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con Fuji, Saigo

16:31 Saigo:
 Non ha nemmeno avuto il tempo di accorgersi della chiamata. Il telefono non ha vibrato lì sul legno della bianca penisola su cui era appoggiato, si è illuminato un singolo istante e poi si è spento. Non sa dire quanto tempo sia passato prima di rendersi conto di quella chiamata, l’ha osservata a lungo interrogandosi sulle motivazioni. Il nome della chiamata persa lo conosce e tra un misto di terrore e preoccupazione è rimasta ferma a guardare lo schermo. Si è chiesta quanto tempo fosse passato, se avesse cercato aiuto mentre veniva assalito e nella sua mente si sono create una moltitudine di immagini drammatiche e sanguinolente, abbastanza da bloccare ogni suo movimento, nemmeno le palpebre sa se è riuscita a sbattere in quegli istanti, che razionalmente non sa quantificare. Le sembra di aver passato in secondo quanto un millennio ferma mentre la sua mente le giocava il peggiore degli scherzi. Le immagini del passato e le sue paure del futuro si sono mescolate mostrandole un Fuji esanime e a terra, il sangue, le gambe piegate in una posizione anatomicamente sbagliata a terra e la schiena fin troppo flessa per lasciar presupporre che lui potesse tornare ad una vita normale. Non era più il volto o il corpo di un bambino ma quello di un ragazzo ormai alle soglie dell’età adulta. Un flash durato secoli che si è poi andato sbiadendo rivelando una pozza di sangue e la sua schiena, immobile nel tempo nonostante le sue urla, nonostante le richieste d’aiuto, ha sentito le sirene, ha visto i medici che provavano a rianimarlo inutilmente. Ha osservato poi la casa completamente sottosopra, le marionette distrutte e l’assenza d’armi o di soldi, ha visto e rivisto la scena mille volte cogliendo solo un’ombra uscire dalla sua porta perennemente spalancata. Ed è rimasta immobile. Ferma davanti alla sua nuova penisola, di quella casa così vuota da sembrare asettica con il cellulare in mano, lo schermo che intento si è fatto nero, tornando ad oscurare la lista delle chiamate perse e quel nome eppure lei è immobile. Un movimento un osservatore esterno in realtà potrebbe osservarlo ed è il lieve tremore delle dita che sorreggono quell’oggetto ormai inutile e che pian piano sembrano perdere attrito, aderenza e forza. In quella staticità costretta l’elemento di quel tremore entra e si impone con prepotenza andando pian piano a far scivolare il telefono dalle sue mani. Non se ne accorge bloccata nella sua paura. Non ci sono pensieri coerenti nella sua mente, non visualizza nemmeno il dolore postumo, ciò che dovrà affrontare riesce solo a vedere il suo peggio incubo immobile ed inerme davanti alla fine di Fuji. Una fine a cui lei non ha potuto opporsi. Il cellulare inesorabilmente lascia la sua mano ed inizia la sua discesa verso il morbido tappeto peloso e grigio, si muove perpendicolare al terreno liberandola di un peso. Il tonfo sopraggiunge. Quel rumore è come lo sparo per gli atleti in griglia di partenza, la riscuote quel poco che le è servito per iniziare uno scatto che l’ha portata prima fuori dal suo appartamento e poi attraverso la porta lasciata spalancata alle sue spalle verso la casa di Fuji. Corre mentre sente le gambe ardere, usa più energia di quanto avrebbe mai pensato di possedere nello scatto come se essere rimasta immobile sia stato una sorta di caricamento. I capelli sono raccolti in quel solito messy bun da casa, si muovono donando nuovamente vita a quella figura ora scossa in ogni singola cellula. Un maglione nero oversize a coprirla fino a metà coscia, nero ed in lana pesante scivola dalla spalla destra mostrando la nudità del suo corpo. Sulle gambe solo un paio di calzini in lana neri, arrivano fino al limitare del polpaccio, fermandosi poco sotto al finocchio e sull’elastico al nero si alternato tre righe bianche. Non c’è altro su di lei, si stava godendo quella serata a casa. Corre verso la porta di Fuji ed allunga le braccia per andare a spalancarla rivelando così i segni rossi delle manette sui suoi polsi, i segni che ancora bruciano. Il fiato è già pesante. Si catapulta verso quell’ingresso per poi essere incapace di reagire per tempo. Ci si schianta addosso trovando la porta che normalmente viene lasciata aperta ora chiusa a chiave. Una testata che in parte contribuisce a renderla più lucida ma che la porta a perdere l’equilibrio. Un oggetto inamovibile ha fermato la sua forza ed il contraccolpo la vede essere sbalzata, perdere il controllo e scivolare. Un secondo colpo sul legno, i piedi che proprio a causa di quella caduta sul culo, finiscono per sbattere causandole un nuovo punto di dolore. Mentre inesorabile si abbatte sul terreno cerca di spostare le mani così da metterle a protezione, cercando di poggiarle per prime così da scaricare tramite di loro e i polsi il peso del corpo intero. Ci riesce solo per metà finendo per sbattere con foga anche il sedere, un colpo che si ripercuote lungo tutta la schiena e che arrivando fino al cranio le taglia il fiato <porcadiquellaputtanaguardasestocoglionedovevachiuderlaoggi> inveisce velocemente, dando libero sfogo alla sua ansia che si tramuta in rabbia. Un terzo colpo ora dovrebbe venir tirato sulla porta, la gamba destra che si flette quel tanto che basta per poi andare ad allungarsi nuovamente nel tentativo di sferrare un calcio <FUJI COGLIONE TESTA DI CAZZO DEMENTE DI MERDA APRI> lo urla, con tutta la violenza, con tutta la rabbia che ha in corpo. Il volto è una maschera di terrore e dolore, gli occhi ardono terrorizzati. Non sa reagire alla paura, lei conosce solo la rabbia ed è così che agisce ora, così che si esprime. Intanto il cellulare su quel tappeto grigio vibra, si illumina e rivela nuovamente la lista delle chiamate perse.

17:16 Fuji:
  [Appartamento] 'Posso dirvi un segreto? Sono passate diverse ore da quando Nene è andata via. Ho superato certamente gli ottanta milligrammi ad ora. Ma non è questo il segreto. Sto bene. Mi sentite? Benissimo. ' I pensieri straripano in Fuji Chikamatsu. Riflettendo su sè stesso in maniera così estraniata genera quasi l'illusione che la propria coscienza gli stia narrando cosa stia succedendo attorno, in quel mondo fatto di percezioni elevate e leggerezza definita. La situazione è particolare, unica, sia fuori che dentro l'appartamento. All'esterno ci si potrà rendere conto della presenza di gran parte dei soprammobili e pezzi di ricambio per marionette normalmente appesi in giro per l'officina. L'interno, per quando questo sarà visibile, si presenta invece completamente l'opposto: svuotato. Un blocco di legno posa al centro della stanza circondato da tre diversi specchi, che ne inquadrano ogni angolatura .E' stato scolpito, rendendo l'idea ancora troppo vaga di una qualche figura femminile. Ma ci sono diverse cose che non vanno: anche Fuji se ne rende conto. Il suo sguardo assennato e spalancato si punta su quella creazione, mettendo appena a fuoco un piccolo naso che è stato scolpito lì dove si trova invece il braccio destro della marionetta. Gli occhi in viso sono ad altezze diverse ed uno è praticamente stato costruito sulla parte sinistra della fronte. Sembra più il lavoro di un'astrattista che del marionettista del reale che normalmente è il Chikamatsu. "wow" pronuncia schiudendo le labbra e rimanendo bloccato per più secondi su quei dettagli completamente storpi. "Che schifo ahahah" la risata s'allunga finché il fiato non finisce, portandolo ad inspirare a pieni polmoni l'aria circostante. Poi, il capo s'abbassa repentinamente e di scatto sul terreno. In quel suo lentissimo intercedere, muoversi, dopo innumerevoli cadute, sta avanzando a passi piccoli e brevi senza l'ausilio di alcuna marionetta o bastone. Movimenti penosi, davvero. Ma ciò che lo porta ad arrestarsi per un momento è l'aver calpestato una delle tre pasticche che gli son cadute quando poche ore prima ha recuperato la fiaschetta del medicinale. I piedi sono scalzi e quel piccolo tondino viene inesorabilmente rotto in sei o sette pezzettini sul terreno. Nel risollevare lo sguardo, ignorando quanto appena accaduto, s'avvede anche di un semplice piatto in ceramica che può esser visto vicino al blocco di legno che sta venendo scolpito, in mezzo agli specchi. E' un semplice piatto, per qualche motivo in terra. La verità è che quel piatto gli piace un sacco, senza nessun motivo in particolare. 'Avrei dovuto scolpire quel piatto', forse avrebbe dovuto anche costruirci sopra una marionetta. E lo avrebbe fatto da qui a poco, se solo non stesse per compiersi un effetto farfalla dovuto alla breve telefonata fatto a Saigo nel suo peggior momento di panico. Perché l'avrà chiamata, poi. Non ha bisogno di nessuno, tutto ciò che gli serve è dentro la sua piccola officina. C'è anche Aozora, in posa da waltz in un angolo della stanza, con le braccia ancora immobili e sollevate ed il capo tirato un po' indietro, dandole una certa drammaticità. Dovrebbe averci danzato, ad un certo punto. Ma ora non ricorda, non è importante. Ciò che importa è che stia bene, completamente normale. Era così semplice, risolvere il problema. Si sente al 100% attivo. Le vene del collo son distese e regolarmente vengono contratte, assieme al deglutire. L'intera stanza è per altro immersa in luci rosse soffuse, dando a quella scena un che d'ancora più alieno. Ma ciò che veramente sarà alieno è il battere alla porta improvviso. Per un momento singolo il cuore del Chikamatsu sobbalza dal petto e gli par scoppiare. Le pupille si dilatano e si volta di scatto in quella direzione. Cosa sta facendo? Quel momento di lucidità, accompagnato dal fissar la boccetta di pasticche, lo portano a ricordarsi che tra qualche giorno l'effetto inizierà a diventar più negativo per la sua mente. "Ah" Non deve darsi per vinto. E quando sente la voce di Saigo, con tanto di urla, gli vien istintivo un sorrisone beato al quale accompagna un tentativo di scattare verso quella porta. Ma ovviamente, se già normalmente non gli sarebbe facile compiere uno sforzo simile, ora è definitivamente impossibile. Più che uno scatto si lancia in avanti e finisce per sbattere di fianco sulla porta e cadere allo stesso modo a terra. Sente quegli insulti non poco familiari e schiude le labbra, come volesse reagire e pronunciar qualcosa. Il silenzio che segue è lungo, forse di più per Saigo che per lui. Ha un momento di vuoto e interdizione che lo spinge a risvegliarsi con un pensiero: non deve farle capire che ha ripreso le pasticche. Afferra la boccetta dalla tasca del maglione che gli aderisce al corpo e subito prende una pasticca, ficcandosela in bocca e poi richiudendo malamente l'intera boccetta per ficcarsela nei pantaloni, generando un innaturale rigonfiamento non tanto nascosto. Peccato per le altre pasticche sparse per terra. Ma al momento è convinto d'esser stato il più furbo. "SaaAaigo" chiama il nome da terra, poi inizia a ridere per quasi cinque secondi, di puro gusto. Il successivo mezzo minuto sarà passato a non reagire ad alcun segnale, completamente concentrato su un solo compito: aprire la porta. Potrà esser sentito strofinare e battere più volte sulla porta, prima di riuscire eventualmente ad aprirla con un braccio che fortuitamente scivola lungo la maniglia. Ora è di nuovo a terra, attaccato all'ingresso. Saigo riuscirà a vedere attraverso un primo spiraglio la mano di Fuji in terra che fa un pollice in su. Ma per entrare dovrà certamente spingerlo via dalle palle. "Ho chiuso la porta" pronuncia a terra. {ck off}

17:39 Saigo:
 Tre i colpi totali che sono stati tirati sulla porta e nessuna risposta. Il dolore al sedere e ai polsi si fa sentire ma viene ben presto coperto da qualcosa di più profondo, radicato in lei. L’incubo prende forma e la sua mente ormai ha deciso, lui è già dall’altra parte morto, proprio come poco prima quella visione ha la capacità di bloccarla e di non permetterle di reagire, proprio come quando si è trovata faccia a faccia con il dio resta bloccata, inerme e debole davanti ad una realtà avida e malvagia. Proprio come allora la mano destra va a piegarsi, a comporre il mezzo sigillo della capra. Lui non risponde e lei non sa reagire. Istintivamente la sua mano si muove come alla ricerca di quel richiamo del chakra che non viene nemmeno iniziato, la mente deve essere lucida per riuscire in una simile operazione e la sua al momento è persino meno lucida di quella del marionettista. Ignara della situazione attende, il gelo che cala la scalda, le brucia la pelle iniziando a farle diventare la pelle rossa in più punti, tanti gli spilli che percepisce penetrare all’interno della cute e ferirla. Tante formiche quelle che vogliono arrivare al suo cuore pulsante. Non sente il martellante ritmo in testa, non si accorge di quanto il suo cuore abbia aumentato il proprio normale lavoro né tantomeno è in grado di ricondurre quelle sensazioni così lontane e confuse alla semplice tachicardia sa solo che la nausea. Il rosso in volto, ciò che lei percepisce come un bruciante gelo, l’immobilità sono tutti segni invece dovuti alla tachicardia, reazioni normale del corpo che vengono stravolte nella sua mente, lasciate percepire come differenti; eppure, lei non è davvero lì. Osserva il suo corpo da lontano, si guarda sfondare quella porta e ritrovare solo un cadavere. Gli eventi scorrono nella sua mente negli stessi istanti in cui dall’interno della casa il ragazzo inizia ad arrancare muoversi in sua direzione. Dietro quella alla porta per lei c’è solo il terrore, l’ignoto e l’infinito. Una parte vorrebbe fuggire, una parte le ricorda il dolore di quella caduta ed infine l’ultima, la più forte, la tiene incollata lì come macabramente attratta dall’inevitabile. Da lontano qualcuno la chiama, sbatte finalmente le palpebre e torna alla realtà riprendendo possesso di quel colpo e di quel dolore. Il fiato si mozza in gola appena la sensazione della botta appena presa riemerge dalla sua coscienza, la soffoca ed allunga i suoi tentacoli che le impediscono di riprendersi. La realtà appare sfocata eppure è lì, ora può provare a rimettersi in piedi. Lentamente, un sussulto ad ogni movimento a causa del contraccolpo preso sulla schiena, ci metterà qualche momento a passare. Si forza e si sforza sentendolo mentre la rabbia monta in lei. Terrorizzata ha abbandonato la casa, ora lo sta attendendo in asia ma quel tono non le piace, appare troppo beato per appartenere ad un morente. Si apre il legno davanti a lei, cerca con lo sguardo quella figura fino poi a vedere quella figura stesa a terra che allunga il pollice. Ancora dona lui il beneficio del dubbio e avvicinandosi alla porta infila la testa per guardare dentro. Gli occhi corrono, bramosi di trovare il motivo per cui è stata chiamata, attenta a cercare di capire chi l’abbia ferito, cosa fare per aiutarlo. Gli specchi, quella cosa brutta definita marionetta, il piatto e poi le pillole a terra. Affamati i suoi occhi corrono lungo quella stanza nutrendosi febbrilmente di ogni singolo dettaglio fino a cadere sulle pillole a terra. Si focalizza su di loro e tace. Il volto muta, dal terrore si passa alla più profonda rabbia per poi passare velocemente ad orrore, si sofferma anche sulla tristezza e la compassione ed infine si stabilizza in quello che è una maschera di delusione mentre cerca lo sguardo altrui, dall’alto vero il basso, ancora sull’uscio. Lo fissa mostrando ogni sentimento, dovrebbe aiutarlo, farlo riprendere, stargli accanto ma c’è qualcosa che brucia in lei, c’è il misto dei sentimenti che l’hanno tenuta sotto scacco fino a questo momento <muori> non aggiunge altro, si ritrae. La mascella serrata, i denti che sbattono tar di loro, i muscoli del volto contratti e ancora una volta il dolore fisico scompare. Un passo indietro raddrizzando il busto per quanto possibile e lo sguardo che si rialza negandogli quel contatto. Fa male, dentro sanguina per la paura provata, per l’essersi rivelata troppo inerme e per averlo trovato così debole. Non lo odia ma in questo preciso momento non può far a meno di provare una sorta di giustizia nel trovarlo ancora vivo e soprattutto così conciato. Piange mentre fa un passo indietro. Come le statue dai cui occhi esce sangue così è lei, non ci sono contrazioni facciali, movimenti o cambi di espressione, nulla può far intuire quello sfogo ma le lacrime scendono lungo i lati del volto. Non se ne rende conto mentre arretra e con la destra prova a richiudere la porta

18:10 Fuji:
  [Appartamento] Forse la cosa più impressionante è come ogni cosa rimbombi un po' più forte del normale ai propri sensi. I piccoli urti, gli impatti, un pezzettino di pastiglia ancora attaccato alla pianta del piede che l'ha schiacciata. Gli stimoli nuovi sostituiscono quelli vecchi facendolo continuamente passare ad uno stato di confusione un po' più elevato. E' per quello che si prende il suo tempo a terra, inerme, in uno stato che probabilmente gli causerà la giusta delusione al momento propizio. Ma adesso, tutto ciò che gli darebbe motivo d'esser triste lo porta a ridere di gusto. Come se stesse vivendo la situazione da un punto di vista esterno, guardando forse un film comico. Si sente un po' così: spettatore. Poggiato su una comoda sedia in pelle con entrambe le braccia a riposo e lo sguardo ben puntato sul grande schermo delle cose. In effetti la scena appena avvenuta non sarebbe che fonte di risate per chi non ne conosce il contesto. Ecco a cosa gli servono quelle ruvide pasticche: estraniarsi quanto basta dal diventare per un momento un po' più normale. Per altro, osservandolo anche per pochi momenti, si potrà notare come l'intero viso paia un po' più luminoso, causa del sudore diventato allo scorrere dei secondi e dei minuti sempre più freddo, raggelandogli la pelle pallida. Una cosa che sente chiaramente è il freddo che gli ammorba il tatto, come se stesse venendo pizzicato in più punti. Non abbastanza da sentir male ma abbastanza da venirne infastidito. Vorrebbe anche spegnere quelle luci rosse, che gli rendon difficile comprendere la forma e la posizione delle cose. Il mento s'alza appena, quando l'ombra del viso di Saigo si proietta nella stanza. Ne vede il viso affacciarsi e subito dopo quel cambio repentino di espressioni visive che lo conducono a tenere gli occhi completamente spalancati, stupito. Per lui la mutazione d'espressione avviene in maniera più distorta, come se non ci fosse alcuna transizione nelle espressioni. Non sa neanche se sta vedendo qualcosa di reale o meno. Forse sta allucinando, come ha allucinato di parlare con Aozora fino a che ad un certo punto non è più riuscito a sentirla o vederla muoversi. E' per quello che ha bisogno di scolpire una nuova marionetta. Ma se la biondo fragola restasse...Magari non gli servirebbe farlo. E' una serie di processi mentali che avvengono lentamente, risvegliandolo da quell'estraneazione interna quando un desiderio col retrogusto di ordine gli vien dato: muori. Un lungo fischio percuote le orecchie: improvviso zoom sulle lacrime che solcano il viso altrui e poi sulla porta che sta per essere chiusa. Ciò che lo disturba maggiormente è l'assenza finale di un'espressione che sia coerente a quella lacrima. Contraendo ogni muscolo del suo corpo spinge entrambe le braccia a tentar d'intromettersi tra la porta e il muro, allo scopo di non permetterle di chiudersi. Forse, la mano destra ne soffrirà di più, essendo la sola fatta di carne. Tira con tutte le sue forze, mostrando i denti che vengono fortemente stretti gli uni contro gli altri. "Va bene" pronuncia con accenno di rinnovata disperazione, sfruttando la presa sulla porta per trascinare un po' avanti il suo corpo e tentar di riprender contatto visivo con ciò che c'è fuori. Per vedere la sagoma di lei, soffermandosi su qualsiasi dettagli visivo sia nuovo. "Ma aiutami" Contratta una condizione per la quale non sarà di nuovo lasciato dentro quella stanza vuota. Avrebbe sopportato la possibilità che Saigo non arrivasse. Ma reagirebbe peggio al vederla presentarsi e poi sparire. "muoio ma resta almeno tu. Parliamo" Tenterà infine di utilizzare il 100% della concentrazione acquisita per portarsi dall'esser a terra col corpo al poggiarsi sulle ginocchia.

18:26 Saigo:
 Non lo guarda, ferita e arrabbiata lo sguardo si sta rivolgendo altrove ma sente la resistenza alla porta, non riesce a chiuderla e spontaneamente abbassa lo sguardo. Scorre lungo la sua figura e lo ascolta, il cuore si spezza, il muro di rabbia con cui si protegge viene crepato e lentamente si fa in mille pezzi. Non ha la forza per tenere il muso davanti a quella richiesta, non con lui quantomeno. Non si accorge ancora di star piangendo ma in qualche modo si sente più calma, le lacrime stanno svolgendo la loro fisiologica funzione riducendo lo stato di stress, la pressione che stava attanagliando e come tale inizia a calamari. La figura di lui così conciato la lasciano senza parole. Vorrebbe sbattere quella porta più forte, spezzarlo e andarsene, tenere il punto e se lo immagina anche. Non sopporta di vederlo debole, non riesce a vederlo inerme almeno quanto lei è. Non immagina il reale stato del ragazzo ma ricorda fin troppo bene cos’è successo a lei quando ha deciso di arrendersi, quando per le parole del Dio ha tentato semplicemente di togliersi la vita, conscia di non poter lottare oltre. Lo include dunque in quella visione, dipingendolo come se si trasse di sé stessa, accumunando le loro due scelte, i loro due modi di reagire e per questo si incazza ancora di più, almeno quanto si era arrabbiata con sé stessa. Potrebbe distintamente identificare l’istante il cui il suo scudo fatto di rabbia si disintegra, lo sente creparsi e poi scrosciare a terra come potrebbe fare uno di quegli specchi nella stanza se lei decidesse di colpirlo. La destra sulla porta esita, fa nuovamente per chiuderla, lentamente come a volerlo abbandonare lì e poi la riapre. La spinge così da andare a spalancarla e permettersi dunque una visione d’insieme. La situazione è bene o male sempre quella. Tace mentre ricurva in avanti per il dolore del sedere fa un primo passo all’interno della sua casa, poi un secondo. Lascia spalancata la porta, le sembra più corretto così, lui non ha mai avuto bisogno di chiudersi dentro ed oggi che per la prima volta l’ha fatto l’ha trovato così. Non dimenticherà mai gli istanti vissuti o forse li rimuoverà incapace di elaborarsi, si aggiungeranno ai suoi traumi, le forniranno ulteriore motivazione per non legarsi mai più a nessun altro ma non se ne va. Incollata alla sua esistenza come una mosca alla carta moschicida. Non c’è nulla di romantico nella figura retorica proprio perché in quel loro rapporto ora non c’è nulla di tale, sono tossici, il loro legame lo è quasi necessitassero l’0uno dell’altra per essere degli umani funzionali pur rendendosi disfunzionali insieme, una sorta di co-dipendenza che li tiene in piedi ed evita di farli scivolare lungo quell’abisso di disperazione che si estende ai loro piedi. Lo osserva in ginocchio e ancora silenziosa allunga le mani verso di lui. Ci sono delle pillole a terra e sa cosa prende per il dolore <dammele> il tono è ancora secco, deluso, sofferente. Solo ora si accorge delle lacrime, osservando a terra le vede cadere sul pavimento, sta piangendo e nemmeno se ne era resa conto. La mano sinistra si alza e portando il maglione ruvido sul volto sfrega quel tanto che basta per asciugarsi, per tornare a vedere la realtà messa correttamente a fuoco. Come se cercando di ricacciare infondo il dolore che si esterna tramite il pianto perdesse il controllo di una parte differente del corpo si accascia al fianco di Fuji. Le ginocchia si poggiano al terreno e l’esterno delle sue chiappe si poggia ai talloni. Si batte un paio di volte con il palmo le cosce e torna a fissarlo <sdraiati>. La mano gemella resta comunque tesa per le pillole. Non sa nemmeno se le ha già ingerite tutte o cosa ma deve sforzarsi di aiutarlo. Il bastone e la carota. Si mostra inflessibile quando chiede quella droga ma al contempo i gesti sono amorevoli e comprensivi invitandolo a poggiare la testa sulle sue gambe

18:52 Fuji:
  [Appartamento] Eccolo riconoscere il proprio desiderio. Non vuole che la porta venga chiusa di nuovo, non vuole che sia Saigo a chiuderla. Forse gli sarebbe andato bene se l'avesse chiusa una volta entrata dentro. Ma così? Impossibile. Questo suo processo di pensiero si palesa per quei pochi secondi di durata nel fissare imbambolato la porta, lei, e poi il breve spazio che ancora gli permette d'avere una linea di contatto reciproca. Fabbro delle proprie delusioni s'impegna con ogni sforzo perché gli sforzi fatti con le braccia non diventino vani; e si scoraggia, si dissipa in lui la propria volontà quando par quasi che stia per esser lasciato solo. E' un momento nel quale, come quando ha sentito sbattere inizialmente, torna a pensare con una lucidità rinnovata. Si sente un miserabile. E le parole che ha pronunciato, poi. Non è che voglia propriamente morire. Ma pensandoci non ha neanche senso avere un desiderio proprio. Che gli è preso? Non ha mai desiderato nulla. Perché dovrebbe attaccarsi a quella porta, o continuare a tentar di dar vita alle sue creazioni? Non sta semplicemente recitando una parte? Eppure quella disperazione gli era sembrata vera, pochi attimi prima, ha sentito il torto fatto a Saigo nel proprio petto, ha sentito l'amarezza estratta dall'altrui dolce spirito. 'Ebbene?' Sente distintamente quel sussurro, nella sua testa. E per quel che vale lo sibila pure tra le labbra, un biascico comprensibile solo dandogli abbastanza attenzione. Raggiunge una realizzazione che lo porta quasi a lasciarsi andare: il suo sforzo è doloroso quanto inutile. Poiché non ha che un'efficacia esteriore, lasciando immutato il fondo dello spirito-- anzi, accrescendo l'intensità del male che vi è contenuto. Il suo compito si riduce ad una costante dissimulazione. Vale la pena vivere per questo? Lasciar andare la presa sarebbe liberarsi di nuovo della volontà propria. Un simbolo che lo condurrebbe a tornare ad essere quel ragazzino che i genitori hanno cresciuto per essere nessuno. Non capirà presto che la decisione di restare e aprire la porta altrui sia stata un'ancora che lo ha salvato. Un galleggiante che l'ha tenuto a malapena sulla superficie del proprio costume da umano. Co-dipendenza o meno, è convinto di esser lui ad aver bisogno di lei, non tanto il contrario. Si scosta quanto basta da farla entrare, sorride in viso come sorridono gli ebeti, ma lo sguardo non varia poi tanto dalle solite profonde pozze, bagnate del rosso dell'atmosfera. Il passaggio tra ogni dialogo di Saigo è per lui istantaneo, come se lo spazio-tempo gli si piegasse di fronte portandolo direttamente ad ogni momento saliente. La vede batter la mano sulle cosce e lascia che il baricentro si sbilanci, buttandocisi sopra in maniera un po' brusca. Poi, si sistema, facendo forza sulle carni altrui perché gli occhi possano puntarsi al soffitto e a lei. "Hai un bel mento" pronuncia quelle parole rimanendo un attimo assuefatto dalle forme del viso altrui. Gli occhi ne seguono la linea fino al raggiungere le orecchie; poi, si sposta sugli occhi e ci rimane impuntato. "No" pronuncia deciso, abbassando gli occhi nel pantalone dove è appena in rilievo la boccetta, come dovesse assicurarsi che sia ancora lì. "Se lascio andare le cose che mi fanno stare bene prima o poi lascerò andare anche a te" Argomenta la sua negazione mantenendo nel suo tono quel che di alienato che caratterizza il suo stato psichico tanto alterato. "Non mettermi in difficoltà anche tu" Nell'abbassar gli occhi, s'avvede per un momento del centro della stanza. Della scultura incompleta ma specialmente del familiare riflesso del piatto. "Hai visto quel piatto in ceramica" alza appena il braccio, con fare placido, indicandoglielo con la punta dell'indice. "Sto bene" la rassicura, poi. "tu no" smuove un po' la testa, sfiorando forse lo stomaco altrui coi capelli e puntando gli occhi sui polsi arrossati del membro della Shinsengumi. "Se non avessi un cuore non avrei bisogno di te e potresti andartene" riflette, piuttosto insofferente, piuttosto tranquillo. Con uno sguardo che affondando in quello altrui par sognare mille ed una cosa.

19:12 Saigo:
 Lo fissa muoversi, buttarsi sulle sue gambe e da la colpa di quel gesto all’assenza di controllo, alle pillole. Non che sia suo compito salvarlo dalla dipendenza in cui si sta infilando da solo, il suo interesse è molto più egoistico: non vuole che muoia. Deve controllare, farsi almeno un’idea di quante pillole abbia ingerito, assicurarsi che non stia per vomitarle addosso e poi successivamente spegnersi tra le sue braccia, non ancora. Non è una semplice questione di tempo, quell’”ancora” significa tutto. Ancora come ciò che rappresenta per lei, il suo unico punto fisso, il perno su cui si basa la sua intera esistenza, la motivazione principale di moto in quell’altrimenti frenetica ed insensata realtà. Ancora come locuzione di tempo, non è pronta adesso, forse un giorno potrà lasciarlo andare ma quel momento non è ancora giunto. Ancora come ripetizione, non è disposta a vederlo cadere come quel giorno, a crederlo perso per sempre e a rivivere tutto da capo ma questa volta da sola. Se lo avesse espresso a voce quel concetto sarebbe svanito perdendo la potenza del messaggio che veicola con sé, perdendosi nel fiume di parole che sta per sputare mentre sentimenti contrastanti nascono i lei, si evolvono e si rigonfiano, si agitano facendole battere il cuore all’impazzata, rendendole difficile il semplice starsene lì ferma. Le prude il corpo, vorrebbe alzarsi correre disfarsi di quell’adrenalina che come un mare in tempesta minaccia a più riprese di affogarla, la tiene bloccata sul fondale senza ossigeno quel tanto che le basta per considerarsi spacciata e poi decide di farla riemergere. Qui nasce la speranza, la falsa credenza d’essere sopravvissuta perché nuovamente poi l’ansia torna e la affoga. Dovrebbe alzarsi, correre, picchiare qualcuno e sfogarsi. Rischia di esplodere, si sente come un contenitore troppo piccolo per tutto quello che sta provando, per ogni singola emozione che si somma alle altre e insieme la tengono lì su quel maledetto fondale di sabbia che le impedisce di raggiungere la nave. La sua salvezza ora però è peggio di lei, lo osserva incapace di uscire almeno quanto lei è troppo debole per provarci e questo la fa incazzare. La terrorizza e si tramuta in rabbia, in cieca rabbia che si unisce all’angoscia e alla tristezza, la compassione e quindi rieccola l’onda anomala che la travolge, all’infinito. Abbassa gli occhi in sua direzione, li punta nuovamente su di lui incapace di nascondere il disgusto che nasce dal vederlo conciato così, sospira <lo so> replica semplicemente per poi seguirlo lo sguardo altrui fino al rigonfiamento nei pantaloni. A meno che non sia anatomicamente molto storto l’ha trovato, ha fatto centro. Silenzio che cade. I deliri del ragazzo riprendono e lei si limita ad alzare la destra, la mano che vuole solo impattare su quel viso, con tutta la poca forza che possiede, arrabbiata e ferita, spaventata e delusa. Un singolo, sono schiaffo quello che vorrebbe tirargli, a palmo aperto <io non sono una cosa> il tono ora è più pacato, per quanto ancora in parte tremante <scelgo di esserci e non hai alcun potere in merito> non è vero. Sta mentendo persino a sé stessa andando a dichiarare la sua indipendente verità. Lei ha bisogno di Fuji almeno quanto i drogati della loro dose <chi ti ha messo in difficoltà?> pronunciare queste parole è stato il più grande atto di forza mai intrapreso da lei. Vorrebbe sbatterlo sul cesso, fargli vomitare anche l’anima, punirlo e andarsene, invece è lì che ora con il palmo della mano destra vorrebbe andare ad accarezzare dolcemente i suoi capelli, coccolandolo subito dopo quello schiaffo <sto bene sono stata arrestata dagli anbu> ammette candidamente <ma così sono riuscita a dimostrare la loro incompetenza> lo distrae, ignora i suoi deliri e gli occhi si spostano verso la tasca. Osserva le pillole domandandosi solo quale sia il momento migliore per intervenire. Lei ha cercato di togliersi la vita è vero ma non si è mai deliberatamente fatta del male fino al punto in cui ha trovato il ragazzo, non ha idea di come muoversi e questo si unisce a tutte le paure che dimorano in lei, facendo crescere quel senso di inadeguatezza che la tormenta.

19:52 Fuji:
 Adesso è un po' più comodo, ma definitivamente sveglio. Non lo rende più pigro esser in quella posizione, anzi, il suo picco d'attenzione s'eleva sui nuovi dettagli donati da quella curiosa prospettiva. Un esempio è il mento di Saigo, sul quale investe una quantità d'energia eccessiva. Specula su quelle forme e immagina poi di abbinarle a qualche costrutto; poi, ricordandosi di non aver bisogno di creare nulla legato alle forme altrui, si ferma, cercando qualcosa di nuovo sul quale puntare gli occhi. Per un po' sono le espressioni visive di lei, fin troppo accentuate per non esser rese elemento di studio. La vede mutare rapidamente, tende un po' il capo e s'impunta dalle labbra alle sopracciglia, passando per naso e palpebre. Fissa quei movimenti e li studia con quel suo incosciente modo di fare da creatore di marionette. Come potrebbe rendere le espressioni di Aozora così reali? Forse ha davvero bisogno di un cuore, come ha speculato con Nene. Forse però le servirà anche la pelle, degli organi, dei muscoli... Impossibile. Come potrebbe far battere il cuore a qualcosa che non è vivo? E allo stesso modo, rifacendosi a quanto domanda all'altra, come potrebbe rimanere vivo senza che il suo cuore batta? Forse la soluzione ai suoi problemi si rintana proprio nel diventare incapace d'essere fragile. E' curioso, pensarci con così tanta leggerezza. Non sente quella solita stretta al petto che gli impedisce di svelare un po' di più sè stesso. Se solo avesse preso le pasticche prima, avrebbe allontanato Nene con le sue forze. O non le avrebbe permesso di avvicinarsi così facilmente. Il pensiero decade quando la mano altrui gli impatta addosso, portandolo d'istinto a piegare un po' il collo per accompagnare quell'urto. Gli ha fatto male. Non lo schiaffo, ovviamente. "Perchè non sei una cosa" chiede, con un che di più aggressivo nel tono. Come se esigesse una risposta, quasi come si aspettasse un che di diverso. "Siamo più vivi noi di Aozora?" Chiede, con la voce che scende di tono e decisione, un po' più tremante. In cuor suo non è sicuro della risposta corretta ma ha paura di ricevere un duro colpo di realtà. Nella distanza, in fondo alla stanza, la vede ancora. Un braccio s'alza appena puntandovi le dita: Saigo sa essere il solito movimento che precede l'utilizzo dei fili di chakra. Ma anche dopo qualche secondo, non succede niente. Nessun movimento. Non riesce a estendere quei fili. "Tu non puoi esserci sempre." Poi, la sua riflessione s'interrompe. Sente qualcosa sull'esser stata arrestata e si ritrova a riderci sopra di gusto, ancora. Fissa quei polsi arrossati e ride ancora, fino al diventar più rosso e caldo in viso, fino a che due lacrime non gli scendono dal viso. Ma sembrerebbe solo il riflesso di quella risata eccessiva, niente di più profondo. Solo adesso sembra ricongiungere i propri ricordi e pensar alla domanda che gli è stata posta: chi è il responsabile? La risposta sembra ovvia, ma quando la bocca s'apre appena perde la volontà di pronunciarsi. Gli occhi si perdono nell'ambiente circostante. "Mi hai fatto male, comunque" lamentoso, similmente a come si comporta normalmente, sfiorandosi la guancia opposta a quella che effettivamente ha ricevuto lo schiaffo da Saigo. " Se io ora ti dessi mano un pugnale, e ti invitassi a trafiggermi, lo faresti? Come ti farebbe sentire? " Ripete parole già sentite, elaborandole come meglio può data la sua condizione. Ha così tante domande che vorrebbe porre, adesso che si sente così poco impaurito. "Voglio scappare da qui. Dal villaggio." forse ora sta delirando e basta.

20:22 Saigo:
 Accarezza il volto come se quel gesto servisse più che altro a calmare lei, lascia che la sua mano gentile passi sui tratti di quel viso, lo fissa cercando di leggere dentro alla mera carne, cosa gli è preso e perché? Deve davvero rassegnarsi e accettare la sua debolezza? Lui che si è rialzato anche se tutti sostenevano sarebbe stato impossibile, lui che a conti fatti è ancora un ninja migliore di quanto lei possa aspirare ad essere, non lo supererà mai forse, priva del talento naturale dell’altro, mossa solo dall’aspirazione al potere e poco altro. Si dice che il potere derivi da quanto si perda, più si soffre e più potenti si diventerà e allora perché loro due sono ancora due ninja comuni? Dov’è la potenza che gli spetterebbe dopo aver perso tutti? Dov’è il fuoco che dovrebbe animarli dopo essere stati distrutti a più riprese? Si perde in questi pensieri mentre lo accarezza, cercando di tenerlo sotto controllo, di leggere il lui così che non torni mai più a farsi del male. Intanto la mente del ragazzo corre, rimugina su più argomenti esattamente <perché soffro> replica lei mentre con quel tocco caldo sul volto freddo pian piano riesce a regolarizzare anche il suo respiro mentre gli occhi si spostano su Aozora <non lo so> replica placidamente <ma noi proviamo dei sentimenti ed in base ad essi prendiamo delle decisioni questo ci rende più umani> ammette tornando a fissarlo solo ora <ma non so se sia questa la vita. Soffrire e guardare gli altri morire è forse vivere? Noi non stiamo solo sopravvivendo?> le parole di Haru le tornano in mente, quella discussione sul correre dei rischi, sui legami. Non ha ancora trovato una risposta e forse mai riusciranno a trovare un punto in comune; eppure, in qualche modo ora si ricollega alle domande di un delirante Fuji, si sforza di prenderlo sul serio, distrarlo e restare lì finché l’effetto delle pastiglie non sarà finito, assicurandosi che non si soffochi con il proprio vomito <io ci sarà ogni volta che servirà e non arriverò mai più in ritardo> sorride appena. Senso di colpa. Ora lo sperimenta, ora la sommerge, così come da piccola è stata troppo debole per difendere la classe oggi è stata troppo cieca per intuire che lui potesse avere bisogno, così cieca da non accorgersi di quella chiama da arrivare irrimediabilmente troppo il ritardo <rassegnati non puoi liberarti di me>. Ignora invece quella risata limitandosi ad annuire alla presa di coscienza sul dolore, oh lo sa perfettamente era proprio quello l’obiettivo, punirlo per tutto quello che le sta facendo passare, punirlo per la facciata alla porta, per lo spavento, per il dolore, la delusione e la rabbia che stava sperimentando. Sentimenti che vanno man mano scemando al ritmo di quelle lente carezze sul suo viso, ancora una volta egoista lo consola traendone vantaggio lei stessa in prima persona <non lo farei> replica semplicemente <non avrei motivazione per farlo ma sarei delusa dalla tua prova> il busto si china appena in avanti, la schiena si inarca così da avvicinarsi a quel volto per poi guardarlo decisamente minacciosa, il tono di voce si abbassa <mi avevi promesso che saremmo usciti insieme a combattere, non azzardarti> lei non può affrontare la sua più grande paura, lei non può perderlo e ora si trova davanti ad un bivio orribile: quale delle due eventualità teme di più? Le Bestie e l’esterno o la sua assenza? Non sa rispondere ma entrambi i pensieri sono fonte di profonda frustrazione

20:53 Fuji:
 Lui, per se, trovandosi così vicino alla voce di Saigo, sente che la sua vita si moltiplica con una rapidità vertiginosa; gli sembra che i pensieri altrui si infiammino di delirio e siano per magia capaci di scaldare anche i propri, resi sempre più freddi. Umilmente, senza sollevare gli occhi, annuisce a quelle prime parole che riassumono la fallacità delle proprie illusioni. Non importa quello che faccia accadere ad una marionetta, non farà mai nulla che lui non si aspetti faccia, Nene glielo ha detto e Saigo lo sta confermando utilizzando termini a lui meno aggressivi. E' una frase dell'Otsutsuki a non spingerlo ad abbandonare il percorso del marionettismo: non è sicura che quella che loro vivono sia vita. In cuor suo, egoisticamente, Fuji spera che non lo sia. Spera che Saigo stia solo sopravvivendo, in questo momento. Così che un giorno se riuscirà a vivere potrà dire che non c'è alcuna differenza tra le sue creazioni e lui, o lei. La delusione si fa un po' più profonda e distante, la risposta torna ad essere irraggiungibile dandogli la spinta per esplorare ancora più a fondo. "Non voglio accettare la morte. Non la l--" Prima di poter terminare quella frase viene preso da un'improvvisa nausea data forse da quell'ultima pastiglia presa poco fa. D'istinto contrae gli addominali e si solleva un po', arrancando col respiro e trattenendo il riflesso che lo condurrebbe al vomito. Tornando giù si condurrebbe semplicemente col viso diretto al pavimento, tenendosi poggiato su di lei. Il piacere del gentil tocco ricevuto prima lo trasale adesso, portandolo a rilassare il corpo e chiudere gli occhi, fissando il buio. "Non voglio liberarmi di te" risponde serio a quella frase che in realtà non necessiterebbe che di un ringraziamento o un caldo cenno dello sguardo. Sente il proprio egoismo straripar dalla gola e cantare attraverso le sue parole, una corda li lega al collo: ma non è abbastanza lunga per permettere a entrambi d'impiccarsi. Se uno dei due se ne liberasse, però, l'altro sarebbe in grado di morire. Ecco quella co-dipendenza visualizzata, ma che in prospettiva a Fuji fa sembrar che sia Saigo a tenere il lato più doloroso della corda. Del resto, sta una meraviglia. "però.. " Ancora una volta muove il capo, fa forza perché possa vederla ancora negli occhi seppur da quella rovinata prospettiva. Fissa il pantalone, allunga la mancina e afferra quella boccetta. La fissa contro la pallida luce rossa della stanza. "Pensavo solo che se fossi tu, a procurarmi dolore, andrebbe bene. " L'immagine gli passa di fronte agli occhi. Saigo attaccato alla propria figura, con una lama puntata e affondata al petto o allo stomaco. Non riesce a immaginare che la cosa sia dolorosa. "ahah..scherzo comunque- so che sei troppo gentile, per me. Per questo mondo." In viso si dipinge un sorriso pacifico, mentre tenterebbe di ricambiare le carezze ricevute poggiandole una mano sul viso, su una guancia. In un primo momento andrebbe ad accarezzare il vuoto, un po' più a sinistra rispetto all'obiettivo. Ma aiutato o meno troverà la sua strada se gli sarà permesso. "Oggi c'è una luna piena molto bella. Ma non l'ho ancora vista. "

21:11 Saigo:
 Sono come i galleggianti loro, alla continua ricerca verso un equilibrio che per quanto precario permetta le loro co esistenze, ancora una volta si scambiano dolore e amore, si scambiano le loro sensazioni e come la più disfunzionale delle amicizie sembrano raggiunger la calma, anche se per solo un piccolo istante tutto sembra andare perfettamente al proprio posto. Il tempo rallenta ai suoi occhi e ogni dettaglio si cristallizza, il dito indice appena posato sulla sua fronte in procinto di scendere, il palmo eternamente separato dalla pelle di Fuji, un infinito che misura non più di qualche millimetro che li divide. Ha quasi dimenticato la sua rabbia, come l’ha fatta sentire trovarlo in quello stato e poi eccolo contorcersi, prova ad aiutarlo, cerca di farlo ruotare su un fianco così che si assicuri che non finisca per vomitarsi in gola e morire soffocato, Perché è a quell’eventualità che la mente corre, la destra vorrebbe scostare i capelli dalla sua fronte, sorreggerlo mentre gli addominali si contraggono. Un conato di vomito risale anche lungo il suo di stomaco quando vede cosa sta facendo l’amico, ribrezzo e schifo che si mischiano donandole espressione decisamente schifata, apre la bocca e tira fuori la lingua prima di richiudere le mascelle, si è trattenuta a malapena. L’odore poi la disgusta pure più della scena. Lo vede allungarsi verso la boccetta e cercherebbe con la sinistra di intercettarlo, sperando di muoversi più velocemente andrebbe solo a provare a prenderle, rubarle e requisirle onde evitare che ne assuma altra. Se fosse riuscita ora si limiterebbe a fissarlo dura <allora non ci sarebbe gusto a punirti> gli spiega per poi cercare di alzarsi, andando ad usare la destra nel tentativo di sollevarlo mentre trattiene appena i conati di vomito per l’odore. Ora è lei a ridere, davvero di gusto come non faceva da un po’, la serietà con cui ha appena detto quella che per lei non è altro che una battuta l’allieta al punto da farla tornare al suo posto, senza spingerlo ad alzarsi <mi sono scorticata i polsi solo per mettere in cattiva luce gli anbu con la shinsengumi e mi definisci troppo gentile?> già la gentilezza è un tratto che non le appartiene, lo sa simulare perfettamente ma non è nelle sue corde. Lui è solo un’eccezione alla regola, con lui non si tratta nemmeno di semplice gentilezza è dipendenza, vederlo sorridere porta lei a sorridere vederlo triste la distrugge, è un bisogno di sapere che sta rendendo fieri i suoi compagni, è sentirsi di ripagarlo per quello che ha perso difendendola. Guarda quella mano mancare il suo volto e mentre la risata scema si protende con il viso in sua direzione così da permettergli di toccarla, sopporta a stento l’odore <forza Fuji alziamoci e vediamo di riprenderci> e con questo riprenderebbe il movimento ascensionale di prima, cercando di sorreggerlo, sperando di riuscire a portarselo fino al bagno segna venir ricoperta dal suo vomito. A seconda della posizione che lui assumerà lei modificherà la presa così da non sballottarlo troppo, preoccupata per quello che potrebbe uscire dallo stomaco. Se invece vi state chiedendo che fine hanno fatto le pillole sono nella fascia che in casa usa per tenersi il seno coperto, infatti quello sinistro ora appare decisamente più grosso, vuole proprio vedere se la toccherà per riprendersi le pillole

21:34 Fuji:
 E' una fortuna che parte dei suoi desideri deliranti stiano venendo ignorati utilizzando la forza della bassa soglia di attenzione del Chikamatsu. Altrimenti adesso starebbe forse tentando di correre giù dalle scale del grattacielo per andare a farsi un bagno nella fredda oasi sottostante. Indubbiamente sarebbe affogato. Ma non è questo il punto. Quel supporto, quella presenza, non lo aiutano certamente ad affrontare la sua felicità, ma saranno forse un punto fondamentale per non spingerlo ad andare avanti con quelle pasticche finché la gioia non si trasformerà in veri e propri episodi di paranoia estrema. Dovrà affrontarli comunque, alla fine di questo trip. Ma potrebbe essere un po' più facile questa volta. La lucidità lo porterà di certo a prendersi qualche senso di colpa. Ma ora? E' energico, nonostante il desiderio di riempire la stanza del suo vomito. La nausea lo rende troppo disattento, conducendolo a fissar la sua mano dopo che questa è stata privata della boccetta. Batte le ciglia, ci mette un po' a collegare la loro sparizione a chi sta facendogli da guardiano. Apre la bocca, rimane visivamente sorpreso a quella constatazione spudorata. Solleva la voce e si agita da solo "Ci proOovi gusto?" Immediatamente si distrae ascoltando quanto segue. Chiude gli occhi, si immagina di star annuendo ma in verità rimane semplicemente fermo. "Sì. Non ti avrei aperto la porta, se non fossi gentile. Non avrei aperto la porta alla tua amica, per esempio. Lei." Mentre viene sorretto e sollevato, tra un'oscillazione e l'altra per cui toccherà all'Otsutsuki occuparsi di bilanciarli, indica pigramente la sua scultura cubista, quel blocco di legno grezzo con occhi, nasi e qualsiasi altra caratteristica facciale posta nei punti sbagliati. Il baricentro di lui nei movimenti è instabile, tende a slanciarsi un po' in avanti, di lato e alle volte indietro. "Balliamo" giusto per aumentare la difficoltà, tenterebbe di muoversi lui stesso un po' a destra e un po' a sinistra. Non è proprio una danza, ma riesce a muovere i fianchi decentemente. Fortunatamente il bagno non è lontano. Raggiunto il bagno, di fronte al water, rimane per qualche secondo completamente fermo, guardandosi attorno. Non si sente così male. "Devi lasciarmi la boccetta però-" Finalmente gli risale tutto, in un momento poco poetico nel quale semplicemente sfrutterebbe la certezza di aver Saigo dietro per poggiar entrambe le braccia al bordo del water e far uscire il Bento di qualche ora fa assieme probabilmente al residuo dell'ultima pasticca presa. "Sto bene" il tempo di dirlo che arriva la seconda ondata. "Non sto bene" terza ondata.

21:47 Saigo:
 Tutto sommato non serve punirlo, ci stanno pensando gli effetti di quelle pastiglie, il vomito e quanto starà male una volta smaltita la sostanza. Tace mentre lo osserva, potrebbe riderne e trovarlo comico in quelle espressioni se non fosse comunque maledettamente spaventata. Ignora quindi gran parte dei vaneggiamenti del ragazzo, annota però la frase sulla sua amica per quanto decida di non rispondere ora, avrà modo di interrogarlo, ne è sicura. Per adesso cerca solo di sostenerlo fino ad arrivare al bagno. Lo guarda storto e si indica semplicemente il seno sinistro <ora è delle mie tette> spera che, dopo la loro precedente conversazione, questo basti a non farlo avvicinare alle pastiglie. Se ne pente subito comunque, poco convinta di aver avuto un’idea brillante, fortuna però che il ragazzo ricominci subito a vomitare e dopo aver deglutito il suo stesso conato andrebbe a sedersi dietro alle sue spalle, le gambe che vengono divaricate in modo da avvolgerlo. Flette le ginocchia così che siano all’altezza del costato altrui, cercando quindi di fornire due sponde laterali per evitare che sbilanciandosi crolli a terra. Si avvicina e poi semplicemente si piega verso di lui, sostenendolo con il suo stesso busto mentre la mano destra si porterebbe verso la fronte di Fuji, delicata si poggerebbe con la gemella che invece sorregge e allontana i capelli. Il suo braccio destro andrebbe ad irrigidirsi quello che le è necessario per poter tenere il peso della testa del marionettista che ora appare più come una stupida gelatina vomitosa. Annuisce fingendo di credere al fatto che stia bene e con più vigore quando le conferma che non stia bene <adesso butti fuori tutto e poi andiamo a striarci, ma la sala te la pulisci da solo> la dolcezza è passata, il momento in cui gli è semplicemente stata accanto per assicurarsi delle sue condizioni, ora è il momento di sgridarlo, di fargliela pesare quel tanto che basterà a tenerlo lontano da altre sperienze simili, o almeno così spera. <e se ti azzardi a chiudere a chiava un’altra volta> lascia la minaccia in sospeso, maledetto Fuji. Non chiude mai e oggi è riuscito a farle prende culata e testata. Mentre la tensione scema il dolore al culo torna così come quello alla fronte, domani mattina si noterà sicuramente un bernoccolo

22:05 Fuji:
 La vista inizia a farsi un po' più sfocata. L'effetto di quelle pasticche, per quanto presente, è affievolito dalla presenza di Saigo che lo tiene connesso alla realtà. Fissa la sua ombra mentre si muove, quell'inquietante rigetto d'oscurità simile a lui che normalmente prenderebbe una forma tridimensionale per spingerlo ad un angolo di quel buio luogo. Ma non ne ha il coraggio, finché è presente qualcuno come la Biondo fragola. "Fanculo le tue tette" Vorrebbe mostrarle il dito medio ma nella confusione del momento le fa pollice in su, che sommariamente è carico di un significato associabile. Un sorriso spontaneo sgorga dai suoi occhi, improvvisa rappresentazione della calma che lo invade. Vomitare non è così male. Ma non gli piace vedere il prodotto della sua digestione incompleta, per cui andrebbe a tastare più volte il muro di fronte per provare a cercare quel pulsantino meccanico che genererà un vortice d'acqua atto a liberare spazio per le successive ondate di sbrocco. Forse passa una trentina di secondi, forse qualche minuto, ma ad un certo punto non ci sarà più molto altro da buttar fuori. Tutto ciò che rimane è quanto va ancora smaltito, ma se sarà tenuto fermo da qualche parte tutto ciò che gli basterà fare è aspettare fissando il soffitto con gli occhi aperto. Al massimo sorriderà pensando di poter sentire i suoi pensieri con voci diverse dalla propria. "Devo chiudere la porta. Non voglio tenerla aperta." Scatta in piedi all'improvviso, per pronunciare quelle parole. Manco s'accorge che sta venendo tenuto in piedi dagli sforzi eroici altrui. Qual che siano gli eventi successivi a questo episodio è l'inizio di qualcosa di negativo. Tornare a schivare sè stesso, i proprio quesiti. Tornare a chiudere la porta, come quando viveva in quel piacevole spazio bianco. Non c'era niente a cui ambire, cosa che lo rendeva soddisfatto. Ma la porta è stata aperta e per la prima volta dopo lungo periodo un piccolo mostro è riuscito a nascondersi tra i riflessi degli specchi. Il tempo è tornato a scorrere. "grazie" qualsiasi cosa segua, saranno le ultime parole pronunciate prima di chiudere gli occhi. { SE > exit }


Fuji, dopo l'incontro con Nene, torna a prendere le sue medicazioni solite. Saigo non è molto contenta, ma lui sì.