[ genkan ] 玄関
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Giocata del 17/03/2021 dalle 16:10 alle 21:33 nella chat "Luogo Sconosciuto"
[Appartamento - Fuori] Hey Fuji, mi puoi sentire? Guarda che freddi questi fiori, ma avevi ragione dopotutto. Ho preso tra le mani un orchidea per darla all'uomo che amo, e l'ho massacrata senza nemmeno accorgermene. Era bella quando l'ho colta e poi - poi é diventata un pietoso ammasso di petali anneriti ed uno stelo che devo aver stritolato un po troppo. Mi succede sempre, Fuji. Finisco sempre per stringere un po' troppo. Nella mano destra stringe un mazzolino di margherite di plastica e carta velina raccolte in un drappo bianco latte. Si sta così bene da leggeri. Si sta così bene anche nell'ascensore, lasciando che un raggio di sole le carezzi un sorriso così dolce da disarmare chiunque le passi accanto per uno, due - dieci piani al massimo. S'è impegnata addirittura a salutare chiunque le passasse davanti - in quella camicetta nera dalle maniche larghe tanto da nasconder i lineamenti delle braccia, ripagando la vista però con il definirsi verso il bordo della spalla lasciando scoperto la curvatura graziosa delle clavicole, del collo. I capelli corvini raccolti in un ramo d'ulivo dorato - ed un paio di jeans a vita alta, elasticizzati, con solo un piccolo borsello che decade di lato legato in parte alla coscia, ed in parte alla vita. I palmi nascosti dal bordo liscio della camicetta stringono quel fallace ricordo dei fiori - come se stesse andando in contro ad una cara amica, o qualche magnifico evento che l'attende al di fuori di quelle pareti metalliche. Ti rendi conto? Come muove i fili dello scenario rendendolo nero pesto, oppure - beh - oppure di una bella tavolozza di colori vivaci. Le efelidi come costellazioni di latte macchiato che le rinfrescano il viso diafano - come un giglio delicato si protende, avida, si prende il posto che le spetta in quel corridoio desolato - a quest'ora di notte poi. La verità ? Agisce senza fili conduttori - senza metrica e logica, componendo una canzone fatta di parole in rima, certamente, ma senza dire niente che abbia senso. Porta quelle scarpette di vernice opaca, le stesse dell'ultima volta - quello che cambia a conti fatti, è il suo sorriso rosso sangue. Bello come la fine. Raggiante come un giorno di primavera. Il naso tra le margherite può cogliere solo un nota - il suo profumo. Non certo l'odore di fiore, o di erba, o di rose. Note tra il tabacco vanigliato e l'argan. Dolciastro. /TOC TOC TOC/. La porta è chiusa? È così strano per Fuji, a quest'ora di solito è così attivo - tra quei ciocchi di legno e lo sporco della polvere. S'avvicina alla porta, stringendo quei fiori finti contro il costato. "Fuji, sono io, Nene-- sei sveglio? " [ck off] [Interno - Extempo] La gente si diverte a vedermi mangiare l'anima, del resto: gli è odiosa. Si è svegliato e la prima cosa che ha fatto è stata andar ad accertarsi che Saigo non gli abbia lasciato la porta anche soltanto semi aperta. La stanza è rimasta nello stesso identico disastro lasciato precedentemente, meno ciò che ha rigettato dal suo stomaco. Non vuole sentire più nulla, non vuole vedere più niente. Ma come lo dice il narratore sembra un po' esagerato. Voglio solo stare tranquillo, un po' di tempo. "Scusa.." Ecco, l'hai fatto di nuovo. Sì, ma non importa. La mano destra viene tesa per raggiungere l'oceano ricreato sulla sommità del capo di Aozora, sistemandola sul divanetto rimesso al suo posto nella stanza e coprendola con una coperta in lana. Fissandola in viso, incontrando i loro occhi, si sente impallidire; uno strano senso di terrore lo invade nel percepire d'esser faccia a faccia con un individuo la cui sola personalità non era che correlata alla propria arte, al proprio pensiero. Manca di scelta propria? Oppure no? L'unica cosa che lo raccuora è saper che neanche Saigo è certa che loro stiano vivendo. Egoisticamente vorrebbe che nessuno dei due vivesse, così da poter sperare che dove la vita esiste, forse su un altro pianeta o semplicemente in un tempo distante, fosse possibile ad entità come la sua preziosa marionetta d'aver il respiro della Natura. Quell'evento di crisi risalente a pochi giorni fa l'ha lasciato immerso in una inquietudine dal retrogusto terribile. La lucidità gli da quella strana idea che il destino gli abbia riservato squisito terrore. Ecco perché ha chiuso la porta, non avrebbe avuto senso aprirla per rischiare di soffrire. Si muove a passi lenti, guardando attorno il caos e quella scultura di una marionetta che dal dolore dato è stata nascosta da un pietoso velo bianco. Ecco, adesso non ha neanche desiderio di provare a rimediare alle imperfezioni estetiche lasciate. Ha indosso una delle tante canottiere possedute, rendendo visibile quel suo braccio sinistro verso il quale non scorre alcun sangue. Se non è vivo, forse non dovrebbe usarlo. O forse-- forse è il contrario. Ma gli è assurdo credere di poter varcare la soglia della non morte, tanto che il pensiero - per quanto fonte di bramosia - lo conduca a sorridere. Una mano s'allunga al pantalone corto indossato, tirandovi fuori tre pasticche di cui una frammentata in 5 o 6 pezzi. E' riuscito a nasconderle a Saigo. Ha anche spento il telefono, così da non rischiare di chiamarla. Sarebbe pronto a prenderle tutte e tre assieme, chiudersi in un'illusione di felicità, ma poi: il bussare. Tutto lo scenario perde di saturazione, acquisendo invero toni più scuri. Si volta con un'espressione di trattenuto orrore. Il battito del cuore si fa celere, sente il panico invaderlo. Di nuovo? Non aprirà, mai. Poi, una voce. Esita inizialmente ma infine s'avvicina, poggiando delicatamente mani e orecchio sulla porta. C'è lo spioncino, ma non osa affacciare lo sguardo. "Non ci sono." Per quanto sia un ossimoro, non è poi così falso. [Appartamento - Fuori] Come si parla a qualcuno che non c'è? Proverò a farlo io , un discorso tra narratore e sceneggiatore tanto abile nel muovere le sue marionette, quanto impedito nel riorganizzare il filo conduttore del proprio pensiero e delle proprie emozioni. La sagoma d'ombre color seppia della luce del corridoio che unisce diversi appartamenti ridisegna Nene come chi rimane in attesa dì qualcosa. Qualcuno. Muove appena la fronte a destra ed a sinistra percependo passi alla volta della porta così come il silenzio statico di chi probabilmente ha passato i suoi giorni nel niente cosmico del proprio appartamento. Ti rendi conto Fuji? La prima volta che hai chiuso la porta è stato per l'egoistico impeto di blindar la nel tuo mondo, la seconda volta che hai chiuso la porta invece è stata per chiuderla fuori definitivamente. Definitivamente? Sei sicuro di quello che vuoi? Il musetto di nel e si storce un attimo in quel filo di risposta che riceve tramite quella metaforica e non barriera che li separa. La coltre di fiori tra carta e plastica ora le sembra un'idea penosa, così li guarda di sbieco strisciando di poco la fronte contro occhiello metallico dello spioncino. Che idea di merda. Il rumore ovattato della carta che collide a terra mentre risponde a quella non risposta con a sua volta una non affermazione. "Neanche io." Gli concede un filo di voce, solo un filino dal sapore confuso e pigramente avvilito, deluso. Dovrebbe smetterla di cercare spasmodicamente le persone, muovendosi come una roulette russa - ma dalla parte perenne della pistola. Ligneo muoversi di un essere senza volto - spostandosi da quell'ochiello solo per lasciarsi cadere con le terga contro lo stipite. "Sai Fuji, quando ero piccolina... Tutto quello che facevo non andava bene." Ovattata, al di là della porta - si muove posandoci la tempia solamente. Fissando un punto vuoto dell'apice delle scale. Perché non apre? È Fuji, apre sempre. Gli ha fatto male? Se lo merita. Se lo merita? No, Nene - non lo merita. Il musetto indispettito dall'anche solo formarsi di un pensiero caritatevole - afferrando il gambo di quei fiori. I fiori ! "La verità è che non sono mai stata brava in niente. Tutt'ora non lo sono. Cammino alimentata dal risentimento ed il senso di colpa. Dall'impeto di fare quello che mi fa' stare bene." ... "Ti da' fastidio se fumo nel tuo pianerottolo?" [Interno - Extempo] Le mani rimangono poggiate sulla porta come se ne stesse sostenendo silenziosamente il peso. La pesante e lavorata cornice in legno va sfiorando appena lo strato d'acciaio interno della struttura rettangolare, producendo non per volontà del Chikamatsu un battito ch'echeggia sì dentro, ma un po' più a lungo fuori, tra quei lunghi e soffocanti corridoi che portano all'ascensore. Ha la sensazione che se non premesse abbastanza allora quella debole struttura cadrebbe rovinosamente a terra, mettendolo nella posizione di dover davvero combattere per sopravvivere. Il battito del proprio petto lo assorda quando vien raggiunto dal suono di ciò che batte a terra. Un sussulto scappato al proprio controllo attraverso il fiato può essere udito. Gli occhi son sbarrati sullo spioncino, ma non osa veramente affacciarsi per scoprire cosa c'è dall'altra parte. Ha paura che non ci sia niente, o che ci sia troppo. Poi, la sente parlare. Con un movimento trascinato fa cadere la destra sul chiavistello, girando la chiave due volte di troppo nell'assicurarsi di esser confinato all'interno: almeno sarà solo a guardare la maschera della propria vergogna. Può esser successo che dall'altra parte ci sia semplicemente un diavolo? Un oni, un Asura, un Kami. Non importa. Ma quel filo di voce così debole, così simile al proprio, è senza dubbio ciò che gli piacerebbe sentire. Gode della sofferenza e rendendosene conto si rimprovera, stringendo appena la destra attaccata alla porta e producendo lo stridio derivante dallo strofinarvi sopra. Chi stava bussando, prima? Prima ancora che arrivasse Saigo. Quell'entità a cui non riesce a dare forma se non immaginandola. Fuori da quella stanza verrebbe divorato. Il mento viene abbassato a fissar la minuscola luce del corridoio esterno che filtra attraverso la parte bassa della porta. Sapere che esista un'entrata, anche così irrealisticamente superabile, lo preoccupa. Scivola con la schiena sull'entrata, finendo a terra poco dopo la misteriosa entità dall'altra parte. Le ginocchia si raccolgono al petto e con le braccia crea un supporto per il capo, stringendosi e occupando quanto meno spazio possibile. "Non ho paura di Nene." Pronuncia con un che di aggressivo, come se stesse intimando qualsiasi cosa ci sia dall'altra parte a non prenderne in prestito la voce perché non servirà a farlo uscire. Ascolta quelle parole e le processa nel più assoluto silenzio. La mano sinistra cade per raggiungere la tasca del jeans dove tiene le pasticche, rivoltandola per far uscire ogni cosa sul pavimento. Due pasticche son lì, a terra. La terza, che invece era nella tasca sotto forma di frammenti, cade anch'essa, portando per coincidenza a far rotolare due frammenti attraverso il sottile spazio presente sotto la porta. Avrebbe voluto afferrarle, forse ci sarebbe riuscito con i suoi riflessi, ma non vorrebbe che qualcosa lo afferrasse. "No, non importa." Al limite del reale permette di fumare al nulla, a ciò che è convinto esser in parte frutto di paranoia. "Quando ero piccolo.. tutto quello che facevo andava bene." ... "Quelli come noi- Non staranno mai bene." Il suo misterioso interlocutore per esistere lì dietro non dev'essere poi tanto meno penoso. [Appartamento - Fuori] Chissene importa dei momenti di silenzio, dopotutto le piacciono - la fanno sentire in qualche modo al sicuro dalla spasmodica idea di aver il mondo che le rema contro. Ebbro d'ombre nere e oblunghe che si dannano per afferrarla, soffocarla, tirarla giù. Il capo rotea contro la porta, tornando a cercar con la nuca una nicchia sicura in cui riposare sia le spalle, che quella matassa corvina raccolta sulla nuca. Il tintinnio metallico del fermaglio, il respiro placido sembra fermarsi per qualche attimo. Si gode la ricerca, l'attesa - ed è uno sfrigolio di sigaretta a rispondere prima di qualsiasi altra cosa. È bello il silenzio, no? Ma è anche così maledettamente vuoto. Se una parte d'esso sembra confortarla, la parte mancante sembra divenire niente di più che l'ennesimo nemico. Pieno di pensieri. Sussurri. Parole. Quel brusio nascosto che arriva da dietro la porta - i movimenti spasmodici sono erroneamente immaginati. È sadico ridere adesso? /Non ho paura di Nene/. " ahahah~ " Al di là della porta deve suonare come un lamentino soffuso, l'ironico batter della schiena contro la superficie su cui si è nascosta - trascinandosi quel mazzolino tra le cosce e mollandolo li. È un po' rovinato. Un po' sporco ora che è caduto a terra. Il petto muove il velo di cotone della camicetta - le clavicole nude danzano per lui. Per quelle parole. " hahahaahaha -- sai hahah -- credo-c credo, credo sia Nene ad avere paura di te, in realtà " Perché ci ride così di gusto? Quanti scorpioni si divertono con il loro arto puntuto e venereo ad annodarle la mente? A pungerla? Il pollice passa con il dorso a raccogliere una lacrima dalla palpebra inferiore di quel mare rivolto al niente che l'affronta. È terrorizzata. Nene ha paura di te. E tu non ne hai di lei. Il sospiro ammansisce quel riso delizioso. Deve fare schifo da fuori, anche quando è vestita così bene - anche quando il buon umore investe lei e chi di rimando. Come Fuji. La sigaretta si muove appena tra le labbra - riposta lì per dargli il tempo e lo spazio di parlare - di raccontarsi. In vero non ha parlato di se stessa per spingerlo a parlare di se - ma se è questo che ottiene, tanto meglio. Zitta. Così zitta - da rendere grave il ruzzolare delle pastiglie a terra; una costellazione di piccoli rumori sconnessi. Le fissa come se avesse appena visto qualcosa di strano o nuovo - qualcosa di anomalo. Le ciglia sfiorano le palpebre e quell'iride maledetta ingolla l'insulsa capocchia di spillo che è divenuta la pupilla. Non sono quei frammenti in sé per sé a farle male, o a darle fastidio. /Non staremo mai bene/. Non è vero! Non è vero. Non è vero? Un disservizio tra le sinapsi rimanda vecchi urli e vecchie immagini. Le nocche spaccate contro la scrivania tornano sul fusto senza vita d'un fiore sfilato ai suoi compagni. Ma questo non lo può torturare. È già morto - o meglio - non è mai stato vivo. [Interno - Extempo] Chissà perché, nel suo lavoro Fuji riesce ad essere lo specchio di ciò che gli piacerebbe essere. Dipinge via vai capolavori come Aozora con quel meraviglioso ardito fare che suo e suo soltanto potrà mai essere, raffinato, perfettamente delicato e ossessivamente dettagliato. Gli vien naturale sbruffare, sorridere appena, come fosse lettore di sé stesso che osserva quanto sia evidentemente il problema in questa scena. La disposizione degli elementi è tutta sbagliata. Come ci è finito lì, a terra? Non può essere Fuji Chikamatsu a prender quel posto, non avrebbe senso nel copione originale. Sta perfettamente immobile, con le labbra socchiuse e l'assenza quasi totale di luce negli occhi. Un'espressione meravigliosa, adornata da quei ciuffi ribelli e arruffati. C'è una goccia di timore nasconda nel profondo dei suoi occhi, come di chi si sveglia di soprassalto. Poi, le narici, sottilmente cesellate che palpitano. E dopo la risata sentita, s'aggiungono le labbra, appena tremanti. C'è qualcosa nella risata che sente, in quella piana e languida voce, di affascinante. Pensa di capirlo, quel sentimento. Quella risata sembra così tanto la propria. Tanto che senza rendersene conto inizia a ridere, convinto che lo stesse già facendo. Convinto di esser stato per un momento nel corridoio esterno. La risata è rumorosa, anche per il proprio spirito, una di quelle così impegnative che richiedono il sollevarsi del mento e lo stringersi d'una mano sul tessuto del suo pantalone, stropicciandolo e producendo maggior rumore. L'umanità prende sé stessa troppo sul serio. Se solo avesse imparato a ridere così di gusto prima, la storia adesso sarebbe ben diversa. Il suo giubilo è carico d'un calore non dissimile da quello percepibile tra due intimi amici, condito d'una bellezza completamente fuori luogo in quel momento. Sembra felice. In realtà, è solo un rumore che copre l'urlo nella sua mente. Non ha paura, eppure nessuna parola riesce a sfuggirgli dalle labbra nei momenti a seguire. Le sue dita torcono il tessuto della canottiera. Non staremo mai bene. Ha ragione? Continua ad ascoltare. [Appartamento - Fuori] Zitta. Hai mai sentito la mancanza di un mostro dietro la porta? È il feedback che riceve è nullo. Niente voce. Niente parole. Niente risposte sarcastiche, affilate o alluse. Totalmente muta. / È vero. Sto male. Mi puoi aiutare? Mi puoi sentire? / --- " ci sto provando -- " E chi non lo fa'? Chi nonostante tutto, ci prova per il semplice e futile motivo di non aver le palle di fare l'opposto. Il palmo raccoglie quei frammenti scivolati fuori - può vederne l'ombra, forse il passaggio fugace del mignolino smaltato di nocciola. Le guarda. Non ha idea di cosa sia - sono solo frammenti di pastiglie. Forse è un tonico. Forse sono vitamine. Forse è qualche anestetico. " Stavo pensando, Fuji... So' che hai perso l'uso delle gambe durante la guerra. Se tu fossi stato in grado di camminare, penso che mi saresti piaciuto. Se tu non fossi stato così debole. " ... " È che non mi piacciono le cose deboli. Ho imparato, da mio papà -- che le cose deboli non ne valgono la pena. È come innamorarsi di un morto. Non troppo differente dal camminare in direzione di un precipizio, non trovi? Sai benissimo verso dove stai viaggiando. " Il musetto s'affossa nel palmo, ed il palmo verso le labbra lascia rotolar tra esse tutti i frammenti caduti dal suo lato. Chissene importa di cos'è. Nene non brilla di grandi azioni pensate. E se morisse? E se il cuore iniziasse a battere furioso. L'ingollare rumoroso di qualcosa di così secco e senza ausilio d'acqua la lascia in difficoltà. Un colpo di tosse - due - tre. Può sentire il pigolio dello stipite alleggerirsi del suo peso, ora che è riversa in avanti. Il polveroso dell'interno della pastiglia, i bordi frastagliati della stessa - le rigano la gola lasciandola in una sensazione di secchezza fastidiosa. " E invece --- coff* -- mi fai paura. Perché sei debole. Ed al tempo stesso, mi piaci tanto. " ... " O forse, sono solo confusa. Magari, mi fa' rabbia - rivedermi in un essere così pietoso. " Non meno di te, del resto, che stai seduta su uno zerbino scomodo - tra polvere e fiori finti che non riesci nemmeno a conservare. In compenso prova a passarne uno sotto la porta - tutto schiacciato, sporchiccio, patito. [Interno - Extempo] Il silenzio riempie la scena e fa si che quei frammenti di pasticca prendano più attenzione di quanta dovrebbero. In dosi minuscole, trattano il disturbo da mancanza d'attenzione, stimola la concentrazione e tutta la sfera degli impulsi istintivi. Ma dipendentemente dall'individuo si potrebbe raggiungere un diminuirsi dei tempi di reazione, il calare dei riflessi e della volontà, persino lo sviluppo di un episodio di psicosi sospeso tra realtà e follia. Non dovrebbe prendere la pastiglia intera. Ma se è solo una frazione- allora..si- allora va bene. Prima di potersene rendere conto ha già deglutito, iniziando a sentir secchezza empire la sua gola. Non farti illusioni Fuji; un mantra che riempe i suoi pensieri che secondo dopo secondo van decadendo in una spirale convulsa. Cerca di apparire quieto, cerca di non muoversi, di stare immobile, di non dar nulla al mostro fuori dalla porta; ma riesce solo ad essere disordinato. Inconsciamente batte a ritmi alterni la mano sinistra sulla sua coscia. Poi, nervosamente, trattiene una mezza risata, finendo a volte per battere la nuca sulla porta. "Sì. So che ti sarei piaciuto. Sarei piaciuto a tutti. Sarei sull'Isola Tartaruga e vivrei una vita diversa." Un indizio che rivela tanto ma non tutto, qualcosa che potrà solo essere approfondito se ci fosse l'interesse per comprendere davvero più profondamente il Chikamatsu. "Volevo salvare il mondo." Parole che ha pronunciato anche a Naomi. Un suo demone, per certi versi. Avrebbe voluto salvare il mondo, renderlo un posto migliore. In realtà, è tutto ben più distorto di come sembra. "Preferisco essere debole, che perdere il controllo. Posso essere forte con Aozora. Saigo. Non mi interessa Nene." Lamentoso, parla al fantasma informe, spiegando quel che poco lucidamente lo attraversa. "Le persone come lei sono quelle che mi hanno fatto più male. Vorrei che sparisse, come loro." Si stringe un po' alle gambe. Il frequente respiro dischiude e fa tremar appena i petali delle labbra. "Non ce la farai." A essere felice, a stare bene. "Comunque." .. "Non te lo permetterei." [Appartamento - Fuori] E se stesse parlando con se' stessa in realtà? Quelle risate suonano così bene nel vuoto del corridoio - è così sola, così sola - che ridere. Le ciocche corvine decadono con un ordine caotico lungo la fronte - s'incastrano tra le labbra dove quelle fauci si mostrano nude per danzar al capezzale di quella festa. Una risata che si propaga da ogni angolazione, in otto differenti dimensioni - fino a farle male la pancia. La lacrima raccolta rimane lì ad umettarle le le ciglia. Se stesse parlando con se' stessa, ora cercherebbe di sputarsi attraverso il nottolino - quello che lui s'è curato così bene di chiudere per evitare di farla entrare. Il petto duole sotto le pulsazioni che accelerano - piegata in avanti tanto da non fargli sentir più la sua presenza. Come se fosse andata via. Ha ragione. Fa' schifo. Lei? No, lei sta facendo del suo meglio. Si è ricostruita una vita. Ha mandato a fanculo il resto, ha mandato a farsi benedire quelli come lui - gli eroi di merda. E' lei l'unico eroe in questa storia; guardate come si regge in piedi egregiamente dopotutto, come issa il mento sopra gli altri - come gioca con il suo amabile topo di campagna. In silenzio scuote il capo carezzandosi le ginocchia con la punta delle ciocche. " ... " Non hai niente, Nene - ecco perchè non puoi diventare un Uchiha. Ecco perchè non risvegli quegli occhi. Le lacrime di riso trasmutano - e le ginocchia tremano. " hahahah! " Piange, ma questa volta - non è un pianto di disperate risa. Eppure la festa è tutta su questo pianerottolo - ci sono immagini residue di ricordi che passano, di tocchi che le risalgono il collo strozzando appena la voce che non vuole davvero dirgli niente. Quando la schiena aderisce alla sua - ad una porta di distanza - sta ancora ridendo. E' patetico sentirsi dire queste parole da un paraplegico. Da chi brilla ancora nei ricordi di gloria sfumati via. Scuote il capo - rivolo dopo rivolo che le riga il viso. Labbra contuse, color del vino - si schiudono. Ed ecco una lacrima morirle nella bocca. < speraci > Si sospinge appena sulle ginocchia - ed in realtà tutto quello che è concesso è il respiro che le risale spasmodicamente la gola - le muove quel petto fragile, le spalle nude ed imperlate. Si lava in quel fiotto di luce che le cade addosso. Se solo la guardasse dall'occhiello adesso - nel preciso istante in cui quelle mani tremanti cercano di aggrapparsi alla porta per inginocchiarsi d'innanzi a lui - o alle sue spalle - poggiando la fronte contro quella barriera. " c'è un ragazzo, Fuji. " E' il suo la. La sua nota melodiosa. La sua debolezza. L'unica -- assieme a Naomi. La mano che spinge sulla maniglia della porta - il trambusto che si zittisce di colpo quando si alza in piedi. " mi rende così felice. " ... " Nene... Io sono Nene? " Che nome stupido che le hanno dato. Un risolino le si incastra tra le labbra - e forse è troppo tardi per ridere quì fuori. Allora si mette una mano sulla bocca e - spinge piano la tempia contro la porta. Contro di lui. " Cosa pensi di togliermi, nh? Lui? Lei? " Scuote la testa - dolce - allontanandosi di un passo. Come in un film del far west. Il brusio che si allontana. Dei passetti. E la destra macchiata della sigaretta si allungherebbe verso la porta - verso di lui. Indice e medio sono lo scimmiottamento di una revolver pronta a far saltar il cervelletto del suo nemico numero uno. Se' stessa. No-- no- Fuji. La punta contro Fuji. Lo scenario balla. Si distorce. E' buio quì. Fa' freddo. Eppure un po' di sudore le imperla il collo. Scuote il capo, ride, ma le lacrime le stanno spezzando il viso bianco. Un filo di mascara cola, disegna delle linee imperfette. Un quadro. La nuova Monnalisa. " Sono io, il mio mostro." Bang. Bang. Bang. Il polso trema, e non c'è fuoco sulla nuca del marionettista. Non c'è fuoco nella sua vita. Non c'è niente che possa toglierle che non s'è già tolta da sola. " Hah-- hah! " [ck on] [Interno - Extempo] Con quello strano medicinale, i sensi possono affinarsi, e l'intelletto degradarsi. E' difficile comprendere dove cessa l'impulso della carne e dove inizia quello della psiche. E' impossibile definire in uno schema quelle figure che ora ridono all'unisono, la sola definizione che vagamento s'avvicina a descrivere quel momento è folie à deux, un episodio di psicosi condivisa tra due persone. Non possono che ingannarsi a vicenda tra risate e parole bloccandosi all'interno di un ciclo costante, cani che rincorrono macchine irraggiungibili. Anche perché, se le raggiungessero, a quel punto rischierebbero di scoprire cosa viene dopo l'accettazione. Rischierebbero di trovarsi nudi di fronte ad una realtà nuova, e allora si che avverrebbe un completo degrado dei sensi. Improvvisamente quella risata si estende troppo, la propria va scemando fino al lasciarlo completamente serio in viso, con una nebbia di lacrime che ancor fa da patina di fronte alle pozze oscure. La sua espressione è un po' più orribile, perché non sembra si stia più divertendo. Anzi, è completamente serio. L'ombra della propria coscienza, il mostro, è già entrato. Non ha chiuso fuori l'entità corretta. Verrà il momento nel quale se ne renderà conto, ma sarà già troppo tardi. Per adesso, rimane fisso su un angolo oscuro della stanza, senza riuscire a definire gli angoli. Cosa sta ascoltando, fuori dalla porta? Un acuto spasimo lo trapassa come coltello, facendo tremare ogni fibra della sua essenza come avviene con i brividi dovuti al freddo. Le sue dita cercano qualcosa fra il pavimento e le sue gambe, ma non riesce a trovare la posizione esatta delle pasticche. Freddamente, smette di muoversi, diventando non tanto diverso da Aozora. Forse, più freddo. Che fastidio, quella risata. Come può qualcuno ridere e piangere contemporaneamente? Gli vien da scuotere la testa, batterla un po' sulla porta. Però, più la sente e più lo assopisce. Come un calmante, lo fa stare bene. Da pace alle sue lotte interiori. "Mi piace, la tua risata; e mi è odiosa." A chiunque stia ascoltando quel messaggio. Nene, il mostro, l'entità, Fuji. Spera che questa sua dichiarazione non vada persa. Cosa le toglierà. Un ragazzo, la sorella. Naomi. L'immagine si palesa un po' sfocata, mostrandogli quella piccola testa verde. "Tu, non hai mai avuto nulla. Neanche ciò che ti spettava." Non è forse vero? Non importa quanto soffri, il tuo occhio non si bagnerà mai di quella tintura cremisi, non comparirà mai quel simbolo shintoista a benedire il tuo sguardo. "Tu non tieni a niente." Perché puoi sopravvivere a qualsiasi cosa. Forse attraverso dolore ed immensa sofferenza, ma non sarai abbastanza fortunata da morir. "Io voglio darti qualcosa che ti farà davvero male perdere." Forse, allora, avrà reso quel mostro reale. E gli avrà fatto provare la stessa sofferenza da lui provata, non si sentirà più così solo. Quel grandioso pensiero lo spinge a issarsi in piedi di scatto, al massimo della sua velocità, reggendosi alla maniglia e avvicinando l'occhio sgranato allo spioncino in un unico e solo gesto coraggioso quanto sciocco. Ma lo sentite anche voi il ronzio delle luci in questo corridoio? Le carezzano il corpo con l'ignobile obiettivo di dar di lei un profilo malsano - instabile. Il principio attivo dell'adderall gioca tra pensieri, mischiando quattro miseri minerali con il flusso di parole e situazioni che divengono spaventosamente nitide. Risale il tremore del polso, delle dita, del gomito. Non è un tremito di freddo, oh no, è - è qualcosa di più simile all'eccitazione che fa di lei un ingrata marionetta sotto i fili di un padrone incosciente. Bang, bang ! A cosa spara ? A Fuji, o alla sua porta, o a quello che le dice probabilmente nel tentativo di farle tanto male quanto lei ne ha fatto a lui. Ne è incosciente - così come è incapace di dare una rilevanza a tutto quello che la tocca, la colpisce - e la lascia totalmente indenne. È il tallone a muover un allontanamento dal corrispettivo gemello - e nella sua testa sembrava un azione così facile, spontanea. Caotiche ciocche le piovono addosso all'improvviso, le sposta - ma continuando a scivolarle sul viso, non fanno altro che continuare ad infastidirla. Via. Via. Via! E più le mani passano sul viso - più questo appare come un pallido foglio sferzato di rosso. Implacabile. Quanto parlano tutti quanti ? È insopportabile. E perché tutti vogliono esserle nemici? È insopportabile. Perché Fuji non apre la maledetta porta. Ha perfino portato dei fiori. Dove sono?! Lo sguardo di lapislazzuli si sbarra, fino a render note quelle screziature rossine - dolciastre. I fiori ? Sono caduti lì da qualche parte. Uno è spiaccicato sotto la porta. Li altri sembrano aver mollato il mazzolino ed esser ruzzolati tutti attorno mentre si alzava. Concentrati. Cosa sta dicendo punpun? Chi è punpun? Punpun è la sua storpia coscienza, il suo piccolo tumore, lo stesso - che a quanto pare - ha imparato a parlare. /?/ Un punto di domanda le si rimarca sul capino quando s'affaccia all'occhiello - dopo tutto quello che le ha detto, il coraggio di guardarla è ammirevole. Sarebbe ancora peggio esser tanto stupidi da aprirle. Quel mezzo passo indietro mostra una pistola fatta di carne e dita - un ironico farsi beffe di lui e delle sue minacce, delle sue intenzioni. Bang, bang! Gli occhi si issano appena, spostandosi un po' di lato per raggiungere la larga vetrata dell'appartamento. Vede attraverso le nuvole agitate dal vento alcune stelle nel cielo, adesso più eterno che mai. I kami non permetteranno loro di cadere, come non lo permetteranno a lui. Vede le prime stelle del Gran Carro, la più cara tra tutte le costellazioni. Con quale ebrezza la osserva, poi! Ha sempre accompagnato tra i suoi momenti più belli. E non si smentisce neanche oggi, graziandolo. Ah, quante volte alzando la mano l'ha provata a prendere, dandole il valore di simbolo della sua felicità presente... e ora.. Una nuvola la copre. Le palpebre vanno morendo, con le labbra che tornano ad essere poco più che una sottile linea; diventa disinteressato. Come avesse assistito alla sfioritura d'un precedentemente magnifico giglio rosso. Come svegliato da un improvviso sonno, il suo pensiero muta e gli sembra diventar effettivamente più lucido. Ah. Se solo il cielo non avesse alcuna stella. Se solo allungando la sua mano fosse in grado di far qualcosa oltre che sentir l'immensa distanza, è certo che crudelmente tirerebbe giù uno dopo l'altro ognuno di quei astri, così che il cielo diventi una blanda distesa oscura. Forse, si sentirebbe un po' meno solo. Punpun. Una volta affacciato l'occhio alla realtà esterna, ne viene subito trafitto. Bang. Istintivamente abbassa lo sguardo al proprio petto e perde l'equilibrio, cadendo pateticamente a terra. Pensavi davvero che sarebbe stata capace di spararti? Cos'ha con lei, poi. Erano fiori, quelli che ha visto? Come osa. Come osa portarglieli e non chiedergli scusa- ma invece inveirgli addosso dicendo che non sarà mai felice. Ira. Il suono del sangue che più rapido vien pompato nel corpo lo assorda. I momenti successivi son strani, son convulsi. L'orologio batte le tre. Sta fissando attraverso l'occhiello quella figura, in preda all'imminente e sfortunato controeffetto dell'adderall. L'orologio batterà presto le tre e mezzo. Sa cosa fare. No- Nene, non si spara a punpun. La bocca schiusa e le lacrime scendono copiose, ma per cosa con esattezza - non lo sa' nemmeno lei. Quelle efelidi come una galassia a parte s'illuminano sotto il getto d'inchiostro di una luce artificiosa - dandole un aspetto orribile. Come può sapere queste cose su di lei ? La dissimulazione non è efficace sulle espressioni del viso. Come un cane confuso inveisce contro la porta al solo percepire una presenza dall'altra parte. Non tieni a niente. Esatto punpun, vedo che hai colto nel segno. Ma quel simbolo shintoista, le spettava davvero? La pistola si alza, manco lo sentisse guardarla. Con il viso rigato da lacrime, con la pelle appena sudata. Glielo punta. /Stupido patetico coglione./ "Parli con me o con te stesso, Punpun?" Ecco allora a chi si riferisce Nene - e da quello spioncino si può sentire quella stilla di miele divenire copiosa. Si avvicina di nuovo - un close up di quel viso piangino - rotto, ma così maledettamente al sicuro nella sua fortezza decorata da un carattere troppo affilato per esser attaccato, troppo appuntito - per non attaccare. Per un attimo sparisce - che belli questi fiori. Sono miei. Sono tutti per m-- ah no, li ho presi per Punpun. Ma non si chiama Punpun. E chissene frega? Si sfiora il nasino, in quell'occhio tondeggiante che la mette in risalto. I tratti. Le labbra. Non ha odore. Cosa ci trova di così bello. Perché c'è il suo odore su quei fiori? Inspira, ispira - cos'avrá voluto dire? " Fottiti." Parla in modo complicato, non capisce. Fottiti, mi senti? Parla la mia stessa lingua o datti fuoco brutto bast--. No, dovrebbe smetterla d'inveire contro qualsiasi cosa. " Mi senti Fuji?! F o t t i t i. Sei poco meno di una larva, ti nascondi quí dietro -- mi sputi veleno addosso. Ma tu non sai un cazzo. " A conti fatti, è così. [Extemporanea // ??] Gli inveisce addosso. Rapido come può afferra uno dei coltelli forgiati nella fucina. La luce lunare riflette i kanji incisi sul metallo: 'Monzaemon'. Non freme prendendo in mano il freddo e orrendo calice dal quale potrebbe abbeverarsi dell'ebrezza della morte. Il desiderio mi è stato dato, ed io non esito. Contemporaneamente, una delle lampade del corridoio esterno si spegne e riaccende, portandolo con un movimento rapido a voltar l'intero capo e lo sguardo verso quel profondo spazio. C'è un ricordo ancora, che non ha citato. Uno che non è neutrale nè a favore delle azioni che vuol compiere. Uno che non ha forma, ma che l'avrebbe se solo Fuji s'alzasse ora e corresse verso l'oscurità distante. Per la mente passano ricordi del futuro. Quando i medici giungeranno la troveranno disperata; il polso batterà ma le membra saranno tutte paralizzate. per precauzione le verrà aperta una vena al braccio, per fare dei test. Dal sangue che era sullo stipite si potrà comprendere la cronologia degli eventi; e dalle macchie che gli batteranno sul corpo si potrà comprendere come successivamente sarà anch'egli caduto per rotolarle convulsamente affianco. Lo troveranno giacere supino presso la vetrata, svenuto; con un'impronta del sangue Doku che macchierà appena il vetro. Errore del sistema. La lama finalmente affonda, perforando le carni e facendo cantare il sangue al di fuori di ella. Le ultime molecole di anidride carbonica l'abbandoneranno con un suono soffocato e disturbante, accompagnando uno spasmo violento di corpo ed occhi. E' troppo fragile per sopravvivere. Deglutisce. La fissa, forse per mezz'ora. Che non osi muoversi, neanche per sbaglio. Errore del sistema. Illusione. Delirio. Lei sta ancora parlando. [Momento nella storia] Sa tramite bocca degli altri, tramite supposizione. Che nausea. Le stringe lo stomaco e le stritola le viscere. Il visino contuso di chi non ha paura di niente - ma piange. Deve essere l'adderal. A che cosa pensi, Nene? A quanto difficile sia essere forte. Il dito medio è il nuovo protagonista dell'occhiello. Bello. Affusolato. Smaltato. Un meraviglioso gesto dell'ombrello. "Tu, non sarai mai felice. Perché ora ci sono io nella tua vita. E ti ricorderò sempre quanto miserabile tu sia, affogando giornalmente... In cosa? Ricordi? Rimorso? Nel desiderio di esser stato qualcosa di diverso da quello che sei diventato. Mi -- " Una piccola pausa intercede una risposta e vomita fuori parole così vicine alla porta, da poterle intravedere una tempia. Vuoi sparare ora? Vuoi urlare? Le vuoi così male? Un risolino delizioso mentre si allunga, si allontana. E il petto fa male - lo tiene insieme nel palmo della dritta che ha preso a stritolare la stoffa velata di quella camicia. " Mi odi perché ti dico quello che pensi, ma che non riesci a dirti da solo. Quello che i tuoi conoscenti non ti dicono perché gli fai pena. Mi odi perché -- a conti fatti -- so' parlarti. E non lo faccio piagniucolando. Ti piace così, Fuji? Vuoi essere il poveretto bastardo che ha perso le gambe e che voleva salvare il mondo?" L'attimo di silenzio mentre lei - e l'ultimo fiore di carta pesta rimasto - fanno troppi passi indietro. Così bene inquadrata. Con tutte le curvette nel punto giusto. Con i guantini neri in bella vista - ed una delle K del suo nome da laboratorio che si mostra di sbieco, sotto questa luce. Gli occhi traballano - la mano sembra voler scassare il torace e fermare il cuore. Quei battiti di troppo. Ansima - e il suo respiro è il demonio sceso in terra dagli inferi. C'è qualcosa che non va. È paradossale che tu preferisca mantenere il controllo, proprio in questo modo. Perdendolo del tutto. " Allora -- afh - dimentica il mio viso. Ed annega nella m--merda in cui -- s. " Un tonfo. Pesante. Un rigolo di saliva le risale la gola e macchia il pavimento, nella densità della tossina che riversa nel sangue. Un capogiro. Le parole sono inutili. Eppure danno stoccate mica male. Finisce a terra, nel più adorabile quadro degli attacchi cardiaci. Così si compiono tutti i desideri e le speranze della sua vita; così abbatte funesto, freddo e rigido, la punta della lama, mirando violentemente e con tutta la forza di quel suo braccio da marionetta in direzione della carne resa ghiacciata dal sudore accumulato nel tempo. A pochi eletti è concesso versare il loro sangue per coloro che amano, in un certo senso le sta dando questo onore, no? La sua anima si librerà sulla sua tomba. Poi, pensieri. Essi si affollano intorno a lui, come spettatori silenti. Qualcuno tenta di poggiarsi sui suoi palmi per aiutarlo a spingere, altri rimangono indifferenti. Sii calmo, Fuji. Non lo stai facendo per una perdita di controllo. Sii calmo. L'orologio batte le quattro. Batte le ciglia. E' di fronte al divano precedentemente occupato da Aozora, adesso spostata e seduta vicino ad essa. Entrambe le braccia son conserte ed i gomiti poggiati sulle cosce. La sua gamba sinistra trema, d'un tic involontario. Gli occhi rimangono privi di passione a fissarla. Poi, si spalancano. Non l'ha uccisa. Avrebbe giurato di averlo fatto. Forse è stata solo l'immaginazione, ed il sonno. Da quanto tempo è lì, comunque? L'orologio batte le 6. Non erano le quattro? Eppure, sul viso di lei, sulla guancia destra, c'è un cerottino. Piccolo e lungo, con il disegno di diversi pupazzi-orsetto sopra. E' molto carino. Ah, che importa. La mano destra s'allunga e insensibilmente lo stacca dalla pelle, per vedere cosa ci sia sotto. Un taglio, abbastanza insignificante, come se un oggetto affilato l'avesse sfiorata. Il cerotto viene riattaccato alla pelle. La stanza è completamente in ordine, adesso. Il piatto in ceramica e gli specchi sono spariti, tutto il caos lasciato dalle ultime giornate è andato. Ah. "Dev'essere stato il mostro." Pronuncia, con indifferenza, con una calma e flemma che non si addice a Fuji in questi momenti. Almeno Nene sta bene. Deve ringraziare Il Mostro, per questo. Che fortuna. Non avrebbe potuto donarle nulla in futuro, altrimenti. Battono le 8 del mattino. Apre gli occhi, ancora sullo sgabello dove aveva ripreso i sensi. "Chi chiamo.." scorre pigramente il dito sulla sua breve rubrica, soffermandosi su Naomi e poi Saigo. I fiori in plastica son stati risistemati da qualcuno, adesso anche quelli che avevano i loro petali rovinati son stati sistemati, riattaccando uno ad uno ogni componente. Possono esser trovati posare nella parte inferiore tagliata d'una grande bottiglia d'acqua, che fa da vaso. C'è anche un po' di acqua, nonostante d'acqua non ne serva. Eppure, così, sono un po' più reali. {//}
Giocata del 23/03/2021 dalle 18:25 alle 18:39 nella chat "Luogo Sconosciuto"
[lì] Zitti tutti. Quanto tempo é passato? Due giorni da quando è caduta a terra. Blackout. La sottile linea tra coscienza ed incoscienza - tra i colori vividi, le parole ovattate. Fuji non apre la porta, ed ha fatto di me il suo mostro. Non voglio esserlo, non io - è l'altra. Lei lo vuole morto. La fitta al petto è esplosa alla fine, come se avesse tirato una cordicella troppo in fretta al solo fine di farsi a pezzi. Sono rimasta quì fuori a lungo, fino a perdere coscienza. Non passa nessuno, lo sapevo. Lo sapevo che sarei morta in modo stupido. Ora mi piscerò addosso, inizierò a puzzare. La gente passando invece che inorridirsi per la morte di una giovane così bella, storcerà il naso nel disgusto del mio odore. Patetico. È patetico morire. Blackout. Il pavimento é così gelido da farla rabbrividire eppure il corpo non reagisce, hai mai provato la sensazione di avere freddo nelle viscere? Il freddo che ti scuote tutto - ti fa' male, ti trascina. No, svegliati Nene - non è il freddo a trascinarti. La bava di veleno rigettata da una bocca dello stomaco vuoto ora disegna un rigolino sulla guancia, lascia un indizio tra il lucido e l'opaco. Non deve esser stato divertente avere un attacco cardiaco e non riuscire più a muoversi. Perdere il senso del tempo, dello spazio, delle azioni. Il secondo giorno la prima cosa che ha pensato, è stata che si sarebbe dovuta spostare. E poi di contro che non avrebbe affatto voluto farlo. Si sente sporca. La faccia. I vestiti. La pelle. Ha annusato l'aria solo per riconoscere se' stessa in uno stato che differisce dalla marionetta, dal punto che il corpo umano secerne liquidi - mentre la sua patetica marionetta - rimane perfetta anche per mesi, senza toccarla. Non s'è mossa. Ha male alla schiena. Ha caldo. Qualcosa in viso sembra esser appena svolazzante, come un cerotto accattato, staccato, attaccato di nuovo. /Non voglio muovermi/. Sarebbe stato meglio morire che farmi vedere così debole. Papà mi avrebbe uccisa. Si sarebbe vergognato. Lo scenario incredibilmente cambia ogni volta che apre e chiude gli occhi, anestetizzata e intorpidita - troppo fiacca per poter dire o fare niente. Un fagottino. Ha freddo. Posso avere un altra coperta, Fuji? Le ultime cinque ore, da quando quel blackout é finito - le ha passate a vedere scenari differenti. Il sole del pomeriggio non è male, sai? Mi fa sentire come se avessi ogni forza in corpo. Come se fossi pronta a spaccare il mondo. Una banda di luce le ha scaldato il viso per un attimo. Ha pensato che se solo avesse dormito sotto quel sole ancora un po -- si sarebbe svegliata nuova di zecca, pronta a distruggere ogni cosa. Magari non se' stessa. Un arcana magia fa' cambiare scenario di nuovo, quando riapre gli occhi sente i passi di qualcuno. Magari si sta facendo i fatti suoi. Sta cenando? Ho fame. Lo stomaco ringhia, rabbioso, ma non si muove. Non si sposta. Non se la sente. Questa luce poi, le mette nostalgia. Non ancora. Ancora... Due minuti. Quando riapre gli occhi, é buio pesto. Aspetta, Fuji, dove sei? È buio, non mi piace il buio. Ho paura. Mi hai lasciata sola? Il primo rumore che fa' è un singhiozzo. Perché, stupida, piangi ? Il mostro ha aperto i propri condotti lacrimali e riversa sale sulle proprie gote - fino a morire tra i capelli corvini ora maledettamente disordinati. Ha perso il fermaglio e questo - la distrugge. Anche essendo solo uno stupido fermaglio. Ha perso il controllo, e questo le divora le interiora. Ne ha bisogno. Le fa' male la schiena su questo divano. E la coperta si impiglia sempre. A volte le è persino caduta... L'ha guardata. Ha pianto. S'è addormentata. È buio, troppo buio. Che ore sono? Non vede l'orologio. Non c'è il suo cellulare. Non è sicura di voler tirare fuori le braccia da lì - di vedere cosa succede fuori. Non è mai stato così buio in questa casa, lo stai facendo apposta - lo hai detto che volevi farmi male, come tutti gli altri, sei un nemico, sei il nemico. Ecco. Lo sapeva. Ha reso Fuji il proprio bersaglio, la propria testa mozzata posata sul letto. Il pianto le sale la gola, non le piace la luce spenta, così vuota, così nera. Pure spalancando gli occhi al massimo non vede dal proprio palmo di naso - niente. Forse Fuji ora dorme. Forse lei é appena tornata al mondo, arrabbiata perché qualcuno ha spento la luce. Piange talmente intensamente - talmente furiosa - da smettere di respirare. Da essere viola in viso. Da fare dei singhiozzi, degli spasmi del petto che la frammentano - frammentano il respiro fino ad annaspare. Caotica. Negli occhietti limpidi c'è tempesta - ed una vena è scoppiata. Non si muove. Ma non é sicura se questo è dovuto al non riuscirci, o il non volerlo. Non vuole rimanere al buio. E poi, non ha più la coperta addosso. No, Nene, questa è una bugia. La coperta é lì. Apri gli occhi, perché li tieni chiusi? [Ext.] Vennero le tre prima che Fuji si decise ad alzarsi. Questa è la sola fortuna di chi ha fatto la guerra: è stato in guai peggiori dozzine di volte. E' solo questione di perseveranza. Mon centre céde, ma droite recule, situation excellente, j'attaque. Il mio centro sta cedendo, la mia destra sta ritirandosi. Situazione eccellente, ed io attacco. La mente vacilla nell'alternarsi di ricordi confusi, non è certo di cosa sia realmente accaduto ma quel che vede ora gli par ancora più finto. Gli restavano addosso una sola camicia, colletto e cravatta, accompagnate da un paio di calze bianche. Sul suo appendi abiti possiede anche un cappotto, da impegnare in caso estremo. Nonostante tutto Fuji è riuscito a darsi un aspetto abbastanza elegante. Manualmente solleva le serrande metalliche di quell'appartamento, rivelando spiragli di luce di crescente intensità che investono tutto lo scenario. Non è più così disordinato. Il banco da lavoro è tornato al suo posto, assieme ai fili di nylon sospesi all'altezza del soffitto sui quali son stati attaccati pezzi di ricambio. Braccia, gambe; di legno e acciaio, a volte ibridi, a volte no. Ogni cosa è stata rimessa al suo posto. L'unica aggiunta è quel mazzo di fiori in plastica sulla sommità del frigo bar, accomodati dentro una bottiglia d'acqua tagliata. Ah. E c'è anche quel sacco di carne. E' troppo pesante per farsi a piedi i trenta-quaranta metri necessari a lasciarla sul pavimento dell'ascensore. In più, non gli va di utilizzare i fili di chakra, altrimenti l'avrebbe certamente allontanata. Lascerà che il sole la scaldi, ma non perché gli importi. Forse deve tenerla in vita per permetterle di andarsene, così non dovrà fare la fatica di sollevarla lui. Che gentile. Non sforzarti troppo. "Non lo farò." Simpatico. Non importa. Fai attenzione, sta muovendosi. Crolla il silenzio. Senza nessun particolare motivo s'impegna a muoversi sulle punte dei piedi scalzi. Poi, si dedica all'unica attività che è certo non produca alcun suono troppo forte: prendersi cura di ciò che ha caro. I capelli di Aozora vengono adeguatamente spazzolati e curati, sistemandola su uno sgabello davanti al proprio, con uno specchio di fronte ad entrambi sul quale le pozze nere del moro son puntate. Prova su di lei una manciata di acconciature, ma alla fine le scioglie i capelli lapis lazulo facendola tornare alle sue parvenze originali. Le toglie lentamente i guanti, posandoli sopra il tavolo da lavoro ed andando delicatamente a oliar con un contagocce diversi punti cardine di quel corpo. Occasionalmente fissa il sacco di carne attraverso il riflesso. Dopo aver accertato un nuovo crollo lo spirito si fa leggero: può riprendere a respirare tranquillamente. Il mento viene sollevato sull'orologio, e rendendosi conto dell'ora un sussulto teatrale gli sfugge dalle labbra. Il palmo della destra si posa sulle labbra, serrandole quasi subito. E' già sera, ma ha qualcosa che vuole fare prima. Afferra il cappotto, lo indossa; mette su un paio di scarpe ed è pronto a uscire. Per non rischiare di incastrare il bastone, risistema la coperta in lana su di lei. Non vuole rischiare di cadere. Poco meno di mezz'ora dopo, lo scenario non è cambiato poi tanto. Ah, una differenza c'è. Il tavolo è apparecchiato, per due. Sul tavolo due porzioni di tè e quattro fette di pane e strutto. La bottiglia d'acqua con dentro i fiori non c'è più: l'ha buttata. Al suo posto un vaso in dolomite grigio antracite, con una miriade di striature verticali sopra. Non che gli importi dei fiori, voleva liberarsi della bottiglia in plastica e fortuitamente ha trovato un buon affare sul vaso. Una melodia classica empie la stanza; non la ascolterebbe tanto normalmente, ma è abbastanza delicata da non disturbar loro- lui. Da non disturbare lui. Vuole stare tranquillo, del resto. Deve solo aspettare che si decomponga. Certo, se iniziasse a puzzare troppo sarebbe fastidioso. Alza gli occhi sull'orologio, pulendosi le labbra con un tovagliolo precedentemente posato sulle ginocchia. Poi, lo sistema sul piatto usato per mangiar quella magra cena. Il tè, il pane e strutto rimasti dall'altra parte del tavolo, li lascia semplicemente lì. Spegne le luci ma non quella melodia, abbandonando finalmente quel largo salotto e allontanandosi per andare a dormire, ma non prima d'aver nascosto Aozora nella sua stessa stanza. Fa per chiuder la porta, l'avvicina allo stipite e pregusta la morbidezza del suo materasso. Ma prima di poter completare quel gesto un suono lo paralizza. La mano sinistra immediatamente blocca la porta della camera da letto, tenendola aperta. Sente il singhiozzio, ma non reagisce. Diventa non troppo differente dalle sue marionette. Poi, dopo del tempo, quel respiro si fa caotico. Annaspa, la sente. Vivi e lascia vivere; vale anche nell'estremo caso opposto? Silenziosamente muove qualche passo, raggiungendo ancora il salotto. Preme un interruttore, empiendo al stanza di luce bianca. E poi rimane lì, immobile a circa cinque metri di distanza, fissandola. Non voleva farle un favore, accendendo la luce, nè verificare il suo stato di salute. Semplicemente ha confuso i suoni per qualcos'altro. "..." [lì] Il febbricitante susseguirsi di attimi in modo così poco lineare, così poco conveniente. Ho perso l'attimo. Sta sudando. Qualcuno la tiene a terra, lo sente - la sta soffocando. L'impossibilità di muoversi diviene un uomo seduto a cavalcioni sulle sue ginocchia - e l'aria soffocata nella gola le fa male. Oh, no. È così brutta adesso, con le gote macchiate di mascara e qualche ciocca corvina macchiata di sudore. Gli occhi chiusi. Vai via, vai via. Ma lui la tiene ferma, sa' già cosa sta per farle - lo ricorda così bene da ripercorrere attimo per attimo ogni istante. Ora la mano sul costato. Le gambe paralizzate. Dove sei adesso? Non sarai capace di aiutarmi. Fa' male. Mi avvolge? No, mi sta tirando giù. La coperta mi fa' male? No, non è la coperta è sicuramente un uomo. È troppo forte. E troppo caldo. La mano sul collo, lo sapevo. Il lucido contorcersi di quella mimica facciale - con la sola lirica non si può spiegare un pianto così straziante. Ho così paura. Accendi la luce. Non è mai stata buia questa stanza - non ricordo nemmeno cosa c'è, com'è fatta. Come posso combattere se mi blocca le braccia?! Si dispera, e nella sua disperazione - quel residuo d'immondizia che sono i suoi ricordi, scivola via. Oh. < ... > Il singhiozzo le spezza il petto ma Fuji, oh lui - ha fatto fuggire l'uomo che la teneva giù. No smettila, non era un uomo - sei solo lamentino, sei solo impicciata dalla coperta che s'è incastrata di nuovo fra te ed il divano. Allunga la mano ed ammollarla. /Ma Fuji./ Il pianto si ferma, ma non è un arrestarsi improvviso. Non è un bloccarsi falso. Va' scemando in respiri presi a boccate in risalita, in deliranti singhiozzi mentre probabilmente - la sua temperatura corporea raggiunge vette infernali. Non riesce a vedere bene il suo eroe. Dopo tutto quello che ti ho fatto, corri a salvarmi? Però finalmente gira il viso. Solo lui. Guarda solo lui. A dire il vero è anche buffa, messa così nella coperta - paralizzata dai suoi stessi movimenti per rimanere su quel divano rannicchiata. < ... > Quando lo vede, tira su con il naso - raccoglie lacrime in gola - lasciandogli l'arazzo bruciato della disperazione come quadro finale. Il viso scoperto ha ancora quel cerottino buffo. Pizzica. Si sarà fatta male cadendo. Buffo. Deve parlare. È pronta. Può tornare a casa. Può alzarsi. Può combattere, sfottere, deridere, ferire, insultare - no. Chiude gli occhi. Grazie per quello che hai fatto. Ma non credo di riuscire a fare molto più che questo, piangere. La lancetta lunga scocca il decimo minuto, anche se le sembra di reagire con una tempestività disarmante. Fuji, è ancora lì? Finalmente si smuove, vorrebbe girarsi dall'altro lato - non ha il coraggio di specchiarsi. Non ha il coraggio di respirare. Invece smuove le coperte, il polso minuto coperto ancora da quel drappo leggero e floreale. Sfila appena la coperta, la lascia cadere verso il basso. Parla. Dì qualcosa. Parla. Le labbra si aprono, nonostante l'affanno. Nonostante le lacrime continuino a scendere. Parla! < Scusa... > Deve averlo disturbato. Lo ha fatto? Sicuramente si. Alza il busto, le fa' male tutto. Camminare non è mai stato così difficile ed innaturale, sicché porre un piede d'innanzi all'altro è divenuto macchinoso e non naturale. Si avvicina. Zitta. Con le lacrime. Il visino arrossato. Le labbra contuse da quel soffocare involontariamente. Ha ancora i guanti? Si, Fuji non l'avrà mai toccata più del necessario. Però eccola allungare la mano, cercare di cogliere la sua. Grazie. < sto con te, ok > Quello che le macchia le labbra, singhiozzante, è un tono privo d'inclinazione. Privo di luce. Così le azzurrine indagano vacue, supplicano. Non spegnere la luce. Non andare via. Non dormire. Hai visto anche tu Fuji? Qualcosa mi voleva uccidere. Mi ha toccato. Non vuole lasciarmi riposare. E sono stanca. Se solo fosse riuscita a prendergli la mano rimarrebbe impalata, ferma, a tenerla. [Ext.] Appena le luci vennero accese, Il marionettista si lasciò sfuggire un sospiro. Basso, freddo, anche familiare. Tipico di tutte le persone che s'alzano nel cuore della notte pensando d'aver sentito dei ladri o un fantasma. S'era così armato di uno sguardo freddo e di una marcia tale da far parere che stesse per andare in guerra. O forse, più che altro, ha pensato d'atteggiarsi così. Inutile girarci attorno, a volte i pensieri e le azioni non coincidono. Anche le persone normali vivono questa esperienza, nel suo caso è semplicemente amplificata. Non è così strano. Ah- Quanto poco sa egli della vera ragione. E come è strano, che senza esser stato costretto a pronunciare alcuna parola, egli fosse riuscito invece a riceverne per primo. I pensieri nella sua testa si son costruiti nello stesso modo in cui avviene il sonno: lentamente, ma all'improvviso tutto in una volta. Son tali e tanto numerosi che il suo viso si fa un po' meno serio e un po' più buffo. Qualche secondo ancora e avrebbe sporcato il pavimento della sua stessa bava. Rimane sei o sette minuti a fissarla singhiozzare. Al settimo, per un momento, gli parve che qualcosa di tragico stesse oscurando il suo romanzesco desiderio di farla soffrire. Rendendosene conto riprende dimensione di sè; così, lentamente, s'avvicina al tavolo dove ha cenato, dove ancora è presente il suo piatto vuoto e sporco. Come se fosse solo ignora ogni stimolo e lo va ad afferrare, portandolo al lavandino e facendovi scorrere sopra acqua fredda. Con la destra lo continua a sciacquare, anche quando non serve più. Erano solo briciole, non ha senso spenderci così tanto tempo. "mmh" Come a scacciare quel pensiero. Tuttavia, all'improvviso s'arresta. No, non all'improvviso. Il fruscio di quella coperta in lana è testimone di qualcosa. Eccola, si sta alzando. Non osa poggiare lo sguardo sul suo, è troppo occupato. Troppo indaffarato dal chiudere quel rubinetto. Ah, non è mai stato così pesante. Ci vorranno almeno dieci secondi. Quando il flusso d'acqua s'interrompe la gola del moro è ormai secca. Scusa. Se lo sta immaginando? Gli occhi si spalancano, seppur siano nascosti dai disordinati ciuffi neri. Il piatto viene finalmente lasciato andare. Si, sta immaginando tutto. Lei non si permetterebbe mai di chiedergli scusa. Non deve permettersi. Sicuramente se n'è andata. Prende coraggio, decide di voltarsi, trovandola invece lì: di fronte a sè. Ad un passo o poco più. Col viso arrossato e gli occhi ch'ancora sembran come quelli di chi è stato colpito dalla febbre. Un sussulto nello sguardo di lui, un istante. Ciò che prova, non ha nulla di nobile. Non è la semplice ammirazione fisica nata dai nove sensi. E' una visione che Michelangelo ha conosciuto, così come Shakespeare e Montaigne. Una visione di qualcosa di bello, qualcosa che vorrebbe cogliere e plastificare, come quei fiori a cui per un momento dedica lo sguardo. Eppure la ripugnanza che ne prova è maggiore delle altre volte. i capelli scuri, gli occhi azzurri, le labbra di rosa rossa. Tutto è uguale alle altre volte, solo l'espressione s'è alterata diventando orribile e pietosa. L'angoscia lo prende, così come Nene prende la sua mano. Sente un profondo senso di pentimento. No, non per quello che ha fatto. Per quello che non ha fatto. Il mento s'abbassa e le palpebre gli muoiono per tre quarti, mettendo in prospettiva la sua sola mano afferrata. "No." No Nene, non puoi restare. Adesso vattene. Gliel'ha detto. Adesso non è un suo problema, si è liberato il cuore. Lentamente, com'è sua caratteristica, muove due passi. Si ritroverà a tirar appena l'altra per la mano, sbilanciandola un po'. Ecco, ora è abbastanza vicino al tavolo dove ha cenato. Qualche goccia di cera sporca un tondino d'alluminio. Sì, ha usato una candela per far luce durante la cena già avvenuta. Solo perché gli andava, era pur sempre in offerta assieme al vaso. Sì, ma concentriamoci. Giunto al tavolo, la mano libera s'allunga appena, afferrando una tazza di omija cha, un tè a base di erbe fatto con delle bacche. Sotto la luce presente, può esserne visto il caratteristico color rosso, simile a sangue diluito in acqua. Lo solleva, poi, come stesse trattando una creatura senza volontà proprio, avvicina la ceramica della tazza alle labbra altrui, tentando d'imboccarle due sorsi. Che soffochi, se non lo vuole. Non vuole sprecare il tè. "Non ho niente da offrirti, io." Dovresti andartene, come hai fatto l'ultima volta. Ma prima di farlo, lascia andare la sua mano. [lì] Ci sono troppe cose di cui non s'è accorta. Non riesce. Gli occhi dovrebbero girare troppo - ti rendi conto? Inizierebbe a girarle la testa di nuovo, da capo. Sarebbe divertente se si svitasse e le cadrebbe per terra, ti immagini? Rimane aggrappata all'idea di camminare solo al fine di raggiungerlo, d'applicarsi verso l'eroe. L'unico. Sul suo piedistallo. E' lì - scintilla. Ah no, è la luce della cucina che gli balla addosso. Sta lavando un piatto pulito. Ma hai visto quel piatto, quanto è bello? No. Vai via. Sei una bestia orrenda. Le ciglia bagnate sembrano più nere del solito, se solo fosse possibile. Le labbra hanno quel sapore d'uva, purpureo, come acini gonfi si schiudono a chiamare aria nel petto proprio ora che l'aria è così centellinata. Le brucia il petto. La spalla. Il braccio destro. E qualcosa sulla gota le sta dando fastidio, lo abbia già detto? Per fortuna c'è la luce - ed ora che non ha più paura, da quelle lacrime, sembra già sorridergli. Lascia quel piatto. Sei sempre stato così bello, Fuji? Le labbra rompono il broncio e le efelidi s'allargano lungo il setto - gli occhietti di zaffiro risalgono il viso un po' più in alto di lei, obbligandola ad issare il mento alla sua volta. Ora che è in piedi. Ora che paradossalmente, è più lui a sostenere lei. Sta ferma con quella mano, non lo lascia andare. Gli sorride. Ebete. Innamorata. < ... > Però no, non devi, non puoi, non sei la benvenuta. Il suo sorriso si spezza. Non riesce. Non lasciarla andare. Trascinata come un fuscello e probabilmente, ha perso qualche chilo che l'ha resa consunta come rametto d'ulivo non nutrito abbastanza. Un animaletto sciupato. E' forte. L'ha cacciato lui - ne è sicura. Ma le lacrime scendono lungo l'incavo del naso, solcano la vallata dell'arco di cupido - muoiono in bocca. Piange. Ancora. Ma senza singhiozzare. Però sono lì quei torrenti, lo trascinano giù tra le sue labbra. Il malumore. Il disprezzo. Basta nemici, ora. Ora ci sono solo carnefici. < no. > Ripete, eco delle sue parole - ma non riesce a ricollegarle a niente. No. Le falangi lo tengono inermi, il suo palmo è così caldo. Dov'è l'isola tartaruga. /Tu, non sarai mai felice/. Gli occhietti si spalancano mentre quel taglio di pece le cola addosso, le mette pressione, la ripugna. No, non l'ho detto io - Fuji, non ero io, non lo ero affatto. Il tremolio dell'iride lascia intendere che abbia visto qualcosa che le ha fatto paura, proprio addosso al marionettista. Forse è come la guarda. Forse è quello che pensa. Che gli sia evaso dal cranio e l'abbia toccata? Le gote pigramente arrossate s'issano verso quella tazza in ceramica. Non osa lasciarlo andare.
Però la sua stretta non è più cosi forte come un tempo. Apre le labbra ed insegue il suo movimento - ma a differenza di Aozora, tutto quello che fa' ha una morbidezza disumana. La tazzina inarca il labbro, lo spinge pigramente -- macchia le labbra, il liquido rosso - sembra infilarsi tra le crepette di quei petali ripigmentandoli di nuova vita, nuovo colore - un lucido rinforzo del suo naturale. E' dolce. Buono. Non avrebbe la pazienza di bere tè, se qualcuno non le prepara il composto. Non avrebbe voglia, ne modo, di capirne le qualità e poterne godere a pieno. Fuji invece lo sa' fare, a quanto pare. Ha pazienza. O forse, troppo tempo libero. La gola si muove al primo fiotto lasciato cadere tra le labbra, il secondo - il pallore nerboluto sembra nascondere tra pelle e carotide un mostro che serpeggia ad ogni ingoio. Non ti vergogni d'esser esteta di qualcosa di così orribile? Di così debole? Di così - inerme. Vai via, Nene. Ora. E invece gli occhi si chiudono, rimanendo in apnea pur di finire la tazza di tè. Non si oppone. Non arretra. Non lo spinge via. Non parla. Oh i fiori. Se li ricorda. Li aveva fatti cadere. Solo quando li vede si ferma - apre le labbra con un puerile verso di stupore. Una bambina. Si lascia sfuggire fiato - e forse una delle ultime gocce di tè le si riversa fuori dalla bocca, dall'incavo sinistro di quel bocciolo, in corsa suicida alla volta del mento. Sono più belli ora. Forse dovrebbe aver cura delle cose belle. Dovrebbe aver cura di Fuji. < ... > Lo guarda. Dovrebbe? La mano libera viene sollevata - e la lentezza è tale da esser imbarazzante. Se solo volesse evitarla, potrebbe farlo tra le cinque e le dieci volte - scacciando via la mano, o spostandosi di poco per farle andare il braccio a vuoto. Una di quelle ciocche corvine viene scansata con le falangi guantate - di quei guanti neri aderenti ed in plastica opaca, sicchè non sia mai impicciata. Via dalla fronte. Via ciocche nere dal viso. Una cura maniacale, ossessionata, vuole guardarlo bene. Ahh, sì. Fuji è così bello. Ora sorride, di nuovo. Non piange più. Però ha gli occhi lucidi, un bagliore così limpido. Sorge tra le righe del mascara appannate e il nasino ancora rosso di pianto. I tratti di una volpe distrutti - dietro chissà quale brutto incubo. Niente luci spente per Nene. Vi prego. Un sorriso carico di torpore, di scuse, di ripensamenti, di odio -- ah no, l'odio no. E' un sentimento negativo. Ma cosa ci spinge ad esser coerenti con queste cose? La penna la impugno io. E allora sì, di odio. Perchè sei così bello? Perchè sei così fragile? Perchè ti sei lasciato offendere?! < non voglio > niente? La voce esce con un piccolo graffio nel tono - femminile, ma lamentosa. Chi è sull'orlo di una crisi. Ci vuole un attimo. I fiori. Sono bellissimi. Anche Fuji. L'attenzione è una fiammella danzante - va', viene, va'. Ubriaca. Ondeggia. Le ciocche d'ebano le carezzano il viso, con quel musino sporco. Ahg, che importa. Fosse riuscita a toccarlo, a metterlo in ordine come lei desidera - ammollerebbe la mano guardando vacua l'appartamento. Dov'è Aozora. E' così invidiosa di lei. Vorrebbe diventare un oggetto inanimato, ed esser amata così tanto. Forse no, le piace pensare, agire. Ma le piace anche non avere il comando? A dire il vero no. A parte adesso. Non vuole niente. Non vuole nemmeno tornare a casa. Non è pronta a stringer le redini nel palmo. Un dondolare tra tallone e punta la culla, portandosi le unghiette smaltate alla bocca. I fiori. Si allunga per prenderne uno dal vaso, si sbilancia appena. Ma per fortuna c'è il tavolo che non la fa' cadere a terra. E non riesce nemmeno a toccare il vaso. Per fortuna. Dovrebbe chiamare qualcun altro. Dovrebbe farsi portare a casa? E mostrarsi così? No. Mai. < vorrei solo... essere Aozora ... > ... < E' bella. E tu la ami. L'ho visto. > Le dita, le falangi, si allungano. Il fiore. Vuole solo un fiore. L'altra mano non lo lascia andare. Lo tiene lì - ti prego - non lasciare la presa. [Ext.] Il loro è un romanzo senza trama e con più personaggi di quelli che si possono contare in quella stanza. Lo stile con cui è scritto, curiosamente ingioiellato, lo rende più vivido e oscuro di tante altre storie dello stesso tempo. Pieno di arcaismi ed elaborate parafrasi che caratterizzano soltanto i più squisiti artisti. Vi son metafore mostruose come quelle orchidee in plastica, immortali e pur sottili come le loro tinte. I sensi d'entrambi son convulsi e sarebbero capaci d'ammorbare persino un santo del medioevo. Una storia definitivamente velenosa. L'odore della cera residua sul tavolo addolcisce i sensi dell'olfatto, impregnando la pelle di chi ha davanti fino al turbar al moro il cervello. Le brevi frasi, la sottile monotonia del suo tono, piena di movimenti sia spontanei sia complessi, rendono quel momento surreale. Le serrande sono aperte per un quarto circa, permettendo alla luce delle stelle e della luna d'illuminargli non più delle gambe, rivelandone ancor più la bianchezza. La bianca luce artificiale si fa un po' più smorta, forse ciò che la rendeva così accecante prima era l'oscurità. L'orologio batte la mezzanotte e la supera di qualche minuto. Istintivamente solleva entrambi gli occhi e fissa di sbieco le lancette, esternando uno sguardo confuso, dai sopraccigli alzati e nasino appena arricciato in su. Poi, osservandola, lasciando andare quel fantastico piatto in ceramica, sembra che ogni cosa perda di colore. Non fraintendiamo, anche Nene lo perde. Nessuno è esente da questa crudele percezione, neanche quel che si nasconde tra i riflessi degli specchi. Allora perché quel sorriso malato è così bianco? Così lungo, così distorto. Deglutisce, sentendosi minacciato. Ah, ecco cosa si era dimenticato fino ad ora. Lei gli ha promesso che non avrebbe mai permesso lui di esser felice. Lui ha promesso la stessa cosa. Cosa stai pianificando, tra le sbavature del tuo trucco? Gli occhi s'abbassano per un istante sulla propria mano trattenuta e si sente raggelare il sangue, come un animale che comprende d'esser stato messo all'angolo. Incassa un po' la testa, come la prima volta: paura. Non importa quanto sia diverso quel tocco, più gentile ed incapace di bloccarlo: è una messa in scena. Però perché mostrarsi così fragile. A che serve, se le basterebbe imporsi? Non preoccuparti. Tutto si riduce a quel pensiero, ripetuto come un mantra nella mente e quasi biascicato in un sussurro convulso. Non preoccuparti. Non preoccuparti. La forza a sorseggiare quel tè, fissando intanto il liquido rosso che le dona nuovo vigore alle labbra e contemporaneamente la fa apparire sanguinante. Inclina ancora di più la tazza quando quelle pozze chiare si nascondono, venendo chiuse. La propria oscurità si getta dunque sul quel rivolio, distraendolo quanto tempo basta dal fargli spalancare un po' le pupille all'improvviso tentativo di contatto. Ma anche ora, la paura scivola. E' così lenta. Potrebbe facilmente scostarne la mano. Ma è quello che vuoi, non è vero? Degenerata. Lo sguardo si riempie di sprezzo quando vien liberato dalle lunghe ciocche. Cos'hai da sorridere? Sembra così sedata, ma riesce a veder quel briciolo d'oscurità riflessa nel profondo. E riconosce quel tono lamentoso e graffiato, perché assomiglia tanto al proprio. Non distrarti, Fuji. Non vuole andare via. No- Se solo fosse solo questo. Cosa sta cercando? Perché vorrebbe essere Aozora? "Sì. La amo." Ed è anche bella. Un acuto spasmo lo prende, invisibile se non nelle pupille che quasi tremano. Avviene spesso che le tragedie della vita avvengono in maniera tanto inestetica da urtarci per la loro cruda violenza, la loro assoluta incoerenza, l'assurda mancanza di significati e deficienza dello stile. Commoventi come commuove la volgarità, lasciando un senso di pura forza bruta che ci porta a rivoltarci contro essa. Ma qualche volta, come sta avvenendo ora, la tragedia fa appello al senso del drammatico; tanto che si sente per un momento più spettatore che attori; anzi, l'uno e l'altro. Osserva con meraviglia il viso di lei, venendone rapito. E contemporaneamente il braccio sinistro, quel costrutto da falso umano, viene sollevato e allungato fatalmente in avanti. Non lento come lei, piuttosto brutale. Vorrebbe afferrarla al collo, stringere ognuna delle dita e spingerla con forza sul tavolo, di fianco al vaso coi fiori che tanto l'hanno incantata. Ma non riesce a stringervi le cinque dita. E' più un tocco gentile. Il viso sembra preso da una specie di ebbrietà, ferale e contemporaneamente eccitato. Sorride. In maniera un po' malata, un po' divertita. Ah. Stai facendo la stessa cosa che ti aspettavi facesse lei. "Stai zitta" Digrigna i denti. Sì, zitti. Tu e Nene. Il sorriso sparisce. Non è divertente. Poi, pateticamente, preso dal momento, dimentica i suoi stessi limiti. Si sbilancia un po' in avanti, ed anche se riesce a recuperare l'equilibrio si ricorda di esser patetico. E' sempre la voce di lei a fargli eco nella mente. Sposterebbe la mancina, sconvolto. La destra è ancora attaccata, calda al contrario della gemella meccanicizzata. Cala un lungo silenzio; poi, un vago rossore si presenta sul viso di lui. "..Non puoi essere Aozora. Posso trattarti come lei, ma a te non piacerebbe." Volta lo sguardo, non riesce a sostenerla neanche in quel momento di immensa debolezza. Ecco quanto è debole. [lì] Tuttavia è meraviglioso, non trovate? Quella composizione di fiori sembra così azzeccata per rappresentare Nene e forse, per banane scontatezza, un po' anche Fuji. Le margherite di campo, con le loro enormi corolle bianche, sono invero dei fiori banali punto i classici fiori che troveremmo ai bordi di una strada campestre, allungati fastidiosamente verso la strada che stai cercando di percorrere. I classici fiori, insomma, che strappi distrattamente punto e virgola li guardi, li ammiri, ma non si sa come mai - finirai sempre per distruggerne i petali in un puerile gioco fatto esclusivamente per intrattenerti. E lo stucchevole sentimento con cui ci impastiamo la bocca d'esse - s'accosta alla meraviglia ed ai colori dei girasoli, all'esoticità con cui le orchidee distuggono un quadro banale donandogli una nuova luce. Forse è attratta da questo. Da quei colori. Da come vibrano intensamente, fino a ronzarle in testa. Chiamarla. Toccami. Le falangi protratte in avanti sfiorano di poco il vaso - i petali, eccola - c'è quasi. Oh, come siamo arrivati a questo punto ? Come siamo arrivati, a vederla distruggersi in questo modo - incastrata inevitabilmente tra l'impossibilità e il nefando pensiero del passato che la tormenta. Sei stata fragile anche te, come hai potuto osare tante brutte parole alla volta di Punpun? Sei stata terribile. La peggiore. Sei stata il mostro. Mentre i polpastrelli stringono lo stelo di uno di quei fiori, pronta ad estrarlo dal loro vaso - un pugno di parole le illumina il viso. La ama. Oh - la ama. Una fioca luce disturba la penombra di quel che penetra dagli spiraglietti della serranda abbassata, la perfetta cornice ad un espressione tratta da una mistura tra stupore, ammirazione, invidia. Le labbra si schiudono a lasciare andare il sospiro d'un incanto al quale aspira con l'enorme dissolutezza di un infante - il puerile distendersi di quei tratti che fino ad adesso eran rimasti contratti dal pianto. La ama. Anche io. < Io. > Lo sfila dalle labbra, un po' sospirato - ebbro di una beltà che neanche colui che scrisse i fiori del male seppe veramente descrivere. Non importa quanto orrida possa essere, quanto incapace di apprezzare l'estetismo di se stessa - o di quello che inevitabilmente tocca e distrugge. Io. Lo ha detto come se Fuji potesse capire perfettamente a cosa essa possa riferirsi, ma la verità è che suona un /io/ sconnesso, felice, sollevato - ma anche terribilmente egoista. Io, Fuji, io. Io voglio essere Aozora, essere amata, voglio non decidere più niente. Voglio non essere forte e lasciarmi cadere. Io ho paura. Io ho un sacco di nemici. Come è possibile che una persona tanto anonima, abbia la cura ed il diletto di ricostruire un plastico della propria guerra tutt'attorno a se' stessa. E' terribilmente difficoltoso mantenerlo in piedi, sai? Mantenere quella guerra vivida, reale, così come al suo interno - ogni vile controparte rea di aver fatto qualcosa che l'abbia infastidita, ergendosi a nemico dalle tenebre del suo nido. Io. Brilla di una luce propria, l'orrore. Le gambe affusolate - strette in un paio di jeans a vita alta - si allungano appena. Improvvisamente l'idea di lasciargli la mano la spaventa. E se poi non la prendesse più? E se poi la buttasse via? Allora la stringe, inconsapevole, trema dell'immaginario distopico di quello che potrebbe succedere se solo Fuji la lasciasse cadere. Rimarrebbe a terra. A piangersi addosso. Ad aspettare di avere la forza di alzarsi, perchè esser salvati di nuovo ... E' fuori discussione. < Lo vorrei tanto, quel fiore, vorrei tanto - che tu mi trattassi come lei. > ... < E' bello. Proprio come Fuji. > Caldo. Colorato. Tutto si sussegue ed il buio non esiste. Si apre una finestrella, un flebile schermino dove una musichetta allegra la riporta a danzare sulle note di quella musica. La sente ancora. Per quanto tempo gliel'ha fatta ascoltare. Le piace - ed il suo sorriso tiepido, è tutto per quel fiore. Forse quel fiore era Fuji, o forse è il contrario? Ahg, stiamo facendo casino. E' solo Nene felice di qualcosa di così sciocco, pure finto. Ha ancora l'odore di Nene, della sua pelle, del bagnoschiuma con cui si gratta l'epidermide con lo stesso fare sistematico di chi non si ferma mai - non osserva niente - di chi getta ridondanza nei propri giorni perchè, distruggere l'ordinario, non è mai sano. Mai. S'è anche lasciata sfuggire uno sbuffo muovendo il polso a sfiorare la corolla di quella margherita di campagna. Ne ha mai vista una vera? E tu, lettore? Nhm. Forse l'hai pestata, hai sentito il duro stelo spezzarsi con una croccantezza piacevole. Lei invece, la ricorda immersa nel fango. Urla. Sangue. Puzza. Stanno arrivando le bestie, i bambini... Sono pronti a combattere? Sì. Nene è un clone sacrificale. Spegne quella finestrella apparsa - una pozza in bianco e nero su un mondo così piacevole da vivere - così tiepido - confortevole. Potrebbe adagiarcisi, trovar in esso un posto in cui rifiatarsi. Sollevarsi dal dovere, dalle necessità, dal continuo ringhio che mostra al mondo. Ed addirittura le gote arrossate dal pianto s'asciugano, lasciandole uno sguardo vacuo. Stanco. Dormirebbe ancora un po', solo un po'. Quando Fuji mosso dagli dei solo sanno quale pensiero - muove la prima crepa - non fa' che appiattirsi sotto il peso di quell'arto - il fiato che aveva ripreso il lento andamente della nostra amata normalità - si frammenta in concomitanza con la prima crepa. Il mondo ha toni pastello - o meglio, li aveva qualche attimo fa'. E ora sembra creparsi dal basso verso l'alto - facendole vibrar il riflesso dell'iride di fiordaliso. Lo stesso colore innocente della veronica persica. E come quella fragile corolla cade, secondo. Dopo. Secondo. /Stai zitta/. Perchè lo ha fatto? Deve aver sbagliato di nuovo. Lo sa'. Ne è convinta. Immobile. La mano che gli stringeva quella fatta di carne ed ossa si percuote in uno spasmo minimo. L'insicurezza diviene la sfacettatura chiave per poter capire ogni azione, ogni passo, ogni movimento alla volta del niente assoluto. Paralisi. < ... > Il sorriso come un lumino a cui è stato tolto ossigeno - come quella candela oramai smorta, la cui cera s'è freddata lasciando un aroma dolciastro - insinuoso. Stai zitta. La musica melodiosa che le faceva eco nella testa sembra alternarsi ad attimo di delirio - di chaos - di immagini che le girano d'innanzi come una pellicola bucata e saltellante. E rumore. Il caldo d'un corpo addosso ora - non è più così tanto piacevole. Le sta facendo male, come quella coperta. Ha caldo. Spostati. Ha paura. < ! > La discesa di sopracciglia delineate - l'inarcarsi verso l'interno, verso le rughette che finiscono con il marcarsi. Stropiccia le efelidi così delicate sul viso e la via lattea, diviene l'inferno. Il singhiozzio riprende a suon di ballata, una ballata aritmica e dissonante - una ballata orrida su cui ballare, a conti fatti. E' paradossale che l'inno alla bellezza, reciti il proprio amore con terrore; Ô Beauté! /Monstre/ énorme, effrayant, ingénu! Si ton oeil, ton souris, ton pied, m'ouvrent la porte d'un infini que j'aime et n'ai jamais connu? -- Vedi? A volte, l'amore e l'orrore vanno di pari passo. Vanno in un valzer che li vede vicini, lontani, vicini, lontani. Che paura c'è, nel ballare? Il pianto di Nene è musica per chi sa riconoscere le sue note. Il modo in cui le falangi si ripiegano a grattar il tavolo - mancando il fiore. Non è riuscita, alla fine. Non è riuscita a prenderlo. Eppure - lo voleva così tanto. < Scus- a > Il lamento distrugge il viso, il rigarsi indecoroso del suo candore. Come se fosse stata colata d'oro fuso nelle sue più fragili insenature. Perchè è tornato, se Fuji l'aveva cacciato via? Sente il suo odore. La sua disperazione. Ha l'aroma di chi ha paura di dormire in guerra - di chi è convinto di riposare accanto al ripieno del prossimo sacco d'obitorio da bruciare nei fossati. Le bestie arriveranno anche quì. Dobbiamo fare del nostro meglio. Dobbiamo distruggere il Dio - come il Dio ha disfatto il crepuscolo che voleva guidarsi alla luce, passando per le vie della notte. L'urlo disfattista le squarcia la cassa toracica; < AAAAaaaahHhHH > Fa' male vederlo ancora, era diventata così forte, era diventata così fiera -- lo è. Lo è, lettore? Una macchiolina d'umido riga il tavolo, svuotandosi i condotti lacrimali con un irruenza devastante. Trema - e l'impeto del corpo che ha barcollato contro il suo, l'ha fatta tremare con più violenza. < Scusa-- basta-- scusa. > Ha fatto qualcosa, e sebbene non è sotto il riflesso d'un torto - sente di avere sbagliato. Di dover rimediare. Presto, prima che possa peggiorare. Presto, prima che le faccia male ancora. La vita è un filo unto che le scivola di dosso, la lascia cadere. Lascia la mano. Oh la mano, era importante. Lo era anche il fiore. Ma mentre singhiozza, tutto diviene piccolo d'innanzi all'uomo. D'innanzi alla paura che possa di nuovo farle male. Zitta. Il tonfo delle ginocchia contro il pavimento è grave, risuona nel silenzio dove l'unica musica s'è distorta in un pianto continuo. Frustrato. Terrorizzato. Gli occhi dell'amore son schivi - e non lo sfiorano nemmeno per sbaglio. Ha sbagliato? Deve aver fatto qualcosa di male. Deve esser stata colpa delle sue parole, delle sue carezze. Dunque lui, non è Fuji? Non è il suo Fuji, lo stesso che ha acceso la luce cacciandolo via. Appannata si soffoca le labbra con entrambi i palmi: Si, zitta. Zitta. Ci prova. Ma il singhiozzo supera ovattato - le spalle s'issano e s'abbassano ogni due secondi. Zitta. Non riesce - deve fare di meglio. Preme. Fino a tornar di un rossore innaturale, di goccie che muoiono contro le labbra purpuree - tra le ciglia nere, così adorabilmente ricurve. Il liquido dell'iride sembra espandersi. Ha male. Ma dove, ha male? Deve farle male la testa. O il petto. O forse le ginocchia che la tengono ancorata a terra. < Scus-- ora io > sto zitta? Ma non riesce - quei guantini che vogliono spinger le labbra a tacere, a sopprimere il lamento del suo pianto. Chiude gli occhi - nel distorcersi dell'espressione facciale nell'ennesimo urlo da banshee. Tira su' con il naso - automa - volgerebbe la fronte a lui - il corpicino. La camicia le cade ancora perfettamente dalle spalle, illumina le clavicole - ma non il viso adombrato. A tratti. Si sposta. In fretta. O forse immagina solo di esser di fretta. Il tempo è terribilmente lento adesso, com'è possibile? Il fallace tentativo di smetter di piangere per non irritarlo si trasforma in un muoversi a scatto dell'aria, dentro - e fuori dal petto. Dentro. E fuori dalle labbra. Cerca il perdono, per qualsiasi colpa. L'ha svegliato, deve avergli dato fastidio. Ha pianto. Non s'è presentata alla sua cena. Non gli ha detto quanto carino era... Quel vaso. Quei fiori. E' stato gentile, e lei - non se lo meritava. Un improvviso impeto la muove marionetta del trauma, disegna uno scenario già vissuto, troppo tempo fa'. < Scusa. Scusa. > Una nenia la culla, fatta di perdono - fatta di mani che ripercorrono le stesse vie - di un viso che s'avvicina a quella camicia, nel tentativo di affogarci all'interno. I petali si schiudono, espirano -- gli occhi strizzati. Non vuole guardare. Non vuole sentire. Non vuole farlo, le fa' paura -- e poi, non è pronta. Non lo è mai stata. Le lacrime ripercorrono vie - strade - tratti - adesso. Fallo subito. Finisci subito. Le fauci lasciano intravedere una linea sottile di denti color latte - l'avvicinarsi al suo bacino - affogare nella stoffa. Affogarci il suo singhiozzo. Il suo pianto. La sua disperazione. [Ext.] Come osi riversare così violentemente il tuo spirito in quella stanza? Che rabbia. Se solo il giorno non fosse già declinato egli avrebbe provato sollievo nel vederla sollevarsi e andar via. La mente avrebbe lentamente scaricato la fatica attraverso l'Adderal; ed i pensieri sarebbero presto tornati teneri e incerti, un po' come lo è il crepuscolo. Ma attraverso la verità del trauma psicologico, attraverso le terribili cuciture del vestito da essere umano di Nene, le stelle riescono ad illuminar un po' ciò che c'è più interiormente. Lo musica ormai in un ciclo di ripetizione continuo diventa una lugubre armonia, par quasi rallentata ed echeggianti. L'oscurità, che porta tenebre nella mente di loro, porta luce sulle sfumature d'uva appassita che ora caratterizzano quei capelli. E sebbene non sia raro veder una identica causa generare effetti opposti, quei colori lo intrigano e allarmano contemporaneamente. O, pianto! O rinfrescante pianto. Tale è per lui il segnale di una festa dello spirito, una liberazione dall'angoscia. Nella solitudine di quell'infinita stanza, nei labirinti di cemento delle pareti, tra le facelle del gran carro, quel pianto è il fuoco pirotecnico del suo male. La panacea, leggendaria cura ad ogni male. L'oscurità vaga dei suoi occhi indugia per un momento come fa il giorno sotto l'oppressione della notte, imitando ogni complesso sentimento che lottano dentro il suo cuore da umano. Ah. Siamo tornati allo stesso tema, ancora. Ancora e ancora. Cosa vuoi dal mio cuore, Nene? "Cosa cazzo vuoi." No, non tu Nene. Perché lo guardi così? Non sta parlando a te. Perché ora non lo guardi più? Non c'è più spazio nel tuo sguardo per comprenderlo? Non vale la pena essere visto? Cos'è, quello sguardo schivo? Ecco. E' morto di nuovo, non ne ha dubbio. L'ha annoiata. Però è una vittoria, del resto era questo il suo scopo. Perché allora si sente in profondo lutto? Come se dopo quei tre lunghi giorni fosse finalmente tornato solo. Solitudine. Sa bene che i mostri, i demoni, frequentano volentieri i luoghi inariditi, sa che il suo io lascivo e debole si accende straordinariamente nella solitudine. Ecco, è di nuovo ferito. Ci ha messo un sacco a rimettere apposto i pezzi. "a-" l'aria s'addensa in gola e lo fa quasi soffocare. Ce grand malheur, de ne pouvoir, être seul. Parole di La Bruyère, pronunciate per gettare nella vergogna tutti coloro che si gettano a dimenticare sè stessi nella folla per paura di non potersi sopportare. Ecco perché ha detto a Saigo di voler scappare, del resto. Non sa più come comportarsi in mezzo alla crescente folla della sua officina. Il tempo sembra esser tornato a scorrere, ma al contrario. Pascal aveva ragione. Tutte le sventure dello spirito provengono dall'incapacità di restare chiusi in una stanza. Anche Fuji è riuscito a raggiungere questa grande illuminazione, ha trovato il segreto per star bene con sè stesso. E allora perché non ha chiuso a chiave la porta? E' pure blindata, non sarebbe facile sfondarla neanche da chi si diletta nelle arti del chakra. Oltre i confini del suo sguardo, rischiarate dal soffuso bianco delle luci, solo qualche sedia, fatte dello stesso legno pesante e tenebroso con cui son lavorate tante delle sue opere. Ora scusati, però, non le hai spiegato a chi era rivolto il tuo messaggio. Ti ha anche detto che sei bello. Tanti autori del tempo dicono che il piacere rende l'anima buona e intenerisce il cuore. Per quanto riguarda lui, non è solo intenerito da quel complimenti, non è solo vergognato delle sue azioni che superan la sua sete. Gira il proprio sguardo sul suo, il suo caro amore, per leggere in quelle iridi tormentate dal passato il suo stesso pensiero. Eccolo, il mostro è tornato. Non può farci niente, non è colpa sua. Fuji è un uomo naturalmente eccentrico, dal quale ci si può aspettare tutto, ma normalmente poco. Uno come lui accoglie il prossimo conscio di cosa si cova negli occhi di chiunque abbia affrontato la vecchia guerra. Del resto, dovrebbe capire chi soffre. Ma per coloro che come lei son riusciti a penetrare meglio nelle profondità dello spirito malato, è infinitamente più probabile che sia spaventoso lo sguardo, specialmente come questo passa dall'esser confuso al prender una piega dolce, mielosa, in controllo. Fuji ha tante cose, ma non il controllo. Ed invece è lì, come se stesse per compiere un esperimento di fondamentale interesse, verificare fino a che punto quello spirito possa venir alterato o modificato dalla situazione straordinaria in cui si trova. Nel presente, per non perderci, è su di lei, dopo essersi sbilanciato in avanti. Si abbandona senza inquietudine a quel moltiplicarsi del piacere che gli vien donato prima dalle orecchie che dagli occhi. Come si scusa, così debole, lo scuote ripetutamente volte con la forza di un tuono ininterrotto. Tuttavia, non è così facile. Perché dovrebbe godere di quella completa sottomissione? Di quegli urli che paion a lui cantati? Il cappio che prima era troppo corto per impiccare entrambi sta diventando pericolosamente lungo, ed è nelle mani di Nene- Di fuji. Di nene. Di chi son le proprie mani? Ah, sì. Di Nene. Lo vede scusarsi e non c'è dubbio che il sangue che vigorosamente pompa nel piccolo corpo sia dovuto ad una sensazione d'ira. Perché ti stai scusando? Le sue labbra si serrano sempre più, i suoi occhi ad illuminarsi d'un fuoco interiore simile a quello della gelosia e del rancore mentre fissando i movimenti successivi- Almeno ha deciso di tapparsi la bocca. Premi più forte, lascia che ti aiuti a premere, poggiando una mia mano sulle tue, per assicurarsi che neanche il più inesistente degli spifferi prenda forma. E' solo naturale che aiuti a soffocare quella gracile figura: fa così pena. Forse dovrebbe andarsene, ma se spingesse un po' di più- forse sarebbe un bel gesto? Anche io so essere caritatevole. Tali supposizioni, non esattamente giustificate, ma neppure totalmente ingiustificabili, attraversano la sua mente contemplando quel viso dove pallore e rossore continuano ad aggiungersi, come neve s'aggiunge ad altra neve. Alla fine, lo lascia. Ha un'idea, no? Applaude con ostentazione vedendo quel viso affondare sulla propria camicia. Un fischio acuto e prolungato gli causa fastidio in quel momento di gioiosa e profonda contemplazione. Perché il battito delle mani è così innaturale? E' come se non stesse battendo tra loro due costrutti di carne... Ah. Il braccio sinistro- di chi è? E' fuji a non avere un arto, non Nene. Il fischio, rapido come un colpo di spada, lo confonde. Ha davvero preso il posto del boia? Poi, chi sarebbe il boia. Nene? Non fatemi ridere. Ecco, sente di star sfumando via, di star morendo. Se non si accerta di aver di fronte a sè Fuji sparirà. Ora o mai più. Così, prova ad afferrar chi ha davanti per il viso, passando sotto il mento. "Odiami." Fallo adesso. Fuji la odia. Sarebbe il momento perfetto per dimostrarlo. Avrai un attacco di panico? Perderai i sensi? Proverai a chiamare Saigo? Tenterai di cercare l'Adderall? Attende in un istante, quasi a voler cercare uno di quei segnali. Poi, sfrutterebbe la presa su quel viso per spingere a terra entrambi, sbilanciando il baricentro quanto basta da non farli impattare ancora sul tavolo. A terra. Cade anche lei, così dovrebbe trovarsi già dal principio sopra di lui. Con la mano destra cerca impetuosamente di afferrare dolcemente la sua destra. Ti da fastidio, quel contatto? Aspetta che io finisca. Spingendo un po' col bacino e gli addominali s'andrebbe a sistemar un po' meglio, ben sopra di lui, con le cosce che lo stringono ai fianchi e poggiando il baricentro appena sotto la sua vita. Il busto è un po' piegato in avanti, coi ciuffi che gli cadono appena di fronte alla vista. E' normale che sia così, ma non ho i capelli un po' più lunghi? Confusione. S'abbassa ancor di più, riducendo la distanza tra i visi come fosse quasi orba negli occhi. Non riesce a veder bene il volto di Fuji. La mano sinistra a violar il suo spazio, provando a schiacciare il petto, appena sopra il cuore. "Invece di piangere - chiedermi di smetterla, perché non lotti? Perché non muovi questa merda magica e non vieni a fermar... " Dov'è l'esoscheletro? Perché la mano sinistra di Fuji dovrebbe essere tanto calda? Se è falsa, poi. Le parole scemano, anche l'assuefazione negli occhi. Gli occhi stanno tornando a vedere Nene. Li chiude, poi li riapre, smisuratamente spalancati. Apre la bocca come per respirare affannosamente, ma senza farlo. Smette di respirare. E' quasi paralizzato. "N..Nene?" Ed io, chi sono? [lì] Qualcosa è successo. Sta tremando. Sta piangendo. Singhiozzando. Ah, per un istante capisce tutto - lui non è mai stato veramente Fuji. Non l'ha mai veramente salvata. Perchè sta facendo questo? Il riflesso dell'uomo è un ammasso di colori opachi che le sfiora palpebre fin troppo annebbiate per poter roteare l'obiettivo e metter a fuoco una vera figura. Si muove a scatti. Si sta impegnando. E la sua mano è così gelida addosso. Cosa cazzo vuoi? Ah, fa male. Se devi farlo, fallo in fretta, va bene? Le falangi lo cercano - il tiepido di quei quantini in plastica sembra sfregare pigramente fino a mostrar una parte di dito ove il suddetto s'è rovinosamente aperto. Basta tutti, fermatevi. Tutti e quattro. Basta divagare, cercare l'amore, basta andare oltre lo specchio - basta, fermatevi, stiamo esagerando. E più il fiato soffoca nella sua camicia - più finisce per sentirsi molle e minuscola d'innanzi a lui. Va tutto bene. Canta con me. Va tutto bene. Hai detto che se fossi riuscito a volare, non saresti più tornato giù. Hai solo occhi per quel cielo così blu. Ora mettiamo da parte ogni melodia, ogni musica, sta mugolando lei. La canzone la sente così bene, le impone una tranquillità tale -- e tutto diviene sfuocate, pure quelle dita che lo avevano cercato in modo tanto orrido, tanto perverso. Ha resto il riflesso di quel giorno, solo un componente che lo lascia forse con i pantaloni slacciati. O forse l'ha solo immaginato? Mentre decade a terra sotto il suo peso, si ricorda di quanto belli erano quei fiori. E Fuji. C'era Fuji quì, dove lo hai messo? Blackout. E' Nene. Nene non è più debole da troppo tempo. Nene, il mostro che voi imputate tanto d'esser tale - ha combattuto, e si è rialzata. Nene, è il frutto di terreno impervio e fauci enormi. Nene è forte, non ama nessuno, per paura di non esserlo più. Nene non piange mai. Non ha paura, non ha nemmeno idea di cosa sia. Nene fa' cose sciocche perchè non pensa. Dov'è Fuji. < ... > Gli occhi si spalancano, febbricitanti - e la forza che le scorre in corpo è veleno misto alle lagrime che la seviziano, che seviziano il suo viso rendendolo la peggior versione di se'. Che vergogna. A Fuji ora, non piacerò mai più. Piano, piano mette a fuoco - mhn. Chi c'è al di la' di questo vero appannato? Mi ricorda qualcuno. Ha finito? L'ha perdonata? Ha già sentito queste parole. Il canto ovattato sotto la voce troppo nitida di lui, lei - ah, Nene, la conosce. Ha avuto modo di farsi insultare anche da lei, ne è sicura, la disprezza. La fallace immagine di se' potrebbe trarre in inganno, o forse dice delle verità non propriamente concesse a tutti. Questo arto - complicato - aspetta. Blackout. Ah, la mia mano è vuota, devo esser caduta a terra. L'uomo non vuole che io prenda nemmeno un fiore, probabilmente è perchè mi conosce bene - sa' che farei un disastro pure con esso. Il sommesso singhiozzare si tramuta in un silenzio assordante. Le sue parole la schiaffeggiano, ma di cosa parla? Quale robo magico? E' confusa. Forse ha deciso di farla finita. E' un bel giorno per farlo, oggi c'era il sole - perchè non aspettare il mezzo giorno. Le piacerebbe morire con il sole sulla pelle. A proposito d'essa - la leggiadria con cui è caduta è solo l'incondizionato riflesso d'esser mal nutrita - l'affossarsi della pelle d'avorio sotto i suoi polpastrelli percuote la realtà - o più di esso, è il batter della schiena contro il pavimento. Il peso sul ventre. Il suo respiro. Nene. E' Nene che parla. Ma se Nene è lei - e la sua bocca ingolla respiri a fatica, com'è possibile? Risale l'abisso, ah, che fatica. La patina opaca data dal continuo rinnovo delle lacrime - sembra affilarsi. Un attimo, solo un attimo, va bene? Fuji dov'è?! Chi sta parlando in questo modo a lui? Chi osa tanto. Il tremore che le risale dalle viscere non sa' più di terrore adesso, ma di rabbia. Non toccatelo. Non. Toccatelo. L'agitazione le risale la gola perchè se lo sente nelle viscere di aver bisogno di vederlo, di toccarlo, di sapere che quello stupido mollusco sta bene. Ha acceso la luce. Deve stare bene. Sotto il suo peso può sentirla smuoversi, reagire, risalire l'oceano -- ma gli occhi vacui, fanno fatica a riprender il loro lumino di luce. E' stanca. Debole. E' stata male. Forse ha sbagliato con l'Adderall, è stata stupida. Ma è lei, la conosciamo, abbiamo già detto quanto sciocca possa essere. < Fuji... > Lo chiama, cieca - e quel vacuo riflesso del vainblack degli occhi del suo nemico - le cola addosso mischiandosi a quel limpido opale azzurrino. Però vuole vedere. Non vuole rimanere nel lattiginoso del suo pianto, non vuole affogare più - non vuole più farsi picchiare, farsi piegare. E' lei il cattivo di questa storia, ricordate? Il tremore la spinge a muoversi, a cercarlo, a cercare il suo viso. Il lamento vomitato dalle labbra raggiunge le vette di un isteria improvvisa - d'un impeto che rompe ogni vetro, ogni specchio, ogni anima. Si percuote con tanta forza, da battersi a terra iraconda. Apri gli occhi, stupida. E la rabbia a lavarle il sangue dal muso e la terra dagli occhi - finche quell'ombra distorta che l'ha gettata a terra... Prende una linea strana. Perchè Fuji le sta facendo questo? Perchè sono arrivati fino a questo punto? Ah, sì. Il musetto arricciato sotto la presa della sua mano sembra un bocciolo pronto a dischiudersi eppure, adesso, non ha niente da dirgli. Però è vero - Fuji... E' così bello. Con quelle ciocche di carbone che gli coprono il parte il viso. Con quegli occhi di buio pesto. Anche i suoi tratti sono così belli. < Habataitara... ♪ > Dopo averlo cercato a lungo, Fuji -- alla fine, è il mostro. Le è successo ancora. E lui è stato protagonista al suo fianco. Deve aver avuto paura. E allora canta - incorda il suo violino, con le labbra stropicciate nella mano. < ♪ modoranai to itte... > ... < Mezashita no wa--- Aoi - Aoi ano sora... ♪ > Il piccolo petto vibra, quando si sporca le labbra di miele. Quando la luce fioca, torna ad illuminarle l'iride. Quali fili la muovono a cantare, dopo aver deturpato lui - averlo toccato - essersi resa così stupidamente fragile. Non lo vede. Cosa gli ha fatto? Ah non era lui, l'uomo. E il suo odore addosso, è una nota piacevole. E' puro caso. Odora di buono, Fuji. E' paradossale sentirsi al sicuro, ora? Cantare le calma i muscoli - li stessi con cui aveva cercato di scappare giusto un attimo prima nell'impeto di terrore di vedere Fuji ferito dall'uomo. Abusato. Ah no, non era un abuso quello... Era solo una punizione. E' capitato a tutti. I muscoli del viso s'incordano appena, si rilassano di nuovo - finiscono per contrapporsi alla sua mano. Singhiozza ancora, però - è solo un riflesso di quel malessere rimasto annidato nel petto. Non è passato, se te lo stai domandando - s'è solo addormentato per ora va' tutto bene. /Hai detto che se fossi riuscito a volare, non saresti più tornato giù. Hai solo occhi per quel cielo così blu./ Questo, gli canta. Deve avere qualche significato. Deve ricordargli qualcosa. Qualcuno. Vorrei aprire quella finestrella in colori a pastello, e raccontarti - mio adorato lettore - che le ricorda un momento di felicità, un momento in cui tutto andava bene. Ma no, nessun ricordo. Ogniuno di noi, però - anche quando non ha nulla di piacevole a cui aggrapparsi, finisce con il ricrearsi un oasi. Un posto di pace. E allora arriva il sollievo, la panacea. Il sospiro che tira nell'immenso sforzo che è rialzarsi, va' a scatti di pianto - con il viso bagnato fradicio. Con le clavicole umide, nude. Goccioline ripercorrono la gola, osano solcar pelle spoglia - e morire nella scollatura che lascia tutto all'indecenza del pensiero. Non c'è altro, se non quella melodia - anche perchè proseguire, farebbe male. Le parole sarebbero tristi, parlerebbero d'amore. E non non parliamo mai d'amore. Proverebbe ad allungarsi, affondare con il viso nel suo petto inspirando - avvolgendolo prendendosi cura del dettaglio di non sfiorarlo mai con la pelle nuda. Basta. E' finita. E' finita. Fuji. Tu sei quì, stai bene. Io ora - sto bene. Meglio. Mentre inspira il tremor fragile della cassa toracica si fa' sentire contro il suo sterno - il profilo del nasino finirebbe per risalire la linea dei bottoni - fino al colletto. Un abbraccio. Un abbraccio vero. Come se non si fossero visti per anni e a conti fatti - tant'è. Ma quando cerca di smuoversi, quando cerca di avvolgerlo - di scorrer le dita verso l'atro meccanico. Che ridere, è quel finto ripiego che l'ha riportata a terra. Come ha potuto confondersi. Sorride. Sorride perchè s'è ricordata quanto meraviglioso sia Fuji. Quanto l'ha trattato male. Non s'è meritato nulla di quello che ha detto e fatto. Potesse arrivare a tanto - ironicamente - tirerebbe un mezzo sospiro di sollievo, esausto. E' stata in guerra, è tornata viva. Di nuovo. Ma il cigolio metallico dell'asola dei pantaloni che a conti fatti - son testimoni d'un massacro, di un crimine sfiorato - toccato - amato forzatamente, è lì a cantar a sua volta. Che meraviglia. E se in quel silenzio poteva tornar alla sua oasi, il rumore risuona come il gong della verità ribaltata in viso. Si ferma. Voleva così tanto abbracciarlo adesso. Voleva così tanto farlo sentire al sicuro. Chiedergli scusa sinceramente. Gli occhi vacillano in quelli dell'altro - ed implicitamente, gli pone una domanda. Le labbra schiuse non osano. E' colpa mia? Non si pronuncia. Ma si fa schifo prima ancora d'abbassar il viso. La mandibola si veste d'un impercettibile tremore. Gli ha fatto male, di nuovo. Ah, non ne fa' una giusta. E' stata lei. Guarda in basso. Oh, no - non riesce. Prima ancora di poter parlargli, finisce per il torturarsi una di quelle nocche rotte con gli incisivi. Si riapre una ferita. Non guardare. < Io... > L'ha vista. C'è la bivalenza di cose errate che convergono tutte nello stesso punto. Nei suoi pantaloni. < Io... ? > Suona meno certo, forse ha avuto timore d'esser troppo sicura. Dopo quel chaos Fuji sembra disordinato. E' colpa sua. E poi l'ha vista. Fin dove è arrivata. Si sfiora la bocca, la nasconde - sporca. Dentro e fuori. < Non volevo. Ho sbagliato. Ti ho fatto male. > ... < Voglio fare il bagno... Ti prego, scusami. > E l'occhio si riempie di nuovo. Dormirà benissimo, di questo passo. Il pianto è uno sfogo e lei, ha fin troppo da sfogare. Il brusio lamentoso di cui si macchia l'anima - porta la carica delle ciocchette nere che le carezzano il viso - delle mani che lo nascondono a tratti, a tratti lo lasciano intravedere arrossato. Scusami. Ricorda ancora quanto imbarazzo provò quando si divertì nello spingerlo in un angolo. Perchè lo ha fatto? Mhn, perchè Fuji le piaceva - e questo le faceva paura. Lei non è fatta per un ragazzo come lui. E allora perchè adesso si sente così al sicuro, guardandolo soltanto. Forse perchè se Fuji saprebbe volare, non scenderebbe più accanto a lei. Il respiro che le carezza le labbra si fa' mansueto, e come un cigno - il collo andrebbe a tendersi. Basta. Va bene? Lacrime. Il thè rosso. Tutto sommato ha un buon gusto. Scappa adesso, picchiala, dimostragli che anche tu sei un mostro. Le labbra finirebbero per accostarsi alle sue, come l'ultimo frammento mancante di un puzzle - come due bordi frastagliati che coincidono perfettamente. Efebico. Etere. Uno schiocco appare - e scompare, impercettibilmente udibile. < Non voglio più. > [Ext.] E' in viaggio. Oggi si trova su un treno. Ha qualcosa di familiare il paesaggio. Il luogo in cui si trova è senza dubbio in quel che tra lo spirito e la mente. Nel fine collegamento tra religione e perdita di controllo. i pensieri volteggiano fuori da metaforiche finestre, mostrandogli un luogo fatto di passioni e orrori che neanche esistono. E' un lungo viaggio attraverso uno spazio che potrebbe persino esistere, per quel che ne sa del mondo del chakra. L'unica cosa strana è il cielo notturno, privato di ogni stella e sostituito soltanto da una quantità infinita di porte, ognuna diversa dall'altra. Ah. E' un paesaggio che non ha mai visto, eppure lo annoia come se ci fosse già stato per un sacco di tempo. D'istinto, sistema il palmo della mano sotto il mento, lasciando che la gamba sinistra batta a terra seguendo lo stesso tempismo di un orologio. E' un luogo sublime, che sarebbe capace d'incantare ogni artista osi definirsi tale. Ma Fuji..ah, che ne sa. Dovrebbe divertirsi? Intenzione ed espressione, rigore della volontà, sinuosità della parola. Si sente un po' diverso. C'è silenzio. Ecco cosa non riconosce di questo luogo. Normalmente è così affollato di rumori, di voci che son tutte simili alle proprie. Normalmente? Ne pensa come se fosse un abituale cliente. Non viene mai qui. Il tempo d'affacciarsi che la notte finisce ed il sole è già sorto, radioso o rattristato, almeno cento volte. Emerge da un'immensa conca del mare cui bordi si lasciano appena scorgere; cento volte si era tuffato quell'enorme costrutto luminoso, e cento volte era riemerso. Quando la finirà, di dormire un sonno agitato dalle onde, turbato da un vento che russa più forte di quanto mai potrebbe? Che noia. Ma ecco che finalmente gli vien segnalata una riva; e vede, con l'avvicinarsi del treno, una terra magnifica e lucente. Una familiare musica dai toni classici rompe lo scenario, distorcendolo un po'. Un odore delizioso di fiori e di frutti lo inebria. Il mare distante smette di agitarsi. Sì, è ora di rinunciare al cattivo umore Fuji. La lite viene dimenticata, i torti reciproci lasciati andare; i duelli già stabiliti e le promesse vengon cancellate dalla memoria, i rancori svaniscono come fossero soltanto fumo - con un solo gesto. E' solo triste adesso. Inconcepibilmente triste. Si sente come starebbe un monaco se gli venisse strappata dai Kami stessi la propria divinità, non può staccarsene se non con una straziante amarezza. Non può staccarsi da quel paesaggio come nella realtà rimane immobile a quel tocco tra le bocche. Dicendo addio a quell'incomparabile momento, si sente mortalmente ferito; ed è per quello che gli occhi si spalancano. Non poterono che gridare senza alcuna compagnia della voce: Di già. L'olfatto si sente come se fosse in mezzo a un prato: a terra, con tutte le sue passioni e comodità, le sue feste, con un misterioso profumo di muschio e rosa. Eppure, non ci son nè entità nè mostri. Se Fuji è così distante, su quel treno, chi c'è dentro quella stanza? Non c'è oggetto più profondo, tenebroso, misterioso e abbagliante del suo nero sguardo illuminato da un velo di luce. Ciò che si può vedere normalmente sarà sempre meno interessante di quel che avviene ora. In questo buco nero o luminoso che è la sua stanza vive e soffre l'essenza stessa della vita. Il dubbio lo assale. Sei proprio sicuro che la storia attuale è quella vera? Sicuro di non star venendo illuso? Sicuro che non sia un incubo? Che poi, è divertente. Se questa è qualcosa come la sua coscienza allora come fa a sentire i suoi pensieri. Gli viene da ridere. Ah, la risposta, giusto. Cosa importa della realtà, se una bugia lo ha aiutato a vivere, a sentire ciò che lui è, ed è. E' come una domanda ovvia, cari pensieri provenienti dalla coscienza dentro la coscienza. Sente il fischio soffocante del treno. La musica è cambiata. Ora la melodia è composta dalla voce che prima gli è parso di sentire sospeso tra sogno e realtà. Stai bene, Fuji. E' finita. Ha ammesso le sue colpe. Lasciala andare. E basta? Sì. No. Fai come vuoi. Dev'essere stato davvero spiacevole sfiorare le proprie labbra. Straordinariamente pallide, ma su cui quel contatto par deporre nuovi colori. Contemplando la visitatrice i suoi occhi si sono così bizzarramente ingranditi; e lei ti ha così teneramente serrato la gola che gli rimarrà per sempre la voglia di piangere. La stanza si riempie di un veleno luminoso. Subirà eternamente l'influsso di quel silenzio dell'animo. Ed è per questo, maledetta e cara bambina viziata, che ora riprende i sensi. Qualsiasi cosa sia accaduta l'orologio non è riuscito ad avanzare di due ore, ma forse, al massimo, di una trentina di secondi. Ed in ogni caso nessuno poteva fare niente. Mentre gli occhi gli rimangono fissi sul luogo in cui era sparito il suo tesoro, si sente crescere interiormente una violenza isterica e bizzarra. Bentornato, Fuji. Forse nessuno voleva prendere il controllo, in quel momento. Nè mostri nè entità. Sciupato forse, ma non stanco. Si direbbe che l'approssimarsi della primavera abbia acceso in quel cuore fragile un fuoco nuovo; e nella sottomissione della tenerezza dei movimenti non ci sarà mai nulla che stanca. Ora è Fuji a muoversi, non ha scuse. Non c'è Nene, se non di fronte a lui. Il cielo si può vedere da terra, ma diventa poi nascosto a causa delle serrande limitatamente aperte. L'ampiezza del cielo, l'architettura delle nuvole, i colori cangianti dell'oasi, il luccichio dei grattacieli. C'è una sorta di piacere aristocratico per lui che non ha più nè curiosità nè ambizione nel contemplare le stelle che brillano e quelle che paiono spegnersi. Non pronuncia parola, non fa niente di niente. Eppure, procederebbe ad issarsi lentamente e poi issarla sul suo braccio sinistro, quello meccanico. E' così' freddo..ma non importa. Il modo in cui sarà trasportata è poggiandola come fosse una bambola sull'avambraccio, seduta, quasi con la possibilità di sgambettare. La destra si curerà di non farla sbilanciare nè avanti nè indietro, e le gambe lavoreranno al loro limite per portarli ad una velocità rovinosamente lenta nel solo bagno presente. L'adagia sul bordo d'essa, poi, apre uno dei rubinetti, iniziando a riempire l'interno d'acqua fredda. Si muove in silenzio, prendendo dagli armadi vicini spazzole e forcine e persino spugne. Ne ha di tutti i tipi, è ben equipaggiato. [lì] Ci mette un po' di vergogna pensare come tutto fuori da queste quattro mura risulti momentaneamente piccolo, ridotto a non valere niente. Gli attimi Prima sono stati un tumulto su cui non vogliamo più mettere bocca, nascono e muoiono proprio nel momento in cui li abbiamo creati e in cui abbiamo deciso di girare la mano Paulina spegnendo i sentimenti da lui nati. Le azzurrine lo sfiorano nel morir di quel bacio, rimangono ancorate adesso come se fosse la sua bombola di ossigeno, espletando il desiderio di averlo lì al sicuro e non in qualche punto nascosto di un anfratto del cervello. Inerme, si lascia stare da quella arto applicando si nella sola mansione di rimanere in equilibrio ad osservarlo. Se ci pensiamo bene, ci ritroveremo ridacchiare nervosamente dello sciocco sguardo di Nene dedicato a Fuji; l'ha cercato, l'ha evitato, l'ha voluto, l'ha cercato di nuovo, e ora in un certo qual senso si riscopre averne decisamente bisogno. Le lancette dell'orologio questa volta hanno una cadenza terribilmente lenta, Non è vero? Lei non si volta nemmeno a guardarle - forse nel terrore di perderlo nuovamente di vista. Posata sul bordo della vasca sfiora passivamente i suoi gesti con la coda dell'occhio, Esplora un nuovo scenario un nuovo mondo che la circonda svelando i segreti, che non erano nemmeno così segreti. Spazzole, pettini, spugne. Non le fa nemmeno più paura questa faccia di Fuji, quella che aveva preso in giro sporcandosi il viso della cipria con cui era decorata Aozora. A proposito, dov'è? Gli occhi allungano la propria visione oltre la porta aperta del bagno, come se il posto esterno a questo - le fosse fatalmente ignoto. Sai cosa? Sta meglio. Meglio di tre giorni fa', o quattro. È strano sentirsi così bene, così improvvisamente. Dovrebbe aiutarlo. No, lo farebbe sentire adagiato - o non in grado di prendersi cura di lei. Allora sta immobile. Il telefono da qualche parte s'illumina, chiama l'attenzione e si dà alle manie di protagonismo avvisandoci tutti che è ai suoi ultimi fiati di vita. Ci sono delle notifiche, dei messaggi abbandonati. Ma la piccola vibrazione è anonima e sinceramente, non si sente pronta a lasciarsi andare ad un mondo tanto differente da questo. È al sicuro perché Fuji, il suo Fuji, è più eroico di quanto avrebbe mai potuto pensare. Ah. Si. Le spalle si ricurvano appena in avanti, si chiudono sulla cassa toracica - cercando una sensazione di conforto ignota, ma presente. È uno spiraglietto - ma c'è, è qui. Ha il viso pallido e pulito. Le labbra macchiate dello stesso rossore che macchia le sue. Si muove zitto. Assorto. A cosa pensi, Fuji? Mi puoi perdonare? Alla fine lo aiuta solo nel terrore di obbligarlo a fare qualcosa che non vuole. Lo capirebbe se la odiasse. Se la sola immagine si sé lo ripugnasse a tal punto da non volerla spogliare. Il palmo fa' perno sulla vasca cercando di alzarsi. Cercando di sfilare la camicetta dal basso verso l'alto, lanciandola in un punto oscurato del bagno. Fuori di scena. Ah, c'è uno specchio - guarda, Nene. Il mansueto caracollare delle iridi sfiora un riflesso a se sconosciuto. No, quella non sono io. Io non ho mai avuto gli occhi così bagnati. E le gote così rosse. Il seno, quello, non è il mio. Si solleva a stento, acerbo. Il costato ad ogni respiro minaccia di mostrarsi ulteriormente - una pigra chitarrina di tre costole che le plagia la pelle sotto il suo tocco. I pollici abbassano piano il bordo dei pantaloni. Aspetta, sono io. È lei. L'illuminazione le rapisce il viso, aliena, riconoscendosi nei movimenti. Nelle espressioni vacue - ma presenti. Sono io. Come mai sono così... Orribile? Non è mai stata esser vanitoso, o un narciso, allora perché è così tanto allibita dal proprio riflesso? La distesa di pelle è come neve al sole. Latte. Sfumature rosate s'insinuano nella mente seguendo la perfetta curva delle spalle, dei glutei, dei fianchetti ossuti che le manipolano il ventre appena affossato. Sospira. < Ah... > Si lascia sfuggire l'afflizione di esser un orrida creatura. Assurdo come sembri differente con i capelli sciolti. Il nero senza riflesso del crine, risalta il bianco della pelle - ed il vacuo azzurrino degli occhi. Ghiaccio. È così fredda, ed al tempo stesso - paradossalmente - la aiuta ad esprimersi meglio. Le ciocche sfiorano le gote, le spalle, le labbra sporche di rosso. Le tocca - così come tocca quel rivolino che le macchia il mento. Che stupida che è. Ma sai cosa? Non importa. A lei non importa. È Fuji incaricato di renderla bella. Almeno come Aozora. La linea di stupore che non ha niente d'ammirazione o meraviglia, quanto più di terrore - l'abbandona. Fuji?! Ah, Fuji è lì. Riempie la vasca. L'ultimo capo tolto sono i guanti - ma istintivamente - chiude i palmi a pugno. Ha paura. Cosa potrebbe succedere se solo non la toccasse più con l'arto meccanico? Ciò che sfila accanto a Fuji, son un paio di gambe come montagne russe. Lunghe, affusolate. Belle. Queste sono rimaste così, belle da morire. Dalla coscia, alla caviglia. Scavalca il bordo della vasca. L'acqua è fredda. Pizzica la pelle. Incorda i muscoli: Hai fatto la guerra, smettila di piagniucolare, gli darai fastidio. Un verso le sforza le labbra, il tremore del gelo le fende pelle e carne, risalendo in piccoli brividi. Si palesano in pelle d'oca, in spasmi muscolari involontari. Nel contrarsi del ventre, del petto, del collo incredibilmente teso e terso, violentato dall'impatto verso qualcosa di ben poco piacevole. Una foglia in autunno, tremerebbe di meno. [Ext.] La mente viene anestetizzata dall'improvvisa realizzazione avuta. Quanto accaduto poc'anzi gli rischiara le pupille di un'ombra più scura: Ed io chi sono? Non ha trovato risposta. O almeno, non una che lo soddisfi abbastanza. Di fronte allo specchio del bagno, incastrato tra due ante, fissa il proprio riflesso, senza riconoscerlo. Ad un tratto con la mano destra si sfiora appena il viso, come se si stesse vedendo per la prima volta. Era molto più piccolo, da che ricorda. L'animo è spaventato, nascosto. Si sente come se fosse stato spogliato dei propri abiti, lasciandolo in pasto ad un gran cumulo di mosche; non riesce a parlare, perché ogni cosa sarebbe degno oggetto di beffa. Lo sa, lo infastidisce. Ma lo spirito va venendo cullato dalle onde del silenzio. Abbassa il capo, esaminando il soggetto delle sue attenzione e rimanendo un po' stupito nel vederla tremare così tanto. Quel che sente è conflittuale. Forse è pura filosofia - domande esistenziali, ne ha parecchie - o forse è religione, o cuore infranto, o tetra indifferenza di uno spirito disperato. Ad ogni modo, qualsiasi sia l'origine dei propri sentimenti, continua ad agire. Le sue mani rese d'avorio sotto le soffuse luci si smarriscono tra le vaghe forme d'ogni cosa. Le dita della destra, lunghe, spingono appena per cambiare la temperatura dell'acqua. Non se la sente di renderla calda o piacevole, per cui la porta a diventar tiepida. Ci vorrà un po' perché abbia effetto. I capelli d'oro nero di lei vengon sfiorati come fossero esili fili di una ragnatela tessuti sulla corolla di un fiore. Le labbra gli bruciano, come se fosse stato ferito, tant'è che occasionalmente andrebbe a bagnarsi le dita nella vasca per poi sfiorarsi i due petali e renderli non più secchi. Per un attimo viene distratto dal telefono altrui che s'illumina; lo sguardo si volge e rimane immutato, diversamente dalle labbra che paion per un momento schiudersi, trattenute a malapena dal render la sua espressione un po' diversa e più identificabile. Benché senta che la fine è già vicina: conscio che presto i gigli perderanno il loro oro ed il cuore il suo colore, gli vien da sorridere amaramente. Chissà se la mattina dopo il tempo scorrerà normalmente, o se diventerà un po' più lento per punirlo di ogni sentimento covato. Ah. Che rottura. Taci, cuore. Sfiorandola, finalmente, una fiamma gli consuma le membra. Parte bagnandosi le mani con acqua e un sapone, curvandosi un po' in avanti per toccarle il languido collo, esaminandolo; rami attorti, intrecciati come una corona di fiori bianchi e vermigli. Può veder ogni muscolo tendersi in quel tremare. Gli occhi s'abbassano per immortalare ancora quelle labbra che tremano come acque di ruscello dopo la pioggia della sera. Ecco, cos'ha davanti. Un pallido fiore battuto dalla pioggia. Nella loro onnipotenza, solo una cosa i Kami non sarebbero in grado di fare: mutare i suoi sentimenti in altri o render meno bello quel viso pallido. Le mani del marionettista son fredde, sia quella meccanica che quella di carne. Le mani passano sui colli delle spalle ed una alla volta passano per le braccia, scendendo veloci alle mani e assicurandosi che ogni punto venga insaponato e trattato. Sente il dolore di quel sussurro fuggito dalle labbra. E' assai lungo per entrambi il momento di sofferenza. C'è così tanto silenzio. Non sente neanche i suoi pensieri, soltanto l'acqua che reagisce al proprio tocco sulla pelle altrui. Lento, d'una lentezza infinita, che durerà anche decine di minuti. Del resto, una marionetta non ha fretta. Quel che ha sofferto da poco riecheggia in lui come fosse accaduto anni fa. Il piacere e il successo possono essere volgari, ma il dolore è la più sensibile di tutte le cose create. Qualsiasi cosa accada, ogni movimento e tocco, produce delle vibrazioni ed un eco infinitamente vivo e terribile. Chissà che le proprie mani non faccian sangue a lei, straziandola di più sofferenza. Poi, i capelli. Impegna tutta la sua concentrazione su di essi, imbalsamandoli e rinfrescandoli con gli aromi più rari. Con la stessa cura che darebbe alla marionetta di lapislazzuli. Quel che gli è stato detto ha riaperto le fonti della pietà, fatto fiorire il deserto dell'odio come una rosa. "Non so chi sono." Si riceve come un intruso, toccando un corpo che gli è più familiare del proprio. Ripartiamo da zero, Nene. Dal letterale significato di zero. Nulla. Senza neanche uno spirito. "Pensavo di prendere una parte di te." Chiede il permesso? [lì] Il gelo. Ah tutto sommato non mi dispiace. La mano morente dell'acqua sembra solcarle la pelle, ridisegnati glutei - il seno, le spalle. Li dove le curve divengono costellate da piccoli brividi non propriamente controllati - li dove le viscere si spremono fino a sentirsi dolere gli addominali, i dorsali. Ed ora che la muscolatura s'incorda, il suo esser grezza materia di forza ed agilità diviene quasi palese. Non il fisico di un culturista, chiaramente, parliamo di qualcosa che comunque permane minuto. Quasi uno specchietto per le allodole che la rende fallace mezzo di grazia. La gioia d'ogni esteta si bea d'innanzi ad un viso tanto afflitto - si bea di ogni goccia che le cade addosso. Del crine che diviene più scuro, se solo possibile - delle labbra che si fanno esangui per questo gelore; come viole in autunno perdono colore e vigore, tornano alla terra - così quel bocciolo si schiude nel far danzare aria nel petto, ad ogni maledetto tocco. Non si abitua. Non si stabilizza. È come rimanere sulle montagne russe nell'attimo prima di gettarsi nel vuoto più totale. Lo stomaco. Ah, lo stomaco, ma cosa succede? Riprenditi. Svegliati da questo sonno. Apri gli occhi. Eppure tenerli chiusi è così bello, eppure l'acqua tiepida che le scorre addosso, trascinata dalle mani di Fuji - le rivigorisce la pelle, la rende così piacevole al tatto. Così reattiva, a differenza di una marionetta. Non c'è niente di erotico, eppure - quella porta che dovevamo tenere chiusa si lascia intravedere solo adesso dal tanto acclamato mostro. Ha una luce tenue, la vedi? Ah no, sono sola nei miei pensieri. Lei la vede, vede sotto quel bagliore. Fa' caldo. E nessuno ha mai avuto queste cure, nei suoi confronti. Se solo lo chiedesse... Ah, no, sarebbe strano. Lo lascia fare tenendo le braccia sempre nella stessa posizione - nascoste tra le cosce. Quando lui scivola lungo la schiena, il collo - tende ad abbassarsi chiudendosi in se stessa - spingendo il petto a nascondersi oltre le ginocchia. Para i punti vitali. Non è che non si fida. È che -- ah, i pantaloni. Guarda in basso con la coda dell'occhio, ma sembra tutto apposto. Fuji non è arrabbiato. La deve odiare. La fortuna nel vedere il proprio riflesso incerto sul profilo dell'acqua, il corpo nascondersi in essa - la schiuma renderla un quadro frammentato. Non guardare. Non hai fatto niente. Non ha fatto niente. Nessuno può più osare tanto. Hai il controllo. È tuo. Il collo da cigno s'allunga, lo insegue, gli dà una pista ove atterrare con le mani - mostrando il viso sul quale i capelli son decaduti come neri lembi di seta lucida; dunque il mento si issa, le nervature del collo disegnano rette e fossari pallidi, disegnano la via per il petto acerbo che ora trema, risponde al suo tocco. Fisiologico. Le palpebre spengono l'oceano, e l'immensità di un abbandono che può sentire palpabile. Tua. Sono tua. Potresti uccidermi, ti amerei ugualmente. < Ti farà sentire meglio? > ... < Ti renderà migliore? > [Ext.] Dopo quel breve dire, torna a tacere. Poi, di nuovo, prosegue col suo lavoro, con uno di quei silenzi carichi di pace ma anche tristezza. Un po' di vento furioso batte sulle ampie vetrate della stanza principale, rapendogli parole mai pronunciate dalle labbra schiuse. Scende, prendendole la mano e cercando con le dita la carne del polso. In quella solitudine carica a sè d'una certa gravura, sente improvvisamente un violento impeto a strapparle qualcosa, che sia un pezzo di carne o di spirito; eccolo, il desiderio d'entrarle nell'animo. S'insinua con la punta d'indice e medio destro tra le vene del suo braccio, tormentando gentilmente la pelle con un moto inquieto in cui è palese il desiderio di possessi maggiori. Poi, solleva gli occhi, rendendosi conto dei brividi e di ogni piccolo tremolio degli occhi. Ah, eccolo. Uno di quegli sguardi che potrebbe ubriacar come pregiato calice di vino. Ricordi che ora sembrano eternamente distanti gli passano di fronte agli occhi, luminandoli d'oscurità. Vorrebbe quasi utilizzar il peggio delle loro interazioni per stringerla, ma ogni intento bellico vien soppresso dal tendersi del collo, dal porgersi di quelle fredde labbra, dalle palpebre socchiuse. Sotto di loro, le acque del rubinetto continuano a passar lente e fredde. Guardandola, sente all'orecchio un rumore continuo che si prolunga, un suono che par sfuggirgli dallo spirito e riempire l'intera stanza. Un'espressione dolente gli abbassa un poco gli angoli della bocca. Cos'è questa solitudine immensa? E' come se gli fosse stata sottratta Aozora sotto gli occhi. Forse gli sarebbe dolce morire, adesso; di tutte le ferite che ha subito questa è la più letale. Sente l'arte uscirgli da dentro e sfuggire come un soffio tra le labbra della Doku. Non ha il coraggio di riprendersela. Per altro, Aozora non lo potrebbe mai guidare tanto bene. E' questa la vita? Come può prenderla? Le mani si fan guidare, fredde come la pelle di latte altrui. Ha nel muoversi una leggerezza quasi di farfalla, non par toccarla ma a malapena sfiorarla; dai suoi gesti, delle mani, da ogni lieve attimo di pressioni sul corpo esce una tenue emanazione di piacere e lontananza che va a blandire il potere erotico di quel momento, senza annullarlo. La guarda con gli occhi un poco socchiusi, bevendo il fascino rivelatogli. Sembra così diversa, ora. Ed anche lui. L'enigma della plastica bellezza del Chikamatsu si fa un po' più scura: Il sopracciglio arcuato, così fermo e antico, che par essere uscito dalla stampa di qualche vecchio ryo, è carico di un contrasto singolare con l'espressione: passionata, ambigua, pregno di tutta la profonda corruzione dell'arte e dello spirito. Altri, la possiedono. Per quanto non riesce mai a formar nella sua fantasia l'immagine della velenista resa marionetta per sempre, gli è facile veder l'altra immagine. Una smania lo invade: sapere, scoprire, interrogare. Con un che di acuto. Una tentata ribellione del cuore non saziato. Le mani proseguono, delineando le forme del petto e poi dei fianchi. "Sì." In quel solo termine tiene tutta l'amarezza delle altre parole che il vento di poco fa soffiò via. "Tornerai a casa? Puoi tornare a casa?" Non più di Fuji, probabilmente. Eccolo, tornar dritto con la schiena, prendendole una mano per aiutarla ad issarsi anch'ella. Già l'osserva con le palpebre un po' più basse, tipiche di chi vede qualcosa andar via. Non sarai triste? Consolati, qualcosa ti sta venendo dato, dopotutto.
Giocata del 31/03/2021 dalle 15:32 alle 15:53 nella chat "Luogo Sconosciuto"
[nel vuoto] Non eravamo pronti; lei di sicuro non lo è. Deve esser uno scempio per chi aveva già decretato il proprio estetismo - vederlo così compromesso, così ribaltato vergognosamente. L'atto d'un massacro sarebbe stato più gentile del veder in frantumi i propri criteri sotto il sollevarsi di promontori delle tonalità del latte a nascondersi e mostrarsi contro il torpido profilo dell'acqua, burattini tra le dita d'un vile e d'un vigliacco. Lo insegue inerme, s'issa o s'abbassa - favorisce un lavoro che tutto sommato, deve tornargli difficile. A tratti s'immagina delle fitte alla gamba, o forse alla zona lombare. Un fastidioso formicolio dato dall'innaturale trascinarsi in giro, e trascinar con se' l'ennesimo peso morto. Si sente stupida mentre guarda il fondo della vasca. Si sente una sciocca insensibile. Ma non è forse quello che è? Egoista, insensibile, arrogante. Fragile. Innamorata di un atto fatto con superficialità, e neanche riconosciuto a pieni voti. Come se Fuji si fosse spinto a far veramente l'amore per la prima volta con lei - prima ancora che Nobu avesse potuto sfiorarla. Il sentimento violato non è forse più rilevante del proprio fetido tempio, come lo chiamano i buddhisti? Non è forse l'amore, il vero nemico del proibizionismo? Eppure nelle sue carezze non ci vede niente di lascivo, niente di sporco - ed è questo a farla sentire al sicuro. A ristorarle viscere e pensiero. Una parte di me. Anche tutto il resto se fosse necessario. Quello specchio d'acqua polare che son le iridi finiscono per caracollargli addosso con la mole incerta di chi non vorrebbe far finire il momento - di chi non è pronto a lasciare questo bacino d'acqua fredda. Andrai via. Lo so che andrai via. E vedrò tutto scivolarmi dalle mani. Ma non fa' niente, Fuji, sai perchè? Perchè ora hai una parte di me. Mi penserai. Ed io, fingerò di esserti indifferente sicchè non faccia mai male quanto serve ad ammazzarmi. Il fragile movimento del collo le sposta il capo ad osservarne il profilo impegnato, assorto nel comunicarle quanto possa farlo star bene. E allora non c'è nient'altro da aggiungere. O forse ci sarebbe ancora troppo da dire, così tanto che si sente in tumulto all'idea di abbandonare la vasca. No. Non andrò a casa. Non ancora. Respira. Labbra purpuree si schiudono e il cuore sembra riprendere a battere da adesso - come se la bassa marea si fosse trascinata via tutta quella decomposizione lasciata in mostra fino ad un attimo fa' - o forse, ci prova solamente a nasconderla. La placida tavolata che è l'oceano adesso, sembra in qualche macchinoso modo un plastico irreale - forse lo stesso che il marionettista associa al suo criterio d'estetismo. I capelli bagnati sono così neri da non rifletter la luce. Le iridi, per qualche assurdo motivo, sembrano aver ingoiato la pupilla e riservar lo stesso identico gioco. L'epidermide sottratta al tocco si fa' appena più contratta - mostra lembi spogli d'acqua costellati da gocce in rincorsa della gravità. /Puoi tornare a casa?/ Si. Siamo persone razionali. E ogni momento, come questo, deve giunger al suo pietoso letto di morte. E per qualche tempo quel riflesso nello specchio la mostra meravigliosa, poi orribile, poi meravigliosa di nuovo. Ah, che falso. Come se potesse trasmettere il violento oscillare del suo umore - tra realismo e surreale. Se solo lei fosse un po' meglio, forse Fuji... Uff, che idea stupida che sarebbe stata. Si sfiora con le dita la fossetta tesa tra spalla e collo - come se fosse stata immobile per anni. Il gelo dell'acqua nella carne diviene una fitta tra le costole. O forse si sente solo un po' vittima e piangina. Ora sembra sciocco piangere per una stupida coperta incastrata sotto la schiena. Il decader del capo alla volta della schiena lascia colar acqua tra essa e natiche - le stesse che si risollevano da quel fondo di ceramica creando un maremoto di schiuma e profumi, oli - li stessi che ora veste meravigliosamente. Come il proprio speciale vestito da sera. Se parlasse ora... Se lo salutasse. Sarebbe okay? No, si accorgerebbe di quanto rotta e incrinata possa ancora essere la sua voce all'idea di lasciarsi andare per sempre. Come se il ciclo d'un amore potesse nascere e morire nel giro di ventiquattro ore. Può essere del resto, nessuno le ha insegnato cos'è questo sentimento mitologico e romanzato. Forse è meglio non parlare. Lascerà impronte di acqua e schiuma sul pavimento rispondendo ai suoi desideri con inaudita immediatezza. Che senta anche lui una scomoda mancanza. O forse sollievo? Il solo pensiero la massacra, ma forse è meglio così. Si stava per creare un nodo - un nodo che vorremmo dimenticare. Un nodo che rimarra sotto forma di piccole impronte di sapone che vanno verso l'armadio, e poi verso la porta. Che fastidio la camicia addosso quando si è ancora bagnati. Addio, Eiyuu. Addio, Punpun. Addio, stupida, fragile, parte di me. [end]