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con Ekazu, Ren

20:43 Ren:
 Fuori da ogni contesto - o forse, molto semplicemente, una piccola parentesi? Tre delle vecchie maiko di Kurona si muovono con leggerezza davanti al bordo delle vasche termali del corteo di un Damiyo. Il profumo dei soldi alletta pressoché chiunque, no? Invece Ren si muove per inerzia ed onore - mantenere alto il ricordo della bianca signora che l'ha preceduta e che sembra volerle infettare la testa. Labbra purpuree che le sussurrano all'orecchio cosa deve o non deve fare in questi giorni. Cosa filtrare. Cosa sentire. Cosa dire. Non guarda nemmeno l'esibizione, con i capelli raccolti che scendono in ciuffetti discordanti lungo la nuca nuda. Regge il capo, come si reggerebbe un macigno in procinto di franare vorticosamente verso il basso. Schiantarsi al terreno come una supernova fuori rotta. Immersa per buona parte nella vasca, coperta con il drappo tipico delle terme, bianco. Ed imperlata di quel vapore acqueo che a tratti par sudore dovuto al calore naturale delle terme. Solo una musica lieve si libera nell'aria, tipicamente nipponica, dandole il tempo di respirare da qualcosa che neanche lei sembra aver avuto tempo di considerare. I movimenti. I movimenti sono sempre cruciali, no? E nonostante la chiamata alle armi per il paese dell'Erba, s'è scoperta fantasticare sul l'attentato al suono. Sulla tunica bianca che dovrebbe vestire. Sul nome, che inevitabilmente, si trascinerà dietro. Sembra un fiume, tutto sommato, all'apice montuoso dove i ghiacciai si stanno silenziosamente sciogliendo. Un respiro, netto, le lascia uscire dalle labbra una nube densa che finisce per dissiparsi ad un passo dalle labbra. Pomyu alle sue spalle, seduto su una di quelle panchinette che costeggiano i viottoli tra le pozze termali. Legge un libro di storia, o almeno così pare, con il capo chino e la mente assopita. Quanti quesiti e quanti silenzi ci vogliono, per arrivare ad esser chi alla fine, siamo destinati ad essere. Stanca. É drammaticamente stanca. Come chi non respira, se ha altro da fare. Una stakanovista, se solo esistesse questo termine. E sembra sul punto di appisolarsi ora che s'è fermata - con il gomito puntellato sul bordo della piscina e la tempia a posarsi sulle nocche. Le ciocche umide che le scivolano lungo le guance, s'appiccicano ed oscillano nel vuoto sopra le gote, oscurando solamente parte del viso. {ck on}

20:54 Ekazu:
  [Hall | Vasca] Lo scrociare ovattato della grande cascata lo abbraccia nel suo silenzio. Il Sole, sempre più lentamente, va a morire dietro i monti. La pallida Regina che timida prende il suo posto. Le luci soffocate delle terme che si fondono al biancastro lunare. Un odore di incensi, profumi che via via lo guida verso la Hall. E’ lì, non per caso. La piantina al Dojo immediatamente lo ha richiamato verso di Lei. Scambi fugaci di parole, concesse e miseramente regalate dai soffocanti impegni. Un ‘’mi trovi qui’’ a condurlo tra l’Erba e il Suono. Indosso una giacchetta di tuta nera, con tre strisce bianche sulle lunghe maniche. Al di sotto, dalla zip lasciata aperta, una classica e basilare maglietta beige a maniche corte. Il Marchio nero, a malapena visibile, come un tatuaggio mal celato si presenta tra collo e clavicola. Per quanto riguarda le leve inferiori, pantaloni della tuta che leggermente larghi vanno a stringersi in delle fasce bianche, appena sopra la caviglia. A concludere, un paio di scarpe anch’esse nere. Decisamente informale, quasi volesse fondersi con la folla attorno a lui, finalmente giunge nella Hall. Probabilmente, se la clientela fosse ancora presente, qualche viso andrebbe verso di lui, catturato forse dalla fama del volto, ora appena calato, nascosto dal ciondolare dei ciuffetti corvini. La pelle bianca, catturata dai vapori delle vasche appena oltre, che si chiazza qua e la di un rossore accaldato. Le manine, nude dai guanti, come sempre nelle tasche. Gli occhietti bicromi, perennemente costeggiati da stressanti occhiaie, che pigramente si sollevano verso il bancone principale della Hall. Come una calamita, come un qualcosa che neanche forse potrebbe spiegarsi, lo sguardo va alla sua sinistra, lì dove le vasche già vanno ad aprirsi. Le labbra appena si schiudono quando proprio lui, sulla panchina. E dove c’è lui, inevitabilmente vi è Lei. I passi lenti e delicati che deviano verso lo stesso, raggiungendolo. < un bel bagnetto non te lo fai.. > atono, gli occhi che per qualche attimo poserebbero su di lui. La vista appannata di una Ren distesa nell’acqua a riportarlo subito verso di Lei. Ignorata brutalmente la risposta di Pomyu, la raggiungerebbe, alle sue spalle. Le ginocchia che si piegano. Solamente le punte delle scarpe a sfiorare il bordo della vasca. L’indice destro a terra, a cercar equilibrio. < fa caldo > [ Chakra: ON ]

21:16 Ren:
  [Vasca | Reparto maschile] Alla fine, cosa è meglio di soffocar gli attimi di tensione nel lusso? Questi luoghi sono tanto pregni di nullità, che potresti dir qualsiasi cosa e non esser udita. E allora affoga, con la nuca appena abbassata alla volta del bordo - con le spalle nude rilassate tanto, da mostrar in piccoli frangenti il petto sollevarsi ed abbassarsi con la mole di una fiera assopita. Un sillogismo inadatto, dal suo esser fondamentalmente fragile. Una bambola di porcellana i quali sfregi, sono stati oramai lavati via dal tempo. Quelli che le lasciò Ekazu. Quelli che le lasciò suo padre. Quelli che le lasciò /quella notte/, con quella creatura inesistente - nuova - ma pur sempre inesistente. Il capo sembra aver un fremito, per un istante - con la guardia abbassata tanto che Lui, arrivando, potrebbe tagliarle la gola da parte a parte e vederla non muovere un solo muscolo per difendersi. Le dita affusolate della mancina lungo il bordo, sembrano giocar con i polpastrelli cercando tra le mattonelle ed il legno, nulla di fondo. Le clavicole disegnate ed annacquate, ripiene di semplici goccioline che le solcano il collo e si riposano in quel bacino infossato che sosta alla base della gola. Quel triangolino naturale. Pomyu dal canto suo, con gli occhi posati sul libro - sembra alzar l'indice dalla pagina appena vede l'uomo arrivare. A salutarlo, dati i trascorsi e la sparizione - a boccheggiare con le labbra come se volesse dirgli qualcosa. Ma niente, lo ignorerà per sempre, Ekazu? Sarà razzismo verso i morti? Suppongo che non lo sapremo mai. Non è lui a doverle dire che Ekazu è arrivato, alla fine. Il debole sciabordio dell'acqua, la melodia nell'aria, il freddo della sera che s'issa creando un piacevole torpore dal quale è difficile uscire. E accanto a lui, riposato a terra, un semplice kimono nero e oro, con disegnate delle piccole carpe stilizzate; il collo si solleva con la lentezza di chi possiede il tempo nel proprio palmo, riversando il capo verso di lui - o meglio, verso le sue ginocchia, dove poserebbe la nuca. Non emette flessioni emotive - eppure, infondo, non sperava di vederlo in un posto come questo. E' come veder acqua fresca nel deserto più torrido. Così dannatamente sensibile al fastidio. <...> Gli occhi chiusi lasciano uscir fuori uno spiraglio di quell'iride color dei cieli in autunno. Lo guarda. Ci pensa, a cosa dovrebbe dire. A cosa dovrebbe fare. Ma destreggiarsi non è così semplice come avevamo immaginato, no? Alza la mancina, tenterebbe di sfiorargli il mento con la punta delle dita - laccate di rosso come sempre. Un semplice tocco. Neanche volesse punzecchiarlo come una bambinetta dispettosa, bagnandogli il mento. < Non pensavo saresti venuto. > Non ora almeno. Non ora che la sua... Famiglia, se così la possiamo chiamare, sta preparando le fondamenta di una guerra che, alla fine, non si fermerà mai lì dove noi l'abbiamo conclusa. Si solleva piano, smuove l'acqua per girarsi verso di lui, posando i gomiti sul bordo della pozza. L'odore minerale che le riempie le narici, così come le essenze. Eppure tra tutto, come un segugio, sembra voler estrarre quell'essenza che sa' di casa. O almeno. Che sapeva di casa finchè erano solamente Lei e Lui. Tutto cambia, anche quando siamo inermi davanti agli eventi. Che siano lieti o meno. Le labbra curvano piano gli angoli, un sorriso che sa d'annacquato, un fantasmino che le aleggia addosso solamente. < Vuoi entrare, o preferisci riposarti? > ... < Dovete aver avuto molto da fare. I vostri bambini, sembrano così acerbi. Sarà sicuro, portarli in questi progetti? > {ck on}

21:43 Ekazu:
  [Hall | Vasca] I vapori profumati condensano come goccioline sul viso. La giacchettina e la tuta quasi iniziano a star strette. Specialmente l’ultima, nel cotone beige, andrebbe delicata ad aderire al corpicino dell’Uchiha. Ogni muscolo, partendo dai pettorali e dalle clavicole ben visibili dallo scollo largo, che attimo dopo attimo si schiude in quella fragile e mai ricercata armonia. Le poche gocce d’acqua scivolano sul volto di lei. La testolina dai capelli raccolti a posarsi sul ginocchio, saziando quella che era la voglia di un contatto, di un sentirla fisicamente lì. A fatica deglutisce, lo stomaco sottosopra in uno strano subbuglio. La mano, se sollevata, che inizierebbe a tremare. Una tensione, un qualcosa del tutto inaspettata. Nata lì, quando la testolina pigra si sarebbe posata lì, e quando i suoi di occhi, tra loro nemici nel colore, avrebbe catturato quelli di piombo di Lei. Una sorpresa, un esser colto ala sprovvista che fortunatamente perfettamente si cela dietro il visino insensibile ad ogni cosa. L’alternarsi delle ciocche nere che, ora appesantite dall’umidità, si posano sugli zigomi. Il visino che ancor di più si abbassa, coccolato dalle sue dita, ipnotizzato dal voltarsi di lei nel vapore delle terme. < .. non sei l’unica ad essere sorpresa. E’ la mia prima volta > le terme, il concedersi attimi di puro svago; una rilassatezza che in tempi addietro poteva solamente sognare nel Suono. Un qualcosa che non gli appartiene, troppo lontano da quel che sono le sue radici. Le labbra appena si schiudono. Le goccioline di vapore come sottili rivoli d’acqua ne solcano i lineamenti affilati < non lo so > gli occhietti che si spostano sullo specchio d’acqua, il riflesso del corpicino di Ren appena visibile < si sta bene vero > la destra, che prima accarezzava con la punta del dito il bordo, si porta sulla testolina di lei. Il palmo che abbraccerebbe quel suo crine raccolto, scivolando lungo il visino arrossato baciato dalle lentiggini. Col pollice sullo zigomo, a cercar di accarezzarla, rispondendo nuovamente a quel bisogno di percepirla lì. Le è mancata. < se Kioshi ne è convinto, chi sono io per oppormi.. > il visino nuovamente ad abbassarsi appena. Piccoli sbuffetti di condensa a sfuggire dalle labbra appena schiuse < pensa, uno di loro mi chiama Sensei.. > aggiunge, poco dopo < .. tu > la mano ancora lì, a saggiarne la candida pelle < perché eri nel Dojo > chiede. Non ci arriva proprio. [ Chakra: ON ]

22:08 Ren:
  [Vasca | Reparto maschile] Pigia il petto contro il bordo, dove il nodino nel drappo spugnoso rimane ben saldo appena sopra il seno, lasciandone uscire uno scorcio troppo avido per poterla rendere calamità per gli occhi di chi attorno - sembra godersi la danza dei ventagli, esattamente a qualche vasca di distanza. E come quelle donne che danzano, le dita di lui sul viso. Sembra annullarsi per un attimo - domandandosi esattamente, cosa stia facendo. Cosa voglia. Di cosa ha realmente bisogno. Avrebbe difeso a spada tratta la convinzione di non-necessità di niente e nessuno se non di se' stessa. Eppure ora, sotto quel pollice che ne accarezza i capelli, ogni quesito è tornato a galla con la stessa potenza di prima. S'era arresa. Convinta di non poter avere quel sentimento che s'è spinta a divorare dal petto di Itsuki e di Eiji, saggiando ogni sfumatura dell'amore. Il tetro. Il puro. Deviato. Corretto. Distorto. Le labbra sembrano poterne avvertire ancora il sapore aleggiar contro il palato, saziarla, tramortirla - e poi - improvvisamente - lasciarle un enorme voragine nel petto. Senza nemmeno poter accorgersene ha sollevato la mano libera, posandola ad altezza del cuore come se potesse confluir lì il proprio chakra ed andar a ricostruire delle parti indubbiamente mancanti. Ed è così gelida. Così ferma nei suoi tratti scolpiti nel gesso e levigati da mani che non hanno occhi che per le bellezze atipiche - come quella di Ren. Una bellezza a se' stante. Per pochi occhi che sanno guardare in una direzione che sovente, non mostra ne dice niente. Sembra inciampare tra i pensieri. Tra le convinzioni. Fino a detestarlo con ogni sua fibra. Odiare Ekazu? Non pensava sarebbe mai arrivata a tanto. Non pensava che quella sagoma spenta e nera sotto la pioggia, sarebbe arrivato tanto vicino a lei da poterla toccare. E' un male? Oh, lo è. Lo ascolta in religioso silenzio, annuendo appena con il capo alle parole rivolte a Kioshi; certamente nessuno può dir al proprio capo clan cosa è meglio o no fare - e sensei? Le ciglia si sollevano di scatto, osservandolo. E mentre la carezza, poco distante da lui, sembra voler rimarcarsi nel viso i suoi tratti. E' cambiato, o è solo tornato ad esser quello che era un tempo? < Sensei. > Rimanca le parole, pigramente rauca - come chi sta spesso in silenzio - occhi dal taglio morbido ed allungato, felino, che si sollevano sul suo viso vagando per qualche attimo. Sembra più che altro voler un collegamento a quella parola. A capire come possa succedere. O cosa possa voler dire. Ricercano una storia che probabilmente, conterà poco - ma basterà ad avvicinarlo. A voler ricevere più spiegazioni. Come quando ci si domanda alla sera cosa è stato fatto a lavoro. O se si ha avuto una bella giornata. <Si-> Si sta bene. Eppure, le labbra inamovibili sembrano mimare l'uscita di un seguito. Petali a forma di cuore, pieni, esangui. <Ma rilassarmi mi da la sensazione di star sprecando tempo. Come se non potessi permettermelo. > Si discosta appena, tenterebbe di catturare la mano con il proprio palmo, allontanandosi appena da quell'ombra nera e bicroma che l'ha sovrastata. Al dojo? Cosa avrebbe potuto mai cercare. < Mi dispiace. > Non avrebbe dovuto? Alla fine i Seimei sono nomadi. Sono una vergogna, per i clan tanto uniti come potrebbero sembrare gli Uchiha. Le spalle che s'abbassano, s'immerge piano - lentamente - per poi aggrapparsi al bordo e cercare di tirarsi su. Fuori dall'acqua. Gocce. Pozze. Lascia orme d'acqua sotto le piante dei piedi, muovendosi con delicatezza nell'orbita dell'altro. < Avevo bisogno di te. > Ne aveva? Davvero? Oltre la stanza gli occhi di piombo sembrano fissare un punto poco nitido. Dovrebbe dirlo? No - alla fine - perchè ad Ekazu dovrebbe interessare? Potrebbe esser geloso? Probabilmente, no. Probabilmente non gli interesserebbe affatto. Alla fine, loro, sono diversi no? "Rimaniamo insieme". Il fruscio dell'asciugamano umido, pesante - l'avambraccio lo regge d'innanzi al petto come se fosse un abito da sera da sfoggiare. Eppure la presenza di una donna, finalmente, attira qualche occhiata dalle vasche adiacenti. Un cenno della mano verso Tsuki - avvisandola della sua dipartita verso altrove. E le gambe, quelle dannate, si muovono accanto ad Ekazu - recuperando il kimono da terra. < Avevo bisogno di parlarti -- ti va di mangiare? > Attenderebbe solo un attimo - sfilando verso gli spogliatoi. < Vado a vestirmi, mi dai un attimo? > {ck on}

22:44 Ekazu:
 E potrebbe star lì per chissà quanto tempo, a perdersi nello specchio d’acqua che come un velo trasparente ne nasconde le curve costrette dal drappo bagnato. Potrebbe star lì, con lei arrossata, rilassata che beatamente accoglie la mano di lui. Gli attimi quasi sembrerebbero non passare mai; le lancette dell’orologio ad arrestarsi dinnanzi a loro due. Il mondo, compreso un Pomyu lì vicino, a farsi sempre più lontano tra i due. La voce di Lei, spezzata da quel silenzio a lungo tenuto, a cullarlo in quell’attesa. Un legame tra loro che l’Uchiha per primo avrebbe sottovalutato. Eppure eccoli lì, come una coppia di fatto a coccolarsi nel silenzio delle terme. Sguardi brillanti che si incrociano. Pensieri, emozioni che sempre più si paleserebbero sul loro essere. Lui, appena accovacciato, che quasi come fosse il più naturale dei gesti, ancora poserebbe il palmo lì, sul viso di lei. A sostegno quasi di quel visino troppo bello per essere sciupato. Lei, così assente a ciò che era anche solo un lontano parente di ciò che è l’amore,lì – a lasciarsi accarezzare, ad abbracciare il contatto di lui. Un coccolarsi a vicenda che, paradossalmente, li unirebbe nella loro non consapevolezza. < non devi dispiacerti > fin quando Ekazu sarà lì, quella sarà pure casa sua. Dovevano stare insieme dopotutto, no? La mano che scivola sul volto di lei, che intanto per qualche secondo si nasconde sott’acqua. Le goccioline lasciate da lei, come una lunga coda, la seguono. < dimmi tutto.. > le ginocchia si distendono, il busto nuovamente eretto. La manina, inumidita dal visino di lei, ad asciugarsi sul lato della giacchettina della tuta, per poi accompagnare la gemella nelle tasche dei pantaloni < è successo qualcosa > chiede. Gli occhietti rilassati ne seguono i movimenti. Qualche passo, ovattato dal pavimento bagnato, a riportarlo verso la panchina di Pomyu < mmh.. > il vociare delle altre vasche che si solleva nel silenzio, apprezzando inevitabilmente la figura di Ren. Gli occhietti bicromi a puntare la vasca di fronte. Le voci sfumano, nuovamente il silenzio. La testolina ruota verso di lei, alle sue spalle. La sinistra che scivola pigra. L’indice affusolato che indica la panchina poco più avanti < .. ti aspetto qui > e come se il Miglio Verde fosse lì ad attenderlo, lo raggiungerebbe. Il posto vacante affianco al Nukenin rimane tale. Non si siede. Rimane lì, immobile. Di striscio, gli occhietti vanno su di lui. < già.. > mentre, quasi di nascosto, per qualche attimo ritornerebbero su di lei, sulla Ren che si sta vestendo, in cerca forse di qualche scorcio, qualche lembo di pelle o forse più. [ Chakra: ON ]

15:51 Ren:
  [Terme > Taverna] Il vapore che sembra baciarle il viso - amalgama costellazioni caffè latte nella pelle che normalmente sarebbe di un candido rosato. Le ciocchette aranciate, appena scurite dall'acqua, ciondolano ubriache nel vuoto - toccandola appena di tanto in tanto. Neanche temessero lo sfiorarsi della carne. Una reazione totalmente diversa da quella dell'asciugamano che sembra volerla soffocare nella curva che abilmente riesce a prendere appiccicandosi alla pelle. A dire il vero, neanche lei sa' esattamente di cosa vorrebbe parlargli. E mentre lo sguardo rimane gettato lì, tra la parete e la porta scorrevole degli spogliatoi. Forse è stata tutta una scusa solamente per vederlo. Forse invece, vuole metter una linea piatta sopra la sua vita che solo ultimamente ha preso a fare alti e bassi confondendola. Lasciandole nel cranio e nello stomaco un groviglio di rovi pronti a pungerla al primo movimento. Ogni sua carezza è diversa. Ogni volta che le bicrome la guardano. Ogni volta che la cerca, che ne cerca il viso. Istintivamente i pugni si chiudono nel tragitto che la separa dallo spogliatoio - andando a sbiancar le nocche e ficcarsi le unghie nel palmo. E' poco importante quello che succede lontano dai nostri occhi, in questo preciso istante, quanto più tutti i sussurri che le annebbiano la testa. La prende dal collo, la trascina sul fondo di un lago pieno zeppo di mulinelli dove l'unica soluzione, è una fine drastica. Confortevole. "E quindi... Ora-" E' la voce di quel miglio verde a spezzar il silenzio di Ekazu, il suo aspettar giusto una manciata di minuti. Ma alla fine sembra decadere il discorso con una semplice scossa del capo orsino. Non accusa la stanchezza, non come farebbe Ren pur fingendo d'esserne indenne. Chiude il libro sulle cosce sollevando la schiena dal suo poggino, volgendo l'unica dorata visibile verso l'uomo. Cosa vorrebbe un folle innamorato per la sua amata? "Cosa hai provato, quando l'hai rivista?" Una domanda fuori luogo, a cui probabilmente Ekazu - rifiuterebbe volentieri di rispondere. Ma eccola lì, come un macigno sulla strada. E dietro la parete di riso bianca la siluhette grigiastra di Ren si scioglie i capelli, si asciuga, si passa l'unguento profumato al gelso per toglier l'odore di terme. Non propriamente piacevole. E quando esce, muovendo quelli steli affusolati - è vestita con una camicia grigia appena più lunga - giusto fino a metà coscia - ed un haori nero con le carpe lasciato aperto e svolazzante. Si gonfia al primo movimento, le coccola i fianchi, così come la camicetta sbottonata per due bottoni, si apre appena sulle clavicole pallide. I capelli ancora umidi, leggermente disordinati, che tenta di metter in rigore con una passata di mano. Ha giusto il tempo di una mezza risposta, o una risposta intera, mentre la mano della Seimei abbandona i capelli per passare al bordo della camicia che tira appena contro la coscia, stirandolo. Impeccabile. Non una piega. Non un pezzo fuori posto. Un controllo totale, maniacale, sull'ordine della propria persona. Solo i capelli, maledetti fili di corallo, sembrano avere una vita propria - come fiammelle danzanti. < Cosa ti va' di mangiare? Ho voglia di ravioli alla piastra. Dicono le ragazzi che quì a Taki li fanno con il polpo, devono essere buoni. > Come se fuori, non ci fosse la guerra. O come se Ren, fosse capace di dimenticarsene completamente. Le plumbee scorrono da Pomyu, che oramai s'è alzato dalla sua panca - ad Ekazu. La mano destra si muove, delicata, cercherebbe la sua afferrandola solo con le prime falangi, carezzandogli il dorso con le dita, il palmo - un movimento distratto. Come un sussurro tra le linee guida di un libro già scritto. < Comunque - > ripristina il discorso, come se fosse una stilettata nei polmoni. Un sussurro che la spinge a camminare, a muover quelle gambe nude a ritmo dei tabi che le regalano qualche centimetro in più - dirigendosi accompagnata da loro si spera, verso una taverna di quelle adocchiate prima d'arrivare con il corteo di Maiko. Dove per altro lei e le ragazze, si fermeranno a dormire qualche notte. Sembra d'esser fuori dal mondo. Fuori dai problemi. Anneganti nel lusso sconsiderato. Eppure, in un certo qual modo, le piace. Anche se non lo da a vedere. Passi lenti e sostenuti che vogliono superare la hall - riversarsi nelle strade. < No. Sì - è successo qualcosa. Però non sono certa, di quanto sia giusto parlarne. O se io debba parlarne. Non sono certa, in realtà, di cosa si fa' solitamente in questi casi. O di cosa stia esattamente succedendo. > O se gli farebbe male. O se invece, farebbe male a lei. O se vuole recidere ogni piccolo sprazzo di calore, facendo di se stessa, quella punta d'iceberg che è sempre stata prima d'esser libera. {ck on} {Pomyu dietro}

16:29 Ekazu:
  [Terme > Taverna] Le ginocchia si rilassano in quell’attesa. Cedono quasi nell’aspettarla; forse i fumi e il vapore delle terme iniziano a far effetto. Si distende, inconsapevole della tensione, delle turbe dell’altra. Una spia accesa quella del ‘’dovevo parlarti’’ che ancora, silenziosa, si limita ad essere lì. Un campanello ignorato, surclassato forse dall’ansia e dal desiderio di rivederla. Rimane lì, di fianco la panchina dell’omaccione. Qualche sguardo su di lui, ancora cerca la silhouette di lei dietro la parete. Una domanda a catturarne l’attenzione. Gli occhietti che lentamente ritornano su quella pagina dorata. < come > distratto, fa finta di non capire. Forse imbarazzato? Come un bambino delle elementari che nega spudoratamente la cotta per l’amichetta dinnanzi a tutta la classe? Il musino appena si solleva, negandosi ora la vista di lui. Dalle vasche, probabilmente proprio quella lì vicino che qualche attimo prima sarebbe stata ammutolita, dalla Hall alla loro sinistra, ai semplici dettagli che ritroverebbe pur di non incrociare più lo sguardo. Cosa sta succedendo. Ekazu Uchiha, 404, che abbassa gli occhi. Evita il contatto visivo; messo in difficoltà da una semplice, ma non banale domanda. I passettini di Lei alle sue spalle ad annunciarla. Il viso che ruota, accompagnato dal ciondolare delle ciocche corvine appena umide. Le chiazze rosse del calore si mischiano all’arrossarsi. Lo stomaco ancora brontola, ma non è fame. Come lei, anche i di lui pugni si stringono nelle tasche. < scegli tu, mi va bene tutto > il discorso quello del cibo che subito muore. Non è importante dove, con cosa, ma con chi. La manina di lei che cercherebbe la sua più vicina. Nude della tasca, le dita afferrerebbero quelle di lei. Gli occhietti brillanti a saggiare quel semplice gesto. Le spalle tesissime; un nodo in gola a strozzarlo quasi. I passi si mescolano nel loro avanzare. La luminosa Hall alle loro spalle. < così non mi aiuti però.. > il visino nuovamente illuminato dall’ora alto pallore lunare, ruota verso di lei. La brezza serale a raffreddarne la pelle; le chiazze rosate lentamente scemano nel candido della carnagione < dimmi cosa è successo, magari posso aiutarti.. > .. < .. quali casi poi > [ Chakra: ON ]

17:02 Ren:
  [Terme > Taverna] Sembra che si sia persino pizzicata le labbra con un po' di colore, una piacevole sensazione di calore che se ne va' lentamente dal corpo - dalla pelle che sembra evaporar via il torpore delle terme, del vapore, dell'acqua - lasciandosi alle spalle ogni pericolo per le ragazze che se non altro, sembravano divertirsi versando thè e sakè agli uomini di un ricco signore come molti altri, dell'erba o del fuoco che siano, non ha propriamente importanza. Sembra vibrare quando le dita si toccano, sembrano tentennare in una presa che a tratti, sembra addirittura più sicura di lei. Tutta questa normalità atipica. Tutta l'incertezza con Ekazu. Ogni passo potrebbe trovar una buca, o uno spiazzale solido in cui posarsi. Le gote che sbiadiscono quell'adorabile rossore, sembrano ritrovarlo in ben poco tempo. Ogni mossa ed ogni risposta, in qualche modo, costruiscono uno scenario non dissimile da un valzer ballato in punta di piedi - con scarsa sicurezza, o forse con terrore da parte di entrambi. Allora lo stringe, e nemmeno se n'è accorta. Lo stringe perchè lasciarlo andare farebbe troppo male, almeno adesso, cercando d'intrecciar le dita alle sue e focalizzandosi nel suo palmo. Il flusso di chakra interrotto in modo irreversibile. Quelle sfere che coesistono. Quei fiumi che vanno ad intaccar muscoli e parti cruciali - ricreando forze non dissimili da quelle dell'illusionista - s'arrestano spegnendo ogni vibrazione. Ritornando non una kunoichi - ma una donna come molte altre, in queste terre marce. Le labbra colorate hanno un sussulto alle sue parole, mentre chi della hall non guarda Ekazu - e rivolge a lei un cortese inchino, come si farebbe con un influente personaggio. Alla fine, è pur sempre una matrona, anche se non si direbbe. La rettrice del Noctis. Le spalle morbide sotto l'haori finiscono per chiuderla, non solo metaforicamente - sfilando lo sguardo di lato mentre s'affacciano al Ryokan in solo una manciata di passi più in la. Il lontano scroscio della cascata la consola, come se potesse nasconder le proprie parole in quel rumore troppo lontano per sovrastarla. < Io e te. > In questo caso. Le parole escono, danzano nel bivio tra rauco e femmile, una voce che non è ne bambinesca, ne totalmente adulta. E' una ragazzina, alla fine. Una ragazzina che sta marciando in un territorio che non conosce. Che non capisce. La luce della luna, quel pallore sul viso di Ekazu. Finisce per cascarci dentro, fermandosi un attimo con le labbra serrate. E quella mano che ha stretto, solo ora se ne accorge - abbassando pigramente quelle lame di piombo, imbarazzata. Come se si volesse scusare per esser stata troppo coraggiosa. Come se non lo meritasse. Inspira taurina, allentando la mano - lasciandolo andare, o almeno provandoci, per infilarsi nel ryokan dove la gente è ben differente da quella che si troverebbe in un locale di un villaggio. Piuttosto riservata, cortese, un sussurrare unico che vorrebbe mantenere il posto pacifico. La figura di Pomyu scremata alle loro spalle lascia un vuoto immenso, silenzi imbarazzanti. L'avesse lasciata andare i pugni sarebbero chiusi, mentre saluta la gente del posto con il semplice chinarsi del capo alla loro volta, diretta verso uno dei tavolini bassi. Un semplice scambio di parole su cosa portar da mangiare, sulla richiesta di aver un minimo d'intimità e poco chaos. Io e te, ci siamo fermati qui. Cosa sta succedendo, ora, se lo chiede anche Ren. Cosa significa? Cosa significa tutto? Le ciglia aranciate s'abbassano a metà strada, lasciano di quegli occhi, solo una mezza luna piena diretta a lui, approssimata al tavolo. < Quel ragazzo. Ti ricordi? > Spezza il silenzio, abbassando lo sguardo sul tavolino ed abbassando la propria minuta mole a posar le ginocchia sul tipico cuscinetto, posando anche gli avambracci sul bordo ligneo e scuro. Itsuki. Quel ragazzo. Quella entità con cui ha costruito qualcosa di totalmente errato, totalmente diverso da -- tutto questo? 'Una notte non vale niente' Le ronza nella testa. La martella. E se fosse vero? No, se fosse vero lo sentirebbe lei. E lo saprebbe anche Ekazu. < Quel ragazzo. Mi ha fatto capire, di non esser indicata per questo. L'amore-- non credo di potermelo permettere. > E le dita passano sul tavolo, sfilano il bordo del piatto e del tovagliolo, costeggiano le bacchette ferree, tirando una linea con l'unghietta rossa. Perde gli occhi in un punto tra il bicchiere e il coltello, fissando il vuoto - non certo evitando lo sguardo di Ekazu che, in qualche modo, sa essere lì. Di fronte a lei. E parla dell'amore come se fosse un lusso. Come se fosse una cosa per chi ha tempo, spazio, e abbastanza petto per poterlo sostenere e sostentare. La mano si ferma, levando le ciglia a lui. Lo pungola con gli occhi, come se si aspettasse di vederlo concorde. Alla fine, non sono così differenti. Soldati, giusto? Soldati semplici. Il capo dalle ciocche disordinate, pigramente arricciate tra di loro a crear un inferno in terra, si solleva dal piatto rimettendola dritta. Cercandolo. < Per questo. Avevo bisogno di te. Ti ho aspettato per un po'. > Tant'è che non si vedevano da oramai due settimane - e le labbra schiuse che si muovono a malapena, lasciano andar un sospiro. Uno di quelli docili. Stanchi. < Poi sono diventata impaziente.> Ed è andata a cercarlo, infatti. [ck off][ Ryokan interno: https://www.japan-guide.com/g19/2029_06.jpg ][ Ryokan esterno: https://q-cf.bstatic.com/images/hotel/max1024x768/241/241432112.jpg]

17:57 Ekazu:
  [Terme > Taverna] L’indice e il medio che si incrociano in quelli di lei. Appena si toccano, ma quel contatto quasi sembrerebbe mai spezzarsi. Ma anzi, si reclamano. Si stringono, mosse da sole probabilmente. Una presa che li accompagnerebbe verso la taverna, lì a pochi passi. Poi scivolano, le dita si intrecciano completamente. I palmi si baciano. Il cuore a mille. E se lei è inesperta, lui è fuori da questo mondo. Non sa, non comprende. E’ diverso dal Bene che prova per Hanabi. E’ diverso dall’Odio che cova per tutti gli altri. Cos’è. Gli occhietti bicromi, silenti spettatori, sono tagliati dalle palpebre mezze calate. Brillanti, si illuminano di una strana luce. Che sta succedendo. Mano nella mano, avanzano. Il loro silenzio a far da sottofondo alla cascata poco più lontana. ‘’Io e te’’ un binomio. Una semplice dualità; una condizione d’esistenza non ancora chiara nella sua testa. Incalzanti e oramai spontanei, i passi sembrano mossi da mano divina. Un totale lasciarsi andare nei pensieri. Il visino che ruota verso quello di lei. Di poco, quasi cercasse di non farsi vedere da lei. L’atmosfera tutta intorno non rende le cose facili. Passano attimi, interi secondi in cui si specchierebbe nei di lei lineamenti. In quel visino ora nuovamente candido, macchiato solamente qui e la dai baci del Sole. Il contatto che viene meno. La mano di lei torna sulle sue. Le dita scivolano tra loro. Il volto di Ren si arrossa, non più per il vapore. E’ bella. Entrambe le mani tornano nelle tasche. I passi rallentano, lasciando che sia lei ad entrare per prima, limitandosi dunque a seguirla. Nessun saluto ai clienti. La testolina si abbassa. Il caschetto arruffato, ancora appena umidiccio, ne copre a malapena lo sguardo, puntato in avanti verso di lei. Un tavolo appartato, una richiesta di privacy bisbigliata. Il cameriere esce, e lui entra. Con gli occhietti nascosti dal nero pece dei capelli, si accerta di esser finalmente solo con Lei. La felpa con la zip della tuta inizia a star stretta. Il calore del Ryokan, forse l’ansia per la situazione. Non lo sa, ma fa caldo. Lasciata morire lì, di fianco al suo posto. Si siede. Le gambe si incrociano con fare indiano. Entrambe le mani si posano sulle ginocchia sospese. E’ un bel locale no? Le pareti sembrano curate, l’illuminazione anche è delle migliori. Poi è tranquillo. Persino i dettagli nei ricami del tavolino, dei cuscini, tutto lascerebbe intendere che – ‘’ Quel ragazzo, ti ricordi? ‘’ La testolina, accompagnata dallo sguardo, che vagava per la stanza si ferma all’improvviso. Il nodo alla gola è ora per altro. E’ vero, esiste anche lui. Forse il loro legame, forse prematuramente in discesa sulle pazze montagne russe, è stato tanto da fargli dimenticare quel piccolo dettaglio. Le manine, poggiate sulle ginocchia, se fossero libere quasi tremerebbero. Il cuore in tachicardia, ma in volto.. lui. Vuoto. Gli occhietti si perdono in quelli di lei. Amore? Chi parlava di Amore? Deglutisce a fatica. L’inserviente del Ryokan che, timido e discreto, intanto si avvicinerebbe al tavolino. Un vassoio con vari e numerosi stuzzichini, ben presentati, lì davanti. Farebbe per poggiarli, e per presentarli ai due. Prima verso di lei, poi il piattino verso l’Uchiha. < non ho fame > non hai fame? Ti si è chiuso lo stomaco? Lo interrompe. La mano con il cibo, interdetta a mezz’aria. Un mezz’inchino, e nuovamente loro due. Non lo regge. Le frecce piombate lo trafiggono. La testolina si abbassa. Le labbra appena si schiudono. < ed eccomi qui no.. > in bocca, l’amaro. La lingua allappata a malapena scandisce quelle parole atone. Il reflusso disgustato a corrodergli la gola. Sta esagerando; tra di loro non c’è mai stato nulla. Ma allora perché la guardava così? Perché questa reazione? Un attimo dopo l’altro passano in quel silenzio interrotto solamente dal tremolare del suo respiro. Il cuore impazza. [ Chakra: ON ]

18:36 Ren:
  [Ryokan] Una luce naturalmente giallastra le danza addosso, s'infila nei tratti artici che permeano il suo viso, i suoi movimenti. Una signora dal grembiule color terracotta porta piatti tondi e squadrati sul tavolo facendo risuonando il timido rumor di legno contro il fondo delle portate. Takoyaki. Ravioli di manzo fatti sulla piastra. Udon con carne battuta al coltello. Sono portate da dividere su entrambi, accompagnate da due ciotoline -una per ekazu, una per lei- e due piattini adiacenti su cui posare quello che stanno mangiando. Divisi, per così dire, dal cibo che imbastisce la tavola in poco tempo così come l'apparecchiarsi cortese di ciotole e piattini d'innanzi al petto. Aspetta solamente che il brusio scremi, salutando e ringraziando gioviale la donna. Serafica. Le dona addirittura lo sbrecio d'un sorriso aleggiato per qualche frangente sulle labbra timidamente arrossate da un po' di colore applicato lì, ma solamente per risultare ancora piacente ai Daimiyo. Le mani con i palmi a contatto, il capo che s'abbassa appena, abbassando di riflesso anche la schiena, toccando a malapena il bordo con lo sterno. Ringrazia per il cibo e per l'ospitalità, semplice deformazione che applicherebbe a chiunque al di fuori di se stessa. Piano il fianco scivola, lascia cadere le gambe di lato al corpo, incrociate, così come le terga si ritrovano a toccare la seduta, e la schiena il piccolo schienale in vimini, adagiandosi. Movimenti fluidi, come lo sciogliersi dei nodi solitamente stretti. Il muoversi dell'haori in seta e la camicia sottostante ad arricciarsi tra le coscette nude, incastandola lì in mezzo in un semplice sintomo di pudore. E macina la mente. Forse troppo oltre. Il cibo rigettato dalla parte dell'altro le fa' issare il mento, come le sue parole, come il suo tremare. S'è fermato il tempo e, in lontananza, può sentir il suo cuore stanco perdere i battiti. Uno. Dopo. L'altro. E mancato per mancato, ha quasi il sentore si sia fermato del tutto. Ibernato. La mano chiusa attorno alle bacchette di ferro sembra stringerle appena, in un fremito che muove solamente il polso ossuto - così come la gemella permane chiusa a pugno contro la coscetta adiacente. Ci si appoggia, saggia i palmi con le unghie - sembra scalpitare nell'ignoranza che potrebbe esser metaforicamente paragonata ad una placenta soffocante. Non capisce. Non capisce nessuno dei due, a quanto pare. O forse, c'è poco fegato per andar oltre al silenzio? Gli occhi da lui si abbassano sul cibo lasciato praticamente dalla sua parte - come se volesse trovare in un paio di takoyaki la risposta ad ogni domanda. < Abbiamo litigato. Gli ho detto di te. > Di noi? < E ha detto che tra di noi era solo becero sesso. Che non mi avresti amata come fecero /loro due/. > Il tono modulato, mentre il tintinnio metallico delle bacchette infilza una di quelle palline di polpo, girandola, rigirandola, posizionandola nel proprio piatto. Come se volesse seviziarla. Tesa. E' vero, Ekazu? E' vero, che non mi ameresti mai- ma che importa, alla fine, non ne ho bisogno. Il collo, un giunco affilato, si tende appena levando il mento dal basso della sua posizione. Come chi, si lava le mani di qualcosa. < So' che una notte non vale una vita. E so' anche che tu non mi vedi in quel modo. > Sancisce parole con una lentezza disarmante, e dopo aver trafitto abbastanza il takoyaki - lo solleva pinzandolo da un lato, facendolo sparire tra le labbra. Lascia che il tempo le scivoli tra le dita, sollevando solamente adesso gli occhi su quella figura che sembra non voler esprimere nulla. Neanche ora. Neanche davanti ad un bivio. Lo osserva, ma non c'è reazione. Non ci sono parole. Perchè, non dici niente? Mastica. Deglutisce. < Ma mi ha fatta arrabbiare. > Batte le ciglia, rivivendo quella serata. Rivivendo Itsuki, e la sua dannata mano ferita. Rivivendo le parole riversatole contro. Il suo screditarla. Il suo prometter di elevarla oltre lei, oltre l'esser un ombra. E mentre ci pensa, mentre le labbra ferme vengono coccolate dalla punta della lingua, apre il sipario sul viso nascosto tra ciocche d'ebano che le siede di fronte. < Gli ho mangiato parte dell'anima, quella contenente tutto l'amore che aveva - e -- > E ci sono andata a letto ma, evita di dirlo. Semplicemente perchè dubita possa interessargli un dettaglio del genere. L'e che sospesa, lascia che il discorso muoia lì. Assopito e annichilito, come il suo cuore. Le bacchette lasciate andare sul tavolo, nel loro apposito spazio, sfilando lo sguardo dal suo volto - alla stanza adiacente dove una coppia sta mangiando con un tono colloquiale, divertente. Li osserva. Li invidia. Ma finisce lì, nella convinzione di non aver spazio per una cosa tanto bella, nella vita di chi è a conti fatti, un futuro terrorista. Un futuro nemico pubblico. Una mente brillante ed una tremendamente subdola. Chiude le palpebre, affoga nelle efelidi che le costellano il viso rivolgendosi all'altro con quest'aria spenta. Rassegnata. < E' finita lì. Ho imparato la lezione. > Espira fuori parole atone, bisbigliate nel silenzio del ryokan, riaprendo gli occhietti su di lui. Sul suo viso. < Non ne ho bisogno. Non ho bisogno d'amore. Non ho bisogno di lui. Non ho bisogno di queste cose complicate - non so' gestirle. > E lascia andare le bacchette, sollevando la destra per sfiorarsi la tempia con i polpastrelli, spostar le ciocche dietro le orecchie dove le staffette verde pavone tintinnano appena, sfiorandole le spalle. < E soprattutto. > Sfila con quelle lame, neanche potesse frastagliar il contorno di quell'uomo seduto di fronte a lei. Carezzarlo. Baciarlo. Con un gelo che scotta. < Non sono disposta a perderti. Non lo ero prima. Non quella mattina. Non lo sarò mai. > Tu ed io. E l'amore, oh - l'amore è pestilenzia. Ucciderebbe tutto. Presto o tardi. [ck off]

19:37 Ekazu:
 Le falangi sottili impercettibilmente stringono la stoffa della tuta, per nulla vistose. Qualche piega ad accennarsi appena, lì dove le ginocchia si articolano o poco su. Ogni muscolo si tende al solo pensiero. Quel fisico minuto reagisce, contro qualsiasi tipo di ordine e dogma impartitogli, alle pure emozioni. La vera natura dello spirito Uchiha che, persino contro gli errori genetici dei Laboratori di Oto, ribolle nel suo essere l’incarnazione di un’atarassia non voluta. Da sempre, i suoi occhi parlavano per Lui. Ed ora, paradossalmente, in quel loro flusso di coscienza sarebbero lì, nascosti dalla frangia scalata. Socchiusi, privati della luce che fino a qualche attimo prima li rendeva più luminosi del Sole. Il ticchettio delle bacchette che afferrano le polpettine. Il sordo tonfo del cuore nel petto. Insopportabile. Ancor di più, se contro la sua volontà. Rimane in silenzio, lasciando che sia Lei a prendere le redini del discorso. Anche volendo, l’amaro del cianuro a bloccargli ogni parola. ‘’Amata’’ un boccone ancor di più amaro. No, non la ama. Amare poi, in che senso? Quello che prova per Hanabi è amore, no? Il suo sacrificare la vita per la salvezza dell’altra. Ma allora, con Ren perché è diverso? E’ pur sempre Amore. Brividini di freddo a stento lo trattengono dal tremare. Lo stomaco che, completamente sottosopra, si ribella in timidi e ben celati conati di vomito. ‘’ No, non ti vedo così ‘’ pensa, ma non lo dice. Le Divinità, se esistono, solo sanno il perché del suo rifiuto ad aprirsi. Quell’ultimo passo che forse sancirebbe la nascita di un qualcosa, oppure la sua morte definitiva. Ma le parole di Lei, come acqua torrenziale sulla più debole ed effimera delle fiamme, spegnerebbe del tutto, per ora, ogni possibile via d’uscita. < ma- > aggiunge al discorso di Lei. Ma no, non riesce. Il reflusso a bloccarlo. Gli occhietti bicromi, appannati dalla sclera arrossata, si sollevano ora per la prima volta. Deglutisce lentamente, per poi riprendere. Per ora ancora asciutte, si limitano ad osservarla in quel vago tentativo di mangiare. Capisce, ne percepisce anche la di Lei tensione. ‘’ e- ‘’ le labbra appena si schiudono, le pupille ristrette a miseri puntini galleggianti in quelle pozze tra loro diverse si fossilizzano. Il candido visino di lei che si sposta sulla sala. Il discorso riprende, a fatica. A quelle sue ultime parole, la lingua timida si posa sulle labbra. La secchezza sul palato man mano si scioglie in quell’amaro tuttavia ancora presente. Neanche lui vuole perderla. < .. e-> strozzato in gola, aggiunge. Domanda, seppur mai come adesso quella totale assenza di qualsivoglia sfumatura umana sia letteralmente tangibile. Respira a fatica; il petto lentamente sussulta. L’aria dal nasino ad uscir fuori, concedendogli vaghi tentativi del ripristino della Maschera. < -e poi > ancora una volta, una domanda che non sa di tale. < perché mai avresti dovuto perdermi .. > il loro rapporto non era forse segnato dal destino, scritto per loro dalla Padrona di Lei? Perché mai, pensa il 404, avrebbe mai dovuto vacillare. [Chakra:ON]

20:15 Ren:
  [Ryokan] E' un concedersi attimi, ciondolando come un ubriaco in quel discorso. E più lui sta zitto, più lei si sente in dovere di riempire i silenzi con qualcosa che non siano monosillabi. O versi. O frasi fatte. Le ciocche asciugate oramai pendono ad incorniciarle il viso nel corallo, lasciando che il pallore si colori di questa luce tenue, accogliente. Il fresco che entra dalle finestra ne accarezza la pelle, la fa' tremare pigramente risvegliando piccoli brividi lungo la nuca, lungo la schiena. Una rottura, o un rinsaldarsi? E più tiene quelle corone di ferro su di lui, più lo stomaco sembra borbottarle qualcosa di rabbioso da dire. Da ringhiare fuori da quella fila di denti perfettamente bianchi. I polpacci si fanno tela di sfregi, lunghi, corti, vecchi, rosa, bianchi - un frastagliato inveire sulla carne che oramai, ha lasciato spazio a fantasiose risposte sul suo passato che possano rimpiazzare qualcosa di terribile. La verità è che l'ha sempre fatto. Essere codarda. S'è sempre tirata indietro davanti alle verità, cercando un appiglio per rimettere ossigeno nei polmoni. Le bacchette lasciate andare riposano di lato, accanendosi invece sulla boccetta bianca ed armoniosa di sakè che verserebbe nel piattino apposito. Un gesto fluido ed al tempo stesso, macchiato da un che di nevrotico. E' come se aver fatto l'amore, fosse una macchia d'inchiostro al centro del capitolo che parlerebbe di Ren ed Ekazu. E più lei si sussurra che non ha avuto valore. Più le fa male il petto. Allora cosa? Cosa speravi? Speravi valesse qualcosa. Speravi che un giorno, quell'uomo, t'avesse amato come nessun'altra. Hai sperato male. Nessuno ama le cose senza valore. Il colpo di gola che la vuole schiarire, portandosi il sakè alle labbra e buttandolo giù. Un colpo di calore non indifferente, che possa scaldarle il petto - e la pancia - data l'aria che entra. Ma. E. E poi. Non è stato capace di dire nulla, e quindi, quale sarebbe il punto di questa storia? Forse è solo una stupida, a pensar a lui, come qualcosa di differente. < Aha- > Espira una risata - una di quelle buttate fuori dai polmoni contratti per un istante solo, anzi, mezzo. Una di quelle risatine sbuffate via, frustrate, che la piegano come un foglietto stropicciato, fino a posare il gomito sul tavolino, allungare la man mancina verso il suo braccio, al di là del tavolo. Non lo tocca, piuttosto, gli mostra il palmo cercando la sua mano. Cercando di afferrarla. < Non sei capace di dirmi niente? > Una domanda retorica, come se volesse capire - dove vanno a parare tutte quelle sillabe. Dove vorrebbero arrivare. Dove dovevano arrivare. E piano le spalle s'abbassano, riflettendosi in un piatto troppo pulito dove il riflesso pallido è distorto, annebbiato nel colore. Che stupida, Ren, che stupida. < Suppongo di essermi fatta troppi problemi per nulla. > Nasconde il viso tra le ciocche, tra le gote che sfioriscono in un rossore naturale - mortalmente imbarazzato. Non gli interessa. Certo, che non gli interessa. Come mai potrebbe? E le ciocche sulla nuca cadono in avanti, le consolano le guance - mentre cerca di stringergli per qualche attimo la mano. Soffocarla nel proprio esile palmo. < Sai, se ci fossimo innamorati. Se avessimo continuato a volerci. Se fosse nato qualcosa in più, dell'amicizia. E se poi, un bel giorno, svegliandoti -- capissi di non amarmi più? O se dovessi perderti. In missione. O altrove. > Come farebbe? Come entrebbe avanti? Le plumbee finalmente hanno quell'incrinazione - e la voce solitamente modulata - prende la pendenza del terrore. E mentre guarda il piatto, dando uno spiraglio sul viso dalle ciocche aranciate - flette le proprie corde verso la paura. La paura di perdere a questo gioco truce. La paura di perderlo, di amarlo, di deviare tutto quello che c'è verso qualcosa di grandioso, prezioso, si - ma anche così dannatamente pericoloso. Sosta nel suo viso, tramite quel riflesso, battendo un paio di volte le palpebre per cercare di riprendere le redini di un controllo. La Maschera, come direbbe Ekazu. Ma non riesce. Una volta incrinata, quella maledetta, non ritorna al suo posto. Fosse riuscita o meno a toccarlo, rizzerebbe la schiena - tornerebbe posata contro lo schienale, con le cosce che si sollevano appena ad esser incrociate, sotto al tavolo. < P-- Persino ora. Persino ora, che vorrei sotterrarmi - che ho frainteso tutto quello che c'è stato tra noi. Persino adesso che immagino di poterti perdere. O all'idea di averti deluso per via di quel ragazzo - mi. > Si ferma, respira - ma ha la gola chiusa. < Mi sento il cuore il bilico, tra lo sprofondare e frantumarsi. E poi non parli. Non mi guardi. Non capisco. Sono una stupida. >[ck off]

21:03 Ekazu:
  [Taverna] Purtroppo, è incapace di capirlo, di viverlo. Un sentimento così alieno al suo essere che lacrime metaforiche di rabbia, rassegnazione ne bagnerebbero il viso. Lacrime di chi non riesce ad esprimersi, ad aprirsi. Lacrime di chi, lentamente, si vede sfuggire forse l’unica sua opportunità di rendersi più vicino all’umano essere. Si rinchiude dentro se, dentro il suo mondo. La Maschera. La barriera, lo Zero totale nel tondo risulta impenetrabile. Ma no, non lì. Ogni sua parola è una coltellata dalla persona che am- Ogni parola è una coltellata dalla persona a cui tiene, tanto.. forse troppo, inaspettatamente troppo. Una discesa su quelle maledette montagne russe così ripida da rendergli impossibile il controllo totale. E lui odia il non controllo. Odia affrontare un qualcosa che non puo’ manipolare. Le menti, i pensieri, i sensi di ogni Shinobi di questo Mondo nulla sarebbero in confronto. Vi è di fronte Lei, in qualità di Donna e non di kunoichi. La Sua Donna? La Mia Donna? No, Ekazu. Non così. Il labbro superiore che appena si incrina. I dentini serrati si mostrano tesi, incapaci nel soffiare anche un solo, ed esile sospiro. Una difesa, quasi, impenetrabile. Il visino appena cala, protetto dalle spalle che si stringono. ‘’ Non sei capace di dirmi niente? ‘’ ‘’ no’’ risponde nella sua testa. Cosa deve dirLe? Il frusciare dell’Haori sul legno del tavolo a richiamarlo a sé. Il palmo di lei aperto, a richiamar quel contatto tra le mani che prima, tanto l’aveva fatto sognare. Lenta, tesa. Tremante. La destra, ancora chiusa nel pugno, si porta su quella di lei. I palmi appena si sfiorano. Da sotto il crine, lo sguardo si immerge in quello di lei. Una fiera con la coda tra le gambe, impaurita da un qualcosa che non conosce, che non riesce a comprendere pienamente. Che sia realmente innamorato di lei? Che sia, forse, un tipo di amore diverso? La presa si stringe, lui la accoglie. Un respiro liberatorio a quel solo contatto interrompe il suo silenzio. Pesante, spezzato dalla tensione. < no- > la mano nuovamente gli viene negata, lei ritorna al suo posto. La mano, ora vuota, rimane lì. Le dita ancora si articolano in quella presa, ora passata. < .. non so cosa dirti > lentamente, un pugno nervoso a schiarirsi sul tavolo. Le unghie affondano nel loro stesso palmo < è che quando ti vedo, sto bene ma non sto bene.. > confuso, si limita a descrivere ogni suo singolo sintomo di quell’Amore che non riesce a spiegare < .. vorrei stare i giorni interi con te, ma appena ti vedo mi succede una cosa allo stomaco > le unghie affondano, lo sguardo che lento si alterna distrattamente da quella mano ai piombati di Lei < poi però sto bene nuovamente, poi mi parli di lui, e mi sento male > quasi bisbiglia, le labbra rifiutano di muoversi liberamente, increspante in un amara consapevolezza < mi è salito lo schifo ahah.. > una sinfonia priva di ogni armonia, una risata sforzata che tanto ricorda piccoli sprazzi del 404 giovane d’Oto < poi dici che non vuoi amare, che non hai bisogno di amore però io non capisco se vale anche per me, e non capisco se questo è normale.. > incalza, ogni parola sempre più spedita, veloce. Un macigno che vuole togliersi quanto prima. La manina che lenta scivola sul legno, tornando ad esser nascosta sotto al tavolino < non capisco se lui ti ha fatto capire che non vuoi più amare.. > un flusso di coscienza dettato dal caos vigente nella sua mente, quasi come il suo stesso potere lo abbia portato al più totale disordine. < .. ma che c’entra lui con me > [ Chakra: ON ]

21:54 Ren:
  [Ryokan] Come scintille sulla punte delle dita - finirebbe per battere la ritirata rantolandosi ferite che nessuno potrebbe vedere se non lei stessa. Ed il silenzio che lascia cadere, lo stesso silenzio che apre la strada all'altro per poter metabolizzare delle parole - è uno di quei silenzi imbarazzati. Uno di quei silenzi che mantieni mentre stai pensando a qualcosa, a qualcuno - ad un futuro che ha oramai risanato ogni sorta di ferita lasciate dalle impudiche mani di qualcun'altro. Avvolge una di quelle ciocche coralline tra le dita, scansandola dalla guancia e rilegandola al rigore scrupoloso dell'orecchio, mostrandola ordinata come sempre. Eppure in piccoli pezzetti di vetro che, tramite gli occhi, brancolano su coppie più o meno lontane. Persone. Viandanti. Chi sperpera semplicemente i soldi. Molti di loro, non ironicamente, potrebbero esser persino dei sostentatori di Keimusho - sfruttando e godendo della struttura di detenzione per i propri fini. Il broncio pallido, quelle labbra piegate nella grinzetta amara della malinconia che come sempre, sembra dipingerla con un pennello poco definito. Poco austero. E gli occhi saltellano da un tavolo all'altro, finchè il calore delle mani dell'altro è sotto le proprie: Ho frainteso? Può essere - sono una sciocca. E le narici reclamano ossigeno rinfrescandosi la mente, sollevando il capo fino a riversarlo all'indietro, come una cascata di fuoco che si versa sullo schienale della seduta. Deglutisce - e la sua parola. Lascia che sia Ekazu a riempire i silenzi una volta tanto, cercando di riallacciarsi - elaborare - distinguere le frasi e dare uno scenario che, a conti fatti, va' totalmente addosso a quello che Ren s'era disegnata facendosi forte dei suoi silenzi. 'Sto bene. Poi sto male. Poi sto di nuovo bene.' Il capo si alza pigramente mostrando da sotto la frangia, le sopracciglia arricciate in un verso di confusione. Non capisce. E' come parlare di due discorsi completamente diversi e pretendere che alla fine del giorno, si sia capito qualcosa l'uno dell'altro. Le plumbee che si cuciono addosso a lui, così come cerca di comprendere qualcosa di quel che stia dicendo. Di quel che stia cercando di esprimere. E' come senza ossigeno mentre insegue quell'incremento d'informazioni uscite tutte troppo velocemente - come a negare in un colpo solo, ogni argomento messo in piedi fino ad ora. Le labbra si schiudono - la destra che s'allunga, di scatto, nel tentativo di fermarlo dal ritirarsi. Lo schiaccerebbe semplicemente contro il tavolo, un piccolo tumulto d'irruenza che vorrebbe inchiodarlo lì - senza permettergli di ritirarsi da se. E' vero, lo ha lasciato andare. Eppure com'è che ora, anche solo il suo ritirare la mano, è un pretesto per trattenerlo? L'impazzar degli occhi contro la sua figura si ferma - il tremolio impercettibile dell'iride sosta pigramente sul suo viso. E la palpebra, lentamente, cala a metà del suo percorso. < Come che c'entra lui con te. > Non capisce, non capisce qual'è il punto - e non capisce cosa lui vorrebbe comunicarle. Fosse riuscito a prendergli la mano, stringendogli il metacarpo con il palmo, ritirerebbe piano quegli steli puntandoli verso il tavolo. Si solleva appena dalla sua posizione, puntella docilmente le ginocchia sul cuscinetto tirandosi su. < Tu... > Incalza piano, o forse inciampa tra quello che lui dice. Ed i capelli che le cadono sulle guance hanno un fremito, colpita dalla bava di vento. < TU SEI STATO IL PRIMO PER ME - COME PUOI DIRE CHE NON C'ENTRI NIENTE?! DI CHI ALTRO DOVREI INNAMORARMI SE NON DI TE?! > Ed il tono modulato s'infrange contro l'alterarsi, contro questa bambola oramai così avvezza all'ira da distruggere quella fallace idea d'etere che darebbe altrimenti. Ed è furia. Come se l'avesse appena offesa - o come se avesse appena screditato quella posizione che lei stessa gli aveva dato. E poi - respiro dopo respiro, cerca di sollevarsi dal tavolo. Le occhiate dall'esterno si sprecano eppure, eppure non ha che occhi per lui in questo caso. Cerca di capire il senso eppure - non ne trova uno alterno. Che c'entra lui con me? Come, cosa c'entra? La mano sfila tra i capelli, li tira indietro - ed ogni tentativo di toccarlo svanisce in un paio di gambe che si muovono con la delicatezza di un papavero. Anche io, Ekazu. Anche io, non so come esprimermi nel modo giusto. Ed il passo ligneo che si muove, nevrotico ed al tempo stesso, con tonalità di controllo. Un controllo che vacilla, ma che cerca di stringere spasmodicamente tra le dita come se fossero briglie d'un cavallo oramai impazzito. < Non capisco. > Cosa sta dicendo? Ora - ora che cerca di recuperare il respiro, affogando le lentiggini in quel rossore oramai poco gentile. < Non capisco. Tu -- > Ed il tremore della voce che la muove, dandogli le spalle e rivolgendosi alla porta per chiuderla molto semplicemente. Palmo e palmo che cercano d'incontrarsi sulle pareti di riso, tirandole dall'esterno verso l'interno. < Parlami chiaramente. Tutto quello che pensi. Dillo. > [ck off]

22:47 Ekazu:
  [Taverna] Due voci che avrebbero tanto da dire, da dirsi. Due anime plasmate dai Padroni, dal loro Clan – tra loro agli opposti – e da ciò che la vita gli ha messo davanti. Viandanti, piccoli e brevi scorci della vita mondana che ora, come uno statico dipinto, farebbe solo da sfondo ai due. Solamente deboli bagliori di lanterne, mescolate al candore della luce Lunare a penetrare nella stanza. E lasciar che sia Ekazu a riempirli quei puntini vuoti, quegli spazi tra di loro ancora lasciati a fin troppi dubbi, certamente non faciliterebbe le cose. L’Uchiha che beandosi del contatto nella manina, rimane lì, fino a quando lenta non cerca di scivolare nel suo solito ed oscuro anonimato. Quasi come se quel suo stesso protendere l’appendice sarebbe stata un invadere, irrompere e frantumare quel guscio che tanto lo protegge. Ma no, nessuna oscurità ad attenderla. Bloccata lì, da quella di Lei. Il palmo ad aderire sul legno pregiato, le dita appena incurvate che in quel premere si inarcano appena. Lo sguardo vuoto, ancora arrossato, si solleva. Profondi solchi in penombra, occhiaie maledette, ad abbracciarlo. Deglutisce a fatica, rispondendo alle parole di lei sollevando appena gli occhietti, nascosti dalle palpebre calate a metà. Ancora si chiude, non parla. Non capisce l’importanza del loro ‘’primo’’ incontro. Di quel concedersi a Lui in quel caldo pomeriggio. Non collega, e mai lo farà. Probabilmente una concezione così astratta del dedicarsi. Ancora non parla, ci ha provato ma non è in grado di spiegarsi. La manina che torna libera, ma che rimane lì. I passettini di lei alle sue spalle. La porta che si chiude e quell’invito ad aprirsi, nuovamente. La voce di lei ancora spezzata dallo sclero dinnanzi ad un passivo Uchiha, così atipico, unico forse. ‘’Parlami chiaramente’’. Non riesce. < perdonami > sussurra appena. Con le spalle a proteggerlo, il Chakra viene reindirizzato verso i bulbi. Le vene della sclera arrossata sfociano nelle iridi scarlatte. Il gene Uchiha richiamato si assesta nel Tre Tomoee, fermo, immobile. Il Chakra ribolle, la coda degli occhi a cercarla alle sue spalle. Un’ondata di Chakra tenterebbe di colpirla in pieno. Un’ondata, che forse per la seconda volta da quando ha memoria, non è lì per ledere. La percezione dei sensi e della realtà risulterebbe inevitabilmente nelle sue mani. Ed è lì, che tenterebbe di esprimersi. In quell’universo in cui, per pochi attimi, è Lui padrone assoluto. < non riesco a spiegarmi.. > la testolina ruota, senza mai distogliere lo sguardo. Lo Sharingan immobile si mostrerebbe ai piombati. Ed in questo esatto momento, Ren inizierebbe a percepire ciò che l’altro proverebbe. Le farfalle nello stomaco. La sola presenza del corrispettivo ad irrigidirla, forse a tremare. Un’immotivata felicità, un senso di conforto del tutto identico a quel ‘’ staremo insieme ‘’, lì sul Promontorio, che sfumato nell’aria, in un eterea visione si manifesta. Quando lui, per primo, spogliato dell’Armatura si sarebbe accucciolato dinnanzi a Lei. Stanco, provato, con gli occhietti socchiusi forzatamente, a ritrovar riparo sotto la sua ombra. Il corpicino per intero che accompagna il ruotar del capo. Seduto, cercherebbe di mostrarle, farle anche solo capire un minimo di ciò che prova. Da quell’innamoramento per un attimo spiazzato e tradito dal muro alzato di lei, dal nominar l’Itsuki senza nome nel loro incontro, da quell’irrazionale dispiacere, schifo che si è materializzato in bocca. Ogni cosa, ogni minimo dettaglio a passar in quegli attimi. Fino ad arrivar, infine, alla voce che potrà sentire nella sua stessa mente ‘’ DI CHI ALTRI DOVREI INNAMORARMI SE NON DI TE?! “. I battiti rispondo a quelle parole, ora frutto del Genjutsu. I cuori dei due a battere all’unisono. Incapace con le parole. { Chakra: ON } { Genjutsu: 125 } [ Sharingan III Tomoee: Attivazione, Potere Illusorio III ]

23:19 Ren:
  [Ryokan] Ed ogni respiro è come fuoco lungo la trachea - dopo essersi lasciata trascinare nell'oblio dell'incomprensione - del terrore nel lasciarsi soffocare da sentimenti che con il senno di poi, l'avrebbero sicuramente distrutta. E la sola visione, la sola idea di poter perdere di nuovo quella sensazione. La sensazione d'esser amata. Di aver un luogo a cui tornare. Delle braccia. Il solo pensiero formulato nella testa che s'arrampica nelle meningi, le prende il cuore tra dita spinate e glielo stringe, risalendo la gola come una bestia famelica. Il suo soffiare via le parole, incespirare in uno scenario che vien fuori contorto e non propriamente delineato. Muove passi. Si muove e continua a farlo. L'haori che tra le spalle svolazza dando il classico rumore di seta che struscia sui vestiti e su se stessa - mentre le mani sembrano riposare inermi ai fianchi. Sapete cosa vuol dire perdere Ekazu, ora? Vuol dire abbandonare tutto. Abbandonare la sua scintilla di vita. Il suo primo desiderio. E allora nelle orecchie già c'è il vociare di una coscienza che non le sembra amica: Fai schifo. Mi hai deluso. Sei stata con un altro uomo. < mhhh > un rantolo dalla gola risale, vomitato fuori dalle labbra - mentre le mani si levano a tappare le tempie, fermar i pensieri come se fossero incastrati tra i capelli. Ha bisogno di controllo. Per la Yugure. Per se stessa. Per il Noctis. Per la voce della verità che ancora, per ora, sembra esserle bloccata in gola. Non può perdere la concentrazione per del /becero sesso/ - come aveva detto Itsuki. Ed al tempo stesso, non ha intenzione di lasciar andare Ekazu in nessun modo. Non ha intenzione di perderlo - perchè - altrimenti, non avrebbe più niente. Nessuno. Tornerebbe come all'arbore dei tempi. E poi tutto sembra spegnersi con un paio di parole - con un flusso che nel proiettarsi alle sua mente, non trova barriere ad allontanarlo in qualche astratto modo. < ... > Lo so che non riesci. Lo so. Neanche io. Lo sguardo alle parole scivola in basso, come farebbero un muto ed cieco a comunicare? L'impossibilità, è l'unica possibile risposta. Eppure, in modo non totalmente nuovo - una bava di vento caldo le accarezza la pelle. E si vede, lì accanto, ad ammirar la punta dei promontori. E la tranquillità ritrovata da lui, al suo fianco, d'improvviso. E' così distratta. Troppo per accorgersi dei suoi occhi addosso? Troppo per realizzare che lui, la stava già guardando. In un battito di ciglia, ogni sentimento la prende a pugni fino a lasciarla senza fiato. E le labbra s'aprono - boccheggiano - cercano qualcosa a cui aggrapparsi per capire cosa esattamente stia succedendo. Cosa sia questo mischiarsi di viscere che sente, questo calore - questo amore pubescente spezzato da sensazioni terribili. E l'unica risposta sono tre tomoe puntate su di lei. Si volta, solo con il capo - fende da parte a parte la stanza ritrovandolo lì. Seduto e zitto. A comunicare come meglio riescono. /Di chi altro potrei innamorarmi se non di te?!/ Il suo stesso urlo le riverbera nella testa. Le accelera il battito, le chiude la gola - e tutto quell'amaro, il sentore d'un altra persona a prender quel che stavi cercando d'afferrare con tanta attenzione. Con tanto timore. <...> Le sopracciglia s'abbassano, distruggono lo sguardo furente in qualcosa che finalmente - in qualche modo capisce. E pur capendo, ne rimane terrorizzata. Come farebbe? Come farebbe se mai lo perdesse? I passi si muovono, lenti - incerti - fino a farla cadere in ginocchio al suo fianco. Ti prego, Ekazu - ti prego. < Tu - riesci. > Riesci a spiegarti. Non ti preoccupare. E' abbastanza. Le ginocchia contro il cuscinetto, le braccia che tenterebbero di allungarsi al suo collo, avvolgendolo - avvicinandolo a se'. Fronte contro la sua tempia. Se solo fosse riuscita, in gesti totalmente naturali - spingerebbe appena la fronte sulla sua tempia, avvolgendo con le mani la spalla opposta a quella a cui s'è appoggiata per abbracciarlo. Ed ora? Ora cosa senti? Cerca di raccogliersi, cerca di recuperar la ragione propria - e capire. Ma tutto quello che rimane, è una serie di comande. < Se ti perdessi. Non mi rimarrebbe niente. > ... < Devi esser arrabbiato con me. Avremmo dovuto parlarci prima. > Prima di /Lui/. Prima di combinare un guaio come quello che ha combinato - ferendo l'unica persona che ha sempre avuto accanto, dalla dipartita della sua signora. Le ciglia calano, gli carezzano la tempia, finendo per allentare piano la posa - ma senza poterlo lasciare andare. Rimane immobile. Lì accanto a lui - scivolando lentamente verso il basso, verso la sua spalla, dove la fronte finisce per posarsi nell'incavo, appena sotto il marchio maledetto. Inspira piano. E mentre inspira, il petto le trema. Come ha potuto. Come ha potuto esser tanto negligente? Come potrebbe cercare di costruire qualcosa con lui - quando a tratti, è tanto distante da lei da toglierle il fiato ? Le dita che pizzicano la felpa nera, cercano di trattenerlo - di soffocar la stoffa tra le unghie rosse. < Ho paura. Ho paura. > La voce è un sussurro soffocato contro la sua spalla. Il viso, quei baci di sole, le ciocche color corallo che gli colano addosso. E le parole che ripete sono parzialmente tremanti, non come le dita - quelle - temono solamente il vederlo andar via. < Siamo due futuri terroristi. Come possiamo -- stare assieme, così? Come se il resto non esistesse. > E' ilare, no? Combatte, ma nella sua casa, la guerra improvvisamente non esiste. Il respiro caldo contro il braccio, il petto che s'abbassa - si rilassa piano, e piano il mento si solleva - lasciando quella presa - allentandola piano, fino a liberarlo completamente. < Voglio vedere le tue labbra muoversi. Dimmi qualcosa. > [ck off]

01:51 Ekazu:
  [Ryokan] Gli occhietti cremisi come ultima ancora di salvezza. Il solo Sharingan a separarlo da Lei. Dal suo cercar di farle comprendere ciò che in parole non è in grado di spiegare. Sarebbero vani, inutili ogni tentativo. Rimane lì, immobile. Speranzoso. ‘’ capiscimi ‘’ ripete, sussurra nelle tenebre di una mente squarciata da effimeri bagliori di lucidità. I Tomoee immobili, il classico roteare minaccioso placato in toto, ancora puntano su di lei. Dal basso verso l’alto, le pupille ne seguono i movimenti. Il musino, ancora increspato nel labbro superiore in un’amara smorfia appena corrotta da un irrazionale dolore, si solleva appena. Le luci soffuse timide ne illuminano i tratti. Il Chakra ancora a fluire in quell’illusione che, tuttavia, nasce e muore immediatamente. Lei si gira. Gli occhietti di Lei ad abbassarsi nello Sharingan di Lui. Una vista che in molti casi presume atroci dolori, ma non lì; non ora. Come un leone che miagola, cerca di comunicare. Le parla, seppur la bocca è immobile. Il tutto durerebbe qualche secondo. Le emozioni, rapide, come un fiume in piena, si susseguono. Silente, attende. Attende una sua mossa. Una qualsiasi reazione al suo ‘’parlato’’. Le manine poggiano a terra, ad annodarsi attorno alle caviglie incrociate. Il busto appena piegato in avanti. Da solo, seduto a quel tavolo che fino a qualche momento fa li vedeva protagonisti. < .. mh > un sospiro, l’illusione conclusa. Lo Sharingan, pigro e sconsolato, punta a terra. Il musino lo segue, nascondendosi nella lunga e azzannata frangia. Ora è tutto nelle sue mani. Ci ha provato, le ha comunicato ogni cosa; ogni singolo momento , ogni singola emozione è ora impressa nella sua mente. E rimane lì, giusto qualche attimo. Attimo che sembrerebbe durare in eterno, in cui il corpo reclama il contatto con l’altra. Una sua risposta, anche solo la sua voce. I passettini si muovono. L’Occhio Maledetto è basso, quasi a cercar di limitare il suo potere, a prevenir ogni possibile contatto con quelli di lei. Lei, al suo fianco. Le pupille che puntano le sue mani, ancora strette alle caviglie. Nella vista periferica, il fisico di lei accasciato li al suo fianco. Poi il calore del contatto sul collo. La testolina, morbida e completamente abnegata ai suoi movimenti, si lascia guidare. Così vicini da fondersi nei sospiri. Il viso si riscalda. Il profumo di lei a circondarlo, inebriandosi di un piacere sopito da troppo tempo. I ciuffetti arancio che, ribelli nel loro ordine, lo richiamano verso la sua discesa. Il fuori fuoco dello Sharingan, paradossale che sia, intravede i baci del Sole di Lei, posata lì, ad altezza Marchio. Il colletto della felpa che si stringe al collo, trascinata verso il basso delle unghie rosse. Rimane immobile, ad accoglierla in quel suo passivo reagire fisico. < come possiamo stare assieme così.. > le labbra appena si schiudono, i deboli sussulti d’aria ad accarezzarle il visino < lo hai detto tu..> le rosse si sollevano, si specchiano nel viso di lei, poi scendono, sul naso, sulle labbra che lente e suadenti si muovono in quelle sue ultime parole. Come possono. Dille qualcosa. < come se il resto non esistesse.. > bisbiglia, sussurra. Come se il resto, non esistesse. Perché, di fatto, quand’è con Lei, il resto del Mondo pare fermarsi. La guerra, la Yugure, la ripresa di Oto. Nulla più, solo loro due. E realmente, quelle labbra. Appena colorate, a pochi centimetri da quelle appena schiuse di lui. Qualche secondo. Un movimento col capo ad avvicinarsi. L’innata maledetta che lentamente si nasconde dietro i sipari. Le labbra che leggere si posano su quelle della Seimei, in un contatto puro, estraneo probabilmente ad ogni forma di passione e carnale teatralità. Morirebbero lì, per qualche attimo. Il bacio di un bambino che, impulsivo, capisce che quello è ciò che deve fare. Le labbra si muovono, ma non per parlare. [ Chakra: ON ] [ Sharingan III Tomoee ]

02:26 Ren:
 È il suo profumo che l'annulla - e per il momento, sembra volersi annegare. Naufragare via da ogni problematica dovuta prettamente al lavoro, al loro scopo, allo scopo comune di - ora come ora - liberare Oto dalla mano opprimente di Kunimitsu. Rialzarla dalla polvere, come se mai fosse stata un vero splendore. Eppure ora non ci pensa - o meglio - è solo un solletico alle orecchie destinato ad esser lì. A darle fastidio. A dirle quanto non può permetterselo, quanto sarebbe incoerente. E la fronte aggrottata contro la sua spalla di tende piano piano, ritrova l'esser disteso della pelle che finisce per lasciarla indenne dalle emozioni. Come se avesse una valvola da chiudere, semplicemente, quando è diventata ormai troppo scomoda. E mentre il petto gracile si solleva, sotto la camicia - mentre gli orecchini gli carezzano la spalla - le dita della mancina finiscono per sollevarsi a disegnare il profilo del collo con la punta delle dita; medio e anulare solcano la pelle nuda, dietro il padiglione auricolare. Si riservano la briga di cercare quelle ciocche di carbone da consolare tra le dita. Quelle più rasate e lì dove si allungano. Una carezza lenta, deconcentrata, una carezza che permane finché le è concesso rimane così, nascosta, zitta. È necessario davvero parlare, se di tratta di loro? È necessario davvero mettere delle etichette ai rapporti? Forse, in questo caso, si. Per non sbagliare. Per capire cosa dovrebbe o non dovrebbe fare, cosa dovrebbe o non dovrebbe concedersi. Le palpebre sembrano voler spegnere quelle iridi, mentre il collo scoperto e piegato verso di lui, si lascia consolare solamente da quel soffio di vento freddo e metallico che entra dalle finestre. Il più delle persone si sono ritirate nelle stanze del Ryokan, per dormire - eppure a questa porta non ha il coraggio nessuno di bussare. Il canto dei grilli in lontananza, tipico delle zone di montagna - l'ululato del vento si trascina dietro le parole di Ekazu; è facile pensarla così. Come se niente esistesse. Sarebbe facile, se non combattessero sullo stesso fronte. Se non rischiasse di vederlo o saperlo in pericolo. E le dita affogano tra le ciocche, morendo sul respiro delle sue labbra. Quanto le è mancato? Quanto le è mancato muoversi d'impulso per quel la testa le dice in meccanismo strani, sconnessi, ma costanti? E le dita vogliono inseguire la pelle, scivolando sotto il lobo - circondando la gota con il pollice e carezzandolo lentamente. Le sue labbra. È come esser a casa. E lo sporco è qualcosa che le rimane addosso, come se avesse realizzato solamente adesso l'immenso errore. Fargli male. Far male a quello che hanno costruito e che ancora, precario, si muove al primo soffio di vento. Verrà fuori una muraglia in mattoni e cemento - un giorno - ma ora ancora traballa e tutto quello che vuole, semplicemente, è fermarla. Renderla sacra. Le labbra sulle sue, petali di sakura che finiscono per scombinarsi per poter parlare la stessa lingua. Semplice. Senza rumore. Le arriccia per aderire alle sue come i tasselli di un puzzle che si incastrano perfettamente, che coesistono in armonia. E come gli carezza il viso. Come lo tiene li, accanto a lei. Come il collo allungato per rispondere a questo bacio, dolcemente, si rilassa cercando di issare invece il busto su di lui, inseguendolo. Le labbra si schiudono, lo carezzano, lo pretendono di nuovo muovendosi al ritmo lento di chi potrebbe rimanere qui, così, per sempre. Quando si staccano, si riflette in quelle tomoe - nello spiraglio d'occhi che solitamente lui rivolge a chiunque. Tanto vicina da sentir la sua anima che odore ha. Il suo amore. E il proprio, riflesso in pozze di piombo. Lo osserva da tanto vicino, da desiderare di strappargli ogni segreto di dosso e farlo suo, una volta per tutte. < Sono tua. > Lo sussurra lì, sulle sue labbra. Un bagliore negli occhi come fuoco oltre le lastre di ghiaccio. Il reagire irrazionale e distruttivo del raiton che le fa vibrare ogni centimetro del corpo. Il pollice scivola, consola l'angolo di quelle labbra che fino a prima - era increspato in un cruccio. Sono tua. L'eco delle parole che riempie il silenzio, di chi non ha bisogno di parlare oltre. Come a mettere un punto, pronta ad andare a capo. Non avere paura. A chi dovrebbe dirlo, a lui - o a se stessa? < Lo sono quando siamo soli. E il mondo smette d'esistere. E lo sarò mentre combatterò a Keimusho. E quando saremo seduti al tavolo dell'Insonne. > Le labbra tese, il viso come una lama brilla del pallore lunare filtrato dalla finestra. La mano che s'abbassa a pinzar il bordo della camicia per scavalcarlo con una sola di quelle cosce. Seduta sulle sue ginocchia. Tenterebbe di circondargli il viso nei palmi, alzarlo verso di sé. < Non sono il tipo di donna che ti ama solo quando chiude il mondo fuori dalla stanza. Non è possibile. > [Ck off]

03:29 Ekazu:
  [Ryokan] E si, oramai solamente il cantare della notta ad accompagnarli in quella lunga serata. Nel corridoio del Ryokan, il silenzio. Indisturbate, le porte rimangono chiuse. Dalle vetrate, il deserto. Solo i grilli, canterini e protagonisti di ogni notte, in quella sinfonica e smielata sinfonia. Le unghie rosse ad inscrivere sul collo traiettorie irregolari. Un crogiolarsi nell’altro corrispettivo. Un assaporare fino all’ultimo istante di quei momenti così sofferti. Starebbero lì, chissà per quanto tempo. Anche nel silenzio, nel nulla più totale. Si basterebbero. Ogni parola a rendersi superflua in quel loro scambio di contatti. Il collo nudo che accompagna i suoi movimenti. Gli occhietti, ancora macchiati dell’innata cremisi, rimangono chiusi, catturati dal bacio. Cullato dalle dita tra i capelli, la segue. Le labbra premerebbero su quello di lei, in un divorarle senza fame. Un bacio semplice manifesto di un volerla lì, di non lasciarla andare via. Ora, per nessuna ragione al mondo. Le mani, articolate in quelle dita sottili ed affusolate, scivolano leggere sul tessuto che la copre. In quel suo imporsi quasi su di lui, muoiono sui fianchi. Il musino ora si solleva. Le palpebre mostrano nuovamente lo Sharingan, oramai non vi è più spazio per i bicromi. Qualche centimetri li separano. In un solleticarsi tra le labbra sensibili, si schiudono poche parole, ma vitali. ‘’ sono tua ‘’ L’Haori di lei a frusciare, mosso dal loro unirsi. Entrambe le mani che, lente e saggiando ogni singolo lembo del corpo di lei, andrebbero ad insinuarsi al di sotto di esso. I palmi, aperti, a sorreggerla da dietro, lì dove distrattamente le dita andrebbero a posarsi sulle fossette di Venere. Le iridi lente calano sul candido visino macchiato d’arancio. E proprio la destra, lenta inizierebbe a risalire da sotto l’Haori, scansando quel poco tessuto che ora come ora costituirebbe l’unico freno alla pelle nuda. Ne saggia le forme, le curve dell’addome, del petto, il lungo collo di cigno che si protende verso di lui. Solo la punta dell’indice a renderle quel passaggio poco più di un brivido. Impercettibile quasi, ma lì. Presente. Lo stesso indice che, seguendo l’istinto della Seimei, si posa lì, sul labbro inferiore. Il polpastrello a fondersi con la femminilità di quella carne. Le palpebre appena calano. La bocca, rinnovata dal sapore di lei, limita a schiudersi. Lo ama? Dal nasino, piccoli sbuffetti che si fondono ai sospiri. Il medio si unisce al gemello, in quello stuzzicarle il musino. Da sotto, il resto delle dita ne solleva il mento. E’ tua. I Tomoee ruotano, eccitati. < .. sei mia > i movimenti dello scandire che nella vicinanza richiamerebbe a sé le sensazioni sulle rosate. La sinistra la stringe a se. Il petto andrebbe a premere su di lei, in quel combaciarsi di forme volutamente provocatorio. Non sa come andrà a finire la serata, ma l’ha ritrovata. Sono lì, insieme. // END per entrambi

"Come potrebbero mai amarsi, due terroristi?"

"Dimenticando il resto."