abbandonarcisi. Resistere non fa che ammalare un po' di più l'anima del desiderio negato, rendendolo bramoso ed a volte anche mostruoso. Il bastone vien lasciato e la mancina tesa in avanti, come se avesse voluto afferrarla. Ma è troppo distante. Le labbra si schiudono, per pronunciare qualcosa, ma il suono soffocato in gola viene anticipato dagli eventi successivi: La maggior parte delle luci vengono improvvisamente meno. Le serrande distanti sono abbassate e alla vista son appena visibili alcune zone dei banchi frigo dove deboli luci soffuse illuminano i prodotti. L'atmosfera cambia repentinamente, portando le pupille ad allargarsi per recepir meglio ogni fotone e fonte di luce. Si vede poco, ma si vede. Avrebbe preferito diventare cieco, per la repulsione che adesso gli consuma le viscere. Si rende conto del quadro generale e gli vien naturale tirare un po' il collo alto della maglia indossata, sentendosi accaldato per la tensione crescente. Breve risata nervosa. Quanto può essere ironico il fato, ultimamente? Prima gli fanno apparir di fronte una faglia e ora questo. Ma se si aspettano che agisca solo perché avvengono queste circostanze... Si sbagliano. O forse no. La mente s'affolla di pensieri. Possibilità. Ed occasionalmente puro silenzio. L'ultima volta ha attaccato prima di essere attaccato. Ora? Deglutisce, finalmente. Stringe il palmo sinistro e si ritrova lento e senza bastone ad avvicinarsi agli scaffali più vicini. "Non puoi scappare" pronuncia, freddo. Da lui? Dal negozio? Non è chiaro. Passano troppi secondi per poter associare quanto pronunciato adesso al primo periodo. "Per le prossime otto ore non ci sarà anima viva in questa zona. Farai meglio a metterti comoda." Lui lo fa, accendendo la torcia del telefono, puntandola al soffitto e scivolando con la schiena lungo lo scaffale fino al trovarsi col sedere a terra.

23:02 Saigo:
 Ha le cuffie che pompano instancabile musica nelle sue orecchie, che continuano a caricarla e i passi si muovono, da una semplice camminata appena si spengono le luci diventa una vera e propria corsa. No, non può essere successo davvero, l’hanno dimenticata lì, non può essere chiusa lì e soprattutto non con l’unica persona di tutta Kagegakure che non vorrebbe avere intorno. Preferirebbe mille volte trovarsi lì con il killer. S’illude. Corre quindi fino alle serrande quando ormai è troppo tardi, da fuori le luci fioche arrivano fino alle casse e alla sua figura. Si spegne la musica. Silenzio per qualche istante, si volta sperando silenziosa e senza coraggio d’essere stata seguita questa volta. Le pupille si dilatano alla ricerca di qualcosa dietro di lei. Non si accorge nemmeno del silenzio che la circonda di quella musica che si è arrestata all’improvviso. I bassi sono spariti e quasi istantaneamente sostituiti con il battito del suo cuore che quasi impazzino le trapana la testa. Alcool? No. Non cadrà in quello schema, ne ha parlato la sera prima con Nene, non può permettergli di ridurla sempre in quello stato, deve trovare qualche modo per andare avanti. La mano sinistra va sulla ferita del braccio gemello, il palmo si poggia sul tessuto e lei fissa ancora quel corridoio scuro. Non la sta seguendo, non ci ha nemmeno provato. Forse è proprio vero che a lui non è mai interessata. L’ha usata finchè le è servita e poi si è limitato a buttarla via. Come mai non è più arrabbiata? Ora fa solo…nulla. Non sente proprio nulla in merito, non viene assalita dal dolore o dalla rabbia è semplicemente insensibile a quella situazione, è riuscita finalmente a nascondersi così bene dal dolore da non percepirlo più. Apre la bocca e riesce a respirare. Non le piace la sensazione, non riesce nemmeno a sentirsi forte è come se fosse appena stata anestetizzata e tutto sommato lo preferisce a prima, almeno adesso non sta annegando in un profondo mare, non viene trascinata verso il fondo. Non deve aver paura di nulla, lei ha la sua musica. Ah. Non la sente più, non c’è alcun rombo nelle sue orecchie, la mano destra si muove ora andando a rimuovere gli auricolari, eppure loro non lampeggiano di rosso, sono carichi. Perplessa le parole di Fuji giungono fino a lei. Non risponde. Può sempre chiamare aiuto giusto? Scosta lo zainetto così da poterlo andare ad aprire, senza troppa fretta adesso si muove, cercando prima di tutto la custodia delle cuffiette per riporle, prima meglio farsi salvare poi magari potrà anche riflettere sul perché si siano disconnesse le cuffie. Eccola quindi estrarre il cellulare, schiaccia il tasto di sblocco e si aspetta di vedere il suo salva schermo. Niente. <porca puttana> sbotta verso il suo telefono. Non c’è astio in quel tono che appare solo estremamente apatico. Il telefono è scarico, poteva anche arrivarci prima, la sera prima si è fermata da Nene e non lo ha caricato, la giornata passata a lavorare come attrice per tenersi impegnata anche nel giorno libero ed eccoci qui, senza nemmeno la speranza di venir salvata. Si abbatte ma sul volto non cambia nulla. Ripercorre semplicemente la strada fatta per arrivare fino a lì. Passo dopo passo l’altro potrà sentirla, ad un corridoio di distanza, percorrere quei passi per poi fermarsi. Proprio alla sua altezza solo dall’altra parte di quello scaffale. Arresta il passo e senza nemmeno saperlo imita il movimento decidendo di sedersi a terra. Mo come le occupa otto ore? Evitarlo non è un problema, lui non sembra interessato a seguirla o parlare quindi basterà stare zitta ma per il resto, beh non sembra così comodo dormire a terra. Si perde e si concentra in quelli che sono problemi effettivamente più tangibili di tutto il resto e cerca una soluzione nel suo piccolo mondo

23:35 Fuji:
 Sembra oscuramente conscio delle influenze nuove che operano dentro di lui. L'ha capito, che son nate da se stesso. Sarebbe anche esagerato parlare di influenze, il termine stesso le fa sembrare troppo estranee. La verità è più pungente. A seguito di quelle poche parole dette a Saigo, dette a caso, senza dubbio, piene di un voluto paradosso, si ritrova a toccar con la schiena uno di quei lunghi scaffali che adesso ospita dalla parte opposta anche la fragolina. Nessuna parola rivolta a lui. L'ha dato davvero per morto. Col suo tipico sorriso sottile e penoso fissa un reparto frigo posto dall'altra parte della stanza. Tace. Finge un po' di essere interessato da ognuno di quei prodotti, passando il tempo a leggere silenziosamente un'etichetta e poi l'altra. In realtà, tra uno spiraglio e l'altro dell'indifferenza, si sente soffocare. L'aria non è sufficiente per due persone. Sta perfettamente immobile. Le labbra rimangono socchiuse e gli occhi brillano di rimando delle soffuse luci bianche. Gli occhi stanno per un po' persi, sognanti e languidi. Non farebbe grande fatica a vedersi scivolar di dosso otto ore. E se fosse rimasto solo all'interno quel tempo sarebbe durato poco più di un battito di ciglia, due, forse tre. Ma dopo qualche minuto si sente trasalire, con lo sguardo intimorito di chi si sveglia di soprassalto. Perché il tempo deve rallentare adesso? Sembra tutto fatto per fargli un dispetto. Il turbamento interiore agita lo scarlatto delle sue labbra, facendole tremare. Se ne accorge. Gli da fastidio. Ad un certo punto, silenzioso, s'acciglia e poi affaccia il capo indietro, provando a vedere tra gli spazi che lo separano. E' ancora lì? E se si fosse resa conto del suo sguardo? Si sente umiliato e si vergogna di esserlo. E ancora: cosa c'è da temere? E' assurdo essere spaventati. Ed è vero. Reazione. Si solleva in piedi con l'ausilio della mancina, muovendosi poi lentamente e riducendo le distanze da Saigo. La luce della torcia è rimasta indietro. Sembrerebbe muoversi verso di lei, ma infine il suo sguardo si posa su ciò che riposa negli scaffali. Afferra un pacchetto di patatine, quelle in tubetto. Prova a leggere il prezzo affilando lo sguardo ma l'oscurità è troppa per quel piccolo testo. "chi se ne fotte" pronuncia, sollevando entrambe le spalle ed aprendo il tubetto. L'odore di Paprika gli arriva alle narici, come qualcosa di nuovo. In un primo momento corruga la fronte, indeciso. Del resto, Fuji non è solito mangiare altro che cibo freddo e terribile. Le uniche vere concessioni fatte son la birra. Poi ne mangia una, e poi l'altra. Dopo la terza si ferma, sospirando. "..urgh" Non gli piacciono tanto. Il tubetto viene allungato un po' nella direzione in cui si dovrebbe trovar lei, con fare pigro. "Le vuoi? Io cerco altro. " Un paio di patatine cadono dal tubo e finiscono in terra. Attende qualche istante, con la mano tesa, pronto ad avanzare di pochi passi per avvicinare le patatine o, in caso non ci fosse risposta o esito negativo, si piegherebbe per poggiare l'oggetto in terra. Con la stessa tranquillità con cui offre il cibo continua a parlare, senza cercar sguardi ma semplicemente altri alimenti. "Quindi, mi hai ucciso" Borbotta poi a bassa voce i nomi di alcuni prodotti, delle etichette, muovendosi lentamente da uno scaffale all'altro. Tira in aria una freccia. Chissà se colpirà il bersaglio. {tag soliti}

23:49 Saigo:
 Il tempo passa estremamente lento in quel luogo mentre il nulla più assoluto la invade. Si sforza di non occuparsi di quello che potrebbe o meno succedere alle sue spalle. Lei non è uno zerbino, lui non può trattarla come meglio preferisce, ferirla e poi continua ad aspettarsi che resti, Ha detto basta, deve solo procedere lungo quella convinzione, una strada tracciata che bisogna solo seguire, in questo è brava, ogni mattina decide la direzione da prendere e la segue fino a sera, lo fa da anni ormai non può smettere adesso, lui non merita certo questo. Allora perché le da così fastidio che non l’abbia seguita, che per l’ennesima volta l’abbia abbandonata a sé stessa, non ha paura del buio, non più almeno ma da piccola sì e allora perché non è corso da lei ad aiutarla? Non lo farà mai e deve entrare in quest’ordine di idee, smetterla di farsi stupide illusioni. Non sa nemmeno quanto tempo passi mentre cerca di convincersi, di continuare senza di lui, di sforzarsi ad ignorare l’altra presenza. Preferirebbe essere sola. Nene ha parlato di colpa condivise ma non sono queste ad avere il sopravvento, la verità è che si sente in pericolo in quel posto, non al sicuro e non protetta. L’unica innegabile verità è che il suo carnefice è proprio lui e non potrà mai dimenticare questo semplice dettaglio. Lui l’unico a cui può accettare di essere legata e al tempo stesso l’unico a ferirla. Si alza l’altro, la raggiunge. Il volto va a dirigersi in sua direzione, gli occhi con le pupille dilatate a cercare la sua ombra, forse si stava sbagliando, alla fine ha scelto lei. Per un istante ci crede, il cuore batte e la speranza la domina per poi vederlo fermarsi davanti alle patatine. Ovviamente. Gli occhi nel buio si erano illuminati grazie a quella speranza che ora va a spezzarli, tornando a farli apparire semplicemente apatici. Nasconde il dolore, lo seppellisce sotto quanta più terra possibile, mentre nell’ombra la bocca s’incrina come lo sguardo lei torna a fissare davanti a sé, non lo sta ignorando sta solo cercando di lasciare che quella sofferenza svanisca ed il modo più semplice è non osservare il coltello che l’ha appena trapassata per l’ennesima volta. Ma eccolo parlarle, torna a guardarlo, il tubo inclinato verso di lei, le patatine che cadono, come a rallentatore segue quelle due piccole ombre che ora sente così affini a lei. Prende qualcosa che non è suo e quando decide che non va bene semplicemente rompe e abbandona, proprio come sta facendo con il cibo <allo scarto il cibo di scarto> replica parlando più a sé stessa che altro ma senza preoccuparsi di non farsi sentire. Allunga la mano destra verso il tubo, infondo è ciò che merita, solo lei può capirle perché anche lei è stata trattata nello stesso modo. Raccoglie così il suo avanzo e se lo porta davanti al grembo. Aveva fame, prima di essere sommersa da quel nulla che la sta aiutando a combattere la tristezza, il cibo ora le provoca quasi la nausea, lo stomaco completamente chiuso. Fissa nel vuoto davanti a lei <se hai intenzione di passare otto ore a ferirmi almeno prendi un coltello> secca, spietata ma stufa. Ottimo dovrà subire una tortura infinita, se almeno avesse il coraggio per farla semplicemente finita si risparmierebbe del dolore che sotto sotto è comunque convinta di meritarsi.

00:19 Fuji:
 Quel sentimento s'accumula in lui ad ogni passo. Ad ogni confezione e snack che vien passato e rifiutato. Non gli piace nulla, di quello che vede. Anzi, a dire il vero sente quel sottile desiderio di dar semplicemente fuoco a quello scaffale per non dover più vedere nulla. Patatine, dolcetti, salatini vari: rivoltante. No, forse non si tratta semplicemente del cibo lì presente. Si ferma un momento e punta gli occhi sullo scaffale distante, dove prima c'era il tramezzino. Sembrava buono, ma pensarci adesso gli causa lo stesso disgusto. La stessa insofferenza. Perché Saigo si sforza così tanto di non voler essere forte? Chi se ne fotte. Scuote un po' la testa. Terribile. Passa distrattamente davanti ad un vasetto di strutto, il solito che compra ogni volta che deve compier un pasto solitario. Non è che gli piaccia, ma non lo odia neanche. Invece, in questo momento, non sopporta nulla. Se ne rende conto quando l'altra pronuncia un primo periodo e poi procede ad afferrar quel tubo. Autocommiserandosi. Riconoscendosi uno status di scarto. Il tempo rallenta ancora, quasi a fargli beffa. Sono lì immersi in un etere sublimante, accompagnati da polvere di paprika che diventa visibile quando fatta svolazzare sotto le poche fonti di luci lì presenti. Il viso di Fuji, quando più facilmente visibile, mostra il suo pallore diffuso. Carico di profumi autunnali, spenti, un po' tristi, come lui. Opprimenti. Ha vissuto più nell'ultimo mese che negli ultimi dieci anni. Sembra che nessuna delle sue lunghe settimane di dolore eguaglino in acutezza quel che ha provato nell'ultimo periodo. La testa si perde, nauseata. Qualcosa di oscuro gli brucia dentro, come infezione che gli contamina sangue e anima contro ogni volontà e ogni rimedio. La mano sinistra poggiata sullo scaffale in legno preme di più, incontrollata, incrinando il legno e facendo cadere un paio di buste a tubetti a terra. Quel momento è abbastanza impetuoso dal farlo poi muovere ad ampie patetiche falcate, per portarsi esattamente di fronte a lei. "Ridammele." Allunga di nuovo la mano, senza vederla neanche tanto bene, verso quel tubetto di patatine precedentemente lasciato. E se non fosse bastata quella richiesta allungherebbe spontaneamente la mano e piegherebbe il busto per provare ad afferrar se non il tubetto stesso - alcune delle patatine. Se riuscisse a prender anche solo le patatine, andrebbe a sgranocchiargliele di fronte. Basterebbe un tocco inaspettato da qualsiasi direzione per farlo cadere, messo com'è. Potrebbe essere buon indicatore dell'impeto di quei movimenti. "Basta che chiami qualcuno. Con il potere che hai puoi ordinarmi di darti il telefono. " Un cenno del musetto fiero vien rivolto all'altra parte dello scaffale, dove posa ancora il dispositivo elettronico abbandonato. La torcia è accesa. Chissà che non stia scaricandosi lentamente anche quello.. Ma a lui, di certo, non importa. "Puoi fare quello che vuoi, in realtà. Ti basta ordinarmelo." ... Il tono s'empie di un che di sprezzante. "Smettila di sentirti uno scarto quando non lo sei.." E se fosse arrivato fin qui, tornerebbe dritto con la schiena, col tono che scemando perderebbe anche la volontà di pronunciar qualsiasi cosa sarebbe potuta seguire. Non è neanche arrabbiato con lei. Con tutto, sì. Con lei, non particolarmente. "Se vuoi spacco una parete e corri via. Non rovinerà neanche la tua immagine. Non subirai un minuto in più di tortura se ti fa così schifo."

00:34 Saigo:
 Non si sforza nemmeno di comprendere la mente altrui, non lo fa più e per quanto vorrebbe tenersene fuori torna all’attacco. La sua gentile richiesta d’essere lasciata in pace a quanto pare non ha portato a nulla, figurarsi. A quelle parole sprezzante torna ad allungare verso di lui il barattolo di patatine, così ricomincia quel gioco in cui come un bambino gelose da e poi toglie. Le ha deto attenzioni per poi toglierle ed ora anche con il cibo. Non vuole provarlo a capirlo troppo ferita da tutto quello che si sono scagliati contro con rabbia. In questo momento è solo apatica e stanca di dover star male per lui, lo osserva in quella penombra. Non se lo merita. Il pensiero la sfiora solo una volta, un singolo istante e poi svanisce esattamente com’era arrivato, se lo merita. Tace e lo osserva <oh ora ti offende anche il mio lavoro non solo il mio nome> le parole di Nene le ricorda sin troppo bene, era lucida quando le è stato spiegato come ciò che è diventata potesse averlo ferito. Certo ancora una volta è lei a sbagliare, lei che fa male e deve pentirsi, mai il contrario, mai che possa aver bisogno di un posto in cui stare tranquilla e al sicuro, in cui sentirsi capita e accettata. Deve mostrarsi forte, lui è l’unico a conoscerla davvero e sembra anche essere l’unico a non volerla più intorno, sì lei se lo merita alla fine è un mostro. Debole, incapace ed egoista a quanto pare. Tace continuando ad ascoltare quelle parole ma andando adesso a fissare il nulla davanti a loro. Piega le gambe, le stacca da terreno e porta le ginocchia verso il suo petto <forse è perché mi tratti come se lo fossi> non vuole spiegarsi, non vuole nemmeno provare a cercare un chiarimento perché poi questo darebbe a lui il potere di ferirle nuovamente, eppure perché parla? Non si arrabbia però, nemmeno con sé stessa, ogni singolo sentimento viene trascinato in quel nuovo baratro di silenzio e apatia. Sempre meglio che star male, continua a ripeterselo come un mantra. Non risponde infine a quell’ultima provocazione, solo va a cercare lo zainetto nel buio, tastando al suo fianco e poi ricordandosi di averlo ancora dietro alle spalle <puoi anche andartene da solo comunque, non mi aspetto niente da te> offuscata dall’alcool fatica a ricordare le sue ultime parole di quella sera, le imputa semplicemente alla stessa stupida speranza che le ha fatto credere che fosse arrivato per salvarla, per mettere fine a quella stupida litigata, che poi stupida non è. Lo stomaco brontola mentre lei finalmente va ad aprire la zip dello zaino. Non ha fame eppure il suo corpo non sembra essere d’accordo <adesso hai Nene> glielo sputa in faccia mentre fissa il buio nel suo zainetto in pelle <non ti servo io, parla con lei, chiama lei e poi buttala come hai fatto con me> “ti voglio bene” non può averlo detto davvero, altrimenti non le starebbe facendo tutto questo no? Potesse scappare lo avrebbe già fatto, fissa la direzione di quell’uscita ormai coperta dalle grate, non può. Tace e torna a cercare chissà cosa chiusa nel suo silenzio. Non fa male parlarci, forse è davvero riuscita a seppellirla. In quella posizione la chiave di casa di Fuji si intravede appesa a quella collana, più lunga del croptop spunta appena sotto ai suoi abiti, ecco la conferma di come non sia riuscita ad ucciderlo ancora

01:07 Fuji:
 Ode quel dire, ed ha nel cuore una fitta. Fastidio. Sarebbe meglio non averne uno. Ripone nella vittoria una vaga speranza. Ma è ben più grande l'ombra proiettata da Saigo. Nella sua immaginazione non gli rimane che andare avanti e combattere, come se la guerra contro Oto e poi contro le bestie non fosse mai finita. Si tradisce da solo con quell'alternarsi di pugnalate che facilmente gli si ritorcono contro. Ed al primo dire altrui il viso si contorce in un misto di confusione ed impeto, con le pupille che nonostante l'oscurità si dilatano rendendogli un po' più arduo trovar espressioni tra le ombre. Il naso s'arriccia ed è rumoroso il momento nel gonfia la sua cassa toracica. "Se avessi saputo la strada che ti sta facendo intraprendere non ti avrei mai suggerito di denunciare la kunoichi del vecchio Mondo. Che te ne fai del potere in questo stato" pronuncia successivamente, ricordandosi dell'Ishiba che ha accolto per breve tempo da se e poi lasciato andare in giro per il villaggio. Se l'avesse saputo si sarebbe accorto di fermare sul nascere qualsiasi evento. Anzi, preso dai sentimenti attuali, avrebbe chiuso la porta dal principio. Dal punto nel quale tutto ha avuto inizio. In questo modo non sarebbe entrato assolutamente nulla. Nessuno. Niente. Che se ne fa di qualsiasi cosa, lei. E lui. Forse non avrebbe dovuto chiudere quella prima faglia. Forse non è fatto per essere un eroe. Dovrebbe semplicemente guardar tra le cuciture delle sue vesti e trovare il suo vero scopo. Ma ora c'è buio, meglio evitare.. Schiocca la lingua sul palato, nervosamente. "Perché non vuoi che nulla cambi? Di cosa hai paura? Può essere peggio di come sta andando adesso? Sei rimasta delusa perché il tempo è tornato a scorrere? Perché" Perché. La domanda successiva gli muore sulle labbra, tornando nello stomaco con l'ingoiarsi di un nodo di saliva. Ha le patatine ma non si vuole spostare. Lo avrebbe fatto, prima. Adesso la situazione sta prendendo nuovamente quella stessa piega emotiva. Eppure aveva visto il Gran Carro, quella notte. Non sarebbe dovuto essere felice? Alle stelle importa davvero qualcosa? Non vuole neanche pensare alla possibilità che così non sia. Sarebbe troppo deludente, dopo tutto questo tempo. E a Saigo? Importa? La fissa. Ma la risposta giunge da sola. Non si aspetta nulla da lui. Stilettata al petto. Non fa male. E' solo fastidiosa. Combatti. Si lascia cadere a terra, esattamente di fronte a lei. Il sedere batte sul pavimento e con le mani s'aiuterebbe per incrociare le gambe lì. Con le loro gambe distanti pochi centimetri. "Ti volevo fare un favore. Io non ho fretta." Pronuncia, tenendo gli occhi aperti e fissando le ombra a lei appartenenti. Fanculo il muro e l'intero negozio, dicono quelle pupille ardenti di nero. Anzi, se solo ci fosse più luce, si scoprirebbe che quell'auspicio è rivolto ad ogni cosa. "Nene ha visto qualcosa di brutto, di mio. Ha esagerato e mi ha chiesto scusa. Ho provato a ucciderla. " Rivela un dettaglio inquietante di quella serata. " Poi, mi ha fatto capire tante cose. E allora sono venuto da te per darti quella." Vede il luccichio della chiave. "Ora mi evita. Lo fa perché ho fatto qualcosa di cattivo. Tu, invece, sei sparita. Sei sparita perché ho provato a spezzare le catene che mi imprigionano al passato. Non perché ti ho fatto del male." ... " Mi hai ferito. " .. "Mi hai ferito quando ho provato ad essere forte. Mi preferisci debole?"

01:25 Saigo:
 Lo sguardo cerca di evitarlo, meglio così, meglio cancellare e restare lì come se fosse fredda pietra, che senso ha provare dei sentimenti quando poi finisce sempre per soffrirne? La pietra, sì a quella dovrebbe ispirarsi, non si lascia toccare e non muore mai, diventa sabbia, sempre più piccola ma sempre lì, resiste a tutto e tutti, persino al tempo di cui si beffa erodendosi. La pietra non piange e non ride ma non si distrugge. La pietra li salva e li uccide ed è questo che dovrebbe essere lei, come pietra e pietra stessa. Il pensiero si perde e dimentica cosa stava cercando all’interno del suo zainetto. Come spesso fa si scherma grazie ai capelli che ricadono intorno al volto piegato tra le sue gambe, fissa il vuoto e si nasconde lasciando che il suo corpo le faccia da scudo <sono i forti a sopravvivere> cosa se ne fa del potere? Si deve ancora opporre al dio, la sua lotta non è finita e probabilmente mai lo sarà, quella voce la tormenta giorno e notte, nessuno potrebbe capirla, nessuno la prenderebbe sul serio, le darebbero della pazza e allora eccola nascondere tutto, tenerlo solo per sé e continuare a lottare ostinandosi a nasconderlo, lasciare che le paure si sommino, che la soffochino la notte. Deve diventare forte per potersi sottrarre a questo giogo, deve almeno provarci perché l’alternativa è solo quella di mettere fine alla sua esistenza. Tante parole si fermano nella sua gola, quella spiegazione si blocca <non pensare di sapere cos’è meglio per me, non osarlo> dovrebbe essere arrabbiata, dovrebbe odiarlo e invece il tono risulta monocorde, senza alcuna inflessione particolare, spenta e stanca. Le domande però si accumulano dall’altra parte, lo sente sedersi e alza lo sguardo che vaga al buio verso l’ombra che dovrebbe appartenere al ragazzo <perché quando cambiano vanno peggio> apre appena le braccia ora, come a volergli far notare la realtà di quelle parole. Le cose sono cambiate e di certo non in meglio per lei, anzi. Se tutto fosse rimasto semplicemente immobile nel tempo lo avrebbe accettato, sarebbe andato bene per sempre. Possibile davvero che debba spiegarlo? Nessuno riesce a comprendere un concetto così semplice, si chiama paura di star male ancora. Terrore di rivivere lo stesso circolo per tutto il resto della sua inutile vita. La conversazione continua ascolta davvero le parole su Nene, senza commentare, senza mai giudicare proprio come è da sempre abituata a fare con lui e con gli altri due che si rifiuta di definire amici, semplicemente quelle parole vanno nella sua testa le comprende e le tiene per sé, perché è sempre lei ad ascoltare? Non parla e non ribatte, infondo fa l’unica cosa che è in grado di offrire al momento: ascolto incondizionato <sono sparita perché mi hai abbandonata> spiega semplicemente <non ti sei chiesto cosa potessi provare io, mi hai usata come una delle tue marionette e quando ho deciso di lasciarsi usare tu mi avevi già abbandonato> lo ha ferito? Le spiace ma sanguina troppo per dirlo, orgogliosa sotto a tutto questo mare nero <se la tua forza significa pugnalarmi più e più volte allora sì ti preferivo debole. Ma la realtà è che sei ancora debole> una pausa, il silenzio che breve interrompe quel complesso discorso <perché non puoi considerarti forte se per farlo hai dovuto spingere me a fondo. Io ti ho ferito? Hai mai pensato cos’hai fatto tu a me? Dai attaccami ancora, spingimi ed uccidimi ancora, così ti sentirai forte no?> esce tutto di getto, tutto d’un fiato e ciò che le è chiaro e quanto lo creda davvero, non vede la forza di un tempo in lui, solo la debolezza. Prima era pronto a lottare al suo fianco adesso è pronto a schiacciarla pur di emergere ed in questo ci vede solo debolezza lei

02:02 Fuji:
 Non ha nessuna volontà di guardar fisso dritto. Volta lo sguardo, cercando finestre e spunti per affacciarsi al cielo: ma non c'è nulla. Chissà com'è, il cielo. Se dovesse immaginarlo, sarebbe chiaro ma velato, simile a un tessuto di perle. Però le nuvole lo coprirebbero di certo, gelose. Sogna un poco. E' piacevole. Ma si sveglia subito. Quali sogni? Gli occhi di Saigo lo perseguitano. Cavi, lunghi e stretti, con le palpebre abbassate, di sotto a cui guardano con fare affascinante, mite come una colomba ma obliqua come una serpe. Deve essere prudente. "E' per questo che hai tentato di morire di sanguinamento?" Chiede, sollevando un po' il mento e fissandola. Motivazioni. Comprensione. Turbamento indefinibile quello provato, che svegliano nelle orecchie e nell'anima un'inquietudine e una curiosità non appagabili. Eterno pozzo di felicità: non può essere riempito. Grandi correnti d'acqua possono dar breve illusione, ma niente di più. Conquista la propria volontà con la logica, l'intelletto, senza tregua, combattendo sè stesso. Parole, sguardi e moti gli entrano nel cuore, superandolo. Prova violenza irragionevole verso quelle frasi, verso parole che potrebbero rivelare la su debolezza. Si salva prodigio: stando zitto, agitato da un terribile tremito interiore. Ogni volta che le labbra si schiudono gli par che una fiamma corra sotto la pelle del viso, quasi simile a chi sta per arrossire. Ma il viso rimane pallido. Sarebbe perduto, se cedesse. "So cosa è peggio per te." Pronuncia, senza prender la palla al balzo ma attendendo che quella frase venga ripassata nella mente cinque o sei volte. La fa passare attraverso un immaginario scan che neanche funziona così bene. "Anche io sono sparito perché mi hai abbandonato." Ha seguito una scia familiare. E seppur nei confronti di se stesso sta ancora viaggiando lontano dal quarantottesimo piano di quel grattacielo. E' molto più accogliente la casa del fu Ryota. Qualsiasi cosa, è più accogliente. Non riesce neanche a recuperare Aozora. "La realtà è che non mi vuoi vedere debole. Hai pensato di volermi forte abbastanza da non soffrire e quando lo sono stato hai fatto finta di poter continuare come prima. " Gli occhi rimangono aperti, pronuncia quelle parole prendendo più coscienza di sè. E' debole? Non gli ha mai dato fastidio. Va bene, essere deboli. E' fantastico. Eppure, la forza viene richiesta. Nene l'ha spinto a rendersi forte. Saigo l'ha spinto a rendersi forte. "Non hai mai pensato che a me andasse bene affogare nella mia merda. E dopo che ti sei ferita per tirarmi fuori me ne fai una colpa." Pronuncia quelle risposte, non più sferzate ma solo parole. Con punti di vista e colori. Non gli interessa più causarle dolore, ma se è quello che finirà per fare allora non avrebbe potuto prevenirlo comunque. "Per cui: Grazie. Perché mi hai aiutato. Ma fottiti, perché mi hai lasciato dove la merda è più profonda. " ... "Spingerti e ucciderti, poi. Quando tutto ciò che ho fatto è stato pensare per un minuto di volerti più vicina. Non dovevi sparire. Non sarebbe successo niente. Sarei tornato indietro, come ho sempre fatto. Perché sono debole." Un mollusco.

21:17 Saigo:
 Quanto tempo sarà passato? Non ha modo di scoprirlo e per la prima volta in vita sua vorrebbe tanto possedere uno di quegli orologi da polso da poter consultare, scoprire che magari parte di quell’inferno è andato, magari manca poco oppure, come teme, il tempo nella sua mente è addirittura rallentato e il peggio deve ancora arrivare. Per quanto però non ami la situazione e l’idea di restare lì inerme sotto i colpi altrui comunque ringrazia in parte quel destino beffardo che li ha fatti ritrovare. Non lo avrebbe mai cercato e avrebbe continuato solo a soffrirne, vederlo è comunque un modo per andare oltre, avanti. La speranza di contare ancora qualcosa è sempre lì e aspetta le parole giuste per nutrirsi e crescere. Ascolta quindi tutte quelle parole, facendosi scudo con la nuova patia che la protegge, quel muro spesso costruito intorno ai suoi sentimenti per non venir ferita. Nella sua mente solo i ricordi confusi di quella sera, non percepisce il dolore dell’epoca ma può vederlo distintamente sul volto, in quei sorsi di birra fatti solo per far tacere il casino nella sua testa, le urla che avvolgendola lungo le caviglie e per tutte le gambe la stavano trascinando a fondo. Non che abbia funzionato bere ma in qualche modo si è convinta che sia stato meglio così, senza alcool non avrebbe saputo reagire, senza quella piccola spinta si sarebbe limitata a soffocare morendo annegata senza opporsi, ci ha provato in qualche modo a lottare, a sottrarsi <se avessi voluto morire> le parole escono senza nemmeno riflettere su quanto sia corretto o meno mostrare di sé stessa, si apre illudendosi che quello scudo intorno al suo cuore la protegga al punto da non dover temere d’aprir bocca. Le labbra nell’ombra si schiudono lentamente con la gola che si contrare facendo vibrare le corde vocali così da articolare quelle parole talmente dure da sembrare artificiosi pur non essendo mai stata così sincera <non te ne saresti nemmeno accorto> se si fosse semplicemente uccisa come avrebbe dovuto lui non avrebbe nemmeno trovato il cadavere <non ti saresti mai preso la briga di venirmi a cercare perché non ti sarebbe interessato. Mi hai vista solo perché io sono venuta da te> già, voleva solo sistemare le cose, aveva trovato il coraggio di assecondarlo, andare oltre. Pronta a lottare per un legame che è stato poi reciso nel peggiore dei modi <sarei morta da sola e tu avresti passato il tempo a darmi della bugiarda senza accorgerti che avresti potuto fermarmi> mentre litigavano a parlare era la rabbia, la disperazione. Adesso tutto questo è superato, non ha remore dei suoi sentimenti perché non riesce a percepirli, non le interessa continuare a proteggerlo dalla verità, si dichiara forte ebbene allora potrà sopportare la profondità della sua disperazione, potrà osservare il baratro in cui vive ogni giorno senza problemi. Alla fine, lui l’ha già buttata, come potrebbe andare peggio? <non mi sono pentita d’essere corsa da te. Sono corsa da te quando eri nella merda ma tu non sei mai stato disposto a vedere me nella stessa situazione, dici che io ho fatto finta di niente?> è vero, ha ragione <l’ho fatto per non farti provare il senso di colpa che mi porto dietro da dieci anni> il senso di colpa per non essere stata abbastanza forte da salvarlo anche prima <l’ho fatto per proteggerti> non ha problemi a metterlo davanti alla contorta verità nella sua mente. Resta immobile mentre parla lasciando che l’aria passi attraverso i suoi polmoni, muova le delicate corde di quell’arpa che ora sta producendo suoni stridenti come la verità <tu invece hai guardato te stesso e i tuoi desideri abbandonando me. Ti sei mai chiesto se nuotassi nella merda? Ti sei mai chiesto prima perché non riesco ad uscire?> semplice. Lui conosce gli attacchi di panico che la colgono quando pensa di dover affrontare l’esterno <no tu mi hai solo spinta ad affrontare le mie paure, come se fossi una bambina ma non hai mai provato ad aiutarmi> chiude lo zainetto adesso. La zip è l’unico suono che si sente provenire dalla sua direzione e poi sposta il peso sulle gambe, contrae gli addominali per mantenere l’equilibrio ed infine si alza. Lo sguardo che punta verso i suoi piedi <tu non hai mai provato a volere me più vicina, volevi solo l’idea che ti sei fatto di ciò che sono>… non si muove, quasi non respira <io invece ho sempre voluto ciò che sei al mio fianco, ho sempre guardato la realtà> non ha bisogno di dire altro. Sta chiudendo? Non lo sa nemmeno lei. Se non fosse per quel profondo senso di distacco ed apatia che prova probabilmente non avrebbe detto nemmeno una parola invece ora lo fa avvicinare allo strapiombo, la fossa che si è scavata è ben più profonda di quello che lui può notare dall’alto di quella montagna, ma gli mostra la strada. Un fondo non esiste ancora ma almeno potrà farsi un’idea, seppur minima, di cosa significhi essere Saigo

21:50 Fuji:
 Gli occhi si abbassano sul tubetto di patatine appena recuperato. Gli occhi scuri ci si abbassano, fissando l'involucro interno in alluminio e impegnandosi per provar a discernere il fondo in mezzo alle patatine alla paprika presenti. Le palpebre superiori e inferiori si abbassano e alzano rispettivamente, aiutandolo a metter a fuoco quell'immagine. La mano destra, precedentemente sul fianco, vien appena sollevata ed il gomito piegato per tentar con medio e anulare di scostare le patatine per aiutarlo in quel compito totalmente personale. Un lungo capello nero cade dritto e senza la minima oscillazione in mezzo alla sua visuale, rendendogli un po' più arduo il compito ambito. Il mento s'inclina un po' e poi l'intero capo vien piegato leggermente sul lato sinistro. Ed incastrando le dita in quel tubetto scende, millimetro dopo millimetro, scostando e spaccando alcune di quelle chips. Supera appena la metà del tubetto, prima di poter comprendere che non c'è alcun modo per arrivare a fondo utilizzando semplicemente le dita. Due secondi dopo rialza lentamente la mano, ritrovandosi semplicemente le dita piene di paprika. Gira vertiginosamente lo sguardo tra il suo arto e l'oggetto d'interesse. Cattiva notizia. L'effetto dell'arsura dello spirito sta finendo, lasciandogli la stessa sensazione di vuoto che lascia la consumazione di troppo poco alcool. Si ritrova così a sollevare un po' il mento, incrociando le iridi con quelle di lei. L'aria è limpida e particolarmente fredda, forse per la presenza di tutti quei banchi frigo. Persino il suo appartamento è un po' più comodo di così, il che è tutto un dire pensando al disastro di quella località. Quegli occhi rossi lo seguono ovunque e l'udito è empito di quella voce. Non c'è molto scampo, dalla situazione. Neanche la grande Zanbato di Aozora potrebbe far qualcosa. Più che la morte, gli si para davanti l'annientamento. I ricordi perfetti ridotti in cenere e vaporizzati, spazzati via. Un orologio distante batte il cambio dell'ora, e quel suono sembra averlo stranamente rinfrancato. Le labbra rimangono schiuse ma non c'è più un suono in particolare che vuol uscire, solo fantasmi isolati che proclamano verità inudibile. Non è facendosi sentire che quei fantasmi avrebbero salvaguardato il retaggio delle memorie. La mano destra va finalmente ad esser portata su quella costosa giacca indossata, sfregandoci sopra palmo e dorso più volte per scrollarsi la paprika. Con ausilio successivo della mancina rimuove i granelli di polvere rossastra residui, ben visibili, lasciando che alcuni cadano a terra e che altri si mettano in contrasto con il colore della sua giacca e della sua fredda pelle. Tutto ciò corrisponde temporalmente ad uno degli ultimi periodi pronunciati da Saigo. Ha sentito tutto, non sembra neanche distratto. Semplicemente non ha parlato. Si inabissa un po' nell'osservare in prospettiva le gambe di lei, non solleva il viso. Con un solo movimento prende un mucchietto di quelle patatine non tanto apprezzate e si riempie la bocca, sgranocchiandole con forza e impegnandosi perché vengano deglutite. Adesso il fondo del tubetto è un po' più vicino. Una goccia di sudore gli cala dal lato sinistro del viso, fredda com'è tornata ad essere la sua pelle. C'era mai stato un tempo in cui tutto ciò era normale? Si stropiccia un po' gli occhi con ausilio di braccio e gomito sinistro. Fa attenzione a non imprimer troppa forza in quel movimento, perché si farebbe male da solo. Sì sente similmente a come stava durante i due giorni di silenzio. Però, senza più silenzi. "A me va bene, condividere i tuoi dolori. Ma non lo so fare da solo." Mangia altre tre patatine. Bari-Bari, Gusha-Gusha, Baki-Baki, Gokun.

22:08 Saigo:
 La irrita il silenzio di lui? Non saprebbe dirlo. Finito di parlare semplicemente si volta, Fuji sembra più interessato a mangiare che confrontarsi con lei. La speranza la trascina un pochino più giù, perché ancora ci sta provando? Non riesce nemmeno a darsi una risposta in merito, sa solo che ora le sembra più che di essere pietra di combattere contro la pietra. Un grosso muro quello contro cui si sta scontrando, mentre parla, si espone per poi ricevere solo lo sgranocchiare di alcune patatine. Sospira appena in quel latto si tempo e stringe lo zainetto nella mano destra, lascia che le unghie giungano fino al suo palmo imprimendosi appena nella pelle candida. Non sente il bisogno di ferirsi proprio perché non prova dolore eppure lo sta facendo, inconsciamente senza nemmeno rendersene conto. Si volta a questo punto, lo lascerà alla sua cena. Un paio di passi alla ricerca di qualcosa che potrebbe interessarle di più, non ha fame ma forse è l’ora di bersi qualcosa. Nel silenzio l’anfibio produce un rumore assordante per lei, infrange ogni piccola speranza conservava ancora nel suo cuore spaccato, qualsiasi flebile ideale di amicizia potesse crede li unisse ancora vanno a rompersi insieme a quel semplice movimento. Parla poi. La voce la raggiunge quando ormai è di spalle, le suona fredda, distaccata così come disinteressato le era sembrato il suo mangiarsi <non fingerti interessato per pena> replica senza nemmeno voltarsi mentre la sinistra si alza verso lo scaffale, si posa delicato a sfiorarlo, inclinato già dalla forza del ragazzo le ci vorrebbe poco ad abbatterlo a sfogare la sua rabbia. Ma non ne sente. Esita appena decidendo se fare più pressione e poi i polpastrelli si alzano, un nuovo passo, una distanza che viene messa mentre le sue unghie tremano insieme alle dita, la pressione che sta esercitando è abbastanza da far muovere quei muscoli contratti, non si è ancora ferita ma senza nemmeno accorgersi lo sta per fare. Lo sguardo cieco vaga su quello scaffale mentre la collana silenziosa si posa sul suo cuore, resta lì, altro dettaglio di cui al momento è tremendamente inconsapevole <tanto presto morirò> ammette <non avrai nulla per cui sentirti in colpa, continua a fare l’eroe del mondo> le parole suonano adesso piene di qualcosa simile al pentimento. Non sta dicendo che si ucciderà, sa solo che presto dovrà uscire con la sua squadra e crede davvero di non rientrare in vita. Se davvero il finto Dio ha qualche piano con lei è sicura che colpirà quando sarà più lontano dalla protezione delle mura dentro cui vive. Gli occhi scorrono mentre il terzo passo viene compiuto, ogni volta che atterra il suo anfibio il rumore la scuote e la rompe, ogni volta che si muove si allontana dall’altro e questo è in qualche modo un simbolo di quanto la linea che li lega si assottigli sempre di più dal suo punto di vista. Non ha più nemmeno senso continuare a crederci, non ha nemmeno un motivo per restarci male ma la mano chiusa a pugno trema

22:53 Fuji:
 Con una mano sulla coscia e l'altra che ancora sorregge quel tubetto. E' nauseabondo smettere di sgranocchiare. Ma ha bisogno di smettere perché altrimenti non riuscirebbe a sentire nulla. Lei gira per quel luogo, si muove, e gli occhi si alzano per dare una fuggevole occhiata agli scaffali. Per un momento si sbilancia indietro col baricentro ma ricorda improvvisamente di non aver nessun punto su cui poggiar la schiena, indi per cui evita di cadere a terra poggiando repentinamente il palmo della sinistra sul pavimento. Fissa le mattonelle e corruga un po' le sopracciglia. Riflettono in maniera estremamente distorta la luce. Non è abbastanza per identificare nessuna forma, ma non è nemmeno quello l'obiettivo. Fissa le piastrelle e le linee dove sottile può esser osservata la presenza di stucco. Sembrano ben allineate, non hanno imperfezioni. Sospiro leggero. Non ha neanche una scusante valida adesso. Dovrebbe riconoscere semplicemente che sono rimasti i soli superstiti del disastro. Loro e le altre vittime. Tutto quando, ad eccezione di pochi, è stato spazzato, portato via nell'oceano. I tentativi di metter vigore nelle gambe vengono paralizzati dalla persuasione che ha nell'idea che la nave potrebbe colare a picco da un momento all'altro. La corda dell'àncora si è spezzata come un fil di ragno al primo soffio dell'uragano. Ma se non si fosse spezzata, sarebbero andati a fondo immediatamente. Tutta la poppa è gravemente danneggiata. Sempre in quell'equilibrio precario, terribile, spaventoso, la nave continua ad andare avanti e non più per violenza del vento. Il freddo diventa un po' più estremo. Il sole si alza con un chiarore giallo e triste, levandosi verso l'orizzonte, senza proiettare luce. Ah. Saigo. La segue nei suoi movimenti, si accorge della pressione delle unghie che dovrebbero ormai esser prossime a creare una faglia verso le carni e il sangue. Non esita ad afferrare un pacchetto di noodles istantanei e sollevare il braccio appena dietro la testa per tirar quell'oggetto dritto sulla mano che minaccia la carne. Il colpo è perfetto, potrebbe anche esser inaspettata considerata la maestria di quei movimenti, ma non sarà in grado di causar più che una distrazione. Riabbassa il mento sul tubetto, accorgendosi che manca poco più che una manciata di patatine per poter toccare il fondo. Ma di questo passo si ritroverà a vomitare, il che sembra una pessima idea. Poggia il tubetto tra le gambe appena divaricate, lasciandolo lì per un qualsiasi momento successivo. Magari tra qualche ora raccoglierà abbastanza forze e coraggio da terminarne il contenuto. "Non provo pena, comunque." Si ribella alle parole pronunciate precedentemente con un atto di disobbedienza a se stesso segreta, un atto di violenza isolato in quel silenzio, come lo sarebbe ammazzare qualcuno o far saltare per aria qualcosa all'interno del villaggio. Quando l'altra parla di morte gli tornan vividi i ricordi di poco tempo fa, quando è uscito dal villaggio. Non c'era scampo. Quanto all'unico progetto realizzabile, il suicidio, è fallito. Ed ora tirare avanti giorno dopo giorno, settimana dopo settimana, dilatare il presente senza futuro, gli par un istinto incontrollabile, pari all'atto dei polmoni di inspirare aria finché è presente. "Se muori mi sentirei in colpa, quindi non puoi morire. " poggia le braccia sulle ginocchia riavvicinate al petto. "Io ci tengo a te. Ma non voglio impormi." Gli ricorda i suoi genitori, l'idea. Ed il solo pensiero lo porta a rimaner zitto per quasi dieci secondi, fissando il vuoto. "Quindi" Ancora pensieroso, ricollega i pensieri. "Se ti va" Alza un po' il mento, passando dall'inquadrar il pavimento a qualsiasi cosa ci sia in alto. "mi farebbe piacere sapere cosa vuoi. O cosa non vuoi. " Curiosità come altre, emergente dall'oceano in tempesta. Curioso, che sembri tutto così calmo. "ok?" Sparire, cercarla, non cercarla, odiarla o no. Le strade si aprono come bivi, ma scegliere da solo sarebbe insensibile. Lui, nella sua bassa percezione, vuole essere sensibile. Come lo è con Aozora, con le cose che ama.

23:09 Saigo:
 Non si rende conto di cosa si sta facendo, il dolore che arriva dalla mano viene semplicemente filtrato come normale e sopportabile, il peso dello zainetto nella sua testa, non certo le sue unghie. Non lo sa, agisce in maniera che potremmo definire istintiva se solo non fosse che sta remando proprio contro l’istinto di sopravvivenza. Il pacchetto che le viene tirato contro è come una doccia gelida. La fa sussultare il colpo, il rumore, la coglie di sorpresa abbastanza da farle aprire la mano. Cade lo zainetto interrompendo il silenzio con quel tonfo deciso e secco. Solo a questo punto il palmo urla, lei se lo porta davanti agli occhi e comprende ma soprattutto interpreta quel gesto. Ecco cosa stava aspettando la sua speranza, il segno al quale era pronta ad aggrapparsi con tutta sé stessa e in quell’onda di ritrovata emotività ascolta le parole successive. Tutti il discorso con gli occhi puntati lungo il suo palmo destro. Mezzelune che si sono formate nella carne seppur non sia giunta al punto da sanguinare. Lentamente andrebbe a ruotare verso di lui così da poterlo guardare mentre parla. Lo ascolta con attenzione ma una parte della sua testa si isola lasciando che siano solo le immagini a rincorrersi, l’ha appena salvata. In qualche modo, forse anche per sbaglio è esattamente ciò che ha fatto, ciò che stava urlando silenziosamente da giorni, ciò che stava implorando quella sera. Voleva solo essere salvata da qualcuno che fosse in grado di tirarla fuori da quel mare in cui stava affogando con estrema velocità. Non è poi così male provare dei sentimenti adesso. Torna sui suoi passi, abbandonando lo zaino lì dove è caduta, come un militare che va in guerra quasi marcia decisa verso di lui. Lo guarda dall’alto verso il basso estremamente seria, estremamente vicina, le punte dei suoi anfibi a toccare le gambe altrui, potrebbe picchiarlo, menarlo a sangue e lasciarlo morente, i suoi occhi sembrano suggerire che sia questa l’idea. Silenzio. Si accascia a terra cadendo con le ginocchia proprio lì dove aveva i piedi, un rumore sordo prodotto dalle sue ossa che sbattono contro il freddo pavimento. In ginocchio al suo fianco. Non lo tocca, vorrebbe farlo ma esiste un limite che percepisce ancora, qualcosa che la ferma e la blocca. Le coltellate non sono sparite e sono ancora lì a sanguinare copiosamente <voglio> cosa vuole? Non lo sa nemmeno lei cosa diamine vuole, si muove come una trottola impazzita alla ricerca di qualcosa che non è in grado di visualizzare, si tende a qualcosa che non merita di aspirare ma è lì <voglio smettere di avere paura> forse è solo questo che la spinge. Non avere più paura di morire, di soffrire, di perdere. Essere abbastanza forte da sopportare tutto questo <smettere di farmi schifo> di darsi la colpa per le sue gambe, per la perdita di tutti, per i mille normalissimi errori commessi fino ad ora <non voglio soffrire> non sentirsi divisa in mille parti, non sentire la necessità di farsi del male solo perché quello è un tipo di dolore che sa gestire, che può controllare. Inclina il busto verso di lui per cadergli addosso, lasciandosi andare a quel contatto di cui ora ha estremamente paura. Potrebbe ferirla ancora, potrebbe spostarsi e ridere di lei, allontanarla, insultarla e finire il lavoro, non sa se può ancora fidarsi ma per la prima volta in vita sua prende coraggio e si espone davvero, peggio di così non pensa che possa andare <fa freddo> se fosse effettivamente caduta in avanti lo mormorerebbe. Che venga presa tra le braccia, che si schianti sulle sue gambe o anche al terreno non importa. Il volto riverso verso terra, il busto piegato e il sedere poggiato sui talloni

23:56 Fuji:
 Ora, con gli occhi un po' più aperti, guarda lei: ansioso e quasi sbigottito, come chi per salvarsi abbia vibrato un colpo senza misurarne la forza, temendo di aver ferito troppo nel profondo. La volontà di esprimersi cade in un istante solo. Gli si dipinge nel volto lo sguardo simile a quello di un condannato a morte. Senza passione nè rimorsi, svuotato. Vuole. Cosa vuole? Dire addio? L'altra sembra essere diventata improvvisamente un po' più dolce, quasi umile; e lui si sente agitato dal tremolio della voce percepito, dal tremito incessante delle onde del mare. Sente nello stomaco il subbuglio tipico delle cose terribili in avvenire. Ma un po' si rasserena, all'idea che possa quanto meno aver dato un addio degno a tutto. La distruzione porta creazione. L'importante è ripeterlo così tante volte dal renderlo realtà. Ma la realtà- beh. Non è così semplice come sembra, distruggere o creare. Se lo fosse lei non porterebbe ancora quella chiave al collo. Debole. Quando si sbilancia verso di lui, la aiuta. Con maniere premurose. Con l'Otsutsuki in quella caduta libera, proverebbe a guidarla, sfiorandola appena. Movimenti assai leggiadri, gli stessi che farebbe chi suona il theremin, uno strumento che compone senza toccare davvero ciò che ha davanti. L'immagine così vicina riprende i colori che prima l'oscurità le aveva sottratto. Suona nei suoi orecchi qualche onda vaga della voce dell'Agente Scelto. Sta male? Le fiamme pallide degli occhi oscillano andando a leggere tutto ciò che gli occupa la visuale. Gli giunge il rumor sordo e confuso del silenzio, del centro di Kagegakure. Il vento fuori soffia forte, forse avrà spostato le nuvole, rendendo il cielo un po' più visibile. Tutto penetrato e imbevuto di arte, non ha ancora prodotto nessuna opera notevole al di fuori di Aozora- Per qualche motivo gli balena alla mente questo pensiero. Avido di felicità, non aveva ancora provato sentimenti ingenui. Aborrendo dal suo dolore per natura e educazione, si ritrova vulnerabile di fronte a tutti gli imprevisti. Così, nel tumulto del silenzio contraddittorio che lo agita, smarrisce di nuovo sè stesso. La volontà, abdicando, cede la corona agli istinti. Si ritrova a fare dunque ciò che il suo essere gli ordina. Prendere un pezzo di qualcosa che appartiene a lei. Il freddo, per iniziare, facendo passare le proprie braccia sopra le sue spalle e spingendo poi con i palmi la schiena di lei per poggiarla a sè. Si ritroverebbe a sfiorar appena con il mento la sommità della testa altrui. Lentamente allontanerebbe le ginocchia dal petto distendendole e ripiegandole attorno alla forma altrui. Come a legarla. Stringerla poi così involontariamente forte con la mancina che potrebbe risultare scomodo. Sembra quasi una serpe che avvolge la sua preda, pronto a cibarsi di qualcosa. In realtà, sta già nutrendosi. Facile a quelle malinconie subitanee, alle rapide ire, ai capricci. L'iride degli occhi riflette l'altra e diventa come una viola pallida nel latte, immersi in un albore tra l'argento ed il glauco, simile alla luce di un antro marittimo appena uscito da una tempesta. "Va bene." Pronuncia ad ogni parola. Ad ogni desiderio e volontà. Come fosse un genio della lampada che esaudisce un desiderio dopo l'altro, certo dei suoi poteri. "Allora prenderò un pezzo di te, quello che odi. " In parole che loro possono comprendere: permettimi di farmi carico di queste cose. Senza alcuna giustificazione, spiegazione. Permettimi di accogliere tra i palmi uniti il veleno che inquina il lago, per abbeverarmene. "E non te lo renderò. Ok? " Ok. Non aspetta una conferma, tentando poi di agitar un po' le spalle e poi staccar le mani per far scivolare quella giacca di dosso da lui e gettarla in aria, per farla ricadere poi sulle spalle di Saigo. "Io non voglio essere odiato." L'ha detto, quel pensiero che si porta dietro da così tanto. Il suo unico avido desiderio.

00:12 Saigo:
 Si accascia come sfinita ma nella realtà solo sollevata. Fa male sia chiaro, il dolore è tornato con la solita forza a colpirla, tirandole quel pugno alla bocca dello stomaco, un pugno che ha le sembianze di Fuji, lo stesso però su cui ora si abbandona cercando solo quell’affetto che le è mancato nell’ultimo periodo mentre si aggrappa con tutte le sue forze a quella parete rocciosa senza appiglio, così’ liscia da farle più paura di qualsiasi mostro eppure è lì che sanguinante usa tutta la sua forza per restarci, perché è lì che vuole stare e non basta negarlo continuamente a sé stessa per potersi liberare di quella sensazione. Mentre lui l’avvolge e la stringe i suoi capelli iracondo coprendoli entrambi, nascondendo il volto e le spalle, parte della schiena stessa, come in un quadro perfettamente dipinto ogni singolo filamento rosa ha uno scopo, si posa e sfiora qualcosa lasciando che la tenue luce la illumini a tratti rendendola una creatura più eterea, più debole di quello che poi è in realtà. Si lascia avvolgere da quelle braccia, ignorando quanto possano stringerla <ok> replica come prima cosa alle sue parole. Vuole solo abbassare le armi, deporre gli scudi e lasciare che il suo peggior nemico torni ad essere il suo miglior amico, l’unico che è disposta a riconoscere come tale, l’unico che ha il permesso esplicito di avvicinarsi così tanto. Va bene così, i legami non fanno tutti male, non fanno tutti schifo per lui potrebbe valerne la pena, sta facendo la cosa giusta <ma io odio tutto di me Fuji> lo spiega con quella voce stanca eppure libera, forse dovevano ritrovarsi chiusi in un luogo per potersi comprendere nuovamente <tutto tranne te>. Perché è parte di lei, lo è da anni e forse lo è sempre stato. Lei si odia, si detesta dal più profondo del suo cuore, non è in grado di riconoscersi alcun merito, alcuna virtù se non il suo aspetto fisico ma riconosce l’unica luce che possieda e quella luce è l’animo altrui. Non lo sa percepire come entità separata da sé, il suo braccio paga ancora le conseguenze dell’unica volta in cui ha provato a staccarsene. La giacca ricade sulle sue spalle, la copre e lascia che parte del calore corporeo passi in lei. Forse non ha davvero freddo, forse se lo stava solo immaginando ma sono comunque molto vicini alla zona frigorifero ed è facile immaginare che anche i riscaldamenti siano stati spenti insieme alle luci. Ma ha davvero importanza adesso? No <forse dovremmo andare negli articoli per casa> non sa nemmeno perché sta parlando, ha solo bisogno di continuare per non convincersi d’essere in una illusione, solo quello. Resta sveglia, continua a parlare e a confrontarti perché altrimenti scivolerai da quella parete. La chiave si fa fredda sul suo petto, la percepisce nuovamente <non ho mai voluto ferirti> una parte di sé lo voleva vedere a pezzi ma era la parte che li lega. Era il suo dolore a parlare, la necessità di esprimersi, era solo un urlo disperato. Prima quella montagna era piena di grotte sicure, di appigli, poteva arrampicarsi con facilità, scalarla e poi correre per le cime senza timore adesso invece è una valla inospitale che potrebbe respingerla e farla cadere da un momento all’altro, il vento romba potente intorno a lei, le sferza il volto, la spinge via, lascia che i suoi capelli si scontrino impazziti sul suo corpo nudo ed inerme, la mano sanguinante resta attaccata in quell’unico punto trovato sulla grande fiancata liscia. Vuole stare lì, vuole restare sul fianco di quella montagna, conquistarla nuovamente e riprendere a correre per i suoi verdi prati, vuole rivederli e poter sorridere ancora. La tempesta si preannuncia potente alle sue orecchie, minaccia le sue spalle ma resta lì mentre un caldo raggio di sole le da la forza per restarsene appena. Sopravvivenza? No. Sta davvero lottando per qualcosa adesso

00:45 Fuji:
 Ella sale su di lui, lentamente, mollemente, con una specie di misura. Come catrame che gli cola addosso e lo ricopre completamente, isolandolo dall'esterno. Anche dall'ossigeno. E' crudele, quel gesto d'abbandonarsi a chi prima sembrava il nemico di un mortal duello di altri tempi. Rivedere quei colori così vicini da ai suoi occhi un diletto abbastanza vivo dall'alienarlo per un istante di più, ammirando. In prospettiva c'è anche la propria mano sinistra, su cui punta gli occhi per un po'. Il contrasto tra quella creatura ed il rigido automa è assai bizzarro. Sorride, impegnandosi a nascondere un po' meglio la cosa sollevando il mento verso il soffitto. Se avesse avuto le mani libere, si sarebbe certamente coperto le labbra come in preda a pudicizia. Poi: un suono. Ok. In fondo a lui c'è una sofferenza confusa, un tormento non ben definito, che somiglia un po' al dolore che lei prova. Gli appaiono piene di eco le parole pronunciate ed i movimenti di quel corpo sembran più lenti, come se lasciassero un'immagine residua. Il cuore gli si gonfia come di onde amare, prendendo coscienza della situazione. Come se avesse dimenticato di trovarsi davanti a qualcosa di forse più fragile di quanto lo è lui- qualcosa di raro. Abbassa gli occhi e fissa le carni del collo, probabilmente accompagnata dalla trama di vene appena trasparenti e appena visibili. E alle pronunce successive non vede che balenargli di fronte le proprie idee ingegnose. Gli sembra così ovvio rispondere, tanto che è quasi subitanea la reazione, quasi come avesse predetto l'avvenir di quel dialogo. "Allora prenderò tutto" Se anche fosse tutto, sarebbe pronto ad accogliere quel nome e renderlo un po' più proprio. Saigo. Le labbra semi-aperte pronunciano senza suono quel nome due o tre volte. "-l'odio" sembra quasi assicurarsi di terminar la frase. Il braccio sinistro, anche senza giacca, non sente alcun freddo. Però una parte della sua schiena la sente effettivamente raffreddarsi un poco. Forse è solo gelosa del suo petto. O forse dovrebbe davvero spostarli la dove son presenti gli articoli per la casa. Ah. Che idea stupida. Però anche Saigo ha pronunciato le stesse parole, quasi in contemporanea. Forse un po' prima. Non importa. Gli sfugge furtivamente una risata a quelle parole, soffocata dal mento che rapido si reclinerebbe sulle carni altrui per utilizzarle come tappo ai suoi suoni. Tutta questa modernità gli è opprimente. Il mondo si è evoluto in fretta. Sa di non poter restare statuario. Deve cambiare. Lo vuole. Lo sta facendo, anche in questo momento, appropriandosi di qualcosa che non gli appartiene. Un ladruncolo. Non vuole essere odiato. Si lascia fuggire un soffio di sospiro su quelle carni prima di tornare a separarsene, sollevando il viso. "Saigo. E' un bel nome." Sembra tornar indietro sui suoi passi, cancellare le impronte lasciate sulla sabbia creandone di nuove. Rimarrebbe in silenzio minuti indefiniti, prima di andare avanti. E allora proverebbe a spingerla un po' sulle spalle per aver i loro occhi in pieno contatto visivo "Fottiamo il reparto frigorifero. Li pago io i danni" ...criminali...

20:25 Saigo:
 Eppure il sangue lo sente continuare ad uscire, a fiotti. Lo ha ferito e si è ferita e questo non fa che peggiorare quella sua sensazione, quel suo non essere mai abbastanza. Sente di doversi perdonare ma sa di non esserne in grado, dovrebbe solo alzarsi spaccare le vetrate e poi scappare via, evitarlo per il resto della sua vita così da riuscire a sfuggire da quel senso di colpa. Sta in silenzio e non sa nemmeno per quanto tempo, ascolta le parole dell’altro ma non replica, resta immobile come congelata nel tempo, speranzosa che forse restando così non sarà costretta a vivere la realtà, non verrà poi colpita dalla consapevolezza che ormai tutto è cambiato. Non importa quanto strenuamente abbia lottato per cercare di evitarlo tutto è semplicemente cambiato. Tace rinchiudendosi in sé stessa, facendo esattamente l’opposto di quello che le era stato proposto, lui è disposto a prendersi tutto l’odio ma lei non può cederlo, tolto quello cosa le rimane? Solo il senso di colpa e forse è peggio della rabbia, con la prima può urlare, spaccare, farsi del male e ferire ma con quel peso sullo stomaco non può far altro che legarsi un masso ai piedi e poi lanciarsi in acqua, attendendo che la gravità faccia il suo lavoro, andando a fondo, sempre più a fondo senza nemmeno più l’odio a sostenerla e darle la forza di combattere. Lui invece si mostra propositivo, è disposto a rompere, spaccare e prendere e finalmente lo riconosce come eroe. Lo è in questo momento. Il suo personale eroe che dimostra d’avere più forza di quanta lei potrà mai averne, egoisticamente si ritrova ad invidiarlo silenziosamente nascosta dai suoi capelli. Il tempo scorre lento e veloce al tempo stesso, senza che le venga data la possibilità di quantificarlo, come un ruscello di montagna che veloce corre a valle senza mai sparire alla vista di colui che lo ama, mostrando per questo imperituro quanto evanescente. Allungarsi per fermarsi in quest’istante sembra fattibile, sembra un obiettivo vicino ma è come cercare di catturare il fumo con una mano: impossibile. Quando lui sospira così vicino al suo collo l’aria la colpisce con avida ferocia e lasciando che ogni sua terminazione nervosa si riveli, rialzandosi appena, con le radici dei capelli che si fanno più rigide, che strano effetto. Le parole successive sono un vano tentativo di cancellare la lavagna, se solo non avessero usato gli indelebili ora avrebbero davanti nuovamente una bianca parete da riempire ma per quanto si stiano impegnando le ombre di ciò che è stato detto ancora aleggiano lì, oscurano la bellezza di ciò che erano lasciando dei segni in quell’animo già marchiato e che mai tornerà puro e candido come prima. Lei ha smesso d’essere Manami da tempo ma ad ogni ferita quella bambina si allontana sempre un po’ di più, passo dopo passo resta ad attendere Saigo a valle, la osserva salire verso la cima di quel monte da cui poi inizierà il volo finale. <non mi va> lo dice semplicemente. Non ha voglia di spaccare nulla, è stanca e la voglia di lottare è svanita lasciando spazio al desiderio di lasciarsi andare, di perdere tutto e non dover più soffrire, nemmeno per quella vicinanza tanto bramata e che ora riesce a farle del male. Si rialza appena andando a spostare lo sguardo verso il ragazzo, lentamente gli occhi attraversano il petto altrui, le spalle, il collo, i perfetti lineamenti di quel mento risalendo lungo tutto il volto fino a puntarsi nelle uniche iridi opache che sarebbe in grado di riconoscere ovunque. L’unico volto che di notte le appare chiaro durante incubi o sogni, l’unico che non cambia mai forma ed è sempre uguale alla realtà, perché ormai è così scolpito nella sua mente che l’inconscio non ha bisogno dell’arte per soccorrere la sua memoria. Scende fissando quelle labbra e ricorda dov’è iniziato tutto. Forse ora che sente di essere sul più fondo degli abissi è il momento di rischiare, l’unico momento in cui può valer la pena di rischiare. Risale <quando sei venuto a casa mia> non può riferirsi ad altro se non a quella sera, lo lascia come non detto ma questo non lo rende certo meno esplicito <cosa volevi…> il tono è interrogativo ma la domanda lasciata in sospeso. Fa paura dirlo ad alta voce seppur lo abbia realizzato da tempo <di me?> conclude dunque. Non c’è rossore sul volto solo consapevolezza e necessità di sapere. Non esiste nemmeno terrore, non ha la forza di spaventarsi può solo provare a restare lì, stoica, mentre cerca le sue risposte e mette davvero il punto a quella situazione. Vada come vada questa volta non potrà pentirsi per essere fuggita, ci avrà provato fino in fondo. Questa volta non è scappata e poi una piccola parte di lei sussurra coraggiosamente che peggio di così comunque non potrebbe andare. Si sono già persi. Non c’è vento a passarle tra quei capelli adagiati nella lunghezza sulle gambe altrui, non c’è fiato a scostarli dal volto che ora dal basso verso l’alto quasi implorante si fissa su di lui, i ciuffi sparsi lungo quella pelle chiarissima ad alternarsi con il rosa dei ciuffi e il rosso degli occhi, il leggero trucco. Non c’è ingenuità in quegli occhi ma si può intravedere la purezza di un tempo, di ciò che era. Pronta o no alla risposta la desidera e si prepara affidando interamente le prossime ore a lui e quello che le dirà. Le labbra sono appena socchiuse, si sfiorano come due amanti delicate mentre lei inspira piano, silenziosa e poi trattiene inconsapevolmente il fiato per la tensione del momento.

21:33 Fuji:
 Chissà che ore sono, adesso. Nessun orologio è in grado di aiutarlo ed appena si ricorda d'avere un telefono gli occhi si spostano fugaci dove l'ha lasciato soltanto per accorgersi che la torcia precedentemente accesa è spenta. Dev'essersi scaricato, eppure è certo di averlo messo in carica per un tempo sufficientemente lungo. Il tempo sta tornando a scorrere? Non è più catrame ma acqua che scorre. Lei si rialza, investendolo con la luce riflessa dai capelli delle stesse sfumature del sole declinante. Un'ombra lunga e obliqua gli segna il viso, turchina dopo esser stata assorbita dalla fredda pelle di lui. Con il ritrarsi altrui è costretto a rivalutare la propria posizione, e così fa. Le braccia si portano dietro la schiena ed i palmi si poggiano sul pavimento, permettendogli così di lasciarsi andare poco indietro col busto. Il mento vien sollevato e gli occhi seguono con qualche istante di ritardo, presi dalla contemplazione altrui che lo porta a leggere in ogni cosa, dalle forme, suoni, profumi ai colori, emblemi di sentimenti o pensieri nascosti. In ogni fenomeno trova spontaneamente un significato ed un pensiero a loro soltanto appartenente. La tensione cresce, ma più di essa si rivela riflessa nell'aspetto delle cose a lei appartenenti l'ansietà del marionettista. I desideri si perdono inutilmente nell'attesa ed i nervi si indeboliscono, così come la volontà di tener alte le mura dello spirito. E siccome lui ricerca naturalmente arte da cui trarre ispirazione, trae naturalmente dalle immagini e dai suoni emessi parte della sua ebrezza. E' un perfetto teatro, questo centro commerciale. E loro sono ottimi attori. O forse- incapaci? Le domande che sorgono ad ogni ticchettio della lancetta dei secondi s'insidiano nella mente ma non trasalgono sulle labbra, perché interrotto dalla domanda in apertura. I silenzi tra una parte e l'altra del periodo s'estendono e si comportano da eterni. Il nero opaco si scontra sul rosso ed il risultato è un tremolio appena percepibile degli occhi. Il non respiro di lei lo contagia e per qualche superiore istinto si ritrova a smetter di inspirare silenziosamente dal naso. Non batte neanche le ciglia, durante quei cinque o dieci secondi che passano dal termine della domanda. Cosa voleva DI lei. Sposta lo sguardo, per riflettere, cercare un luogo di pace. Ma ovunque le ombre prendono sfumature ricche, quasi animati dalla vaga palpitazione luminosa generata dall'Otsutsuki. In mezzo al tumulto, gli appare netta e precisa l'immagine del connubio fisico dei due, quello della sera citata forse, se non una di quelle versioni alterate dall'immaginazione fugace. Non importa. La risposta straripa dagli occhi, da quella parvenza d'angoscia mista a misericordia e piacere. Risale sul petto e s'accorge ancora dello scintillio della chiave, cui luce gli rimbalza negli occhi brevemente. Sale, ancora, sul collo. Torna a prender fiato col naso, sentendone la mancanza. E così sale, di nuovo, le labbra. No, non le labbra. Gli occhi. Perplesso. Non ha la coscienza esatta, nè la sicurezza di sè. Pur sforzandosi non riesce a riafferrare completamente il suo proposito, a raccogliere e riprendere la sua volontà. "Te-" L'interno tumulto si risolleva, chiudendogli la gola e inumidendo un po' gli occhi. Tanti pensieri contrari, tante agitazioni e alterazioni si raccolgono nel gesto d'alzar la mancina e stringerla in prossimità del proprio petto, in un punto parallelo a quello in cui lei tiene la chiave. "Ma di più, volevo darti qualcosa di me. Perché ci sei stata" Sposta anche la mancina e fa in modo che la sua schiena batta senza troppa ferocia sul pavimento, portandolo a coricarsi completamente, con un modo di far tanto molle da parere una resa. Chiude gli occhi. "Scusa." Poi, allarga le braccia ai rispettivi lati, come chi si mette sulla neve per fare un angelo. La differenza è che rimane così, cieco e immobile. Vorrebbe dire altro 'non capiterà più', ma per qualche motivo la voce non l'ausilia e tutto ciò che potrà esser visto è il labiale.

22:07 Saigo:
 Il momento, l’istante, qualcuno deve averle detto di goderselo, di coglierlo eppure resta solo lì ad osservarlo in attesa di quella risposta. Il momento è per lei catartico, soprattutto valutando ciò che nel passato aveva già deciso. Aspetta che lo dica, vuole solo essere certa di aver compreso quel giorno. Resta lì silenziosa trattenendo il fiato insieme a lui, legandosi in una maniera diversa rispetto al solito ma soffocando nella stessa maniera e momento in cui anche Fuji soffoca, sottoponendosi per una volta alla stessa identica sofferenza. Nessun granello di polvere viene sospinto in uno o nell’altro senso, non c’è caldo respiro sulle loro pelli proprio perché non stanno vivendo. Roccia ancora una volta. Si assistono e per un momento si guardano rinunciando all’essenza stessa della vita in nome di qualcosa di diverso. Tensione. Un ciuffo di capelli interrompe quell’immobilità, scivolando dalla sua spalla, andando a sfiorarle il volto, decadendo come la vita stessa, abbandonati a loro stessi. Si interrompe tutto nel preciso istante in cui lui va a risponderle. Si gela e scioglie al tempo stesso, aveva già deciso prima di tutto aveva già capito cos’era la cosa più giusta per lui senza mai domandarsi quale fosse la più corretta per sé stessa. Riprende fiato, inspira nuovamente come se le mani attorno al suo collo si fossero appena dileguate. Non è però il suo respiro a far rumore è invece la schiena altrui che sbatte a terra, come un momento di fuga, non torna alcuna lucidità perché non è stata persa. Trema appena la mano destra che ora va verso la sinistra del ragazzo su quel petto. Si sporge appena verso di lui con il busto, sbilanciandosi e lasciando che la destra si poggi al terreno per non farla cadere. Il movimento non è fluido, scosso da quei muscoli estremamente tesi per via del momento, nella sua mente però la lotta continua seppur nella tempesta lei sia in grado di vedere la via. Se l’avesse raggiunto quindi ora andrebbe a stringere il dorso altrui prima di provare a sollevarlo, delicata poi lo tirerebbe verso di sé, mentre l’altro parla vorrebbe semplicemente lasciare che il palmo di Fuji si posi sul suo petto. Un contatto diretto ma veloce, quel poco che può bastare per far intuire come al di sotto di quel crop top scuro stia ancora la chiave. Senza mai lasciarli risalirebbe dunque verso il suo collo, il polso piegato ancora nel tentativo di guidare la mano altrui, se fosse riuscita ora si limiterebbe a poggiarsi il palmo sulla gola, allungherebbe solo il suo dito indice così da raggiungere la catenella color argento che ore verrebbe sollevata rivelandola. Un semplice movimento tremante che dovrebbe portarla a far cadere la collana sulle loro mani, dato che mai avrebbe smesso di reggere quella del marionettista. Durante tutto questo processo non distoglie mai lo sguardo, come se fissarlo negli occhi, ora che con le ginocchia si è dovuta alzare un poco per sbilanciarsi e guardarlo, potesse in qualche modo infonderle coraggio. Possono gli occhi altrui eliminare la propria paura? Forse no ma può convincersi che sia così. Apre le labbra, le socchiude per parlare e poi torna a mutarsi, incapace di trovare le parole corrette e per questo riducendosi al silenzio più di una volta. Il cuore le batte molto più velocemente di quanto è abituata <io non mi lego> riesce infine a parlare anche se ciò che dice le sembra in qualche modo sbagliato e riduttivo <ma> ci prova a sistemarsi <ma prendimi> infondo è lei che voleva. A costo di rovinare la poesia è necessario sottolineare come non ci sia malizia in quella frase, per quanto possa risultare strano. <non pensare mai di potermi avere più di quanto io già non sia> non vuole legami; eppure, sa di non poter recidere quello con lui. Resta lì poi, pronta a sottostare a qualsiasi cosa lui voglia, l’ha chiarito come però non sarà mai più di tutto ciò che è già ora. Il suo intero mondo è lì sdraiato e donerà lui qualsiasi prova seppur continui a rifiutarsi di considerarsi al guinzaglio. Libera nel suo strano e malato modo

23:06 Fuji:
 Aveva sentito trascinar via, in quella passata fuga improvvisa, la maggior e miglior parte di sè. Dopo, anzi- adesso, non sa come guardarla negli occhi senza raccontar tacitamente la miseria dei suoi giorni. O l'assidua ed implacabile sofferenza interiore. C'è qualcosa, di cui si è accorto. Con Kazuma, con Naomi, in mezzo agli sconosciuti. Ovunque i suoi occhi si puntino la tristezza si manifesta in fondo a tutte le cose. In più, la fuga del tempo gli è diventato un supplizio stranamente sopportabile. La sua vita è collassata ed ha iniziato a consumarsi in sè stesso, portando la fiamma di un desiderio, l'incurabile disgusto di ogni nuovo godimento. Quando lei gli si avvicina di getto, si sente assalito da un sentimento simile alla cupidigia rabbiosa, come un disperato ardore verso il piacere. Non lo sente autentico. E' più simile alla ribellione violenta del cuore non sazio, un sussulto di qualcosa che in profondità non vuole morire. Quando vien portato a toccar il petto altrui, gli occhi si spalancano di getto, riaperti. Rabbrividisce innanzi ai grandi abissi vacui del proprio cuore. I sogni ed i pensieri si dileguano nell'oscurità circostante e perde la facoltà di ricordare il passato o rimaner troppo immerso nel pensiero. La tensione lo oblia, facendolo sentir come se stesse addentrandosi in uno stato di dolce morte. Eccolo, il germe indistruttibile. Per altro, lei era tremante. Però ha sentito la chiave. Percepirla gli da un senso di sicurezza. Ma è breve. Ed è troppo poca. Di fatto, è solo una chiave. Improvvisamente i simbolismi e le sfumature nascoste delle cose sfuggono alla sua sensibilità, spingendolo a rimaner bloccato sullo sguardo che lo fissa così intensamente. Si sente costretto a guardarla negli occhi, come se al posto della mano gli avesse preso le tempie, sollevandogli la fronte. L'abisso nero la guarda all'ombra dei cigli, più scuri del solito. La sua bocca, di nuovo un poco aperta, ha nel suo tremolio un'infinità di termini mai pronunciati. Sente un fuoco insinuarsi nelle sue vene, esalato attraverso la pelle e il vago rossore che lo copre. Stringe un po' la mano collegata a quella altrui, stringendo di rimando anche la collana. Che terribile silenzio. Che lunga attesa, poi, passata a nutrirsi del rossore di quelle iridi, pieno di una tristezza a lui cara. Ed ecco le parole. Lo sguardo muta un po', diventando più torbido. E poi, libertà. Ecco, Fuji. Ti è stato concesso un lasciapassare. Fai ciò che vuoi. Quel tono che sembra figuratamente una bandiera bianca alzata in mezzo ai morti. Non si lega. La reazione giunge repentinamente, senza preavviso. Tenta così con la mancina libera di afferrarle il polso che la tiene a terra, con una limitata parte della forza di quell'arto meccanico. L'atto di afferrarla è anche una piccola spinta, che vorrebbe portarla a perder l'equilibrio e farla cadere, mentre con una spinta dei fianchi e contemporanea rotazione del busto proverebbe a capovolgere le loro posizioni. Se avesse afferrato il polso lo terrebbe appena schiacciato sul pavimento, con la gemella che invece sta ancora al controllo altrui, com'è stato imposto precedentemente. I capelli cadono sul viso ma non rompono la linea che tiene in comunicazione i quattro occhi. Una gamba verrebbe lentamente piegata per far poggiare il ginocchio a terra, all'altezza delle cosce. Pericolosamente vicini, con la parte inferiore del petto che quasi la sfiora. Il viso è un po' più distante. "Tu e io" Ha davanti Saigo. Non chiunque. "Siamo uguali" Sembra un riflesso distorto della sera in cui fu lui ad avere paura. Figure scolpite in oro malleabile. Assai leggiadre, fragili. Quegli occhi rossi rivelano a chi li conosce di più, ed a lui provocano un'onda di tristezza capace di traversargli lo spirito. "Hai paura. Non mi piace." .. "Torniamo a casa, dopo." Stringe un po' la mano che, se ancora collegata a lei, detiene la chiave.

23:31 Saigo:
 Trema, tesa ma non spaventata, cerca coraggio ma non ha paura, I suoi sentimenti sono sempre l’uno in contrapposizione all’altro, lei è sempre soggetta a queste lotte clandestine ed interne, raramente c’è calma ed ora non fa distinzione; eppure, manca una parte che le chieda di scappare. Non può sprofondare oltre, nemmeno il suo rifiuto potrebbe far peggiorare la situazione, è convinta che siano giunti ad un punto di rottura e quindi tanto vale chiudere qualsiasi cosa sia rimasta in sospesa. Da questa sera ne usciranno insieme o separati ma a prescindere senza più nulla di incompiuto. Come sempre nella vita però aver preso una decisione ed immaginarsi una cosa è sempre molto distante dalla realtà dei fatti. Coglie come inaspettato il gesto altrui, ritrovandosi a venir sballottata e infine spinta al terreno. La sua schiena non impatta con violenza ma si distende su quel freddo pavimento forse anche sporco e pieno di briciole per le patatine appena consumate, eppure è lì. La maglia si solleva appena e le scopre l’addome candido. Lo fissa adesso mentre la gamba di lui si insinua tra le sue lasciandola arrossire, l’imbarazzo torna sul suo volto e si mescola a quel tumulto di emozioni che prova ma non è in grado di spiegare nemmeno a sé stessa. Decide di non rifletterci oltre, rimuginare la farebbe solamente impazzire e torna a guardare solo l’istante. I suoi capelli dipingono il mare al tramonto, scompigliati e riversi su quel terreno senza una logica, ogni ciuffo per sé, mescolandosi ed ondeggiando come onde sospinti da una brezza estiva. Lo osserva e si fissa su quelle labbra, sono quelle di Fuji lo conosce da sempre, non potrebbe mai eppure sono le labbra di Fuji. L’ha ferita, lo teme per il potere che sa avere sul suo cuore ma si fida perché ha bisogno di farlo. Non è più lo stesso rapporto, lui non è solamente il suo senpai, non più colui che ha non troppo segretamente amato da bambina e da cui è stata rifiutata così tante volte da farle perdere qualsiasi sogno. Resta Fuji ma non è solo questo. I rapporti cambiano e ha capito di non poterci fare nulla ma insieme al loro legame sta cambiando anche il modo di vederlo <tu no?> replica con un filo di voce rendendosi conto ancora una volta solo dopo aver parlato di non essere riuscita ad esprimere il concetto <cioè non è solo paura> sottolinea <ma tu non temi il futuro?> lo aggiunge ancora. Tutto ormai è cambiato e a prescindere da come andrà lei ha paura di ciò che sarà poi. Ma sono chiudi in quel posto per le prossime ore, sospesi nel tempo e nella realtà, potrebbero addirittura costringersi a far finta che nulla sia mai avvenuto, rialzarsi da terra e basta. Forse è questo che smette di farla tremare, rilassa i muscoli appena la mente sfiora questa semplice realtà: non è una sera normale <e se> osa dirlo. Si fa avanti osservandolo nuovamente negli occhi <questa sera non fosse solo per i nostri desideri, senza futuro e senza passato> non le fa paura così. Una notte, questa notte senza dover riflettere e rimuginare su ciò che accadrà. Andare a casa con lui, non lo sa, troppe incognite, troppi dubbi e troppi timori. Ormai tutto è cambiato e quando riaprirà il negozio loro saranno liberi, potrebbero separarsi nuovamente. Basta pensare <risolviamo Fuji e poi torniamo a casa insieme> ora è calma. Lei deve avere risposta alle sue domande, deve capire cosa sta provando e deve potersi spiegare tutto questo, altrimenti non rimarrà altro che l’ennesima cosa che non si sono detti, l’ennesimo buco nella loro relazione e a quel punto non potrà promettere di non temere l’incontro, la sua vicinanza. Ora che è cambiato sarebbe deleterio far finta d’essere rimasti quelli di prima

00:17 Fuji:
 Il suo verseggiare ha un che di malinconico e severo. Sembrerebbe avvelenato, ma in realtà è, per così dire, tutto impregnato di sentimenti, che si dominano e alternano tra loro con fare vorace. Divora se stesso come la Serpe dell'Infinito e crea un costante cambiamento proporzionato alle reazioni di lei. Paradossalmente avido e umile, ma capace di furiose passioni. Il languore della luce, i capelli di lei che si perdono sul pavimento.. quegli occhi- tutte le cose perdono la loro dimensione reale e diventano un po' più immateriali. Se gli venisse chiesto dove si trova ora, sarebbe certo di non poter dare una risposta giusta. E' un po' sul treno che immagina di navigare e un po' in uno spazio vuoto, vacuo, di nostalgia. Il malessere vago proviene forse dalla mutazione dell'anima, che converte in fenomeni più psichici che fisici la realtà, addossandogli pesi nuovi. In più, tutti e due, seppur ne siano immersi, aborrono dal dolore per natura. Rabbrividisce vistosamente dove la pelle è esposta, ma non distoglie lo sguardo da lei. Dai lineamenti netti, come fosse stata intagliata in un marmo appena appena roseo. La quiete gelida che accompagna questi momenti lo riconduce alla realtà, gli da coscienza e lo trae in inganno. Più prende controllo e più acquista lucidità; ma più prende lucidità e più gli è facile perdere il controllo. Dev'essere questo, snudare il proprio spirito. O quello altrui. Gli pare di possederla ma contemporaneamente non è più certo di conoscerla davvero. E' come se stesse stringendo non delle mani di carne ma l'incarnazione del mistero, uno spirito senza equilibrio in un corpo che ispira voluttà. E tu, Fuji, hai paura? Non temi il futuro? Non ci pensa troppo. La risposta è ovvia, ed è pronunciata con un tono più basso, caldo, sussurrato. Nessuno deve sentire quello che sta dicendo, se non lei. E' per questo che piega appena di più i gomiti, riducendo di pochi altri centimetri le loro distanze. Per altro, anche se fa finta di niente, si è accorto della direzione che gli occhi altrui hanno intrapreso. Non perché la stesse osservando. Ma perché è quello che avrebbe fatto anch'egli. "Ne sono terrorizzato. Del futuro e del passato. Ma ora temo di più te." E a poco a poco la fermezza dei suoi occhi vacilla, diventando nello sguardo indulgente, perché comprende. Comprende tutto ciò che ritrova in sé medesimo. Forse ha già preso un pezzo di lei, in questi ultimi dieci anni. O forse è stata lei a prenderlo a lui. Che sia lei, la ladra? Sorride un po', senza più sdegno o concitazione, sorride di Saigo e di sé stesso. Si è imposta con un certo ardore all'immaginazione di sentimenti. E può darsi che siano sinceri, ma fuggenti. Fuggenti a causa della paura, del terrore, che rende i moti dell'anima fittizi. Forse anche i sentimenti son allucinazioni. Ma la coscienza della menzogna l'ha già persa, ed ora non sa più se si trova nel vero o nel falso, nella finzione o nella sincerità. A seguito di quelle parole non può accusarla con giustizia, perché si comporta come se fosse calma. Non sembra neanche spaventata. Non sembra avere punti deboli. E seppur sia lui a dominar fisicamente quella scena, sente di aver perso ogni plotone. Il ginocchio a terra striscia appena in avanti, sfiora le carni, permettendogli di esser abbastanza vicini coi visi da far cadere le proprie ciocche sulla fronte altrui. Le labbra semi aperte e gli occhi che la fissano con un che di severo, come se estendessero un monito dello spirito 'non facciamo nulla di cui poterci pentire'. "Cosa desideri, tu" Ingannare sapendo di essere ingannato è una sciocca e sterile fatica, un gioco noioso e inutile. Ecco tutto ciò che gli importa, la verità. Rinuncia all'idea di assumere un ruolo diverso da quello più spontaneo. La fredda mano sinistra che tiene il polso altrui scende un po' premendo la carne, provando a prendere posizione sul palmo.

00:39 Saigo:
 La situazione è strana. Osserva i suoi movimenti, lo vede abbassarsi, avvicinarsi ulteriormente a lei per sussurrare quelle semplici parole che la pugnalano ancora un pochino. Forse è questa la chiave del loro rapporto, tutte quelle lame che si sono piantati a vicenda nelle carni e che continuano ad infilare senza sprezzo alcuno, dicono di non voler soffrire eppure è lei la prima ad essere corsa nelle mani del suo carnefice. Non l’ha allontanato, ci ha provato ma l’ha speranza l’ha fatta aggrappare ad una singola frase ed ora è lì. Il ginocchio altrui si muove, lo sente sfiorarle le gambe coperte solo dalle calze a rete, la gonna che vien sollevata con quel gesto, è strano. Non che le dispiaccia ma al contempo è una situazione forse troppo oltre. Le parole che sente stridono completamente con i gesti altri, si volta appena verso la mano quando lo percepisce avvicinarsi dal polso al palmo e stringe le dita intorno alle sue, fissando solo quelle due mani legate, come legati sono loro. La confonde questo atteggiamento, come se la stesse prendendo in giro. Le parole la respingono mentre i gesti del suo corpo l’accolgono e lei non sta capendo più nulla. Si avvicina e sente quei capelli sfiorare la sua tempia, torna dunque a voltarsi, dritto negli occhi ora vanno a perdersi le sue iridi rosse. Non sente la solita sensazione, è tutto così diverso, così strano <voglio che tu decida> replica sussurrando, non ne avrebbe alcun motivo; eppure, sentir usare quel tono l’ha spinta ad imitarlo, abbassando la sua voce, riducendola a quello che di fatto è solo un sussurro. Un segreto tra loro due. Lo osserva ancora mentre il corpo torna ad irrigidirsi appena. Non ha paura e allora perché si sente nuovamente così tesa? Aveva già deciso. Ora però il rifiuto si fa più vicino e per quanto sia già stato messo in conto questo non le vieta certo di temere il momento in cui arriverà. Sul filo del rasoio aspetta solo di sapere cosa succederà. Se dovesse un giorno ripensare a questo momento è sicura che ciò che tornerà prepotentemente alla sua mente è il ginocchio altrui che con quel movimento le alza pian piano la gonna, è la mano fredda che sta stringendo con le sue candide dita ma soprattutto la tensione di questo esatto momento. Potrebbe alzarsi ridendo di lei ed andarsene, potrebbe baciarla o farle qualsiasi cosa. Nemmeno lei sa fino a che punto è pronta ma non resiste più a questa tensione. Perché la confonde? Perché non prende semplicemente una decisione <io non voglio farti paura> aggiunge ancora poco dopo. No ciò che ricorderà con maggiore forza sono gli stessi occhi che sta osservando. Cerca di leggerli, di capire qualcosa ma a distrarla c’è quel perfetto delicato tocco dei capelli altrui sulla fronte. Il sentimento che la lega a lui è diverso da quello di una semplice cotta non è nemmeno una comune amicizia ma non è disposta a legarsi, lo ha detto. Non sa nemmeno dire se lo desidera davvero o se è solo trascinata da quel bisogno di averlo nella sua vita, al suo fianco, la necessità fisica di non perderlo o magari perderlo per sempre. Non riesce più a stare in quel limbo d’un’amicizia in dubbio, senza comprendere i sentimenti altrui. Non ama essere toccato eppure eccolo lì, sopra a lei. Quanto tempo è passato da quando erano sdraiati nella sua camera ridendo e scherzando proprio su queste cose? Le è piaciuto sfiorare le sue labbra, questo l’ha confusa come non mai ma è stata ferita così tanto che adesso non si muove per prenderle. Vuole un bacio? Forse. Qualcosa di più? Non ne ha idea. Certo tra tutti lui è l’unico da cui non sente il bisogno di fuggire, lui è l’unico che stringerebbe a sé ma da questo pensiero ad essere certa di volerlo fare passano parecchie cose <dormirò al tuo fianco a prescindere> che tu lo voglia o meno. Che lei venga rifiutata o baciata non si lamenterà. Tacerà e accetterà qualsiasi cosa <ma decidi> chiude appena gli occhi adesso, stringe le palpebre <ti prego> bloccata in un limbo. Non sente il bisogno di scappare ma non riesce più a sopportare la tensione del momento, quella consapevolezza di non sapere come andrà, di non avere la minima idea di cosa lui voglia di lei, cosa ne vorrà fare

23:18 Fuji:
 L'abisso degli occhi di lui è pieno di pensieri convulsi e orribili, illeggibile. Che importa il profumo? O l'abito- la gonna, appena sollevata? O ancora quei capelli? Che cadono violentemente sul pavimento rendendo tutta la sua visuale inquinata di quel biondo fragola. Che presuntuosa è, nel chiamarsi innocente, elargendo peccato da ogni poro della pelle. Lentamente anche i profumi ignorati salgono sulle narici, portando a loro un profumo imbalsamato nell'aria dolce del primo mattino. Per quanto sia a loro impossibile accorgersene le strisce tenebrose della notte iniziano a far meno per dar spazio al bianco azzurro del mattino, che impatta e prende posizione contro il duro soffitto del cielo. Davanti a lui sta quel piccolo essere arruffato, stracciato e roseo, cui occhi infossati e cupi sembrano volerlo attrarre più vicino. In effetti secondo alcune storie si può leggere l'ora nell'occhio di certe creature, come i gatti. E così, guardandola nel bianco degli occhi, è certamente sicuro che la notte sia ancora lunga. E lo sarà, per quei pochi minuti che le restano da vivere prima che il giorno giunga. Che cosa sta fissando là con tanta attenzione? Cosa cerca negli occhi di quella creatura? Il pensiero lo turba e così sposta la sua concentrazione sui capelli, immergendovi l'attenzione come farebbe un assetato nell'acqua di una sorgente. In quella trama rosea fatta di mari e alberature, riesce a vedere ogni forma. Gli sembra di mangiare ricordi, distruggere immagini a cui non ha mai dato significato per crearne di nuove. Dev'essere questa, l'arte che gli è stata rubata; che è sfuggita dalle proprie labbra per insediarsi in quelle più vicine senza neanche degnarsi di avvisarlo. L'idea che suona più giusta sussurra ai suoi orecchi di riprendere quello che gli appartiene direttamente dai petali responsabili del furto. Lo perdonerà per quella sensualità accentuata nei gesti e nei movimenti, così contraddittori alla voce? Forse il trucco era stare in silenzio, dato che tentar di liberarsi della volontà non ha funzionato. Anzi, l'ha messo ancora più in trappola. E' ora costretto a rivelarsi senza poter condividere il peso delle sue scelte. La sua precedente infelicità, per altro, è diventata a poco a poco una inquietudine vaga che l'ha condotto allo smarrimento. E da smarrito ha realizzato di esser semplicemente responsabile delle sue scelte. E la paura provata s'è fatta dunque da parte, permettendogli di stringer un po' più le mani intrecciate. Tanto s'è abbassato da sentir il proprio peso iniziare ad influenzare il busto di lei. C'è qualcosa di straordinario nel viso, negli occhi. Il conflitto visibile tra istinto e ragione che lo rende un po' più etereo, un po' più raro. Dovrebbe morire, per levarsi l'impressione di essere a poco a poco più attaccato a quella pelle. L'emanazione risultante dai piccoli gesti altrui è un rossore espanso appena appena, che lo spinge infine ad abbassare gli occhi come in preda a pudicizia clericale. Sì, assurdi: e lui ridicolo. Riesce a comprendere appena come sian posseduti da uno strano delirio, che da a quel momento un'atmosfera di sogno ed incubo. Non ha di che parlare, ma annuisce all'ultima supplica: scegli tu. Quella pronuncia lega più forte le loro mani, gliele serra addosso comunicando il brivido provato. La voce di lei, proferita dalle labbra tanto vicini ma invisibili, spirata con involontaria caldezza sul suo viso, la udirà ancora a lungo quando ripenserà a questo momento. Si sente come se attraverso la cuta le estremità vive dei nervi aderissero magneticamente. O forse è solo una scusa, per non staccarsi. Il fiato, caldo, gli fugge dalle labbra per testimoniar i suoi sentimenti. Tutta l'anima è sospesa nelle labbra pallide del marionettista che da un attimo all'altro si schiudono un po' di più, per poi contrarsi. Le pieghe della fronte si approfondiscono. Ma prima che possa giunger prova e conferma della sua risposta, un suono alieno ridefinisce la realtà in cui s'è illuso. Le serrande delle finestre e delle porte improvvisamente iniziano ad issarsi rivelando le flebili luci del mattino. Qualcuno sta arrivando, sicuramente. Gli occhi tremano, e come stesse facendo lo sforzo finale di un lungo allenamento s'andrebbe a issare con silenzioso panico dello spirito. Non sa se provar sollievo o ira, ma certamente la priorità l'avrà - se l'altra farà altrettanto - il recupero dei beni personali e il conseguente affrontar gli eventi o fuggire silenziosamente e con il riso tra la bocca da questo centro commerciale. { if > exit }

23:55 Saigo:
 Una luce al neon, flebile e traballante sulle loro teste, offuscata completamente dagli occhi di Fuji, da quel profondo ed opaco nero che sembra risucchiarla con tutta la forza che possiede. La stretta intorno alle sue dita aumenta, risponde ai suoi gesti, è lì con lei eppure tace. Un sordo e continuo rumore bianco arriva alle sue orecchie attraverso i frigoriferi situati solo una corsia più in là, in quell’istante che si dilata nel tempo viene cullata da quel suono, trasportata lontana in mille mondi diversi. Le decisioni e le possibilità di quell’istante sono infinite, potrebbe cambiare idea e fuggire e così immagina cosa potrebbe accadere, immagine quel futuro mentre nella tesa indecisione lui resta immobile stringendola solo appena più vicina. Hanno tutta la notte e nessuna fretta di scoprire come andrà a finire. Lo sente più vicino a lei ed ecco che il rumore la conduce in una nuova differente realtà. Sfumati ai suoi occhi i colori spenti delle scatole di cibo, quelle patatine nei tubi delle più differenti tonalità, assurdo come in questo momento resti in grado di percepire il significato di quella che alla fine è solo una convenzione, una simbologia, a seconda del colore scelto sa che gusto aspettarsi, ormai in sedici anni le ha provate tutte, potrebbe scegliere senza dover nemmeno utilizzare l’olfatto. Ci sono una miriade di informazioni che il metallico tintinnare del circuito elettrico le comunica, le immagazzina e processa tutte come il più brillante dei software ma tutto è nulla davanti agli occhi in cui si è persa. I dubbi sono sempre gli stessi, le parole ed i gesti non coincidono ma forse era meglio udire la sua voce, adesso che si limita ad avvicinarsi è ancora più confusa, paure e speranze si affollano in una mente confusa che vuole solo uscire da quel limbo. Continua a ripetersi che andrà bene tutto, che comunque finisca sarà un punto da cui ripartire con la sua vita, peggio di così non potrebbe andare ma è l’orgoglio a farsi largo in questa convinzione a suggerirle subdolamente quante cose potrebbero ancora peggiorarle. Perché il frigorifero non la smette con i suoi cigolanti lamenti? Perché non libera le sue orecchie lasciandole reattive solo all’altrui respiro? Quanto vorrebbe ora il silenzio e quanto ancora desidera la confusione del vociare. Parla. Lo sguardo perso coglie a frammenti tutto il mondo che si estende dalle due pietre di tectite in cui impone i suoi rubini, sfuocato tutto ciò che va oltre a quei ciottoli siderali capaci di imporsi anche in assenza di luce. Coglie appena il movimento delle altrui labbra, come un’immagine troppo vicina per poter essere realmente vista e senza nemmeno accorgersi dischiude appena i suoi petali appena più rossi del solito a causa del freddo che le comunica il pavimento unito a quel cuore che battendo tachicardico pompa più sangue nel suo corpo irrorandolo maggiormente e colorandolo. Così come colorate sono le gote che paiono quasi andare a fuoco, il calore che emana in questo momento è percepibile anche a pochi centimetri di distanza. Sta per baciarla questa volta? La sta solo prendendo in giro? Si posa lui, percepisce il suo corpo e lascia che ogni dubbio si diradi in attesa del gesto che le spiegherà ogni cosa. La paura tace insieme all’ansia e al desiderio, svuotata come d’improvviso davanti a quei movimenti che finalmente porranno fine al tormento della sua indecisione. Svanisce come rugiada al primo sole anche la necessità di conoscere ed il sordo rumore bianco finalmente tace. Dischiude le labbra e socchiude appena le palpebre lei, non è più pronta a qualsiasi cosa ma non è più una questione di consapevolezza, i gesti diventano come naturali, inconsci lasciando che a parlare adesso sia il corpo. Stringe appena le sue dita, un lieve tremore a scuotere appena la bocca appena il respiro di Fuji la colpisce, un brivido che la percorre visibilmente ma che nulla ha a che fare con la paura. Tutto s’interrompe. Non fa nemmeno in tempo a realizzare che proverebbe solo a scattare in piedi, cercando di ricomporsi. Tremano le mani libere ora ed il frigorifero viene sostituito dal clangore della riapertura. Scatta lei andando solo a raccogliere lo zaino. Confusa e stordita per ciò che è stato e potrebbe essere stato. Osserva Fuji con la coda dell’occhio e sorride. Un semplice sorriso prima di svicolare tra gli scaffali per scappare. La chiave di quell’appartamento che rimbalza ad ogni passo sul suo petto, si porta così all’uscita e lo osserva per l’ultima volta. Alza il ciondolo così da renderglielo visibile, ammesso che la stia osservando e poi fugge. Lo chiama a sé, questa volta manterrà la promessa. Ci sarà un giorno in cui forse scopriranno cos’è successo, in cui forse si esporranno ma da oggi tornerà a fidarsi delle sue parole. Lo aspetterà per davvero questa volta, dopo averlo lasciato a spiegare e sistemare i piccoli danni commessi in quella notte che alla fine è sembrata passare un’istante, ma è tornata a riflettere e lei non farà altro che stare al suo fianco. Lo ha promesso, questa era la notte e seppur il capitolo non sia stato chiuso il libro è stato adagiato con una delicata rosa come segnalibro tra le pagine [end]

Fuji e Saigo, ancora litigati, si incontrano ad un centro commerciale. La role ha avuto una durata..mistica. Più easy le role grado S v.v"

> Dal diario drogato di fuji


occhi pieno
pieno pensieri
pensieri convulsi
convulsi orribili
importa il profumo
l'abito- gonna
appena sollevata
cadono violentemente
violentemente sul pavimento