Self Destruction
Free
Giocata del 16/03/2021 dalle 00:07 alle 05:20 nella chat "Quartiere Notturno"
È tardi e come sempre si ritrova a tornare a casa, distrutto, livido da quegli allenamenti intensi. Riecheggiano le parole di Nene sul non usare più la sua abilità oculare, da solo, troppo, fino a ridursi in quello stato pietoso in cui lo aveva visto nei weekend, visto che si vedono solo nel weekend i due. Inoltre era il giorno in cui doveva dar da mangiare ai gatti , quella colonia di selvaggi nel distretto di OTO che come detto a Naomi fa visita tre volte a settimana. Torna a casa con la solita busta bianca del kombini, più pesante del solito però dove la plastica viene tirata a deformare la forma naturale in merito al contenuto interno. Arriva nel distretto del divertimento, salutando tutti come sempre, sorriso falso sul viso, talmente falso che forse inizia a crederci che quello sia quello vero, sapete come si dice, a furia di ripetere una bugia, questa si trasforma in realtà. Gli occhi si posano sulla finestra, chiusa, con le luci spente: Kioku non è a casa. Forse è meglio così, non aveva voglia di socializzare di fare l’amicone e tutto quanto, voleva stare da solo. Sale lungo le scale, arrivando fino alla porta di casa. Si regge prima con la mano sinistra sul corrimano e ora invece con la destra alla porta visto che deve usare le chiavi per la serratura. Apre la porta di casa, chiudendola dietro di se, facendo per infilare la chiave eppure non lo fa, non si chiude a chiave stasera. Poldo zampetta in sua direzione andando a domandare cibo con il solito {MEEEEOW} alla quale viene data una risposta positiva, un cenno del capo. Lascia la busta sul tavolo, muovendosi verso il frigorifero a prendere la busta di cibo di gatto aperta. Si trascina verso la ciotola, riempiendola svuotando il contenuto della lattina. Si rialza e infine apre le finestre a far cambiare aria. Torna appena alla volta dell’ingresso, aprendo quella credenza tirando fuori una scatola di latta, portandola con se fino ad arrivare al tavolo, sulla sinistra di quell’appartamento. Appoggia la scatola di latta al tavolo, la sinistra si infila nella tasca del jeans, afferrando il telefono e lo appoggia, in maniera non troppo delicata sul tavolo. La destra afferra il bordo della sedia, tirandola dietro per potersi sedere, stanco, lasciandosi andare. La musica entra dalla finestra, le luci al neon ora che il quartiere è più vivo che mai, eppure lui accende comunque la luce di casa. Il pollice sinistro va esattamente sul telefono, sbloccandolo, mettendo una canzone a random tra la playlist. Un attimo di silenzio e poi una voce metallica seguita da un pianoforte {Do it for me}, lasciando iniziare quella melodia così sensuale e malata allo stesso tempo. La destra si allunga dentro il sacchetto, denudando il contenuto da quella protezione, da quegli indumenti provvisori, scoprendo a nudo uno dei suoi tanti vizi, l’alcohol. Due cartocci di vino da cucina, vino rosso, di quelli che ti vendono per forza di cosa, prodotto scadente ma che non gli importa. Lo avevamo detto, stava peggiorando, quella lontananza dai cacciatori di taglia, dalla morte, dal sangue altrui nelle sue mani, come a calmare quegli istinti distruttivi che ora non hanno dove riversarsi. Infliggere dolore per non infliggerselo a se stessi, un motto ricorrente. La destra che svita il tappo di plastica per poi afferrare il contenitore e portarselo alle labbra, senza un minimo di ritegno, senza vergogna, senza sensi di colpa. Pomo che si alza e si abbassa, rumore di quel liquido purpureo che sbatte contro il top del cartoccio, sballottando comunque il contenitore che viene comunque governato dalla mano salda. Se ne scola tranquillamente quella che è un terzo di quella che è un litro. La riabbassa sul tavolo con un tonfo. Gli occhi stanchi si chiudono mentre ingurgita rapido per farlo salire prima. Entrambe le mani vanno a posarsi sul coperchio della scatola di latta, aprendola. Scosta un paio di medicinali, blister sfusi, fino a tirarne fuori un wrap di stagnola, posandola sul tavolo. Come un tesoretto questo fagotto viene aperto coi polpastrelli dei pollici, scoprendo al mondo quelle pastiglie sferiche di diversi colori con diverse formine sopra. Pollice e indice destro che ne afferrano una gialla con sopra una stella. C₁₁H₁₅NO₂ la composizione chimica di quella sostanza o per chiamarla con un nome più professionale metilenediossimetanfemina, uno dei feniletilamine più comune e diffuso, ai più conosciuto come MDMA o ecstasy. La guarda mentre dal telefono arrivano quelle parole {I promise I’ll love you if you do it, so do it for me.} e con i bassi che esplodo, riprodotti male dalle casse del telefono, si infila la pastiglia in bocca e la ingoia. Aspetta neanche il tempo che cominci a salirgli l’effetto della MDMA. La canzone si ferma un attimo, vibrando, un messaggio, a quell’ora? La sinistra afferra il telefono, guardando la notifica, aprendolo. È un messaggio di Nene, tenera, dolce a modo suo, un messaggio romantico, sul loro rapporto lavorativo che gli manca. Lo vede e sorride ma non le risponde, non sa cosa risponderle ora, soprattutto adesso che può sentire la serotonina, l’adrenalina e la dopamina entrare in circolo. Inspira a pieni polmoni mentre le pupille si dilatano, seratonina che comincia a fare effetto, quell’effetto simile al veleno della Doku che ama. Torna alla schermata di prima con uno slide del pollice da sinistra a destra e gli cadono quegli occhi sulla chat dei genitori, stranamente di nuovo in alto con quella bolla verde al lato che da 999 messaggi ora riporta 21. La thumbnail e preview dell’ultimo è quella che si vede { R***a, hai visualizzato, c….} ma è solo un anteprima, non ti fa vedere tutto il messaggio. Lascia il telefono sul tavolo, sostituendolo con quel cartoccio, portandolo di nuovo alle labbra per scolarsi il vino e creare quel mix ancora più potente all’interno del suo corpo. Braccio destro che si spalanca, testa in alto mentre comincia a roteare su se stesso con ancora quei bassi che riprendono ora che non è più sull’app di messaggistica. Poldo a quella scena si spaventa, scappando via, sotto il divano. Non è la prima volta che lo vede anche se è da parecchio che non succedeva, probabilmente da quando era stato sospeso per aver menato oltre al ricercato anche la sua squadra dei cacciatori, appunto black hound, il cane rabbioso che è. Rialza il cartoccio alla bocca mentre ruota su se stesso. Le parole del testo della canzone sembrano fatte per lui, gli parlano come se fosse la droga e l’alcohol a farlo. {Hold my head, I’ll make you feel like NEVER BEFORE!}. Caviglie che si intrecciano tra di loro, facendolo cascare a terra, con il sedere contro il pavimento e il restante cartoccio di vino che si riversa sulla camicia blu scura, inzuppandola. Pastiglie speciali, rinforzate con un effetto immediato a discapito della durata ovviamente ridotta dalle canoniche sette ore a quattro. Si guarda addosso, per terra, con la camicia sporca di vino e ride, alcohol e droga che ne modificano sostanzialmente la percezione di benessere, di gioia, di felicità. Si appoggia per terra con entrambe le mani per alzarsi, barcollando appena, rilassato mentalmente ma anche le gambe lo sono. Non si sente più stanco, non è affamato, non si sente debole, non si sente Nobu. Le palpebre sono socchiuse. Incrocia le braccia al petto, afferrando i lembi inferiori della camicia per poi alzarli, tirandola via, spogliandosi a petto nudo, lasciando quella schiena color cioccolato in vista, con quell’inchiostro a marcarla, a ricordargli chi è, quel drago che è tipico della sua famiglia, appunto i Ryuuzaki. Senza la vista il senso dell’equilibrio va a prostitute, facendolo cadere in avanti fino a impattare con il viso, ancora coperto dalla camicia, contro lo specchio. Frammenti che si rompono e cascano a terra con un rumore tipico. Si sfila infine la camicia, bagnata di vino e ancora allacciata, motivo per il quale ha fatto fatica a rimuoverla. La lascia scivolare giù dalle braccia con un paio di gocce calde che gli solcano il viso e cadono sul cotone, sporcandolo e tingendogli la gote destra di cremisi. Si era tagliato. Palmi della mano che si appoggiano al cornicione dello specchio, occhi di ghiaccio che si immergono nell’immagine riflessa e, nonostante questi siano chiari, ecco che all’improvviso sembrano l’abisso o meglio, è come se finalmente quegli occhi di ghiaccio rivelassero la loro natura, quella del cocito, così spaventosi e profondi e come da leggenda, al centro del lago eternamente ghiacciato, risiete lui, il mostro per eccellenza che dal profondo di quelle pupille dilatate lo osserva e a differenza dei tre peccatori peggiori della storia i tormentati sono i suoi genitori e Nene, le figure importanti della sua vita. Più lo fissa in quel trip, con il vino e l’ecstasy che fungono la funzione di Caronte, traghettandolo all’interno, e più si avvicina a quel demonio ecco che può riconoscerne le sembianze mostruose: pelle nera lucida, coda appuntita, ali enormi e tre teste che tormentano i tre prima citati. L’unico problema è che quelle tre teste hanno il viso di Nobu, come a dirgli che è lui a tormentarli. Più osserva quel riflesso distorto, con una crepa verticale a separare il viso, e più il lato di destra ferito comincia a mutare in quel riflesso. Il sorriso si estende oltre la guancia, estremamente vicino allo zigomo, i denti compaiono appuntiti, affilati così come la pupilla da dilatata appare in quel riflesso come quella di una bestia, un mastino appunto il suo io interiore. Sorriso sadico che si guarda da solo con la lingua che esce ad intercettare il proprio sangue. Bulbi piliferi che si irrigidiscono a alzare il pelo corporeo, effetto collaterale sempre della MDMA che stiamo continuando a descrivere come quell’allucinazione che sta vedendo riflessa tuttavia quel sangue assaggiato gli causa un altro tipo di problema analogo alla piloerezione, peccato che non sia una semplice pelle d’oca. È rimasto fermo a guardarsi per qualcosa che sono due ore o di più, un tempo percepito distorto dallo Hyuuga che ora abbassa lo sguardo proprio alla volta di un coccio di vetro. Lo afferra, stringendo l’interno delle dita e del palmo contro le pareti acuminate e taglienti, lacerandosi i tessuti per sanguinare, accarezzando il pensiero dell’autoerotismo con la sua linfa vitale, con quel problema del vampirismo che lo caratterizza da sempre e che lo spinge a essere violento. Il telefono. Ah no, non ha vibrato - ha solo toccato lo schermo. Blu e viola s'alternano sul viso nascondendo le nefandezze della serata. Sarebbe stato più divertente con lui - lo pensa in modo puerile. Come una bambina fuori dall'asilo pensa di poter vedere passare la madre. Il bicchiere sembra vuoto ora che è arrivato a metà - ed il dolore è un eco piacevole che le ricorda di essere viva. Almeno lui. La nuca spogliata d'ogni ciocca che le è oramai colata sul viso - la musica rimbomba. È ovunque. Ah è stato bello, le nocche contratte e cigolanti tremano ancora vestendo un bicchiere tozzo e pieno di troppo ghiaccio e poco liquido, sporcandone la brina con il biascico del proprio sangue. Non ha risposto. Va bene così. Non ha bisogno delle altre persone, non ha bisogno di niente, giusto? Una fitta alla tempia la porta a pensare di essere solamente nel posto sbagliato - chi decide il volume adatto? Abbassate la musica. Mi distrugge i timpani. È freddo il bicchiere, ed è tutto annacquato. "Mettete sempre troppo ghiaccio." Blackout. Palpitazioni. Lo stomaco in gola è una sensazione piacevole, e la mascella che cigola sotto un pugno le fa' riverberare il cuore come nessun tocco saprebbe fare. Oh si, ora ricordo com'è sentirsi meglio. Ha la ragione dalla sua, è stata toccata. La canottiera nera infilata nei jeans a vita alta ha una spallina rotta - e parte della bralette nivea sembra nascondersi nelle rotondità acerbe del seno. S'è macchiata. E come il primo fiotto di sangue sfiora la stoffa di cotone - sente mancare. Il sangue é difficile da lavare via. Blackout. Ora si che si sente il male. Deve essersi slogata una spalla. Il muro bagnato di brina è tuttavia così confortevole. Il cellulare. Nessuno. Si sta bene da soli. L'unico problema é questa spalla, non ricorda nemmeno come é arrivata fino a qui - non è a casa. Non è nemmeno fuori dalla sua zona. C'è un gatto nero lì, miagola. Ah, non può toccarlo. "Hey, vieni..." Per fortuna è scappato. Forse si è spaventato. Si é rimessa la felpa - ma ha perso il suo cappellino nero, in balia del vento. È vainblack. /STOK!/ Un moto della spalla violento le contorce il viso in una smorfia di dolore e le regala sollievo dal sentirsi un osso lievemente fuori posto, fuori dalla sua naturale locazione. Deve andare a casa. Ma le strade di notte sono così bene. E poi odia stare a casa. C'è disordine. Deve farsi una doccia - è così stanca. Mentre tira su con il naso la mancina si porta a pulire la narice destra di quella pigra pozza. A proposito di pozza; il riflesso distorto di quel corvo amabile diviene bianco, nero e rosso. Ah, ora si che mi ricordo di te. Ti ho già vista! Gli occhi divengono immensi, una gigantesca corolla in piena primavera. Indaco. Ah, che spettacolo. L'ombretto nero è divenuto un vecchio ricordo che dona particolare spessore a quel taglio ferino d'occhi. Mi piaci. Da morire. Ma quando s'allunga verso quella giovane donna, nella consapevolezza di volerla alienare dai suoi dolori - una strisciata rossastra la riporta alla realtà. Che disprezzo. Blackout. Dov'è il gatto nero? Questo pianerottolo lo conosce. Il petto coperto dalla felpa oversize nera incastrata nei pantaloni si muove sotto violenti spasmi. Non ricorda di aver corso. Deve esser arrivata a casa sua, probabilmente desiderava così tanto farsi una doccia da aver corso come una disperata. Il cigolio dietro la porta non ha niente di aggraziato, sembra una bestia inquieta che fa avanti ed indietro sullo zerbino. Le chiavi non entrano. Bastarde. Spinge le nocche contro la porta - le stesse che sembrano essersi lavate dal temporale. É zuppa. La felpa s'è fatta pesante. Le scarpe di tela sembrano barche arenate. Il nasino affilato, appena all'insù - tira su la brina che le bagna il viso. Rea delle sue minacce; ha fatto a botte e non ne è uscita vincitrice - o così direbbero gli stolti che non la conoscono affatto. Ha fatto a botte e le ha prese tutte. Il labbro. Lo zigomo. La spalla appena più bassa e annichilita sta meglio. Quanto tempo è passato. Mhn, non è mica Fuji lei - si guarda attorno, e tutto sommato - il suo buco di merda ora sembra pure più carino. Più accogliente. Che divertente. Le chiavi! La sua batte contro il nottolino, incomprensibile. Il telefono é morto in tasca, oramai non l'ha nemmeno più preso. Che cazzo ha la porta oggi? Finisce con lo sbattere esausto le chiavi contro quel maledetto nottolino, inveendoci contro. "Che cazzo hai oggi, apriti e basta, o me ne vado a fare in culo fino al mattino." Sai cosa importa alla porta? Ora che ci pensa meglio, probabilmente non importa a nessuno. Il pizzicore s'adagia. Il sapore ferreo penetra le labbra - le dona un colore tutto sommato rinnovato. Aspettate tutti, potrebbe aver capito qualcosa. Si guarda attorno. Lo zerbino. Le scale. Le altre porte. Deve aver bevuto troppo. Il panico. Le chiavi. Dove sono? Le sono cadute a terra ma fuori è buio, e lei non vede nessun maledetto interruttore. Aveva sbagliato verso della chiave, ed ora - appoggiata alla maniglia, s'abbassa per tastar con la punta delle dita a terra. Ma più s'appoggia su quella porta, più il suo peso aggrava sulla maniglia disinnescando una fallace chiusura. " Ah... " La porta si apre alla fine. Che fessa. Non aveva manco chiuso. "Sono a casa ..." Le chiavi comunque non ci sono - e forse è per questo che entra di schiena - cercandole a terra. "fottiti casa." Non c'è nessuno che la aspetta. Fottetevi, se mi sentite. Ora basta distrarci, lasciarci trascinare nell'antro buio e umido che la mente d'ella - nella sua mise più banale, muove dei passi sgraziati oltre la porta. E forse il mondo in cui si dissocia, la fa' danzare sullo zerbino come chi non ha idea d'esser potenziale meta d'osservatori o intrusi. Inveisce contro il nulla - abbaia - e la spalla più bassa cerca di riaquisire l'orgoglio di chi finge di non sentire niente. Niente di rilevante. Eppure questo odore. Questa musica. S'immobilizza dando le spalle ad un corridoio che ha visto troppo spesso - ad un odore che l'avvolge, la nausea. Le rende pietosa la vita ed al tempo stesso, così curiosa - di quella stessa pietà. Non dovrebbe giudicare, non lei. Le ciocche bagnate sotto il cappuccio non fanno cenno a muoversi, innamorate della pelle di quel viso per metà contuso. E qualcosa che ama è lì. E' un regalo. Ha perso il senno. Blackout. E' ancora quì, non c'è stato nessun blackout. E' vigile - lo era. Ora è solo immobile. Non capisce. Perchè è a casa di Nobu? Nell'errore di messaggio della chat ci sono diversi messaggi in rosso: Perchè non mi rispondi? Anche io voglio affondare le dita tra i tuoi capelli. Voglio vederti, posso passare da te? Scusa se non dormo al tuo fianco. AH, no, non è tipa da mandare questo tipo di messaggi. Per fortuna son andati in errore. Così come la serie di parolacce inviate perchè non rispondeva. Sarà con una puttana. Forse il subconscio la guidata fino a qui, e le chiavi erano preludio d'un errore. Il primo di tanti. "..." Scusa? Dovrebbe chiedergli scusa, dovrebbe. Ma si prende la briga di togliere le scarpe bagnate onorando la tradizione - meno i vestiti - lasciando una serie di goccioline di pioggia nella sua parata alla volta della sala. Tutto diviene più o meno nitido. Diviene più o meno incrinato, così come la mano ch'essa carica /la mancina/ retrocedendo il gomito al di la della spalla funzionante, cercando di tirargli uno schiaffo. Sangue. Nobu. No. Egoistico. E' suo. Non va' rovinato. Fosse riuscita, o meno - a colpigli il viso - le labbra tremerebbero appena. Rotte. Non è divertente. " Che cazzo fai. " Eccolo, ci siamo, finalmente ha sbroccato, finalmente quelle sostanze lo hanno distrutto, gli hanno bruciato le sinapsi, il cervello. Ora si immagina anche le altre cose che non esistono, Nene che entra di culo all’interno di casa sua, che litiga con lo zerbino. La vede arrivare come una furia e caricare quello schiaffo. Le iridi lo guardano quel palmo che arriva come la pioggia che sta cadendo, arriva pure infine su quella guancia lo schiaffo che incassa come ha sempre fatto. Le sorrise, sadicamente, tirando fuori la lingua a pulirsi le labbra, leccandosele in maniera vistosa. Che cazzo fa? I fatti propri, si sente bene, facendosi male e Nene è la persona peggiore che possa esserci lì in quel momento. I capelli neri, quelle ciocche sudate per il caldo che sta percependo per le droghe, gli calano davanti agli occhi, guardandola con quegli occhi di ghiaccio da dietro quelle frange, uno sguardo che lei, solo lei conosce. Lo sguardo di quando è a caccia, di quanto ha quella sete da colmare. Allarga la presa su quel coccio di vetro, di quel pezzo di specchio, lasciando che cada a terra e si infranga, con il sangue che gli cola sopra. La continua a guardare con quello sguardo che fa paura, con uno sguardo che ormai è TANTO tempo che non vede. Non sa come possa prenderlo, non sa che quella è la realtà, lui sta fatto, è nel suo mondo allucinogeno e quello schiaffo neanche lo ha percepito praticamente. Freddo e analitico, con la mano tagliata prova a sventagliarla in un arco, proprio per far si che il sangue che sta sgorgando tra le pieghe del palmo e delle dita le finisca in faccia, idealmente negli occhi. A vederla sembra mal concia eppure, così rotta è incredibilmente sexy, motivo ulteriore per la quale pensa sia ancora nell’illusione, infondo che ci fa Nene da lui di notte?! Se fosse riuscito ad accecarla ecco che la stessa mano la vorrebbe afferrare per quel collo, passando idealmente sopra la spalla poco fa lussata la quale dovrebbe aver meno mobilità per via del trauma e della condizione psicosomatica di Nene. Barcolla ma dovrebbe riuscire a invertire le posizioni, con la schiena minuta della Doku che dovrebbe, se tutto fosse riuscito, trovarsi ora schiacciata contro i restanti cocci ancora attaccati dello specchio, rompendolo ancora di più, con Nobu che dovrebbe averla presa in maniera salda dal collo. Può sentire dal suo telefono ancora quella canzone, in loop, così come tutte le cose che lo caratterizzano si ossessiona e si fissa, così come è ossessionato di Nene sostanzialmente, di un dettaglio stupido magari, di una sua idea che si è fatto di lei che lo abbia accettato per come è lui, per come è ora se non fosse che è fatto a merda, con tutti gli inibitori a zero, con quelle maschere perse, dimenticate, decorazioni di carattere che non servono e che non è sufficientemente lucido per indossare. Ma torniamo alla canzone, può sentirla, rallentata, con il processore del telefono ormai surriscaldato dopo due ore no stop di replay in loop {Say my name, all I wanna do is hear you scream in pain…. Say my name, I promise I’ll love you so do it…} e quel pezzo finale le verrebbe bisbigliato proprio da Nobu < do it for me… > un bisbiglio, erotico, così come è eccitato da quella situazione, dal vederla così rotta, con proprio quella lingua insaguinata che, come faceva con le sue nocche, cerca di passare sulle ferite in volto, a nutrirsi del suo dolore, a nutrirsi del suo sangue e alimentare il suo piacere e la sua carica sessuale malata. Le tonalità decadono - ed il quadro, non è più un intimo declino di se stessa. Cosa succede quando il fiore che ami tanto, sfiorisce nel tuo vaso? Lo butti, o se sei un inguaribile romantico - cerchi di donargli nuova vita. Ma questa sono io che parlo, e Nene non sarebbe mai ne tanto filosofica, ne tanto chirurgica da pensare a qualcosa del genere. L'impeto di fermare quello che stava facendo. Il desiderio di preservarlo. Un uroboro di situazioni che alla fine - per quanto plasticoso sia stato il suo amato, lo rivedono lì. Lui. Ora sì, che lo vedo. E' stato lui a tenermi testa tanto a lungo. E' stato lui, a prenderla per mano. Ad esser innamorato, perdendo al gioco dell'amore - e trascinandola sul suo becero fondo. Dallo scoppio del palmo sul viso, alla schiena frammentata contro lo specchio - passa letteralmente il battito delle ciglia. Il cervello macina, rumoroso - il petto è niente più che una vecchia stazione abbandonata. Immobile. Pensa. Lucida. E calarci dento essa è come vivere in un mondo che si destreggia poco abilmente tra vuoti immensi e telegrammi. Immagini. Ricordi. Ricordi mancati. Ricordi falsi. Nobu. Lui, in vero, è quello che conta. Il suo sguardo. Come quegli opali la carezzano degradandola completamente al ruolo peggiore che potrebbe vestire. Ha già affrontato questo problema, non con lui - ma con se stessa. Ha già affrontato l'esser vittima, e non predatore. Gli occhi si spengono in un bacino vacuo, muoiono oltre le palpebre. Dieci minuti, quindici, il tempo necessario per sedare se stessa ed il proprio immenso mostro. Ha fame. Si vede. E se ha fame - cos'altro dovrebbe fare? Cosa muove i fili di chi ha tante afflizioni quante ne ha lei ora? Si mette da parte - ed il tenue della sua lingua che percorre il viso. Può trovar nicchie ferrose ovunque. La gota è solo appena arrossata, con l'ombra di un vecchio taglietto oramai rimarginato quasi del tutto. Il labbro inferiore è stato torturato quel che basta da lasciar una ferita ancora aperta. Lo stesso non potrebbe dire il sopracciglio speculare opposto, dove il sangue sembra essersi fermato. Le nocche invece son aperte su più punti, principalmente sulle loro vette più alte /medio ed indice/ - riducendo gli altri, a miseri graffietti. Non fa' più male ora. Non fa' più male niente - oltre quel pugno piccolo e nero che perde un battito. Stanco. Affaticato. Il respiro si marca, ma non è ne eccitazione, ne paura - a muover questa marionetta. Solo il cuore pigro, e non propriamente in salute. Va' tutto bene. Reggiti in piedi. Per lui. Accompagna quella lingua con il muoversi del viso di lato - riluttante nel dargli quello che vuole da lei. Non è un allucinazione, lei forse, avrebbe continuato il tuo gioco. La mano alla gola centellina il respiro, le bagna le labbra. E forse, leccarle il sangue - non è la via migliore per uscirne. La tossina del chi no shi si mischia abile a quella da lui ingerita, sintetica - apportando modifiche, sedando, alterandone le percezioni. Il prurito al collo s'arresta e diviene necessità. Di sopravvivere? Oh, no. Sarebbe sciocco pensare che Nene voglia sopravvivere d'innanzi a Nobu - l'opposto. Vuoi questo? Va bene. Il dolore alla spalla si dirama, la spezza da parte a parte - e il contorcersi del viso diviene acqua per chi ha sete. < Nob-- > Strozzato in gola, le gorgoglia sporco a rauco dalle labbra. Si spegne. La manca è la sua unica amica, così come le leve inferiori. Slitterebbe nell'insenatura oltre la sua spalla. Come vorrebbe infilarci le unghie ora - no, per Nobu. Respira. Tenterebbe d'infilar le dita tra i suoi capelli, stringerne le ciocche d'ebano - e tirarlo indietro rispetto a se' - snudandogli il collo se solo fosse riuscita. Ed allo stesso modo, leverebbe il ginocchio destro spostando il proprio baricento alla volta della manca fissa a terra, proiettando quella genuflessione proprio in direzione della bocca dello stomaco altrui. Non vuole fargli male, vuole solo allontanarlo da se'. Togliergli le mani di dosso, dal suo collo - dalla sua spalla che permane - morta. Più bassa. E' questo che vuoi? Combattere? Ne hai bisogno? E' sempre la manca che lo lascerebbe andare, si toglierebbe di dosso la felpa nera - gettandola a terra, cercando di liberarsi di un impiccio e di un peso. Ne ha prese abbastanza, per oggi. < E' questo che vuoi? E' questo, di cui hai bisogno? > ... < Va bene, facciamolo. Ma non mi toccare come se fossi una puttana qualsiasi. > E quello spacco - quello che le colora le labbra - dilania parole e sorrisi pallidi. La pelle nivea. Come sangue che cola sulla neve. Si distrugge, come quella visione allo specchio. Ma lei sanguina davvero - mentre quello, oh - dio solo sa cos'era. La schizzata traversale sugli occhi, che le ha fatto girare il viso inevitabilmente di lato per evitarne il fastidio - è ancora lì. Sospetti impostori tra le lentiggini caffè e latte. Ed è rabbia. Paura. Fastidio. E' dolore. Lo stesso con cui si muove alla volta di tutto ciò che s'è calato - cercando di scappare come un cane braccato; quelle pastiglie, le soffoca nel palmo. E tutti dicono che gli animali imparano la lezione - ma Nene non è un animale. E' una stupida. Le soffocherebbe nel palmo, abbassandosi quel che basta a crear una conca protettiva sulla sua azione. Il ventre coperto dalla canottiera sfiora il tavolo, il musetto sporco di sangue va' in contro a quel palmo arrossato di sangue. Giù tutte. Che meraviglia - ora. Come le ciocche nere si liberano dal cappuccio - come oscillano carezzandole furiosamente le gote, il collo da cigno. Lo stesso che si muove, ingerendole tutte. Sei arrivato così in basso, Nobu? Sono incapace di tenerti. Di riportarti in alto. Allora vengo a fondo con te.
Giocata dal 16/03/2021 21:45 al 17/03/2021 00:34 nella chat "Luogo Sconosciuto"
Era quello che voleva? Forse, difficile dirlo, difficile capirlo con lo spirale di azioni che avvengono. Vuole farsi male da solo? No. Vuole che si faccia lei male? No. Vuole vederla sanguinare? Sì. Lo capisce? No. Partiamo con ordine da quel veleno che entra in circolo che lo rallenta semplicemente dato che è già nel pieno dei suoi deliri allucinogeni e avere pure quel veleno non va a portare nulla di nuovo sotto questo punto di vista, visto che per le prossime tre ore circa sarà delirante grazie alla serotonina che rampante gli annebbia la ragione con immagini talmente vere, talmente mixate con la psiche malata che è difficile decretare quale sia vera e quale sia falsa. Nene stessa non viene percepita come reale, come potrebbe esserlo? Che ci fa a casa sua a quell’ora senza averlo avvisato che sarebbe passata. Si ricorda un messaggio vago, di fare a botte ma niente riguardo a una comparsata, facendogli dedurre che è solo frutto della sua immaginazione. Si sa, le illusioni si alimentano dei nostri pensieri più comuni e cari, con la Doku che è u n capo saldo di quelli dello Hyuga ormai da tanto tempo. L’amore e i suoi tiri mancini. Sente quelle parole ma non ha di che risponderle, bocca secca e impastata, mascella che per poco non digrigna nel più totale down da ecstasy. Viene allontanato da quella mossa congiunta di Nene, il giusto per permetterle di sgattaiolare via da lui, proprio verso il tavolo. Non capisce, non lo ricollega se non fosse che vede quelle mani a cupola, a protezione di quelle pillole, le sue pillole. Palpebre che si aprono di scatto, sclera bianca che torna in vista con la pupilla che ingoia la luce di quella camera e la luce dei suoi occhi che ora è lì’, chinata, davanti a lui su quel tavolo. Vorrebbe potersi perdere in quelle curve, in quelle natiche così morbide al punto da poterci rimbalzare contro se solo si dovesse appoggiare. Vorrebbe perdersi in uno di quei mille particolari di Nene, come contare quante lentiggini pitturano i tratti del viso, giocare al gioco dei paragoni per il candore puro della sua pelle, seguire la vita che si allarga appena a dipingerla come una donna che sta ancora sbocciando o come ogni segno di abuso e violenza sul corpo come quei tagli e lividi che per tutti i Kami lo arrapano nella sua malattia. Privilegi che non ha o che non si può permettere. < Non lo sarai mai una puttana Nene, sei la mia donna. > le spiega mezzo sbiascicante fino a vedere quel collo che si piega in avanti. È pazza, vuole farlo morire per caso? Trip o non trip non lo può permettere, sa quante dose gli sono rimaste, come ogni tossicodipendente. Fosse una puttana qualsiasi ora l’avrebbe colpita, menata e ridotta a un cadavere buono per il sacco dell’umido solo per aver provato a consumargli la sua scorta. Eppure è Nene, la scorta neanche lo tange, bastano un paio di chiamate e gli arriva il corriere a casa considerando dove sono! No, una dose del genere è letale! Prova a lanciarsi in avanti ma capitombola , finendole teoricamente contro la schiena con il segno del suo apprezzamento e della sua condizione psicofisica che si adagia su colli morbidi a lui esclusivi, separandoli appena come le correnti del mar rosso per mano di Mosè, anche se quella morbidezza che sente per lui è terra promessa. Le mani, anche quella insanguinata, cercano di pararsi davanti alla sua bocca e naso, bloccando con il dorso il moto delle mani della doku atto a ingurgitare le pastiglie <Non così.> . Se fosse riuscito nell’intento di fermarla dal distruggersi e distruggerlo di rimando, avrebbe scosso la testa guardandola. La mano sinistra cerca di farle aprire quella coppa che ha formato con i suoi palmi, lasciando cadere quelle restanti cale sul tavolo e infine ne prenderebbe una, portandosela alle proprie labbra, depositandola sulla propria lingua ben in vista per lei e con quella lingua che cerca di invadere la bocca altrui, guidandola con lui giù per quello spirale autodistruttivo, condividendo con lei la sua droga, il suo dolore, il suo vero io e quel bacio pieno di passione. La prende metaforicamente per mano, come virgilio che accompagna dante nei gironi infernali, nel suo mondo. Fa' freddo -- anche se le gote si pizzicano di colori che non hanno mai sfiorato. No, forse non è freddo quello che prova. E' l'impulso a muoverne gli arti, a farla piegare su quel tesoretto come se fosse la sua prossima ragione di vita. Quanto delirio ci vuole per comportarsi in modo tanto sciocco? Le pozzanghere d'oasi dietro le palpebre raccontano una storia differente da quella che penserebbero i passanti guardandola dall'esterno. Le unghie laccate di nero sono l'acerrimo nemico del tavolo, sfiorandolo appena. Azioni senza pensieri. Ed quella canzone in loop sembra così distorta adesso - sembra rallentar fino all'esasperazione. Fino ad esser stanca di cantare per loro. Fino ad incrinare la situazione. E se fa' caldo, se così dovesse esser dalla patina di sudore che le ricopre la fossetta della gola - allora perchè le trema il polso nel sentire le sue parole. Nient'altro che una conferma, no? Lo sapevi. L'eco di Nobu, del suo esser leggero, t'ha accarezzato le orecchie fino a tormentarti l'anima. La mia donna. Ha un sapore così buono sulle sue labbra - buono come quel palmo che preme la bocca prima di poter realizzare di star mettendo un punto a tutto. Non può negarglielo, come potrebbe osare tanto. Ed il riflesso distorto delle sopracciglia di Nene sfiorano l'impeto della rabbia, del disappunto, d'un vulcano sul punto di eruttare in molto più di uno schiaffo ed un commento. Il corollario di sentimenti conflittuali fa' battere in due o tre momenti differenti lo stesso orario. Il tempo non scorre. E se il polso trema, come pretende di vincerlo? La mia donna. Per ogni taglio sulla pelle, non avrebbe lo stesso peso di quel basso riverbero - non la farebbe sanguinare come fa' la sua voce. < n--no > Il pugno sbianca - e tra la tinozza di colori che le annebbia la vista, soffusi - il fioccar delle nocche nel riaprirsi pigro delle ferite. Le labbra gli carezzano il palmo, il respiro affannato sembra strozzarsi ancora tra le sue dita. No. Non vuole dargliele. Non vuole fargli vincere questa guerra. L'infuriare delle ciocche bagnate contro il viso arrossato, il combattere furiosamente la sua presa -- ah, come potrebbe resistere? I fianchetti lo riportano sulla terra. Come la schiena risponde al comando, fedele, arcuandosi con una dolcezza straziante. No. No. Tutto si ripete ancora ed ancora. Quanto è capace di far riecheggiare momenti, in un appartamento che è sempre stato il centro gravitazionale di situazioni e litigi. Di bevute. Di scherzi. Dei loro primi attimi. Il divano. Il bagno. La vetrata. Chiude gli occhi soffocata da quella mano - e l'importanza di se' è talmente piccola adesso. Le ciglia si rialzano umide - lasciano andare il raziocinio. Il dolore. Va bene così. Forse fara' bene ad entrambi. Le falangi si riaprono, proprio mentre quel fuscello nascosto in stoffa nera combatte - si solleva - gli risponde. Prendile. Il palmo offerto, gli occhi che lo inseguono - la mano ferita. Non potrebbe sopportarlo. Non può - sopportarlo. I passi sulla realtà sono talmente gravi da farla tremare. Avrebbe preferito immaginarlo e basta. L'anelar alle sue labbra è duplice, come piega il capo ad inseguirlo - ad affondar nell'epidermide morbida. Il coincidere di bordi frastagliati. Devono esser sembrate così strane le sue azioni fino ad adesso - confuse - impulsive. Non è questo che la caratterizza? L'occhio spento dietro ciglia ricurve lo cerca disperatamente - e cerca sulla sua lingua, quel che carezza con il proprio arto, rubandolo - e portandolo ad affogar lungo la gola. Secca. Chi ha inventato le pastiglie deve essere un sadico di merda. E più si consuma contro le sue labbra, più la fitta ad esso si propaga - e la ferita finisce per riaprirsi. Importunata quel che basta da non trovare sollievo. E come potrebbe affogar nella stessa Oasi che aveva trovato in Saigo? E' un assurdo reality show - ogni volta - ed è solo il nostro inizio. Boccheggia. Il petto. La mia donna. AH, basta fissarti sulle cose. < dillo ancora... > è un mugolio contro le labbra - mentre la mano tremante lascia cadere le pastiglie sul tavolo come se avessero improvvisamente perso di valore. " dillo ancora. " Più sicuro, mezzo tono - le sporca il musetto gonfio dove un lipgloss è oramai morto. Tra le efelidi l'imbarazzo è una sfumatura rosea, piacevole - spezza il pallore con cui lo contrasta. L'amore, quindi, ha questo sapore? Deve esser così. Qualcosa che fa' male, ma per cui sei disposta a lottare. E cadere. Il capo si allontanerebbe appena da quelle dell'altro, solo per sentirne la voce - solo per poter naufragare in quello sguardo. Il suo. Solo lei poteva arrivare ad errare tanto. E allora perchè, Nobu, non le fa' paura? Perchè, Nobu, è l'unico che potrebbe starle accanto. A volte, anche nella tragedia, accettiamo la peggior fine nella consapevolezza - di esser la propria opzione più affine. La linguetta scivola a consolar l'angolo delle labbra - e la mano sporca di sangue - leverebbe i polpastrelli della trinità della mano /medio, indice e anulare/ a sfiorare in modo distratto il labbro spaccato. Deve esser un brutto spettacolo adesso. Peggio del riflesso ammirato nel bagno di Fuji. Lui la disprezzerebbe. Quale uomo, non lo farebbe? < Uhn. > Solo toccarlo, lo spinge a pulsare. Confusa. Come si agisce lucidamente, quando non si ha il controllo su se' stessi. Ne ha bisogno. Per lui. Il sangue raccolto sui polpastrelli, lo stesso che la sfiorisce come una rosa in autunno, scivola seguendo una strada con le dita. Non teme il suo sguardo. Non la inorridisce. Anzi, trema, nell'ipotesi che possa piacergli. Il petto si solleva - le anche s'appoggiano al tavolo prendendo le sue distanze da quel che ne rimane di Nobu. Un nastro rosso si disegna lungo il collo - il frastagliato e smorzato trascinarsi di un colore così vivo, in quel bianco così puro. I graffi della rissa sul seno, sulla spalla -- e si trascina con una lentezza lancinante. Il seno. Il mignolo solleva la canottiera dai jeans neri a vita alta - ed eccola proseguire verso lo sterno, l'ombelico. E mentre raccoglie quel fiume ferroso con la punta della lingua, ridipingendosi la bocca - quelle dita si fanno zona rea di peccato. Di dolore. Di tacito accordo. E gli occhi gli raccontano la storia d'un uomo beccato con le mani sul corpo assassinato. E la musica, quella musica - cosa sta cantando adesso? Get on your knees, beg me to stop ♫ " So' che ti piace. " Non s'arresta. Neanche dovesse far proprio ciò che quell'uomo canta - dalla voce bassa e riverberante. Le ciocche scivolano lungo le spalle - le clavicole - e la mano sparisce sotto il bordo dei pantaloni. Crea un arazzo d'espressioni inconfondibili. Il collo che si mette in mostra, il mento che si issa. Le labbra che si schiudono. Un sospiro. Uno un po' più marcato. " E a me piace, più di qualsiasi uomo tu abbia deciso di diventare. " Non è questo il problema. Non è quello che è, o quello che gli piace - il problema. Non è forse lui, il Nobu che è arrivato fino a quì con lei? [SE END?!?!] È incredibile come la mente gli giochi brutti scherzi, gli dia le giuste priorità, i giusti messaggi e i giusti valori. Deliri e allucinazioni così reali, messaggi del suo subconscio o pillole profetiche che ancora si devono avverare anche se già ci sono indizi sparsi nel presente e nel passato, come se il narratore onniscente si stesse divertendo a disseminare indizi, trasformando Nobu in uno di quei romanzi gialli. Non è forse valido come protagonista di quelle vicende, non è forse così vario da attirare un bacino di utenti e lettori così diversi, catturando l’attenzione sulle movenze del multiforme, di colui che non è niente di più che è un costrutto, no, non del burattinaio che ne muove le fila, ma di quel carattere che tiene nascosto, impossibile da amare, da accettare. Odio, rabbia, amore, ossessione, violenza, disgusto e di nuovo amore, come in un ciclo che è destinato a ripetersi. Eppure ora Nene si trova lì, mossa dalla paura di perderlo, anche se eccolo Nene, quel Nobu che hai visto, che ti ha rapita e che ora è di nuovo qui, chiamato in campo dall’allenatore che è la droga. Forse questo era l’unico modo possibile per vederlo, è un Nobu vero, istintivo, ferale, fuori controllo. Un Nobu pericoloso per gli altri tanto quanto per lui come si è constatato oggi da parte di Nene che voleva immergere e affondare quelle mani nel fango, pensando di tirare fuori un diamante grezzo ma in realtà non è nient’altro che una pietra di nessun valore visto che Nobu non nasconde il meglio di sé, bensì il peggio. Quel Nobu così corrotto e distruttivo che ti ha rapita e proprio come nei migliori romanzi ti ha instaurato quello che ha del romantico, quella sindrome di Stoccolma se solo fosse davvero il tuo sequestratore, se solo avesse intenzioni cattive nel volerti veder distrutta, sanguinante. Ma non è solo questo che lo spinge verso di lei, è tutto, è la sua dolcezza nell’accettarlo, la sua paura nel vederlo in quello spirale autolesionista, è quell’ossessione che ha di possederlo e che lui ha di possederla, quel carattere duro, ruvido, a volte crudele, in grado di infliggere dolore agli altri ma che allo stesso tempo non tollera che lui se ne imponga da solo. Dualità, contrasti che vengono esaltati in quella rappresentazione di cosa è Nene per lui e proprio per avere un ulteriore contrasto, lui è la sua alpha, l’inizio mentre lei è la sua omega: oltre a lei non c’è nulla, lei è la fine di tutto, tutto il resto è superfluo, superficiale, distante… invisibile, anche a quegli occhi che tutto possono vedere o molto più semplicemente non sa attribuirgli un valore o meglio non può, esattamente come avere dei punti da distribuire e il 95% di questi sono già allocati a Nene. Quel bacio avviene, il più tossico di tutti, con il suo veleno che bagna la lingua del cioccolatino e con quella dello Hyuga che le imbocca la sua stessa droga che si è calato, lo stesso veleno con cui si ammazza ogni volta. La serotonina ed endorfina ci mettono poco a entrare in circolo, eppure non così tanto da giustificare quella richiesta di sentirlo, ancora e ancora. Te lo dirà tutte le volte che vuoi, < Sei MIA Nene. >. Enfatizza quella possessione, non specifica più che è la sua donna, puntino sulla i messo precedentemente per spiegarle che non è ‘una puttana qualsiasi’ come da lei detto. Non è solo la sua donna e definirlo, spiegarglielo a voce richiede troppo tempo e una lucidità mentale e dialettica che non ha e non avrà per le altre due ore rimanenti, prima che l’effetto dell’MDMA scemi del tutto. Ha ragione forse lei, quale uomo può guardare quella scena, quella donna minuta, bianca come il latte, tumefatta e distrutta da atti di cotale violenza di cui sappiamo tutti non hanno un senso vero se non quello di soddisfare una fame di collera che pervade la Doku nei suoi istinti primordiali e selvaggi. Solo una persona malata come Nobu può apprezzarla appieno, trasformando quei difetti in punti di pregio assoluti. Si dice, l’amore è cieco e per quanto non sa i motivi per la quale Nene sia presa da Nobu, l’opposto è chiaro come la luce del sole, anche se questa coppia è più affine alle tenebre e la luce che vede è quella della luna o delle stelle. La lascia allontanarsi mentre la guarda, tentatrice come il serpente primordiale. Gioca con le sue debolezze e il naufragar m’è dolce in questo mare. Ultima parte, omega del ‘Infinito’ esattamente come loro due, esattamente come la sua vita: piena di illusioni con quelle personalizzazioni a far vedere bugie e ‘io’ fittizi, e speranza, che qualcuno lo veda per quello che è, per colui che è Nobu, accettandolo in tutto nel suo presente così vuoto, Karappo appunto, come piace definirsi. Pelle candida a macchie viola, giallognole, nere e rosse, segni di quel combattimento in cui si è dilettata, che presto viene esposta sempre di più sotto gli occhi vigili e catturati da quelle movenze sinuose, da quella mano che gli lascia una traccia da seguire esponendosi a nudo davanti a lui, con la mano che sparisce dietro al tessuto dei pantaloncini. Il pathos erotico continua a crescere con Nobu che non si sa più contenere, non vuole, vuole farla SUA, in tutti i sensi. Se ne pentirà probabilmente domani per quel capriccio di rendere tutto perfetto per lei, per quella ciliegia da cogliere che gli aveva fatto levare il piede dal pedale dell’acceleratore. Eppure che cosa è la perfezione se non un opinione e un punto di vista esclusivamente soggettivo? Per lei questo poteva essere perfetto, lui, NOBU era perfetto per quello che è davvero. Non fosse fatto in maniera tale da non collegare i punti si sarebbe commosso, davvero con quel sogno che ha finalmente trovato un porto sicuro dove approdare e tornare, mentre noi onniscienti vorremmo piangere al pensiero che Nobu è affetto da quel disturbo border dell’abbandono, se non fosse già chiaro, e che quel rapporto verrà messo in prima fila, e voi con esso, di quella carrozza di montagne russe. Scusalo Nene, abbi pazienza, sii forte, quella parola dal significato così importante che non lo caratterizza più ormai. Mani che si alzano, sportandola a sua volta dato che la destra è sbrandellata. La vogliono afferrare da sotto le ascelle per guidarla con la schiena su quel tavolo, troppo ubriaco e fatto per arrivare al letto soppalcato portandosela in braccio anche se sicuramente finiranno lì, almeno lui di sicuro. Se l’avesse adagiata, in maniera anche brusca, avrebbe abbassato le mani proprio alla ricerca della sua nascosta, rimuovendo qualora possibile, quell’ultimo ostacolo rimasto su quel corpo pari a un tempio, in questo caso da desacrare così dolcemente e anche in maniera tuttavia irruenta. Il capo si abbassa a seguire quella scia che gli ha lasciato, come pollicino con le briciole, peccato che la sua è di sangue. Ha ragione, lo conosce, gli piace e quello che dice infine sancisce letteralmente la fine di Nobu in armatura, quel vanilla ninja, lasciando spazio al VERO choco, blackout, everything black. Cala qui il sipario, con Nobu che si alimenta di quella linfa, partendo dall’origine: le labbra, scendendo su quel corpo , fino ad arrivare dove Nene aveva preparato una sorpresa occultata per lui. [END per forza, altro che ‘SE’]