Odi et amo.
Free
Giocata dal 23/05/2020 14:27 al 24/05/2020 02:15 nella chat "Foresta di Mangrovie"
[Foresta] Nebbia, come al solito silente, la nebbia permane in ogni luogo di quel Villaggio che oramai li ha esasperati, un panorama disdegnato oramai da entrambe quelle entità che convivono in quella sintonia flebile e volubile, tutti e due a coesistere in quel corpo, in quella figura slanciata che danza per le mangrovie, oramai avvezzo anche in quel camminare tra il terreno aspro ed arcigno, laddove l'energia azzurra gli permetterebbe di valicare pozzanghere paludose e scomode radici senza problema alcuno, ma è tutto così relativo che gli viene automatico, prosegue con quell'espressione ancora relativamente rossa, ma perlopiù piatta e distante dalla realtà, nero e bianco ad accompagnare la sua figura come al solito e dietro di lui i capelli, legati dopo giorni, di nuovo con quella coda d'ebano a danzare dietro di lui <{ Mi chiedo cosa ci facciamo ancora qui, sono giorni che vaghiamo. }> è il tono quasi stufo ma allo stesso tempo accondiscendente di Eiji che da dentro andrebbe ad esprimere quel personale pensiero che chiaramente, pur non essendoci nessuno, è udibile soltanto al Goryo, che continua in quel suo proseguire senza meta, sarebbe di ronda teoricamente ma non gli interessa più di nulla, ancora meno del solito, riguardo il proprio dovere, tanto che non dovrebbe nemmeno trovarsi lì ma verso le mura. Poco importa, il dolore è ancora insito dentro di lui ed il menefreghismo nei confronti del mondo è aumentato, sommandosi a quel suo odio represso, un qualcosa che si percepisce nella sua voce andando a rispondere all'altro < Non ho una casa dove tornare. Non possiamo ancora rivendicare la tua ad Oto. > aggiunge dopo le prime parole in quella breve pausa affranta, la tenda di Lei oramai sarà stata sgomberata, o meglio quel ne rimaneva, dato il suo farla crollare semplicemente con qualche potente sferzata e folata di vento, ridotta ad un cimitero ingarbugliato di ricordi che vuol lavare via, per quanto sembri impossibile perseguire quell'intento, complicatissimo per lui quel voler sopprimere emozioni che non gli appartenevano più, difficili da gestire e ancora più difficili da sigillare nuovamente nel profondo del proprio cuore <{ Dobbiamo riprenderci Yukianesa. }> incisivo nel suo voler riappropriarsi di quel cimelio inconfondibile, quel lascito importantissimo che da solo basterà a dar manforte a quel suo ripresentarsi a casa, al fu Principe, lasciando poi che il Moro vada rispondendo con un paio di cenni d'assenso, rispondendo con un fare un pò più scostante rispetto alla serietà dell'altro < Lo so, lo so.. > e niente di più, per ora, un sibilo della lama del Kunai che regge nella destra, a volte vien fatto roteare tra indice e medio ed a volte invece l'anello funge da perno in quello sciabordio rapido che lo fà girare un paio di volte avanti ed un paio indietro, gioca distratto senza dimostrare alcuna particolare maestria, nessuna rapidità nei gesti solo un fare abbastanza pigro e distaccato, un qualcosa che riflette un ragionare ed uno star pensando ad altro. Vorrebbe andarsene dal paese dell'Acqua, vorrebbe evitare di tornare a Kusa allo stesso modo, Oto è la scelta ideale ma tutt'ora dentro di lui la voglia di muoversi è relativa, non capisce nemmeno lui perchè è ancora lì, Lei non c'è più e dopotutto non è mai stato un Ninja ligio e doveroso in maniera zelante e passionale, quindi nulla lo trattiene lì in quel posto, se non forse gli stessi sprazzi di ricordi che può cogliere qua e là nell'accampamento ed in altri posti, come la villa del matrimonio, per esempio, e chi più ne ha più ne metta, non vorrebbe ripercorrerli, ma allo stesso tempo non vuole separarsene del tutto, un conflitto intricato e contorto. Ma non è questo quello a cui lui pensa, i neuroni sono in fermento in quell'immaginare ed ipotizzare riguardo la propria innata e le proprie abilità, un ragionamento più teorico che andrebbe a ricreare combinazioni ed utilizzi, metodiche diverse e possibili approcci che potrebbe modificare nello stile e nella forma, un'alterazione personale di qualcosa, una declinazione di una tecnica rivisitata da se stesso, gli serve un qualcosa per permettere di curarsi attraverso la sofferenza altrui, ma non vuole ripercussioni su eventuali arti mutilati o corpi trapassati da parte a parte di sventurati quali possibili nuove leve, non ha voglia di avere più rogne di quante non ne abbia nella sua testa, si è già trattenuto un paio di volte però e non ha voglia di trattenersi ancora a lungo, è un dono il suo far soffrire e non và elargito a chiunque, secondo lui, ma da qualcuno dovrà pur iniziare, no? Che palle, la morale della massa. Sospira sospendendo quel ragionare per qualche istante, andando a soffermarsi lì in prossimità di un'albero, piegando appena la testa di lato, la mancina si solleva andando a smuovere dalle labbra una sigaretta, il fumo è un palliativo debole ed infimo, insignificante, ma qualcosa fà, scrolla la cenere con un tocco dell'indice , rimanendo poi lì con la mano sollevata, il braccio appena verso l'esterno, il kunai nella dritta viene impugnato con la lama verso il basso per poi venir usato per infilzare la corteccia, ripetutamente, ma non con un ritmo forsennato, è un fare relativamente lento, in punti sparsi a caso, un volersi soffermare su quell'azione ripetuta senza un senso apparente e solo per stimolare quel pensare a una nuova tecnica che vien ripreso, vien riportato a galla dalla sua mente < Non soffre.. > direbbe lui quasi alienandosi del tutto, quasi rivedendo una possibile vittima umana in quell'albero, ed ogni infilzarsi della punta sia un tentativo ai limiti del possibile nei confronti di quello, per farlo soffrire in un trattenersi dal mutilarlo o simili. Che belle cose a cui pensare. { Ck on } [Mangrovia] Dopo tutto, c'è il pallido tentativo di fiorire da parte del sole; oltre la nebbia la luce filtra bianca - le pugnala orbite e tempie in un continuo baluginio di raggi solari tramite uno strato fitto di condensa. Non che la luce tra le mangrovie filtri volentieri - anzi, sembra disegnare sui pochi sentieri tra le paludi delle piccole efelidi biancastre non dissimili da quelle che le colorano il volto in un tono caffelatte. 'Dove sono finita?' è una domanda che la perseguita da settimane oramai, come l'errare di un entità che ancora non riesce a delineare l'avvento della morte, o della vita. Nivea, se solo esistesse l'esser annacquati, disegnati ad acquerello, lei lo sarebbe senza alcun dubbio di sorta. I passi silenti di zori dalla base lignea vengono sostituiti da un intercedere umido, dovuto alla fanghiglia che si forma tra le immense radici che volendo o non volendo, sembrano volerti intimare di non proseguire oltre il primo metro dall'entrata. Non è riuscita nemmeno ad incrociarlo, in quella grotta - dov'è arrivata per fuggire da qualcosa che invece, la stava aspettando lì. Pronto ad ingoiarla, masticarla e vomitarla di nuovo al mondo come la deformità che è. Alessemica. E come può questa malattia non spegnerla del tutto ma lasciarla in un limbo scomodo? Un limbo dove non ha idea di cosa le stia succedendo all'interno e che mostra, invece che urla e corruzione, una perfetta maschera di ceramica. Vestita con un classico crop corset da kunoichi in retina bianca, le fascia il costato esile - privo di sfregi, marchi o cicatrici, allungandosi pigramente a fasciare la parte superiore dello sterno - mentre sotto, dato il sollevarsi dal suo stesso ruolo, porta una gonna nella stessa tonalità, lievemente velata. Solo le caviglie si mostrano, passo dopo passo, lasciando lo spazio alla treccia finemente elaborata - a spiga- degli zori. Una bestia amorfa, dal respiro che sfiora le labbra esangui. Dov'è? Dov'è? Le domande sembrano palmi al collo pronti a strangolarla, così come quel susseguirsi di flash - un dono che non ha compreso. Perchè Lui non risponde alle sue domande? Alle sue richieste? La lascia sanguinante sul ciglio della strada, infame, la veste del ridicolo che si trascina dietro da oramai troppo tempo. Ignara. Dov'è? La palpebra è calata, lascia solo un soffietto di quell'artico che s'è sempre portata dietro con una minuziosa cura. Lasciando che chi le passi vicino, non la noti nemmeno. La goccia nell'oceano. La creatura che non esiste. Una succulenta tra le mani, nel suo vasetto, chiede pietà per la zona. La supplica di non esser piantata quì, tra le mangrovie che la soffocherebbero. Eppure, lei che è sempre stata attenta, sembra affogare nella testa. Asfissiata e viola in viso. "Perchè siamo quì?" Un fruscio tra le mangrovie rivela una testa d'orso, in peluches. Metà nera, con inquietante ghigno e metà bianca. Pomyu dopotutto deve esser un buon compagno, al di là del suo esser eccentrico. Salta tra glì steli nodosi, come ulivi, abbassando appena - di tanto in tanto - la cresta fiorita e scura del profilo degli alberi. A quanto pare tutti abbiamo un compagno di viaggio che cerca di tirarci nella realtà, dove le radici vogliono scivolarti sotto i piedi e legarti le caviglie prima che tu possa accorgertene. Il triangolo sulla palpebra svetta, colpito da una di quelle macchiette di sole. Sembra voler dire qualcosa mentre si ferma, stringendo il vaso tra i polpastrelli delle dita. Si ferma prima di poter inciampare, battendo solamente la caviglia contro quel braccio contorto che rompe il terreno e si risolleva da terra, obbligandola ad issare un ginocchio oltre. Scavalcarlo. Perchè siamo quì? Ho bisogno di esser ingoiata di nuovo. Di esser inesistente. Di dirmi un sacco di bugie all'orecchio perchè, come lei, nessuno è mai stato tanto bravo a mentire. E se aveva pensato di rispondere, ora sta zitta. Labbra serrate in quello che sembra esser perennemente un broncio malinconico. Ciocchette coralline, liscie come seta, si muovono voluttuose lungo le guance ed il collo. Si lascia sfiorare dal pensiero di scappare. Dal pensiero di urlare. Di immergere la testa nello stagno e buttar fuori aria fino a sentir i polmoni esplodere e la gola in fiamme. Fino a soffocare. Ed invece tutto tace, si rivela immenso il dolore - eppure, non riesce a dirsi niente per stare meglio. Sola. Senza motivo d'esistere. Incapace di affrontar il mondo di petto. Incapace di sopravvivere con la propria testa e i propri pensieri. Quando si ferma Pomyu ha già gettato la spugna, scivola con la schiena lungo il ramo della mangrovia, obbligandolo a non seguire la massa ma a piegarsi, innaturale. E dovrebbe distare tre o quattro alberi dalla fuga di Itsuki dal suo dovere. E mentre s'adagia, a posare il vasetto tra le radici, gli dovrebbe dare le spalle alla vista. Le dita abbandonano il vaso, lasciando che un pesce fuor d'acqua possa amalgamarsi con la fanghiglia e le radici, risultando perfettamente nel suo clima. Morirà. E sebbene Ren non badi a questo, capricciosa nel suo piccolo, lascia che possa la pianta assestarsi nel terreno, trapiantandola. Un figurino pallido, la Seimei. Lo specchio che è, riflette gli altri e non se stessa. Al limite dell'irritante e senza personalità. <...> La sua voce è un sussurro nel silenzio, dove il pigolio del ramo su cui posa Pomyu diviene una piacevole costante. Una nenia. E' stanca ed ha la voce impastata dal silenzio, arrochita e al tempo stesso, femminile. Assonnata. Delicata. Gli occhi sbavati d'un rossore che riflette la pelle, raccontano di notte passate male. A lavorare o disperarsi, per quanto possa esserlo fissare una parete. < Non sempre, quello che soffre, te lo fa capire. > Un sussurro poco più avanti, impiastricciato dall'esser palesemente impegnata a fare qualcosa. E il batter sordo del kunai le ricorda qualcosa, inevitabilmente. Senza realizzarlo le labbra vibrano e dalla gola esce una melodia, una ninna nanna - sempre che il Corvetto possa udirla. Parla di un picchio, e la cantava sempre la Bianca. Un picchio dal becco avvelenato. E quale storia triste si addicerebbe meglio, al nostro Itsuki? [ck on] [Foresta] Il posto è un palcoscenico azzeccato, tutto intorno a lui è lugubre e velato di quella malinconia, un'affresco cupo e nodoso, le radici stesse sono una costante invalicabile, sembra che ognuna di quelle sia l'attestare del dolore insito dentro ognuno di noi, sembra quasi che quegli alberi siano la trasposizione vivente del male che alberga dentro ogni essere, scure ed ingarbugliate, grovigli intrecciati che ci portano inevitabilmente a soffrire ed a costringere il nostro animo, legacci infami. Non si cura più, però, di dove possa o non possa essere visto che oramai è solo, non c'è più nessuno al suo fianco, fisicamente parlando, sono rimasti lui ed Eiji ed andava bene così, era tutto perfetto ed ideale fino a prima di incontrare nuovamente Lei, quasi un pentirsi di essere caduto in una trappola mai orchestrata, in qualcosa nel quale si è buttato a capofitto senza fare i conti con la realtà, finendo poi dilaniato e martoriato dalle pene d'amore, l'abbandono, la consapevolezza di non avere più una metà, un rifugio nel quale perdersi e distaccarsi da quel suo essere un'agente del Caos, da quel suo meraviglioso essere problematico e contorto, che lei tanto adorava. Un fruscio, due, distanti flebili fremiti di foglie che lo distraggono momentaneamente, qualche ramo si smuove, cigolii dovuti ad un peso che sembra o non sembra inetereo, assottigli appena lo sguardo ma rimane tutt'ora lì, dedito in quel pungolare della corteccia delll'albero, ingiusto ma allo stesso tempo per lui un semplice nulla, nessun gemito, nessun lamento, nulla che possa allietare il suo animo sofferente, quella facciata che lo fà apparire tutt'ora spento e distaccato, lontano dal piano dimensionale dove si trovano, a tratti, quano il dolore lo rapisce e lo porta a chiudersi in se stesso, seppur qualche cenno di normalità come la coda ed il fumare, sono piccoli scorci di un tentare di riprendere in mano la propria vita, di tornare ad essere completo, di nuovo se stesso < Mh.. > volge quindi lo sguardo di lato, la testa ruota di qualche grado, soltanto quella in un voler andare a cercare una qualche figura in direzione del suono che giunge alle sue orecchie, non è molto distante, l'espressione permane piatta ed atona, quasi infastidita in quel ritrovarsi possibilmente disturbato nel proprio ragionare che viene messo da parte ed accantonato, una postilla nella propria mente che probabilmente potrà distrarlo per altri minuti, più tardi, mentre le rosse si posano in direzione di quel punto dove dovrebbe atterrare quella bizzarra creatura, andando però inevitabilmente a venir attirati, come magneti infidi che all'improvviso trovano un rossastro polo, un'altro magnete pallido ed adorno di bianco, sembra quasi un fantasma in quel tirarsi su dal poggiare quel vasetto che per ora non viene minimamente calcolato dal Goryo. E se l'espressione non era già infastidita, ora diventa ancor più truce, le rubine diventano fessure, potrebbero quasi bucare l'anima dell'altra, lame di sangue che la puntano mentre le labbra si serrano, un'astio involontario che è come istintivo dentro di lui, lui che quindi dopo averla sferzata con le scarlatte, lascia che sia quel veleno a scivolare dalle proprie labbra, un sibilo misto tra il risuonare affranto ed allo stesso tempo nervoso < Sei - tu. - > direbbe andando ad enfatizzare pesantemente quel pronome, la seconda di quelle due brevi parole che però fanno intendere di preciso che quella non è una lei a caso, non è qualcuno che vorrebbe vedere, non di nuovo, non così presto, portatrice indegna ai suoi occhi di quella sofferenza, un bagaglio enorme e pesante, ed altrettanto complicato ed ardito era il dover consegnarlo al Chunin, quello che fa sibilare la lama appena in un'estrarla con più vigore, in concomitanza con il proprio dire, andando a concedersi uno sguardo pure nei confronti di quello spirito, ricollegandolo a lei, ricordandosi di quello svanire letterale dell'altra volta della figura in questione, senza farci caso minimamente, ora come ora. Le parole di lei giungono alle sue orecchie come un monito, un qualcosa che non lo smuove lì per lì, continua in quell'infilzare lento che andrebbe vagamente a farsi più veemente, un'imposizione maggiore su quella lama instancabile, svariati segni oramai sulla corteccia umida, il tono di lui piatto, un controbattere al di lei dire, chiaramente in disaccordo < In quel caso, dovrò spezzarlo, facendolo soffrire di più. > e a quella sua ultima parola accentata andrebbe conficcando un'ultima volta quel Kunai, un'impeto più decido, chiaramente più forse e rabbioso, come a voler mettere un punto fisico al proprio dire, lasciando che quella lama si conficchi di qualche buon centimetro, abbandonandola in quel pugnalare, lasciandola lì a sorreggersi nella cellulosa, mentre solo più tardi, lui andrebbe a realizzare della melodia che vien intonata dalla Seimei, è sommessa e distante, un sottofondo, ma dopo pochi attimi lui stesso schiude le labbra ed apre appena gli occhi, andando a risentirla ben più incisiva e melodiosa nella sua mente, ricordando le parole cantate da quell'unica e candida voce che ha diritto di risuonare ella sua testa, oltre a quella di Eiji, che non potrebbe far altro che domandarsi se lei lo fa apposta, incominciando inevitabilmente a percepire il tendersi dell'atmosfera, conscio degli ultimi eventi di quel primo sbagliato incontro < Non osare. > direbbe lui voltandosi del tutto verso di lei, sono distanti poco più di due metri, lo sguardo brucia su di lei e quella sua fissazione, quel voler riuscire ad ottenere - sempre - quello che vuole, si rifà insito dentro di lui, scommettendo che quel viso non si volgerà mai in direzione di quello del Goryp, una sfida che vien riaperta in un'attimo, per poi sputar di nuovo venereo < Te lo'ho già detto: tu non hai niente di lei. > per quanto possa conoscere quella ninna nanna, ne lei ne le altre sono comparabili alla sua Dea, un ringhio sommesso di una bestia ferita. Ah, Itsuki, se solo sapessi. {CK on} [Mangrovia] Un picchio maledetto dal dio del bosco, dal becco avvelenato, nel tentativo di vivere ignaro della sua condanna - avvelena il suo stesso cibo e le persone che ama. Le parole s'impilano nella testa, mentre le dita umide di terriccio s'aprono come raggi nel tentativo di lasciar stare la piante nella terra - e levarsela da quelle falangi affusolate, smaltate d'un bel vermiglio acceso. Palmo e dita, palmo e dita. Continuano ad impattar sorde nel silenzio frustrante che la circonda. Sembra di cadere, in questi casi. E nonostante tutto scorra, nonostante l'ordinaria routine proceda, tu ti senti aliena ad essa. Come quando ti accorgi troppo tardi di quanto tempo hai passato a non fare niente. Il cigolio che vien da Pomyu continua, un tempo scadenziato e aritmico che si sussegue dettato da un piede poggiato contro il tronco. Si culla l'uomo e forse, nel suo piccolo, vorrebbe immaginare una realtà in cui può comprenderla davvero. La destra di Pomyu, mascolina, cerca tramite il testone di sfiorarsi la palpebre dove è impresso il sigillo seimei, eguale ma opposto alla rossa distratta. "..." Come può esser così stupida? Come può lasciarsi scivolare addosso tutto quello che succede, cercando conforto solo in se stessa? Se solo gli parlasse, quel folle, sarebbe pronto ad ascoltarla. Ad abbracciarla. A spiegarle il suo punto di vista. Ed invece, nevrotico - simula una pace momentanea di cui non può fare a meno, annegando tra i fiumi coloriti di una sbronza mancante che lo rende, inevitabilmente, nevrastenico. I palmi di lei conditi di briciole di terra ancora umida per il tempo, finiscono per scrollarsi di tutto e tornare pulite. O almeno, il pallido ricordo che si ha di una pulizia apparente. Sul setto un paio d'occhialetti dalla montatura dorata che vengono tirati su, così come la mole, finendo per rizzar le ginocchia dalla loro posizione. Sembra averlo ascoltato, dalla sua botte di vetro - eppure confida nel desiderio di non vederlo. Vedi? Abbiamo molte cose in comune. La lingua preme di piatto sul palato interrompendo la melodia e lasciando che un groppo di saliva scenda nella gola, tanto mansueta da esser liscia. Priva di groppi. "E tu cosa ne sai, ragazzino?" La voce di Pomyu arriva da sopra la testa di Itsuki, sporca e rauca. La classica voce di chi non è una persona per bene e non si sforza nemmeno di provar ad esserlo. Il testone poggiato sul braccio, piegato sotto al capo - che solo adesso si volge verso il basso cercando d'inquadrarlo dalle fessure del suo copricapo. Un iride color porpora screziata d'azzurro, immensa. Come se potesse ingollarlo e riconoscere chi, dentro di lui, non è niente più che una coscenza. Un fantoccio. Un mukenin ha paura di ben poco, vero, Eiji? E' una visione fugace quella con gli occhi di Sen Miyazaki - o quello che lo fu quando era in vita - poichè l'ombra ingoia l'iride dell'uomo finendo per rigirare il capo verso l'alto. "Invece tu non sai un cazz-" Un progredire flemmatico d'un astio che solo Pomyu palesa, in questa coppia. Le labbra di Ren rompono il silenzio, può vederle muoversi appena tramite le ciocche aranciate; < Stai zitto. > Si rivolge a lui, inevitabile. Lo lapida con una freddezza antartica, muovendosi dalla sua posizione per allontanarsi da Itsuki. Vivere come se non fosse lì. Con lei. Come se non la odiasse. Come se non ci fosse niente, niente, oltre quella testa. Come se non lo sentisse, e non lo vedesse. Come se non esistesse. Redarguito Pomyu sposta il capo verso la salma bianca che tra le mangrovie s'adagia, sposta i fianchi lasciando che la gonna le carezzi le gambe e i rami scuri, rimanendo per Itsuki - solo frammenti attraverso gli spiragli dei rami. China verso una delle pozze stagnanti, usa l'acqua per pulirsi le mani. "..." E allora Pomyu serra i denti, cigola, digrigna, sbuffa come se avesse molto da sputare in faccia ad Itsuki e lei lo stesse costringendo in un collare a strozzo. Non lo guarda, anzi - a dire il vero non ha mai fatto cenno nemmeno a posar il viso in sua direzione. Gli ha sempre dato le spalle e continua a farlo. Lo ignora, per quanto le è possibile. < Perdonalo. Hai ragione. > Conviene verso Itsuki, un soffio screziato di nero mentre l'acqua tintinna contro i palmi, sciaborda piano sul bordo dello stagno, finendo per render candide le dita. Si specchia, lontana da Itsuki. Porta una ciocca di capelli dietro l'astina degli occhiali. < E' solo un bel ricordo. > Può dire davvero di averne? Si. Con lei, si. Come se le scaldasse il cuore, averla lì - accanto a se. Esser il mezzo dell'adempirsi del suo ultimo volere. Eppure perchè non mi sento degna, madre? Le ciglia basse, color rame, si alzano appena su quel riflesso sbiadito e verdastro, ombroso. E sembra quasi non potersi riconoscere. I lineamenti delicati, efebici. I capelli tagliati corti. Il corpo acerbo. S'osserva, per qualche attimo, senza guardarsi negli occhi. Curva di poco il capo verso la spalla. < Mi hai fatto male, l'ultima volta. > E' vero, eppure, non sembra flettersi verso il dolore. Lo notifica, come se volesse renderlo contento. E non si capisce nemmeno se parla di male fisico o emotivo, eppure è reale. Eppure l'attanaglia. Tra mancanza e vergogna. [ck on] [Foresta] a sua volta fu Mukenin, ignorando il suo esser un tempo umano, considerandolo semplicemente come un'essere buffo ed irriverente, trovando uno sbuffo secco in risposta da parte del Goryo, che tutt'ora si impegna per andare a sopprimere il ricordo di quella ninna nanna, soffoca la melodia nella sua mente a forza, è difficile poichè all'inizio sembra un voler afferrare uno stormo di petali{ informe, una massa inafferrabile e sfuggente, che poi verrebbe stroncata in un colpo solo, secco, uno spegnere di un'interruttore forzato e faticoso, che fa calare il buio nella sua test andando a far cascare quei petali candidi nel nero pece, annegandoli ed inglobandoli < Cos'è. > proverebbe a domandare senza interessarsi effettivamente più di tanto alla figura di quello, ai suoi occhi forse solo un'evocazione di cattivo gusto e di basso rango, accennando vagamente a quelle figura con un cenno distratto della mancina, un rivolo di fumo si smuove, non riece a suona come una domanda quel dire poichè non si cura nemmeno effettivamente di Pomyu, il suo è solo un rispondere a quel dire di perdonarlo di lei.Poi, un concedersi di un tiro più amaro, di una boccata di un respirare qualcosa che pare tossico, un sentire il sapore aspro e cattivo in bocca, quasi un derivato di quegli stessi, delle quali lei ne cita uno, quello appunto intonato poco fà, tra una nota e l'altra < Lo sarebbe, se non stessi cercando di seppellirli. > e lo dice con determinazione ma allo stesso tempo con una sofferenza che lo tradisce, si vergogna quasi di quel non riuscire ad avere a che fare con i demoni della memoria, ma non ora, non ancora, è passato troppo poco tempo per far sì che quelli possano portare gioie lontane, piuttosto che fresco dolore. Volge il capo di lato la rossa dopo essersi specchiata, forse volendo trovare determinazione in quel suo stesso riflesso, spento almeno quando è spento il viso di itsuki, dolori diversi che sono però lì sullo stesso piano, una perdita per entrambi, ma più distruttiva per lui, mentre per lei è tutto il contorno a pesare più del dovuto < Oh, Ren, avrei potuto far di peggio. > e quel suo nome composto d una sola sillaba vien pronunciato in maniera più incisiva, rivolgendosi direttamente, solo e soltanto a lei, quasi a volerla richiamare, a pretendere che si giri del tutto con quel sottolineare l'appellativo della ragazza, incominciando a smuovere delicati e lenti passi verso di lei, con una calma indicibile, quasi come e dentro di lui ci fosse una convinzione - che realizza essere sbagliata ma alla quale cede - del di lei apparire ai suoi occhi come una valvola di sfogo, come un giocattolino da rompere sul quale lasciar che il proprio dolo si riversi, un pensiero decisamente sbagliato ma che non riesce ad allontanare dalla mente, quasi come se fosse stata condannata, con quel dover dar quella, a dir poco infelice, notizia < Portavi dolore senza pensare alle conseguenze. > direbbe lui quasi volendosi giustificare per le sue azioni, che poi non si sono manco compiute come li stesso voleva, un paio di coincidenze sfavorevoli per il Goryo, che ora si dovrebbe trovare a qualche passo distante da lei, due tiri lenti, uno dietro l'altro, lui alla sinistra della Special, meno di un metro di distanza, pericolosa vicinanza, andrebbe a gettar con uno schiocco flebile delle dita, il filtro di quella sigaretta che dovrebbe cascare nell'acqua di quella pozzanghera, vorrebbe quasi andare a richiamare la di lei attenzione si quel filtro, lasciando quasi la mano appena sospesa un paio di istanti in più del dovuto, in direzione di quello, aspettando che lei si rifletta con il viso nell'acqua lugubre, andando a voler puntare gli occhi grigi di lei, sia con il proprio sguardo che li cerca nella pozzanghera, sua con l'indice di quella stessa mano, chiaramente puntando di fianco se stesso, in quell'indicare proprio gli occhi di lei, una figura che acquisirebbe senso solo nel riflesso di quella pozzanghera, nessun contatto, ma è chiaro a cosa si stia riferendo < Quello sguardo. Me lo devi. > poche parole, punti sanciti da specifici pause, tono rotto ma serio, mormorii udibili quanto basta in quel risultare tenebroso ma allo stesso tempo di nuovo in grado di fregiarsi di quel fascino diabolico che lo contraddistingue. {Ck on} [Foresta] Già, non ci sarebbero parole più precise se non quello di definir il suo becco avvelenato, un'astio incontrollabile verso lei che è la pura e semplice testimonianza della scomparsa di Lei, una figura maledetta ai suoi occhi che gli ricorderà sempre il suo essere l'ambasciatrice di quella notizia, non abbastanza coraggiosa o alla mano probabilmente, in quel suo dover adempire al proprio dovere, senza essere in grado di prevederne le conseguenze, uno più difficile dell'altro, nell'animo. Probabilmente lei vorrebbe sparire, si volta ma le sue rosse non si distolgono da lei che risulta infastidita da quegli accenni di terriccio sulle nude dita bianche, mentre lui risolleva la mancina verso le labbra, guantata di nero come la gemella, tra un tiro profondo dalla sigaretta e lascia che quell'ossigeno dentro di lui veicoli rapidamente il fumo verso i polmoni, lo trattano e riformano facendolo diventare più vaporoso, sollevando nel mentre lo sguardo del colore del sangue, puntandolo ferino su quel presunto orso o quel diamine che sia, lasciando che quelli d'argento escano come fiele dalle labbra sue, il tono spezzato e roco, un'interrogatorio che sà di aspro, lo sguardo si serra su quella figura atipica < Prego..? > gli basta quella semplice parola, inarca appena un sopracciglio ma è poco e niente visto che la sua espressione rimane piatta e truce, una lama in direzione di quel defunto oramai spirito, non conosce minimamente l'innata dell'altra e non collega perchè si porti dietro un'essere tanto buffo e grossolano, scurrile anche a quanto pare, forse una trasposizione tangibile di quello che manca alla stessa Ren < ... > silenzio, le scarlatte sono puntate su di lui nel mentre che un suo secco sospiro vada presentandosi in concomitanza di quel suo soffermarsi, lei lo fà tacere e stringe come una museruola con il semplice tono di voce, inflessibile, che dunque muta l'altro, concedendo ad un Itsuki dalla pazienza sin troppo labile e flebile, in questi giorni, di spostare nuovamente le rosse su di lei che nel frattempo andrebbe sciacquando via quelle macchiette di fango, minuscoli puntini di di quelle affusolate e bianchissime <{ Sembra un'individuo divertente, fastidioso, ma divertente. > commenta da dentro Eiji in quell'osservare di colui che [Mangrovia] Dai polsi scivolano lacrime stagne, poche gocce risalgono l'avambraccio nudo fino a morire alla base del gomito che lei s'è curata di posare al centro delle cosce. Rimane immobile, come se quella prigione di mangrovie possa difenderla dal corvino più di qualsiasi altra cosa. Desiste Pomyu, ma rimane lì a guardardarlo. Rapace. Il suo stesso incassarsi del collo cucito tra le spalle nervose ha un che di seccato e nevrotico. Una figura nettamente differente da Ren, come ha potuto notare l'altro. Che compensi le sue mancanze? Può essere. Quasi a farsi beffe dell'eleganza e il portamento aristocratico, freddo e abbandonato, dell'altra. Lei rimane zitta - forse perchè effettivamente spiegare cosa sia Pomyu ci rilega ad un discorso che chiama domande alle quali, sinceramente, vorrebbe non rispondere. Ed è incredibile per quanto tempo sia capace di evitar risposte e rimanere zitta, alla fine, Itsuki è un ottimo tiranno dell'attenzione. Lascia che sia lui a manipolare il discorso, e non per malavoglia a tener quelle redini - ma per una vera e propria incapacità. O forse timore. Dove potrebbe arrivare un discorso del genere? Quanto ancora Itsuki può odiarla, più di così? Ambasciatore indegno di cattive notizie, è vero. Eppure sembra aver le spalle più larghe di quel che mostra, adagiandosi con immensa beltà sul capo, una favolosa corona di spine dorate. Forse è questa la bellezza di Ren, no? La muta sofferenza che nessuno riesce a vedere, nessuno oltre lei. La schiena come un giunco, si piega in avanti. Il gomito tra le cosce pungola - finendo per adagiar il mento su un palmo che s'è offerto volontario. Dimenticarla? Impercettibilmente sembra rizzar le orecchiette, le ciglia si levano mostrando la pupilla divenire visibilmente più piccola. Affilata. Perchè dimenticarla? Perchè? < E - > Il sussurro sfila via dal palmo, mentre osserva quel riflesso danzante. Informe. A volte trema per via dei moscerini e del muschio. A volte si spezza. Come può esser più realistica di cosi? L'espiro, come fiele, si spegne alla base della gola mentre impila il resto della frase. < Cosa rimarrà di lei? > Volergli chiedere perchè, non è egoista? Oh insomma, che faccia di lei quello che lui vuole ! Eppure le sopracciglia rompono il silenzio stampa delle rughe mimiche aggrottandosi appena. Pensa. Pensa facendo tanto rumore da disturbar le mangrovie e l'ululato di vento che filtra tra le stesse spostandole i capelli dal viso. Si spoglia al suo arrivo, mentre l'ombra di lui si getta su di lei oscurandone il pallore. Non è tuo diritto, Ren, aver da ridire sulla sofferenza di Itsuki. E reclamare la negligenza per il gesto estremo della Bianca Signora di cui lui, era follemente innamorato. Di cui è. Follemente innamorato. Allora il palmo su cui la mano poggiava scivola a coprire appena la bocca, abbassando il viso a fissarsi sulla figura di lui. E' un riflesso poco distante. Troppo poco. Più si nasconde, più Itsuki risulta vicino. Come dannazione ha potuto mordergli la spalla. Può veder quelle corone ferree riempirsi di lui. Troppo. E non si muove, giovane tulipano - spostando solo gli occhi ad inseguirlo. < ... > E' vero, il dire di lui. Porta il dolore senza poter dimostrare vicinanza. O pentimento. E mentre lo osserva, osserva il suo riflesso, vaga per la sagoma a lei rivolta ipotizzando una risposta: Scusami. Mi dispiace. Solo quello sa' dire? Come è possibile non trovare parole sufficienti. Il mento affilato si solleva, il labbro inferiore si scansa dal suo fedele compagno per emetter qualcosa. Aria. Aria e basta. Dirgli 'Mi dispiace' lo farebbe solamente infuriare. E Ren non è così stupida da non saperlo. E poi, mentre lo guarda, non le esce una parola. Si perde, e sente la spina dorsale tendersi. Come se si preparasse ad incassare qualcosa. Qualsiasi cosa. Il collo allungato sopra il palmo è il cenno d'attenzione che avrebbe un gatto nervoso che muovela coda. Ti avvisa. Non intraprendere quel discorso. < Smettila Itsuki, per piacere. > Quasi s'aggrappa al suo esser razionale, mentre il suo riflesso annega attorno al saltar della sigaretta al suo interno. Morire. Affogare. La guarda spegnersi e per un frangente, con gli occhi, lo sfiora. Di un grigio opalescente. Screziato di venature scure e chiare. Un colore candido, ma non limpido. Potrebbe divenire neve, potrebbe divenire pece. Però dopo cala le palpebre, mostrando il triangolo così nitidamente. Minimalistico. Le ginocchia si sollevano dalla loro posizione - lasciando che siano i fianchi a dettar il minuscolo movimento alla sua volta. < Se ti fa' sentire meglio, prendimi a pugni. Non farò niente per impedirtelo. Ma ti prego, basta - basta con questa storia. > Una supplica velata tra parole atone, il muoversi di Ren la scosta appena, vorrebbe quasi ritrovare lo spazio che le manca per sentirsi lontana dai ricordi. E mentre le palpebre si chiudono, lascia che gli occhi riposino lontani dai pensieri. Il cigolio dei rami chiama l'attenzione e troppo tardi - s'accorge d'aver accolto tra le lentiggini un amabile rossore. Fiorisce sul rosato pallido, sfila nella carne e corrompe l'ideale fermo, stabile, che Ren ha dato di se stessa fin dal primo giorno. Le mani serrate in un paio di pugni che tremano appena. Impercettibilmente. "E' difficile guardare in faccia qualcuno e dispiacerti sinceramente quando tutto quello a cui riesci a pensare è al suo viso mentre ti scopa." Sporca e volgare, la voce di Pomyu stride come unghie sulla lavagna nella testa di Ren. L'ha detto? Ha un fremito, impercettibile - come se avesse voluto gettarla nel fuoco e vederla in fiamme. Di scatto i muscoli si contraggono, come se fosse pronta a scappare - eppure - si volta verso Itsuki. Come se volesse tamponare. Ma non puoi tamponare una diga in distruzione con un misero straccetto. Le mani tremano appena, mostrandosi morbide e aperte con il palmo verso di lui. La bocca si muove, vuole negare, dargli del coglione - e non riesce a mentire. < BASTA ! > Il tono che si alza è solo una tonalità in più al normale. Come può crollare così? Annegare nell'imbarazzo. Allora sembra sul punto d'implodere e scappare ma - inspira. Inspira fino a gonfiarsi e far esplodere le clavicole bianche nella retina bianca. < ! > Dove potrebbe fuggire, ora? Lascia che sia Pomyu a sghignazzare da dietro il suo testone, mentre lei s'abbassa appena, al fine di saltar sopra alla mangrovia. O almeno ci prova. Se parlerà, parlerà dalla cima della stessa. "Kukuku -- è divertente Itsuki, non trovi? Alla fine siete pari. Lei ti ha detto che il tuo amore è svanito. Tu le hai rubato la prima esperienza a letto ! KUUHAHAH-- ce l'hai una sigaretta amico?" [ck on] [Foresta] Inspira, ed espira, il suo è un risultar silente e distante ogni qualvolta che tace, incapace, in presenza di lei, di sfuggire ai ricordi della persona che li collega, che li accomuna e ha legato in maniera imprescindibile ed indissolubile i fili rossi del destino della Seimei e del Goryo, con la sua scomparsa. Un respiro che all'apparenza pare calmo e risoluto, il suo, per quanto dentro di lui ci sia un'amalgamo di dolori e sentimenti negativi, tutt'ora tenuti a bada in maniera abbastanza controllata, una via di mezzo che si può definire stabile, laddove basterebbe una scintilla per far scattare qualcosa, una micia, l'esplosione che potrebbe generare ulteriori asperità, tra il rapporto di quei due individui particolari, due gocce d'acqua che si somigliano solo in alcuni tratti mentre in altri sono estremamente diversi, è un ritrovarsi e scontrarsi con una personalità che a lui non và a genio, quel suo muto soffrire sembra un qualcosa di troppo privato e custodito gelosamente, per non volerlo far suo, è come se dentro di lui ci fosse una sorta di diritto nel trattarla in quelle aspre maniere, quasi come se dentro di lui si svolgesse un lento processo nei confronti della Special, iniziato verso le ultime battute del loro incontro, un voler minare ed intaccare l'animo altrui, una sorta di tortura mentale in quel lento forzare e giocherellare con la serratura di quel tesoro, quel baule dei sentimenti di lei chiuso a chiave e che mai vien lasciato trapelare da quello sguardo, che nessuno incrocia. Porta le mani dietro la schiena, cerca di mantenersi calmo e composto in quel ridefinire il proprio sentimento contorto e perverso nei confronti della ragazza al suo fianco, non più un brutale voler ottenere quello sguardo e decretare dunque il di lei cedere, l'aver vinto in quella sfida mai lanciata apertamente, quella faida interiore che probabilmente corroderà entrambi, lentamente, poco alla volta < Un vuoto, da colmare col dolore.. Cosa diventerà quel dolore in futuro, non ne ho idea. > il tono è serio, per metà solenne e per metà affranto, probabilmente odio, probabilmente un qualcosa che andrà nel tempo mutando e ridefinendosi prendendo la forma di un qualcosa di più concreto, di definitivo, rifinendo gli angoli aguzzi smussando e dando una forma ben più artistica a quel suo sentimento, un'ideologia di quella sua visione della sofferenza che và ampliandosi sempre di più, trasformandosi in una sorta di via di mezzo tra religione e filosofia, assurde concezioni di una mente distorta ammantata nel dolore e dedita al Caos <{ Sta a te scegliere come rimarginare le tue ferite, mi basta che tu ci riesca. }> è la voce che da dentro riecheggia nella sua mente è quella chiaramente del Kagurakaza, al quale risponde con un determinato, ma allo stesso tempo vagamente flebile e tentennante <{ Ci riuscirò.. }> risponde il moro al suo legame mentale in direzione dell'altro, andando poi a rimaner lì con le mani dietro la schiena, dopo aver indicato quello sguardo causa la di lei reazione, un tentativo vano che andrebbe a riconfermare solo il di lui bramare quella di lei muta sofferenza, di sentir un lamento da parte di quelle corde vocali che mai paiono sforzarsi, un'annesso che si immagina, deliziandosi, in corrispettiva di quello sguardo da rubare < Ah, ma ho appena incominciato, mia cara.. > la voce è melliflua e scura, cenni di malvagità che tingono il tono di nero pece, quasi possa quello letteralmente andare ad invischiarsi alle orecchie di lei, contornate dai rossastri ciuffi di lei, se vorrà lei far parte di quello stesso dolore, o meglio che lei lo voglia o meno, lui ne sarà lieto. Prenderla a pugni non lo soddisferebbe, non lo farebbe manco probabilmente, no, è la concezione di logorarla lentamente sino a farle abbassare la guardia, in - qualsiasi - modo pur di ottenere quel che lui esige, e dire che lo ha pregato, ma sembra un qualcosa più forte di lui, quello insito nella mente del Chunin. Un bug che pare impossibile da fixare, ma non disdicevole, da assecondare. Osserva ancora le loro figure riflesse, ha portato lo sguardo su di lei solo qualche volta e starebbe quasi andando a proferir nuovamente parola, se non fosse per quello. Lui. Sì, cioè, quell'essere. Gracchia come una cornacchia dalla cima dell'albero, il folle Pomyu che non sà nemmeno lontanamente cosa starebbe andando a scatenare, un cataclisma emotivo che andrebbe però a venir soffocato dal dubbio, all'interno di Itsuki, semplicemente si acciglia gravemente, pur mantenendo sempre lo sguardo piatto, rosse che si sollevano in direzione di quello e della sua affermazione, risuona nella mente di Itsuki riecheggiando almeno un paio di volte, non capisce cosa voglia dire ed a cosa egli allude, ma è abbastanza per farlo cedere in quella situazione delicata, è abbastanza per incrinare nuovamente quel vaso che aveva solo lontanamente iniziato a ripararsi. Mandibola serrata, bruciano le scarlatte e vanno ad ardere su quella cosa dai colori neutri, ringhia stizzito lasciandosi andare ad un fare grezzo che non gli appartiene, al quale difficilmente cede, quasi contagiato dall'altro < Che cazzo hai detto, orso di merda..? > e lo sguardo allo stesso tempo si sgrana, si rompe, infrangendosi su di lui in quello scatto che spalanca le scarlatte, un'istante dopo il suo dire ed un'istante prima dell'esclamare di lei, che crolla, costringe lui a voltarsi di nuovo, visto che si era posto più in direzione del volgare, che di lei, in quel rovinare da parte dello spirito di quell'atmosfera tesa. Si volta in direzione della rossa, dunque, con lo sguardo ancora sgranato, si mischiano follia ed indignazione in quelle iridi che ora sembra sanguinino veramente, ribolle quel sangue, mentre il fu Jinchuuriki si concede un semplice e prevedibile < Oh Kami, ci risiamo.. > sentendo il fervore dentro quel corpo, palpabile e reale, sospirando con uno scuote della testa, mentre Itsuki al di fuori cerca risposta di lei, lei che però si sposta e prende posizione più in là, lui che la segue con lo sguardo e smuove un passo in sua direzione, le braccia lungo i fianchi, appena aperte, pugni di nero tessuto serrati, Pomyu continua a gettare benzina sul fuoco ed è un voltarsi di nuovo verso di lui, scatta come una iena, permanendo sul posto, sì, ma percependo ulteriori indizi confusi dal suo dire, sentendo il di lui riferirsi a Lei, alla sua Dea, con tanta leggerezza, iniziando a vedere dello stesso colore del suo sguardo, per non parlare del finale leggero di quel dire del presunto orso < Amico..? > una brevissima pausa, da lì dove si trova in basso è un'attimo, non dovrebbe coinvolgere nemmeno la ragazza ( che per lui deve soffrire in altre maniere ) e quindi in un tumulto il Chakra andrebbe smuovendosi, adirato và percorrendo come serpi infervorate il sistema circolatorio, dritto verso le mani, alterato di vento, sigilli gallo drago e tigre, un'intersecarsi rapido in quel convogliare l'energia di un tifone davanti a lui, puntando chiaramente all'ignobile figura sul ramo < Ti ammazzo. > un sibilo ed allo stesso un'esclamazione di furia cieca, finalmente ha trovato qualcuno su quale sfogarsi, almeno, qualcuno che al rilascio della tecnica dovrebbe venir sbalzato via, venticinque metri di raggio ed una certa rapidità, non dovrebbe nemmeno fargli effettivamente male ma dovrebbe mandarlo a volare tra le fronde più in alto per poi spedirlo chissà dove, decisamente una serie di metri più in là. Lo sguardo perso non si scollerebbe sul ramo fino a quando lui non sarebbe svanito, poi, con la coda che torneerebbe al suo posto, smossa dalla pressione del vento generato, tornerebbe in direzione di lei, non si muove, mantiene quella distanza ma la fissa con quello sguardo più rotto di prima, le iridi ridotte dall'astio < Ohi.. Cosa voleva dire quel coglione..? > direbbe andando ad indicare con un fare distratto in direzione di dove era prima Pomyu, altro che sigaretta, deve ringraziare che erano a debita distanza e che il Futon non sia un'elemento necessariamente aggressivo < Ehi Ren.. Rispondimi, che - cazzo - voleva dire? > il tono brucia e come prima tenta di mantenere una compostezza fragilissima, sottile come cartapesta ora come ora, l'altro dentro con il fiato sospeso, poco incline a parlare in quel momento consapevole solo di un'ulteriore rottura della situazione, mentre lui non capisce, non si spiega nulla ma il tutto risulta pericoloso da comprendere, è confuso ed indignato dal dire dell'altro, ma vuole sapere e vederci chiaro, data la di lei reazione, considerato che non l'ha mai toccata con un dito. Non che non ci abbia provato. { Tromba d'aria -Ck 40/50 - Nin 125 - 25 m - 3/4 *sposta oggetti pesanti* } Il silenzio trema - e il fischio del vento tra le più alte foglie delle mangrovie le accarezza il costato. Immobile, lascia che le venature d'ambra le carezzino la pelle mentre le braccia si tirano appena su. Posa le terga sul nodo tra due rami, a più di tre metri da terra, lasciando che le gambe sfilino dalla gonna a penzolar libere nel vuoto. Si nasconde. Non è forse una reazione immatura questa? Eppure affrontar di petto una verità non detta sembra toglierle il fiato una volta per tutte. Espira, espira - espira e si dimentica più volte che l'aria deve anche entrare nei polmoni, non solo uscire. Il viso contro un tronco gelido sembra esser l'unica cosa a darle un minimo di sollievo. Il palmo sul petto; devo esser ridicola, come una parassita, a rubare i sentimenti della mia signora. Eppure, non è stata lei a desiderarlo? Non è stata lei a volerlo? Perchè. Perchè apprender l'amore quando è capace di tanto. Di togliere l'aria. Le labbra si schiudono, nascoste, cercando quel filo d'aria che sembra mancarle ora che è al sicuro. Ciocchette aranciate che le cadono sul viso, le accarezzano le gote, la occultano del tutto mentre lo osserva con la coda dell'occhio. Itsuki non è nessuno. Non m'appartiene. Non è nessuno. Se lo ripete come un mantra mentre la destra si tien flebile al tronco, abbracciandolo. A terra la situazione è ben diversa, Pomyu dall'alto delle sue parole chiude la bocca una volta per tutte. "{Dovresti guardare solo me.}" Poche parole sfilano nella mente della rossa che trema, fragile fiore, unendo le ginocchia e lasciando che punte dei piedi pendano riverse verso il basso. <Zitto.> Un sussurro che nemmeno Itsuki, forse, riesce a sentire. Anche perchè Pomyu rimane in silenzio, intonando solo un ghigno platealmente divertito. Il bastardo sadico della situazione. O forse quello più indispettito. Infatti sotto alla maschera fallace, passa la linguetta sulle labbra, ammorbandole d'un veleno che nessuno conosce realmente se non il corvino, il nostro amato Goryo, con la sua adorabile ossessione per gli occhi di Ren. "{Avrei potuto mostrarti la via e abbandonare questo fottuto proibizionismo in cui ti costringi. Il sesso. Le anime. Smettila di combattere, cazzo, smettila.}" Quel breve discorso, come il seme della discordia, screma sulla furia d'Itsuki. E nessuna risposta vien elargita dall'alto delle mangrovie. Solo i rametti si muovono, ogni tanto, lasciando che la figura bianco-rossa, sia solo un fiore sbocciato nel fango. Il loto che richiama il suo nome. Non un fiato. Non una parola. Quando Pomyu si gira verso Itsuki è troppo tardi e l'impatto con la tromba d'aria lo sbalza via. Come petali in dissoluzione diviene nulla - cadendo via dall'albero di sgretola, tornando polvere per le prossime ore. < AHHHHH! > Un urlo, finalmente, un urlo smuove le foglie sulla testa di Ren mentre Pomyu si spegne abbandonandola per troppe ore. Più di quelle che potrebbe aspettarsi. La mano mancina si erge a coprire l'occhio, come se potesse avvertire un recidersi di qualcosa. Come se avesse colpito, in parte, anche lei. E tra le creste il silenzio si tramuta in uno smuoversi impalpabile di qualcosa che, nella tensione, coesiste. Cosa dovrebbe dire ora? Sembra, nel suo idilliaco mantenersi dal cedere - che stia andando in pezzi senza accorgersene. Aveva dipinto un volto, molto tempo fa - e ora - sembra rigarsi. Infrangersi. Andare in brandelli. < Non è così... > Il primo è un sussurro, come se volesse negarlo. Come se provasse vergogna al solo pensiero di una sua reazione a riguardo. Le labbra si muovono appena e ora, più di prima, evita di lasciarlo entrare nel suo campo visivo. E' al sicuro, del resto. E rimarrà al sicuro fin quando non si sentirà meno in pericolo - ma poi, in pericolo da cosa? Scuote il capo, semplicemente, negando qualsiasi cosa. Lasciando che quelle immagini le scivolino addosso. Lui. I suoi capelli. Il suo respiro. Il respiro di /Lei/. Quel morso alla spalla che sembra volerla pungere, volerle torturare l'anima. O quella notte, dopo il matrimonio. Come se potesse ripercorrere il tracciato del suo respiro sulla pelle, o delle sue dita tra i capelli. Due tonfi secchi segnano dei pugni contro la corteccia. E non capisce. L'amore è questo? E' questo tormento? < Mi dispiace, io -- > Lascia decadere le frasi in una virgola di vuoto in cui le manca l'aria. In cui si spegne il tono alla base della gola. Si scosta appena dal ramo, tirando su la testa. Puntando quel bacino stagnante. < Non ho ereditato da Hanabutsuji-sama solo l'Okiya. > Ma anche i suoi ricordi eppure, lo lascia intendere. Le labbra si muovono pigramente, mentre scivola giù da quel ramo. La voce densa ed impiastricciata, rimane incastrata lì, tra quei petali. La mole s'abbassa, come un nastro di seta, mentre adagia le piante lignee a terra, attutendo appena il rinculo. E dalla quiete, sembra quasi nevrotica. Te lo saresti aspettato? Mentre cade davanti ad Itsuki, le ciocche in aria paiono fiamme con un cuore di ghiaccio. Una cresta di lunghe ciglia ramate che si sollevano lasciando l'immensità della pupilla dilagare, affogando quella corona di piombo. Proiettili dritti in testa. Li posa sul suo petto, mai sul suo viso. Eppure gli è tanto vicina da affogarlo, finalmente, nel tono all'odor di gelsomino e latte che si porta dietro. Lo scatto alla sua volta vorrebbe vederla stringer le attorno alla cravatta, cercando di abbassarlo quel tanto che basta a parlargli da vicino. Troppo vicino. E nonostante stia tremando, sembra la solita inflessibile. La bugia danzante di una verità instabile che si racconta ogni notte, prima di andare a letto. Ora che Pomyu è sparito, tiene una palpebra abbassata - quasi dolente - mostrando l'effige. Quei triangolo equilatero bianco all'interno. Trema, la palpebra - e lei riserva i suoi occhi ad un punto poco preciso al di là della spalla di Itsuki. < Non provare a dire niente. > Che la disprezza. Che non capisce. Che vuole spiegazioni. Non vuole sentire una sola parola a riguardo e non vuole che quell'ossessione vada oltre. E' come voler metter le dita in una ferita aperta - e spingere - perchè si possa arrivare oltre. E le dita che lo stringono, sempre che possano farlo, diventerebbero bianche. Esangui. E trema, dalle spalle alle mani che lo hanno voluto tirare verso il basso. Sembra che vibri il silenzio, come se cantasse di pericoli che noi non sappiamo vedere. Muove le ciglia e cosa essa stia osservando, ora, lo sanno solo i kami. Non lo sopporta. A dire il vero, Itsuki, le ha fatto saltar i nervi in così poco tempo da non volerlo sentir fiatare. Le labbra dal loro rigore si aprono, hanno ancora un tono che sa di miele - denso e arrochito dal silenzio che sovente, la rende un errante senza personalità. Eppure ora, sta dimostrando l'esatto contrario - o sbaglio? Ha coscienza. Prova vergogna. < Le sue memorie, è tutto quello che ho di lei. E non ti posso guardare, perchè non posso capirlo. Non riesco. > Ecco le vestige rimaste, le ultime parole a Nemurimasen. Rendimi immortale. Fammi vivere nella testa di qualcun'altro. E la mano, sempre che fosse riuscita a carpirlo, lo lascerebbe andare nello stesso identico modo. Si obbliga ad allontanarsi d'un passo, un altro. E per quanto lo odi, fondamentalmente, la figura di lui par chiamarla rendendola riluttante all'abbandono. Ma alla fine le gambe si muovono, spogliate per metà di quel lembo bianco che ora si muove, la sfiora. Ciocche che si scostano dal collo lasciandolo libero. < Non hai idea di quanto mi stia distruggendo viverla, passo dopo passo. Sentirla piangere, infuriata, o -- > Beh. Non è necessario specificare ma - le labbra rimangono schiuse, alzando lentamente il viso e lasciando che i capelli scivolino all'indietro. < Ma questo è il suo volere. Ed il suo testamento. Ed io rispondo ai comandi. Quindi, ti prego /smettila/. > Allora, ora, vorrai fare la guerra anche a Lei? [ck on] [Foresta] Una ninfa tra le fronde, si rifugia lì tra le scure degli alberi ammantati dalla nebbia, velata a sua volta da quel fenomeno atmosferico che la rende più pallida, mentre lui permane lì a terra, non la raggiunge, stringe i pugni e digrigna i denti un paio di volte, ribolle dentro di lui più lo sdegno che altro. Perdono colore le nocche sotto ai guanti, sbiancano ma son coperte dal nero, mentre al sentire di quella voce dell'orso, di nuovo, non sì volta, è solo un'impeto del suo Chakra a rispondere a quel percepire della voce rude di quello lì, danza violentemente la coda d'ebano andando, sobbalza e frusta l'aria dietro di lui in quell'innervosirsi sempre di più, il respiro è più rapido e sembra bruciare l'aria nei polmoni. Se lei espira all'infinito cercando aria, lui cerca di evitare di saltar addosso alla Rossa per ricever risposte in maniera più rapida e diretta, fisicamente, in preda all'ira che monta dentro di lui come se fosse una nera sostanza che nell'acqua profonda del suo animo prolifera, si spande andando ad infondere quel sentimento, quel sentirsi adirato al continuar a sentire quella voce fastidiosa di Pomyu, un qualcosa che vien definito solo dopo nella sua mente <{ Mi correggo, è un'essere ignobile. }> direbbe Eiji commentando dal canto suo, ricevendo un semplice precisa di Itsuki che non è il momento, sempre attraverso il loro privato conversare nella mente di lui, la quale si desta al notare della reazione della Seimei, quasi un trillo esasperato che lo riporta alla realtà. Quella maledette serpe, viene travolta dalla tecnica e vola giù per poi svanire, non è umano ma a ad Itsuki non frega nulla, non starebbe nemmeno più guardando il ramo dove lui stava sino a qualche istante fà, no, la sua attenzione viene rapita da quel dolore che lei ha espresso con quel timbro vocale più solido e sofferente del solito, sembra quasi l'accenno della melodia che il suo dolore potrebbe suonargli, ma non è il momento di distrarsi più di tanto in queste cose apparentemente effimere, non ha idea di quella diversità tra il bendato e la Special, non collega nulla di preciso e la confusione non fà altro che alimentarsi < ... > è un silenzio dove vi è solo il fruscio dei guanti a stringersi ancora di più, quasi iniziano a bruciare le dita in quel tenerle rigide e chiuse su se stesse, tremano i pugni in quell'avvicinarsi verso un punto di non ritorno < Non è così cosa. > non è una domanda nemmeno questa, è un dire che suona come imperativo ed egoisticamente altezzoso, ma è visibilmente indisposto e le tremule iridi rosse, scosse dall'astio, sono testimoni visibili. Gli dispiace, di nuovo, è un dire oramai solito quello della ragazza nei confronti di lui, di quel Moro che andrebbe quasi filtrando automaticamente quelle parole considerandole solo di circostanza in quel momento, volendo avvicinarsi rapidamente al nocciolo del discorso, al fulcro, a quella verità che altro non farà che incrinarlo ulteriormente, o forse risanare una parte già infranta, chissà, è ancora tutto così incerto anche tutt'ora, mentre questi stesso caratteri si susseguono e prendono vita, in questo interagire e raccontar di questi due esseri singolari e tormentati. Bastardi senza gloria, ombre di un mondo che a loro è relativo, potrebbero vivere lì come in qualsiasi altro posto, perseguirebbero solo quello che è giusto per se stessi, finendo probabilmente inevitabilmente per incontrarsi, attirati l'un l'altro come magneti, intrecciati dal fato che si diverte con le sue bizzarre e crudeli decisioni < Non mi importa cosa tu abbia eredi- !! > è il tono che come proiettili amari si scaglia verso di lei, o almeno ci proverebbe in quel venir di lì a poco raggiunto, nota lo scatto per metà, riesce a coglierlo vagamente alla sprovvista e gli afferra la cravatta, seppur lui quasi istintivamente, una volta avvenuto il contatto andrebbe con la dritta afferrandole il polso, la stretta non è di certo leggera, ma si sente la pressione ma allo stesso tempo non è nulla di insopportabile, tremula appena la mano, stanche le dita da quello stringere di rabbia che tutt'ora persiste. Lei prova a mutarlo, ma figuriamoci se uno come lui, ora, stia zitto. Un tempo lo avrebbe fatto, sì, giorni e giorni fà parlava molto meno, sarebbe stato più passivo, verbalmente parlando, ad un pò ogni cosa, sarebbe stato tutto molto diverso, mentre ora si ritrova lì, sostanzialmente armato di sentimenti e di un parlato capace di flettersi alle emozioni, un qualcosa del quale però si pente, vuole reprimere tutto ciò e quel suo divenir più stronzo - passiamoci il termine - è tutto un derivato degli eventi. Quindi, con orgoglio, sfacciataggine e tutti gli annessi, nonostante le parole di lei, lui andrebbe a completare quel dire interrotto dal rapido giunger di lei a quella breve distanza < Tu non sei altro che una sua ombra. > e la frase suona come se fosse un miasma velenoso, un qualcosa di irrespirabile e pesante, le parole come lame infuse del suddetto, lo sguardo si assottiglia e cerca il suo, che ovviamente volge oltre a lui. Codarda. Poi, ecco l'inizio della fine. Ascolta, non molla la presa, lascia che il di lei tono vada a scorrere come l'acqua di una flebile cascata, un proseguo di un ruscello calmo che non appartiene manco a quel luogo con mangrovie e pozzanghere paludose, cristallina ed allo stesso tempo atona, và rivelando la verità, probabilmente con un coraggio non da poco, a quella distanza, vergogna ed altre cose a parte. Il tempo si dilata e và percependo tutte quelle sue parole, le prime sulle memorie, plausibili e considerabili cartacee, le seconde che invece dicono di viverla effettivamente, lì quando il suo sguardo si perderebbe in un punto a caso del volto di lei, uno zigomo e qualche lentiggine, sfocata l'immagine, un sibilo acuto e prolisso nella testa, il suono fastidioso e continuo della verità che si insinua nella propria mente prendere il posto che gli spetta, brutale, reclama consapevolezza < S-Stai mentendo, lei non può.. > aver fatto una cosa simile? Vivere dentro di lei? O attraverso di lei, se volessimo essere precisi? Insomma, guarda la tua stessa condizione, Itsuki, tu ed Eiji <{ Lei ha quello di /Lei/, che manca a noi, di me. }> lui appunto si fà sentire in quel decretare quella amara verità, una constatazione ironica ed allo che come un sottofondo di crudeltà, come se ci fosse un motivo di fondo in quella coincidenza che sà di cattivo, pur non essendo chiaro, come se fosse un colore nuovo al quale non si sà che nome dare < ... > ed intanto la sua presa si è ammorbidita, lei sfugge ed indietreggia di poco, ma lui è distante proprio dal piano dimensionale in comune, lo sguardo è ancora perso laddove prima c'era il suo volto, la mano è sospesa e tremula, esausta, si rilassa ma non smette di scuotersi, andando verso la testa, una fitta pare insidiarsi nel cervello di lui, un realizzare contorto di essere nella di lei mente senza mai averci avuto a che fare direttamente, con ricordi che non gli appartengono < Allora tu.. Tu.. > sì, non hai il coraggio di dirlo ma lei è la cosa che più si avvicina a colei che hai perso, o meglio, una parte di lei, un'eredità irrefutabile, innegabile, qualcosa che la distrugge dentro e la fa soffrire, mentre lui non fà a altro che rigirar a sua volta il coltello nella piaga, con quel suo modo di fare. E per qualche istante la sua convinzione sembra crollare, ora comprende meglio quel morso, ora realizza le cose in maniera più nitida ed intorno a lui tutto vacilla < Non è giusto.. > ma era il suo volere, quindi a quanto pare lo è, non lo volevate ne tu ne Ren, probabilmente, ma così è stato e dovresti sopportarlo, accettarlo. Ma i sentimenti sono brutte bestie e lui, incapace di gestirli, si lascia cogliere senza riuscire ad opporre un minimo di resistenza e pure l'altra mano si porta alla testa, si china appena in avanti, non ce la fà più, crolla < AAAAZRGH! > ed è un cieco cerca di annegare l'amore nell'odio, un disperato tentativo di voler riassaporare qualcosa di inarrivabile, oramai sin troppo distante, un sentimento tutt'ora mosso da egoismo e superbia. Vuole gettarsi avanti, vuole azzerare quella distanza tra di loro e travolgerla, investirla e mettergli la dritta al collo, lo sguardo è perdo ed è tornato sia rotto che ridotto, vuole sospingerla verso terra e farla cadere, seppure insolitamente, in maniera del tutto involontaria e quasi automatica, un riflesso si muove dentro di lui con quella mancina libera, smuove il vento dentro di lui e vorrebbe andare a creare un cuscino momentaneo, qualche istante di protezione per la testolina della rossa che altrimenti sbatterebbe, un qualcosa che non si spiega e che soltanto noi sapremo si ricollegherà a quel realizzare, nonostante la rabbia e il saltargli addosso selvaggiamente, che dentro ha qualcosa di /Lei/, la sua LEi. Un desiderio contrapposto di protezione misto a rabbia, sempre avendo di fondo quella convinzione di aver il diritto di sfogarsi sulla rossa. E dovrebbe esser cavalcioni sul di lei bacino, chino in avanti, la coda di lato, la mancina a voler tenere il suo braccio destro in disparte, non vuole permettergli sigilli come l'altra volta, si riversa su di lei, non stringe esageratamente sul collo, ma lei potrebbe sentire quel lieve ruvido del tessuto < Perchè te..? Perchè hai accettato..? Perchè... Ha voluto farmi questo? > ed è di nuovo un guardare a sè stesso, breve pausa mentre gli occhi si fanno tremuli < Io cosa dovrei fare ora con te?! COSA?! > il tono si alza e rauco la investe, lei che sicuramente non lo starà guardando, geloso di quei suoi ricordi, è combattuto ed allo stesso tempo cerca di sottostare alle volontà della Kokketsu mentre però l'odio si riversa incessante, come una fontana oscura che straripa < Se prima prima mi dovevi quello sguardo, ora lo esigo. Guardami. Dimostrami che hai ragione. Fammi vedere che non è tutta una cazzata! GUARDAMI COME SOLO LEI MI GUARDAVA!! > ed è un'esclamare furente, qualche uccello prende il volo, gracchiare e civettare che si perdono mentre quelli si allontanano dal luogo, le rosse sembrano bruciare di rabbia in grado di consumare qualsiasi cosa, ma allo stesso tempo si rompono e lascia che delle lacrime sgorghino, un brevissimo singhiozzo, rimane riversato su di lei e le sue morse son quel che sono, poca roba < IO TI ODIO!! > è un'esclamare lì a capo chino, un riecheggiare che andrebbe a far desistere anche gli ultimi ta i volatili più coraggiosi, ma a chi lo dice? Alla rossa, o quella di cui porta le memorie? Non si sà, permane con quelle lacrime ed i singhiozzi vengono volutamente mitigati, smorzati, ma le corde vocali bruciano, qualche lacrima cadrebbe sul petto asciutto di lei. È solo un'ombra, Itsuki, ma è la più fedele di tutte. { Manipolazione Fuuton = ck 34 } Puo ancora sentire la cravatta sfilarle via dalle dita, dai polpastelli che l'avevano stretta dimostrando un impeto di fermezza - o dell'opposto inevitabile - fino a poterla soffocare tra le dita. Il palmo rivolto verso il viso vien carpito dallo sguardo, come se potesse trapassarsi la carne per il baluginare di qualcosa che stranamente capta come... Piacevole? Le ciglia mansuete, lo sguardo perennemente assonnato che s'è distorto in qualcosa di simile ad una reazione. Come mostrare la carne viva davanti ai rapaci, ha l'istinto di conservarsi e chiudersi a riccio. Un adorabile porcospino. Le falangi che si richiudono mansuete sul palmo nascondono segreti e sensazioni che preferisce tenere per se'. Ma se fosse tutto sbagliato? Se stesse sbagliando a mietere ogni istinto a cui invece dovrebbe cedere? Se Pomyu avesse ragione, quante cose avrebbe perso, a questo punto. Le labbra serrate hanno un fremito, si riversano piano rivolgendo gli angoli verso il basso. Un broncio. Il solito broncio malinconico che indossa come il più vizioso dei completi, un intimo che di sicuro - non è conscia di mostrare. Fronde che tramano mentre la luce cala - e lascia che sia un misero quarto a gettar luce su una scena tragica. Ed ora? Supponiamo che Pomyu, ilarmente, abbia voluto distruggere un ecosistema già precario - e lei riesce solo a muovere le leve con una delicatezza persa nel tempo. E' come fluttuare. Realizzare di non avere più niente di proprio ma di vivere per qualcun'altro che ambisce. E se fosse falso? E se il respiro che Itsuki le toglie fosse semplicemente il riflesso dei ricordi di Kurona? E' così, lo è senza dubbio. E mentre le labbra si chiudono, quelle guance fiorite di un docile imbarazzo rossastro finiscono per ristabilire l'incarnato. E' l'esser posata, sempre, che la rende una maiko. O meglio la rendeva quando la Signora era ancora in vita. Forse tra i desideri di Kurona, c'era proprio donarle quella cosa che nessuno, nessuno, avrebbe potuto dare a Ren. Un cuore. Ed ora che è impazzito non sa nemmeno fermarlo - e dio, come vorrebbe che si fermasse. Ha saputo tacere al di lui impuntarsi sul suo essere niente; girando il viso a porger l'altra guancia è tanto brava da disarmare, tant'è che il collo s'è flesso e la bocca è rimasta chiusa. Serrata. E' umana e ne è certa. Tanto umana da sentir lo smacco scheggiarle l'orgoglio. No. Non è il suo lascito per lui. No, è una persona totalmente differente. E' che la sente ogni notte, appena chiude gli occhi - ancora lì sotto. A piangere. A urlare il nome di qualcuno che mai, mai è andato a prenderla. Le unghie sfilano nel palmo e lo tagliano, lasciano solchetti rossi da cui esce una pigra quantità di sangue. <...> Le cosce si sfiorano appena mentre incalza quel ricercar d'ossigeno - e tutto avviene con una lentezza disarmante. Non riesce ad agire - ed è paralizzata tra le sue mani. Il vuoto nello stomaco. Il vuoto nella testa. Il vuoto nello sguardo. Perchè non reagisco? Paralizzata dal suo esser fuoco e panacea. Lo osserva tra le ciglia, nascosta - lasciando che le sue dita le lambiscano la gola. Dove i guanti toccano la pelle s'arrossa in fretta - s'inclina appena obbligandola ad alzar il mento mentre vien buttata a terra. La pelle dei guanti sfrigola. Pizzica. E lei -- lei schiude le labbra denotando la difficoltà a respirare. Eterea e inamovibile. Potesse esser peggio di così, lo sarebbe. E' come se, da dentro, si fosse mangiata tanto a fondo da lasciar alla furia di Itsuki niente più da divorare di un corpo esanime. La criniera corallo che s'apre, sfiora le guance pallide - per poi adagiarsi tra gli steli d'erba ai piedi della mangrovia. Ciocche che s'arrampicano sulla fronte, sulle dita di lui, sulle radici. Come l'inizio d'un incendio che porta il tetro silenzio. L'avanzare delle fiamme non fa' rumore e Ren, mentre Itsuki imperia, rimane spenta. Consunta. Respira piano, razionalmente -- e la mano che prima saggiava la sensazione della seta è ancora chiusa a pugno - sì - ma contro il terreno. <...> Perchè? Ha voluto farti questo? L'iride si muove, sembra vacillare finalmente - ricercar un appiglio al quale rimanere salda per non scivolare nel vuoto di nuovo. La verità è che Ren, inconsapevolmente, l'ha cercato. Forse s'è scoperta invidiosa di quei ricordi, fino ad anelar averne di propri. Forse fino ad aver desiderato possederli. Le ciglia basse tremano, assieme alla palpebre - vorrebbe issarsi su di lui, vorrebbe dirgli che è tutto okay. Andrà tutto bene. Ed invece sta zitta. Si lascia abbattere come un semplice tocco di carne senza valore, avvertendo l'inesistente pressione sul busto. 'Mi ha-- protetta?' La realizzazione arriva zoppicante e in ritardo, quasi costruita da quello che non comprende nemmeno esser un ricordo - o la realtà. Ora è lei? O è ancora Kurona? Qualcosa di tiepido le sfiora il petto, solca la dolce curvatura dei seni pallidi per poi morir lì, nella conchetta che disegna la base della gola. Ed il petto s'alza improvvisamente, neanche avesse appena ripreso a respirare. E' di nuovo lì, nel suo corpo, è di nuovo nell'illusione. Nella manipolazione della memoria. E' di nuovo nelle sue vesti, nella sua carne - e la sente dilaniarsi sul costato. < GHH--GG-- > E' stata zitta così a lungo, che ora vorrebbe strapparsi la carne di dosso al solo ricordar di scene meno dolci, di far l'amore con Itsuki. Il corpo freme, febbricitante, ma la presa sulla gola l'arresta -- ed il vento che le fischia tra i capelli la riporta a terra. "Guardami." Come può non rispondere a quel richiamo? Scossa dal sonno finirebbe per alzar appena la nuca da terra, lasciando che le spalle esili si raccolgano piano nel tentativo di ribaltarlo. Il busto si smuove verso sinistra cercando di portarlo ad adagiare la schiena contro l'enorme radice che si issa dall'erba creando una nicchia. Si muovono i capelli disordinati - dove qualche filetto d'erba è rimasto incastrato come orpelli di giada. Non può guardarlo come lo guardava lei, ed Itsuki lo sa - ma, l'opposto. Può giurare di esser un altra persona. Distante anni luce da Kurona, ma innamorata di lei - allo stesso suo modo. La destra s'alzerebbe in aria, il palmo aperto a riflettere un pallore tanto bello, tanto romantico, da ammaliare ogni poeta. Eppure quel che ne verrebbe, sarebbe tutto fuorchè romantico. Uno schiaffo al viso - mentre la gemella cercherebbe di prendergli il colletto tra le nocche. Uno schiaffo che non sa di niente, se non di una frustrazione scaricata su di lui. Una frustrazione nuova. Ma che lascia uscire come un fiume in piena. uno schiaffo. E un altro. < Ti piacerebbe -- T-Ti piacerebbe se ti chiedessi di essere lui? > Perchè lei non lo è. Perchè non può esserlo. Non ha il suo controllo, la sua saggezza, non ha la sua sicurezza, la sua ambizione. E schiaffo dopo schiaffo, sarebbe come il solletico - sempre che non si scansi. < COME POSSO? COME ?! > Ed il petto impazzisce, frenetico, si solleva e s'abbassa - adagiata sulla parte alta delle sue cosce - coprendolo in buona parte con la sua gonna. Come una coperta pallida. Ed il buio l'ingolla - le bacia i tratti come un seduttore malevolo. Mostra lembi - la fronte. I capelli. Le spalle adornate di lentiggini. E le labbra, dentro cui muore una sola lacrima. Un pittore astratto e stralunato ha disegnato un opera che solo un folle, potrebbe capire. E più lo schiaffeggia, più il palmo le brucia da morire. < Tu -- > La odi? La odieresti davvero? E la mano si ferma in aria all'ennesimo schiaffo, alzando appena il mento rigato da un fiume che ha osato corromper la sua inflessibile fermezza. Sembra voler raccogliersi, cocci e schegge, cercando una via di fuga da questo. Ma non ci riesce. Non riesce a scappare. E le labbra schiuse rimangono tali - l'alone del suo palmo rosso sulla gola che riflette il respiro scendere e risalire. S'è immobilizzata - improvvisamente. < Guardami come guardavi lei. Fammi sentire così -- > S'interrompe, brancolando in uno scomodo stanzino buio d'emozioni. E le labbra arrancano, cercano le parole giuste da metter in fila per sugellare un momento. Un desiderio. Gli occhi si abbassano, umidi, cercano quel viso. Oh l'ha già visto. Molte volte e in situazioni molto differenti. I capelli corvini che scivolano sopra la spalla sono li stessi, in molte visioni differenti. E mentre lo osserva, mentre dipinge i suoi tratti nella mente come se sapesse di averlo perso senza averlo mai ottenuto - si sente tanto patetica. Così tanto da tremare. Il palmo che pizzica ancora, appena arrossato, rimane inerme. Sollevato. Fammi sentire così, come si sentiva lei - puoi? Dammi qualcosa che sia mio, e non suo. Sfumature del grigio che danzano in una cerchia ora ridotta - colando con lo sguardo nel suo. Forgia. Annega stille di vita per reclamarne alcune, da lui. Il suo sguardo, non è il dono a cui ambivi? E ora lo osserva - ma avrebbe preferito non farlo. E' come perdersi dentro qualcun'altro. Offrirgli il collo e decretar di poter morire, poter ricevere la scure e recidere la propria vita. Vorrebbe toccarlo e nonostante tutto, le sembra di non averlo mai fatto davvero. Vorrebbe sapergli sanare le ferite. Essere meno egoista. Cos'è, Ren, se non il martire di questa storia? Però, per un attimo, si lascia così. Ad affogar nel sangue. Non batte le ciglia, come se potesse perderlo di vista. Come se potesse perdere il controllo di una situazione già altamente precaria. < ... > E' ancora lì, intenta a dire. Eppure - no. Tutto quello che ha da dire, lo riflettono gli occhi: Scusami. Se desiderare è peccato, allora ho peccato. Perchè il palliativo alla mancanza è il suo opporto, qualsiasi cosa esso sia. E lei lo vuole, vuole quell'opposto, sempre di più ad ogni maledetto respiro. E' come se esistesse solo lui. Questo sconosciuto che le sembra di conoscere troppo bene. E nella sua mente, c'è solo un disegno confuso e contorto - che le dice di reclamarlo. Di impedire che sia diversamente. E c'è anche l'antagonista che le urla di scappare, di proteggersi. La mano s'abbassa impattando contro il fianco morbido, muovendo l'altra - come un drappo di velluto pronto a soffocarlo. Ed invece, invece scivolerebbe il dorso del pollice ad inseguire quei tratti umidi, raccoglierli e farli sparire dalla sua vista già troppo sofferente. Il desiderio capriccioso d'averlo dovrebbe soffocare nell'indole mansueta e caritatevole, eppure - eppure permane. E la soffoca. Sbecca un lato che non ha mai conosciuto e che solo davanti a questo corvetto - vuole conoscere. < Non sarò mai, Lei. > E tu, Itsuki, non sarai mai il mio corvetto. Però, le dita morbide, finirebbero per scivolar lungo le gote, ricalcar la linea laterale del naso, nel tentativo di sfiorargli l'angolo della bocca. Toccarlo dovrebbe bastare. Dovrebbe saziarla. Ma -- non è così. Il riflesso della propria anima si spegne, abbassando lo sguardo verso la bocca, distruggendo quel dono. Quello sguardo. Dal buio sorge una linea di denti pallidi - incisivi, canini, finiscono per disturbare il labbro inferiore nell'istante preciso in cui la mano -- tremante - scivola verso il mento. < Sarò meglio. > Dove lei ha sbagliato. Dove lei è stata debole. Dove lei non ha saputo andare oltre. Fino in fondo. Dove lei non ha saputo aver l'ultima decisione. Lei sarà più forte. Più grande. Scivola come miele, ed il respiro cerca quella fermezza di sempre. E se il fuoco avanza silente, quella bocca torna chiusa. Il sorriso distorto che gli ha regalato lo ingolla, lasciando che entrambe le mani si poggino sulle cosce separate, poggiate sui suoi fianchi. [ckon] [Foresta] Potrebbe essere tutto un poetico incubo,o invece è pura realtà. Sembra che il tempo intorno a loro si sia fermato ed in fretta le vie di mezzo andrebbero scemando, lasciando spazio solo al bianco o al nero, bene o male, amore ed odio. Se fosse tutto sbagliato? Lo è. Così come sbagliato era il /loro/ rapporto, in errore sarebbe anche quel legame che si è instaurato tra di loro, volenti o nolenti. Probabilmente quel maledetto spirito, ha voluto solo forzare la verità, ha voluto accorciare i tempi e scoprire le cose al posto loro, evitando bugie ed ulteriori incomprensioni, evitando che poi si sarebbe rivelato tutto più problematico, è meglio adesso che le ferite sono ancora aperte e sembrano infastidite e poco propense a rimarginarsi. E se lei si chiude come a riccio per sfuggire, lui è come un corvo nero che cala affondando gli artigli sil di lei esile corpo, travolgendola per poi ritrovarsi di lì a poco verso terra, il terreno di sfondo, la pozzanghera nella quale stavano specchiandosi ora più distante, in disparte dal loro ritrovarsi lì a terra, un cuore che ansima di timore ed un sentimento che non vuole condividere, l'altro che palpita e scandisce un ritmo di un odio velato d'affetto, uno strano connubio, come quello riversatosi nel gesto di quel cuscino atto a proteggerla. Eppure, è solo il suono silente delle sue mute lacrime, i suoi brevi scossoni nel non dar sfogo a quei singhiozzi, quel volersi contenere al quale si appella con tutto se stesso facendosi forza, cercando di convincersi che non è in torto, che è giusto così, che ha il diritto di sfogarsi seppur non avrebbe potuto evitare di traviarla, di coinvolgerla nel suo dolore, di portarla a fondo con se nella sua disperazione, incrinandola poco a poco, l'altro giorno come oggi, facendola avvicinare sempre di più a quell'accenno di rottura, la presa della di lui mano non è forte ma lei prova fatica, si ripudia forse ed è più uno strozzarsi da sola, un non voler ascoltare a quei sentimenti come Itsuki non vorrebbe più fare, quel ritrovarsi entrambi suscettibili, tanto desiderosi di cancellare ed annullare quelle emozioni insulse ed inutili da risultare invece più fragili di chiunque altro, quando quelli si presentano cos', senza bussare, senza il minimo preavviso < TI ho detto di guardarmi.. > ma oramai è stanco, anche se è lui a rompere il silenzio, quei pochi giorni trascorsi a cercare di riprendersi, quelle due settimane scarse, sembrano cedere, progressi nulli che ora vengono gettati al vento, mentre la tristezza si fà a vanti e le forze si placano, non vengono meno, ma si ammorbidiscono, sopratutto al di lei immaginarla con un candidi capelli, stesso taglio ,ma del solore dei suoi, invece che rossi solito. Un piccolo bagliore, uno scherzo della mente che si diverte a giocare con lui facendolo digrignare ancora più i denti in quel farsi cogliere alla sprovvista e ritrovarsi poi dunque a finir ribaltato, sottosopra ora lui e lei, appoggiato appena in quella nicchia naturale per andar poi a ritrovarsi lì con l'espressione piatta e nemmeno triste, di nuovo affranta e distrutta, spenta, le salate righe sono lì a rigargli il viso ma non se ne cura ulteriormente, forse non ce ne sono pià o forse non accennano a fermarsi, non ne ha idea manco lui e sinceramente a quel punto non saprebbe nemmeno più bene a cosa credere e a cosa no, come comportarsi, cosa fare e cosa non fare, cosa è giusto e cosa è sbagliato. Eiji in tutto ciò tace, permane da dentro a vedere la scena per quanto dentro di lui pare esserci un che di rincuorante in quel non vedere sigilli o scambi di jutsu potenzialmente scomodi, in un misto tra rispetto e truce divertimento in quel vederli bisticciare, dall'alto di quella manciata di anni in più, più saggio quanto basta per dedurre che quello è non è poco più che un litigio concitato, sembra non avere bisogno di allarmarsi, per ora, mentre giunge il primo schiaffo e quell'idiota da dentro <{ Uh, coraggiosa. }> ma il Goro percepisce quel poco e niente dal di lei gesto è più simbolico che concreto, volge appena il viso di lato di un paio di gradi < Lui chi- > avrebbe provato a domandare con un tono distante, non capendo lì per lì, ricevendo in tutta risposta un'ulteriore schiaffo, ed il viso si volge dall'altro lato, quasi accompagnato da se stesso più che dalla di lei forza, poi un'altro ed un'altro, ed un'altro ancora <{ Mi chiedo a che punto potrebbe definirsi soddisfatta. }> dice quello da dentro in quel vedere la scena che si para davanti ad i suoi occhi mentre il corvino non fa altro che rimaner in balia di lei <{ Forse me lo merito. }> direbbe lui in direzione del Principe, lasciando che poi lei finisca, lui ha giusto la pelle vagamente arrossata ma nulla di che < Ed a te piacerebbe che ti prendessi a schiaffi mentre piangi? > ed il suo è un dire retorico un qualcosa che non brama neanche risposta, è vero che lo sconforto e l'amarezza sono tornati a galla ritirandolo verso il basso, ma quel di lei gesto, quella continuazione di flebili ripetizioni, in un qualche modo hanno come lavato via tutto, è piatto nel tono e nell'espressione, le taciturne lacrime sono svanite e lui lo domanda consapevole che sì, come lei stessa aveva detto di prenderla a pungi, piuttosto, avrebbe allora preferita farsi prendere a schiaffi nonostante eventuali lacrime, piuttosto che quel contatto, piuttosto che quel voler il suo sguardo, non un che di masochista, quanto più un di lei scegliere il minore dei mali, dal suo punto di vista. Cerca di contenersi, di non abbandonarsi del tutto all'odio e a quel sentimento di sfogo nei di lei confronti e sembra quasi riuscirci, in quel rispondergli pacato, con le braccia appena distese a mo di angelo caduto, ai lati, privo di forze, stanco di combattere ma tutt'ora in grado di rivolgere quel velo si sfida, astio malizioso, chiamatelo come volete, lui vorrebbe dirgli che non lo sà come deve fare, che deve fare e basta, deve permettergli di essere a quella giovane diciottenne < ... > tace, non può permettersi di stringerla in quella morsa di dolore a forza, eppure, in un certo senso a lui tutto ciò piace. E un sentimento positivo insito e situato in fondo ad un baratro d'odio e di cattiveria, un qualcosa che non comprende e non definisce, ma lo ritiene semplicemente giusto, non è un qualcosa che finirà necessariamente a legarli ma comporterà indubbiamente delle problematiche e delle casualità potenzialmente scomode, se così vogliamo definirle, qualora determinate coincidenze accadano ed il fato abbia intenzione di divertirsi più del solito, crudele e bastardo come sempre < -Ed io, siamo un cazzo di casino. > direbbe lui riprendendo il dire di lei, due colpi di una risata triste che nascono e muoiono lì in gola, perdendosi, riallacciandosi proprio da quel suo pronome che avrebbe lasciato spazio solo al silenzio, da lui ripescato in fretta per inanellarlo al proprio dire, anche qui non riferendosi a loro come un'effettiva coppia, come se fosse una relazione, piuttosto come se fosse il precisare di un rapporto impreciso, qualcosa di acerbo ed incerto, che potrebbe essere nero o potrebbe essere bianco, per quanto per ora lui stesso sembra riuscire a tenere a bada quella sua rabbia, si forza di vederla sotto un'altra luce, ma quel lato di lui negativo permane, indomabile. Quelle stesse iridi che si incollano nel viso di lei, roso scarlatto che va intingendosi in quel grigio plumbeo, un voler provare a posare su di lei lo stesso sguardo che concedeva soltanto alla sua Dea, quasi un rivedere una trasparente figura della Kokketsu in quello sforzarsi a posarle lo sguardo addosso, infame ed allo stesso tempo debole cede a quel suo stesso inganno, quel voler forzare il pedale, mentre, il labbro inferiore di lui viene appena preso in ostaggio dai canini a sinistra, come a volergli fare intendere che l'ha voluto lei, quello sguardo languido e caldo, dolce e morboso quasi, possessivo ed avido, mai stanco di percorre quel pallido viso, che svanisce al di lui toccarle il viso in una flebile carezza, con la sinistra, prima la mano e poi solo il pollice sullo zigomo, sotto l'occhio a sfiorare la montatura, l'espressione non è di gioia ma si illumina di nuovo, appare maledettamente rilassata come in quei quadri angelici, si perde con sin troppa facilità nei ricordi lui, e dopo un breve singhiozzo in quel vederla con le lentiggini e capelli rossi, gli occhiali, il tono esce morbido ma allo stesso tempo quasi infame < E poi le dicevo: sei bellissima, tesoro. > finalmente ha avuto quello sguardo, e lei un'accenno di quel che sarebbe l'amore, uno sprazzo minimo e quasi eufemistico, mentre a lui un sorriso amaro gli si dipinge sul volto, di quelli quando si guarda una vecchia foto e si ha nostalgia, la bocca che và di lato e si alza appena, gli occhi che si fanno lucidi ed ora sono gli zigomi a striarsi lateralmente, scendendo sino al collo, sempre tacite. Lei lo percorre e ne ridisegna i lineamenti seguendo quel tracciato già esistente, sottolinea quelli androgini dipingendoli con il dito dopo aver precisato che no, non sarà mai Lei, lo sottolinea e lo fà ben chiaro, mentre lui permane lì, in quell'aver lo sguardo grigiastro nel quale perdersi, nel quale cercare un baglio di quella donna che ha amato, quasi ritrovandolo in quella superbia, in quella sua allieva che vuole elevarsi addirittura oltre la propria maestra < Ed io non sarò mai tuo. > e farebbe una breve pausa, non può chiaramente immaginarsi di un'altra e non è nemmeno convinto del dire di lei, sembra essersi abbandonata ad un lato di se stessa represso e quasi se la immagina in grado di negare prontamente tutto, ma lui intanto, ci prova < E d'ora in poi, sarò forse meno peggio. > insomma, ci proverebbe, deve rivalutare almeno il porgersi nei suoi confronti , questo significa mettere da parte l'odio e ponderarlo, misurarlo e valutarlo, a questo gli sono serviti gli insegnamenti di Eiji, permane in quell'essere confuso, non sà bene come comportarsi tutt'ora, deve pensarci, ma quel'odio urlato prima, è forse un pò meno forte dell'esclamare che ha spaventato la fauna. Sembra uno sdrammatizzare, sembra un volersi abbandonare ad un tentare di conoscersi loro due mettendo da parte Kurona a legarli, ma tutto risulta così tedioso e pericolante da risultar come un campo minato, lui vorrebbe fare per rialzarsi e rimettersi in piedi, scrollandosi il terriccio da dosso, preparandosi comunque ad una dovuta doccia ed un cambio d'abito, poco ma sicuro, riassestandosi la cravatta, aggiungendo però in quel suo voler precisare e divertirsi in maniera crudele allo stesso tempo, infido nei modi, diverso, per quanto oramai il loro rapporto sembra basarsi su tutto ciò < Ah, e - se - mai dovesse succedere. > sì, sapete cosa, perchè è tutto un correlato, seppur è un qualcosa di infinitamente remoto nella sua mente, tutt'ora ai suoi occhi un disonore nei confronti della stessa amata defunta, ma se mai accadrà, se tutto si allineerà perchè i danni saranno più che il resto allora < Sappi che starò soltanto io sopra. > sì, sa bene a cosa si riferisce e dovrebbe saperlo anche lei, date le memorie, solleva la mancina con l'indice a puntare verso l'alto, in direzione di lei, mentre la destra tira il lembo lungo della cravatta, Eiji scuote il capo sospirando ricordando cose spiacevoli, mentre anche una scena così importante, per lui, ora in quello schernirla e divertirsi di - e con - lei, sembra quasi l'inizio di un metodo valido per portarl oa quella che in un futuro remoto sarà un'accettazione, per ora però, pausa, deve accendersi una sigaretta, deve metabolizzare e lasciare che questa bizzarra aria passiva aggressiva rimanga così nell'aria, creando un clima insolito ma tutto sommato sopportabile, tra di loro. Sono... Quasi carini, se non fossero più contorti dell'associazione di prima, troppo strani per un'effettiva relazione, eppure, allo stesso tempo plausibili per eventuali misfatti che probabilmente non verranno cercati, ma vi è il rischio capitino. sempre con una serie di fortunati e sfortunati eventi che saranno, se saranno, quando saranno. Già, un cazzo di casino, non potrebbero essere definiti meglio. {ck on}
Giocata del 24/05/2020 dalle 15:29 alle 21:28 nella chat "Foresta di Mangrovie"
[Est | Ieri notte] Non è nemmeno il pallido plenilunio che accompagna le lacrime silenti di questa notte, allora - come potrebbe qualcuno danzare senza alcuna musica a cui accompagnarsi? Eppure mentre il silenzio intavola un discorso che nessuno vorrebbe veramente sentire. Si accompagna alla sua figura, con il collo appena teso in avanti ed il capo che si riversa in basso. Un ondeggiar di corallo, di lingue di fuoco che le carezzano mansuete le gote pilotandola verso di lui - e pilotandone i pensieri in modo del tutto inevitabile. Perchè trema, se sta tirando fuori qualcosa che non ha mai indossato? La forza. Il carattere. E' come un elegante abito da sera addosso ad una bella signorina, le scivola sulle spalle, dai fianchi, attorno alle gambe che appoggiano sugli steli d'erba - mostrando solamente polpacci e caviglie bianche resi illesi da ogni passaggio umano da quel bagliore lunare. Un gioco d'ombre amabile addosso, come se volesse in qualche modo inglobarla e proteggerla da un occhio indiscreto. Rimane lì - con proiettili dalla punta affilata che dopo aver sfiorato le rubine, si gettano nell'ombra di lui allungata e distorta alle sue spalle. Cosa sto facendo? La mano al bavaro trema mentre parla; La verità è che Itsuki l'ha fatto. Oh, se lo ha fatto. Quel giorno, nella tenda. E poi distruggendola. E poi ora - mentre l'accarezza. Non sempre il male vien nella forma nociva che noi siam capaci d'immaginare. A volte sono parole. A volte sono carezze. A volte sono pugni. Le ciglia trovano ristoro nella via di mezzo, addolcendo lo sguardo che prima rasentava le sfumature d'annacquata furia che ha preferito vomitargli addosso. < E i j i > Lo sguardo gettato in un angolo poco definito - mentre le labbra esangui esalano quel nome, come potesse cucirglielo nell'anima. Lo scandisce, lo chiama in causa, lascia che lui riesca a capire a chi fa' riferimento. Non è la stessa cosa eppure, dentro di lui, c'è l'essenza annebbiata ma senziente d'un altra persona. Quel /Lui/ che aveva chiamato in causa, giusto l'attimo prima. E quelle righe silenti muoiono, si suicidano nella fessura delle labbra abbandonando il superiore e colando in bocca. Sale. Il sapore la lascia con quella fessura dolce aperta mentre tutto si distende in poche, piccole, pugnalate. 'Sei bellissima'. Nonostante tutto le ricorda qualcosa, qualcosa che deve aver dimenticato. Le sopracciglia ritrovano l'arricciarsi, il confondersi. Cosa ho dimenticato, di così importante? Come un lampo richiama la tempesta nel bel mezzo del blu notturno, la sensazione di terrore le attravera il cranio da parte a parte. /Mio signore./ Una voce lo ripete, lo bisbiglia a singhiozzi, ma poi sparisce lasciando uno scheletro blindato nell'armadio dei ricordi sepolti. Inerme in quel fendente che le lascia, disegnando l'ossimoro che è Itsuki per lei. Suo. Piacere. Tormento. Come trovar della cioccolata sul coltello, ma dalla parte del taglio. Il sorriso si spegne quasi automaticamente sul viso - quelle labbra tese in un sorriso finiscono per rivoltarsi contro di lei. Il broncio di una malinconia devastante. Di chi ha realizzato da tempo di non aver niente e, probabilmente, ha saputo convincersi che è meglio così. Per tutti. La schiena che si abbassa lentamente - fino a posare la fronte su quella radice che prima, stava dietro il capo d'Itsuki. Lo lascia andar via e si piega, come un corpo martoriato. Il bianco, il rosso, il grigio. La retina bianca del corsetto che le stringe il costato, la schiena. La vita che rientra piano - per poi esplodere in un telo velato bianco che la cerchia. Copre l'erba, le radici che come dita sul terreno, sembrano volerla strangolar lì dentro; perchè si sente così male, ora che cercano una linea parallela in cui camminare? Perchè forse, quelle parallele, devono viaggiar in continui sbalzi. E collidere rovinosamente ogni qual volta che s'incontrano. Lo ha ascoltato nonostante il silenzio alle sue parole - assorbe l'ustione causato dal passaggio delle sue dita sulla pelle. Senza fiato. < Itsuki. > Il silenzio finisce per franar dietro al tono alessemico che la investe, il rauco della voce sembra scemar più parla, lasciando qualcosa che si delinea come femminile. Giovane più di quanto non voglia dar a vedere. Le spalle si levano appena alzando la fronte dal tronco, posando le mani sul pavimento per aiutarsi a sollevarsi. E lui, alle sue spalle, può veder il profilo delle stesse cicatrici di Kurona condensate dal legamento del ginocchio, fino al legamento della caviglia - per tutti i polpacci. E' stato un abile amico il buio, eppure - la perfezione di Ren ha delle rotture colate d'oro, come vuole l'arte nipponica. I geta che ritrovano stabilità, il cordino che non sembra muoversi dal piede - mentre s'assesta. Eretta sembra non essersi mai spezzata a lui, davanti ai suoi occhi. La resilienza è un opera tragica con il lieto fine e lei, ritrova sempre il suo. E sporca il suo nome in un tono d'attesa, tra le labbra la lingua sfila mansueta - cerca di dar luminescenza alle labbra color dei sakura, voltandosi poco - alla - volta. < Credi in me. > Una richiesta che vibra in aria. Una richiesta atona che appare come un ordine tirannico ma che è in realtà una supplica; credi in me, Itsuki, se ci crederai tu -- ci crederò anche io. L'epicità della realizzazione è talmente impattante da lasciarla così, indenne al suo pungerla su un lato che attualmente, potrebbe esser troppo delicato per il mal destreggiarsi del corvo. La destra si solleva piano, capendo finalmente il volere della bianca che solo ora, forse, potrebbe riposare in pace. Il polso fragile si volge allo straccetto filtrato da lentiggini caramellate che vogliono immergersi in quel bagno di latte. Lascia che la luce le cada addosso abbassando le palpebre. Baciando il pallore lunare e lasciando che questo, l'ami altrettanto. < Io e te. > Un sussurro, distante tanto da lui - da lasciargli il modo di muoversi. Spostarsi. < Arriveremo dove loro non sono arrivati. > ... < Dimmi che è così. > E nonostante Eiji sia lì, ad ascoltare - sembra fregarsene. Ed ora, dopo settimane impiegate a camminare dal lato opposto del Goryo - si volge a camminare proprio verso di lui. Come una bambola in ceramica priva d'un cuore da donargli. Priva di passioni in cui corroderlo. Forse Kurona, la Dea bianca a cui lui è sempre stato fedele - era fuoco. Ma anche il ghiaccio scotta. Ed è infame morir tra le braccia del gelo, infame come morir nel sonno. I passi che non fanno rumore e la disegnano con una mole fallace alle sue spalle, enorme, rivelando la minuta figura di Ren. Un azalea. Un dolce papavero. Ed ogni passo alla volta di Itsuki si porta il ciondolare della gonna lungo i passi. Costringe ed occulta, volubile, cosce e ginocchia. Dimmi che è così. Dimmi che arriverai dove Eiji non è mai arrivato. Sanerai lì dove ha errato. Manterrai il controllo dove lui non l'ha avuto. E' la seconda possibilità - e la seconda possibilità non sbaglia mai. E sottolinea di non esserlo, di non poterlo esser neanche ricalcandola. Non è lei e non è una sua maledetta ombra, ma è di più. E il frutto di un sussurro mai uscito dalle sue labbra: "Vai, e vendicami." Il viso si sposta piano di lato, verso di lui - puntando il petto con l'iride. Ciocche che crollano come sabbia sulle spalle, sul collo affusolato - labbra che si schiudono piano, allungando la mano ad infilar l'indice sotto il nodo della cravatta e tirandolo. Cerca di spostarlo verso di se, fino ad allargar il cappio al collo e vederlo scivolar la dissolutezza dell'acqua. Lascia che il drappo nero si liberi della sua morsa, ottenendolo come un trofeo. < Non dirmi che siamo un casino. > La mimica tradisce la teatralità lasciandola priva d'amore. Priva di lui che si vede dal rimproverare; eppure ogni volta che si muove, detta il fiato sospeso. La tensione che muta, inevitabile, da un polo -- a quello diametricalmente opposto. Dalla rabbia, all'attrazione. < Sei la sua vittoria. > Di Eiji, di Kurona - lascia che sia lui ad intendere cosa lei abbia da dirgli. Fosse riuscita a sfilargli la cravatta, a meno che lui non abbia voluto inseguira quel dito - sfilerebbe la stoffa tra i polpastrelli tingendola del proprio profumo. Socchiude le palpebre rubando il suo, invece - nascondendo nelle labbra una soddisfazione impalpabile. La soddisfazione di un traguardo che le appartiene privatamente. Solo a lei. Ha voluto smantellar il suo dolore e le sue credenze - il riallinearsi dei pianeti e delle parallele che prima, nella metafora, li aveva visti combattersi. < Se mai dovesse succedere -- > Lo ricalca, carpendo visioni che la affliggono, come la peggiore delle maledizioni. Chiudrebbe il drappo nel pugno, puntendo la punta del piede verso il basso per tendersi in sua direzione. Se solo non si spostasse da davanti a lei. Il capo scivolerebbe con una delicatezza disarmante a posar quei petali al centro del suo petto. Lì dove la stoffa della camicia separa le labbra dalla pelle. E come lo sfiora con la bocca - il fiato scivolerebbe come scintille sulla pelle. Il formicolio elettrico della tensione che emette, come un solletico - un amabile, dolce, sfiorargli della carne. Ma senza lasciarlo folgorato. < Avrai il mio nome nella bocca, non il suo. > Punge delicata, lo lascia stare, scostando il capo e sfilando passi che vogliono lasciarlo a debita distanza. E lei scinde l'indissolubile differenza tra lei e la Signora, volendo esser qualcosa di differente. Qualcosa di più grande. Più potente. Ed il mento si solleva guardandolo di sbieco con la fierezza di uno dei grandi felini. Come se Ren, nel suo pugnetto - assieme al drappo nero al collo di Itsuki - stesse sgretolando la figura di lei. Divorandola. E rendendola arte sì, ma arte che indossa come un orpello. Non come portata principale. [ck on][Manipolazione Raiton] [Foresta] Dev'essere capitato anche voi, altrimenti non sareste umani, di farvi cogliere dalle emozioni in maniera sin troppo esagerata, senza riuscire a gestirle e a seguirle, lasciarsi sopraffare e travolgere dalla marea, finir sottosopra, far di tutto pur che quella morsa al cuore si allenti ed il groviglio in mente si districhi. Brucia la mente, sembra una foresta in fiamme che non ha più un secondo solo di pausa, l'incendio divampa e l'ossigeno viene consumato, carbonio a spandersi nell'aria offuscando il tutto, rendendo tutto più scuro ed incomprensibile, velato di un manto nero che sembra impossibile da valicare. Non è da lui, non è da lui dire quelle cose, comportarsi così, piangere, urlare a pieni polmoni, eppure lei è riuscita, in due volte, a tirare fuori tanto di quello che non era mai uscito con nessuno, se non con Lei. Giusto o sbagliato, oramai è tutto relativo. Lui si sentirebbe sporco, come se fossero i loro animi ad essersi rotolati per terra al posto loro, un qualcosa di ben peggio delle macchie che hanno sui vestiti, si sentirebbe in errore ma allo stesso tempo come incapace di accettare tutto con semplicità, non si lascia andare, rimane con il fiato sospeso e prova a far chiarezza nella sua mente. Non la ama, ma oramai manco la odia, non definisce piacevole passare il tempo con lei e trovarsi così debole alle emozioni, ma allo stesso tempo, sembra disdegnarlo meno ora. Lei è l'inizio di quella sofferenza ed allo stesso tempo potrebbe essere non una fine, non un chiodo scaccia chiodo, non una meta, ma qualcosa per lavare via il dolore del Goryo lentamente, in quel taciturno attrarsi contorto, quel non ammettersi che non sanno resistere ad una sorta di magnetismo, quel volersi costringere distanti consapevoli, in fondo, che prima o poi finiranno per mischiarsi l'un l'altro. È la convinzione ferrea del saper resistere e dell'essere forti, che ci fa cadere nella maniera più rovinosa possibile <{ Mh? }> è un mugolio confuso in quel suo sentirsi chiamare da parte della Rossa, volge la sua attenzione verso di lei piuttosto che a far di contorno alla scena nella sua interezza, andando ad osservarla in quel di lei aver un'espressione diversa, meno spenta e più decisa, fiamma che arde nel suo petto minuto, un calore che quasi gli riluce sulle goti pallide, mentre quel lui all'esterno pare inerme, perso in quel mare insondabile, quell'abisso dove non pare esserci alcun tesoro sul fondo e nessuna luce ad indicarti una via di uscita. Nuovamente in piedi, dopo che lei lo chiama, ripete il suo nome con tono diverso e lui andrebbe accendendosi un'altra sigaretta, ne ha bisogno, vorrebbe che quell'ammasso confuso che ha in testa, quel garbuglio senza senso, potesse semplicemente districarsi così come i fili di fumo che vaporosi si perderebbero nell'aria, mentre starebbe già mettendo via l'accendino, e la sente, da dietro di lui, lui che tutt'ora non si volta e cerca di starsene tra se e se, mentre è Eiji a star a sentire tutto in maniera ben più attiva, ancora ben attento da prima, volendo comprender il dunque di quel nominarlo, lui che in tutto ciò non ha ne colpa ne voci. Oddio, a parte quella piccola spinta, si intende < Credo nel Caos, Ren, non voglio più credere nelle persone.. > direbbe andando a soffiar fuori il fumo di quel primo lungo tiro, sembrano boccate di vita, il suo tono è quella via di mezzo tra l'essere rotto ed allo stesso tempo confuso, difficile da mette in atto la logica laddove le emozioni ed i sentimenti prevalgono, non vuole più un legame amoroso, non vuole cascare di nuovo in quel dolore che permane di sottofondo < Ma possiamo credere che assieme, soffriremo meno. > sì, potrebbero abbandonarsi a quello, potrebbero semplicemente mettere una pietra sopra al passato, lui il suo e lei il proprio, per poi abbandonarsi a se stessi, ma sarebbe troppo semplice e forse troppo bello, è il conflitto a crear quella sorta di attrazione tra di loro, non possono fuggire così ritirandosi con semplicità dalla realtà, trovando rifugio l'uno nell'altro. No, sarà diverso, non sà ancora nemmeno lui cosa sarà, se sarà e perchè sarà, con lei, qualsiasi cosa sarà, l'unica certezza è che sarà difficile. Crudele, realista ed allo stesso tempo oramai incapace di esser romantico o qualsiasi cosa simile, si volta verso di lei andando a ridacchiare una risata lugubre e macabra che si perde dopo due o tre toni, pigra e stanca la sua voce in quel vocalizzo che da poi spazio ad un crudo realismo < Io e nessun'altra. > e va nuovamente a fumare, non ha il diritto di non darle una qualsiasi speranza di farlo suo ed allo stesso tempo lui non ha alcun dovere di mirare a lei, ha ottenuto quello sguardo, ha ottenuto quello sfogo e l'accenno del suo dolore, ma ora? Può fermarsi e farselo bastare così? No, lui è una persona incapace di accontentarsi, che vuole sempre di più, che deve serve veder il limite delle cose per poi distruggerlo ed oltrepassarlo. < Eppure sì, arriveremo lontani, siamo la loro seconda possibilità, dopotutto, ma non abbiamo nessun copione da seguire. > dice lui, non devono emulare quel che erano, non devono riprodurre le vite di quelli prima di loro, non devono lasciarsi andare ed essere ombre, devono elevarsi al di sopra di loro, un giorno, diventando qualcosa di più, qualcosa di unico e che appartiene soltanto a loro due < Lo scopriremo, se sarà così. > direbbe lui, voltandosi verso di lei in quel sentirla muoversi, un pacato e minuto suono di passi morbidi che si dirigono in sua direzione, mentre cade la cenere e di nuovo aspira, con più veemenza del solito, tiri più lunghi per cercar di placare la confusione, i dubbi e le perplessità. Non vuole allontanarla esageratamente da se stesso, non vuole nemmeno però legarsi a lei con tanta semplicità, è complicato e delicato, come un gioiello di vetro intricato, un rompicapo composto da due figure che si devono sciogliere per poi incastrarsi di nuovo, evitando di rompersi nel mentre, di finire in frantumi <{ Tsk..Petulante ragazzina ambiziosa. }> commenterebbe il fu Principe da dentro, stizzito, questa volta ben più scottato da quella volta di Kurona, quasi indignato in quel sentir il di lei volerlo coinvolgere l'altro in quell'elevarsi al di sopra di loro due, quelli che oramai, fisicamente parlando, non ci sono più < Ti dirò che in questo casino, forse sarai un'amara medicina. > ed il tono è aspro e dolorante, come quando si ammette una verità scomoda che non si vuole venga a galla, non la guarda e lo sguardo e spostato di lato, rosse che si puntano in un punto a caso, non vuole cedere, infangare l'immagine della sua defunta Dea, ma allo stesso tempo, sembra che solo assieme alla Seimei riesce a soffrire della cosa ed allo stesso tempo accettarla, in un processo lentissimo ed involontario. Vuole ancora fargli male, ferirla, sentirla urlare? Forse, ma sarebbe il concepire di un'altro ideale, il realizzare che forse la sofferenza può essere anche affetto, la nascita di un pensiero contorto e di un qualcosa che per ora muore lì al suo stesso concepimento, un qualcosa di remoto che vien accantonato dal di lei proclamarlo la vittoria. Di lui, di lei, non importa. Lei intanto è lì, vicina, lo ha tirato dal nodo della cravatta e lui l'ha seguita abbassandosi di poco in quel raggiungerla, a concedergli quei centimetri in meno mentre le scarlatte e le plumbee si incontrano e non si incontrano, fugaci si attirano e si respingono < No, sono solo l'ennesima sconfitta in questa guerra di sentimenti. > ha ceduto anche lui, è consapevole di quel che è ma allo stesso tempo in quel credersi invincibile senza sentimenti, in quel credersi sbagliato ma avantaggiato, ci si trovava alla perfezione, ora invece, è costretto a seppellire qualcosa che lo ha reso sì più umano, ma allo stesso tempo in grado di venir ferito in molteplici modi. Il contatto, poi, un fremito ed un brivido, impercettibili, ma allo stesso tempo amplificati da quel percepire il riverbero del fulmine dentro di li, una scossa che letteralmente fa sì che i capelli si drizzino, tenuti a bada dall'elastico nero della cosa che sembra farsi appena più rigonfia, quasi fosse quella di un felino, dondola in quel subir la di lei affettuosa scarica, mentre lui scuote la testa, ancora incredulo per quel che gli ha detto poco fà, mosso da una serie di cose, /Lei/ che no gli ha raccontato la verità su nulla, il voler veder cedere la Seimei sotto quei ricordi, il volerla veder soffrire in ricordare cose improprie, è stronzo, indubbiamente, con lei a volte anche di più, ma sono quelli più stronzi a dimostrarsi dopotutto quelli in grado di sciogliere l'animo altrui meglio di chiunque altro, no? Vorrebbe dirgli di perdonarlo, per quel che gli ha detto, pensa di esser patetico e sembra quasi un'avergli promesso qualcosa di remoto, che lui non vuole effettivamente, non intenzionalmente, ma che permane dentro ognuno dei due come l'ansia di spaventarsi in una casa stregata, o come la consapevolezza dell'attendere una punizione per un misfatto, quel qualcosa che insito dentro di noi permane, vien covato sino a quando non è il momento propizio, esplodendo come una granata inceppata, alla quale la spoletta è stata tolta da tempo, ma per altrettanto lungo tempo sarebbe mancata la scintilla < Allora lo sentirai pronunciato come mai prima d'ora. > direbbe lui andando a concedersi un sorriso nostalgico, al pensare quelle serate, sempre che ce ne sarà la possibilità, sempre se dovesse succedere, mentre la mano destra, andrebbe a portarsi all'altezza del di lei lombo, lì verso le ultime vertebre, raggiunta di lì a poco dalla mancina, la sigaretta messa tra le labbra, di lato, per non dar fastidio a lei in quel suo chinarsi e cercar di poggiare la propria fronte sulla sua, è stanco della sofferenza di questi giorni, è esausto e non mangia ne beve da ore ed ore, ha camminato fino allo stremo, vuole una pausa, una tregua in questa guerra contro i sentimenti nella quale è stato sconfitto, non è finità, andrà avanti, ma almeno adesso, un'attimo di respiro < Grazie di farti odiare. > direbbe lui, andando a percepire dentro di lui un pizzico di calore, una piccola fessura che sembra lasciar spirare un breve soffio, qualcosa di minimo ed impercettibile ma che sembra illuminare quanto basta il suo animo per riprendersi un poco, un'attimo, volendo scostare una mano , rialzando la testa in quel voler cercare di posar la di lei testa sul proprio petto, di lato, potrebbe sentire il cuore che par battere di nuovo, ridotto ai minimi storici in questi giorni, pochi nulli battiti, il minimo indispensabile che ha volte ha avuto bisogno dell'ausilio stesso del Goryo, per continuare a pompare. Stai qui, resta qualche altro istante, ascolta, lasciati odiare in quella sua convinzione di volerti male, non ti dirà mai che ti ama, non ti dirà mai che è affetto, probabilmente, ma fermati un'altro pò e permettigli di renderti una sua medicina. Ah, i sentimenti, che bestia immonda. Voglio odiare tutto e tutti, voglio riversare il mio odio in ogni angolo delle terre Ninja, ed è ancora così, ma se posso avere un ritaglio di quell'amore che ho provato, se posso averne anche solo una parvenza, allora chi sono io per non cascare di nuovo in quella pericolosa droga? Ogni tanto, quando sarà, se sarà, chi lo sà. {ck on} L'ecosistema si compone con un esplosione, non lo trovate divertente? Dopo il chaos si stabilisce una silente linea vitale, in cui tutto si esegue on un tacito accordo. Come ha perso il controllo sulle emozioni? Come è arrivata a posar i fianchi tra le sue mani ? Come una foglia in autunno, così piccola e fragile da sembrare un'imprecazione sussurrata al vento. La minaccia detta a denti stretti all'orecchio del proprio nemico. La verità è che Kurona, come il fu' Eiji, sono creature capuche - destinate a cadere per lasciar il posto a qualcosa di migliore. E forse la bianca, prima del principe, lo ha capito abbastanza da lasciare che le briciole della sua fine al suo amato pettirosso. Naufraga nell'oceano di sangue che gli splende tra le palpebre, osa arrivare a tanto - a serrare i denti e recidere ogni parola sia rimasta lì, incastrata tra le labbra. Gli scivola contro - addosso - dentro. E si scioglie come liquido velenoso mentre lui s'accosta alla sua fronte. E' cosi vicino, così vicino -- da rievocare per l'ennesima volta qualcosa che non le è mai appartenuto, e nella coscienza di ciò - sfila l'iride per farla morire oltre quel sipario pallido che sarebbero le palpebre. Le mani sulla stoffa della camicia rimangono assorte da qualcosa che non ha un nome ben preciso, un appellativo utilizzato al fine di catalogare una sensazione. Un emozione. Tutte le parole di Itsuki cantano canzoni riverse a testa in giù nella sua testa, dalle affermazioni, alla confusione, si delinea liscia - chiara ed al tempo stesso, minacciosa. Freme al solo pensiero di perdere la via, di prenderne una che può appartenere solamente a lei. I polpastrelli - le unghie laccate di rosso lucido - la stoffa della camicia che s'increspa contro i palmi che piano s'allargherebbero verso le spalle a sugellare quel cercarla. Inevitabile? Sì, è inevitabile. L'affondarsi del crine aranciato nel suo petto è come un cedere, piegarsi flebilmente a lui senza saper mai spezzarsi del tutto. E le dita che sarebbero oltre le sue spalle, passando per il petto e risalendo l'arcata delle scapole soffermandosi con la punta delle dita. Lascia che quel solletico lo insegua, come un debole riversarsi di calore statico - elettrico. Sfila via dalle dita come il blando lascito del suo tocco - come se volesse inciderlo nella carne, il primo punto che ha toccato, veramente, con il suo corpo. E si ferma, improvviso, si spegne - un pizzicore inesistente - che finisce per scremare lì nel palmo. La tempia contro il battito che procede stanco. E' la prima volta che sente un cuore battere. E' la prima volta - che sente questo tipo di calore. E come prima volta, ne rimane attratta, legata in modo indissolubile. E pensare che s'è sempre promessa di protegger la vita oltre la morte, risultando il suo polo diametricalmente opposto. E com'è che allora, ora, sembra non importarle più così tanto? Le mani mansuete finiscono per ricalcar i drappi della giacca stringendola tra le dita - abbandonando ogni discorso intrapreso per spegner tutto quello che, per questi frangenti, ha osato affliggerla. Le provocazioni. Le memorie. Le minacce. L'ambizione. Eiji ha ragione, è presuntuosa. Al di là del viso di ceramica, c'è l'ideale di arrivare più in alto della Bianca Signora. Di ergersi, e sbeffeggiarla. /Guarda dove sono arrivata, Hanabutsuji-sama./ Alla fine senza neanche saperlo ha risposto a quella richiesta rimanendo in silenzio, s'issa con le labbra serrate e l'alone di calore ancora contro la pelle. Rughe mimiche inesistenti che si distendono, tornano invariate - come se volesse proteggere quei punti vitali che lui è riuscito a beccare, con il suo becco avvelenato. <...> E di tutto quello che è stato detto, cosa ne è rimasto? Una convinzione, al di là dell'iride artica - che si staglia oltre la cresta delle mangrovie muovendo solo mezzo passo indietro - lasciando che una bava di vento notturna le lavi via di dosso quel minimo di calore rubato. < Odiami. > Decreta le prime parole con un tono modulato, soppresso dal continuo cantar di grilli e piccoli, fastidiosi, ronzii. Il capo torna ritto, disordinato - sulle spalle. Il collo che prima era piegato, era rimane morbido, allungato. Bianco come latte. Le ciocchette mozzate sulle spalle oscillano in un ritrovarsi, a tentoni, ma ritrovarsi. E' tutto quello che riesce a dire prima di staccarsi da lui. Come può una guerra come questa, terminare con un armistizio tanto dolce, quanto sofferente? Un ventriloquo, nel suo muover impercettibilmente le labbra. < Sei solo il primo di molti. > Come se ci fosse dello sporco in tutto questo, come se fosse consapevole - di star guidando verso un fosso da cui non può uscire. Eppure tutto questo, sembra rallegrarla. Sollevarla da una pesantezza che le gravava fino ad ora sulle spalle. Come se quel disprezzo di Itsuki, amabile quanto falso, fosse la sua preziosa corona di spine sul capo. E l'adagia, regina tra i martiri, ornandosi il viso del più bello dei sorrisi. E quell'odio. L'odio partorito da una verità scomoda, è solo il primo seme piantato in un terriccio fertile. Un odio fallace, lo sappiamo, ma tanto utile da non aver il cuore di smentire. Non ora. Lo lascia andare - lascia che possa riprender possesso dei suoi passi e del suo corpo e mentre si muove, pallida ed eterea, come un soldato in prima linea verso il fuoco, s'accende anche lei una sigaretta sfilata dalla taschina della gonna. Il fumo occulta il viso mentre il fuoco, ne illumina i lineamenti alienati. Fuori da queste terre. Proiettata verso l'oltre. < Sta arrivando l'alba-- > E noi, siamo persone del crepuscolo Itsuki. I passi scivolerebbero tra le mangrovie, recidono prima che possa nascere qualcosa di cui entrambi non saprebbero niente. Ne gestirla. Ne allontanarsene. Lascia che quel filo rosso decada, reciso, ma solo per questa notte. Domani? Domani vedremo. Potrebbe essere amore. Potrebbe essere guerra. Potrebbe esser quell'anestetico, di cui tutti abbiamo bisogno. [ e n d ] [Foresta] Ha ceduto, nel bene e nel male, alla fine non ha retto. Odio, sofferenza, superbia, di nuovo odio e poi affetto. Stupidi sentimenti, non fate altro che prendervi gioco degli animi altrui. Lui non avrebbe mai immaginato di sentirsi così, di provare un dolore simile e di doverlo sopportare da solo, di non aver nessuno di concreto a parte Eiji dalla sua parte, forse si è reso conto di aver ancora bisogno di un'abbraccio, di una carezza, di sentirsi tra le braccia di qualcuno che per un malsano motivo o altro, ti vuole, è in grado di farti sentire in un qualche modo bene, seppur in maniera apparentemente contorta. Gli è stata portata via in fretta, si è sentito trascinare nel profondo di un baratro dove stava annegando, cercando di lottare con unghie e denti in quel provare a risollevarsi, in quell'ascende in una scalata verso se stesso, cercando di tornare quel era, finendo soltanto per ritrovarsi con una verità pungete e con un'altra sconfitta subita, da parte di quei sentimenti che gestisce in maniera tanto sbagliata e confusa da risultar quasi lunatico, un pazzo in preda a sbalzi d'umore, seppur è soltanto una maschera per celare il viso di qualcuno che soffre e che vuole restituire quella sofferenza al mondo infame nel quale vive, è la copertura che offusca un qualcosa che si è rotto e con la sua ombra frastagliata giace a terra dietro ad un velo, un qualcosa che un giorno verrà sollevato per dar luce alla nuova forma che il suo animo avrà preso, tra un conflitto ed un'altro, tra la sofferenza ed il Caos, tra una battaglia ed un'eventuale carezza. La Seimei si appoggia su di lui e per qualche istante sembra che possa trarre un sospiro di sollievo, sembra egoistico ma non gli interessa più di nulla, per qualche istante aliena anche la di lei presenza, inspira, si sente appena meglio e riconosce il fatto di quell'essere i sentimenti un'arma a doppio taglio, bende che possono sanare le ferite più profonde o armi in grado di lasciare quelle più violente e furiose. E la cosa bella, è che non siamo noi a sceglier quale arma imbracciare, o da quale farci ferire. È l'interazione con il prossimo, la collisione dei microuniversi che siamo, a renderci in grado di far si che le galassie si mescolino, che i pianeti collidano, che le stelle si passino accanto sfiorandosi illuminando nuovi scorci del nero infinito che è dentro ognuno di noi <{ Se ti fà stare meglio... }> direbbe l'altro riportandolo alla realtà in quel suo ritrovarsi lì, tra le mangrovie e con lei tra le braccia, la sigaretta che si è persa intanto, fili grigi sospinti da una brezza notturna, il tempo prosegue incessante, la carta di quella brucia consumandosi lentamente <{ Concedimi qualche attimo di pausa.. }> risponde il Moro, riferendosi a quel dolore, alludendo a quel rifugiarsi in in gesto affettuoso, percependo un tepore misto a gelo dentro, sembra quasi non sia successo nulla, per un'istante. Un sospiro, una parola rubata quasi dal mormorio notturno, gli dice di odiarla e lui tace, non ha gli strumenti per definire quel legame, quel qualcosa nei confronti della rossa, ha portato l'odio ed il dolore dentro di lui ma ora come ora è l'unica dolce droga di cui il Goryo possa fornirsi pur di sedare tutta quella sofferenza. E come dimostrare odio ed affetto allo stesso tempo, come poter soddisfare entrambi quei suoi desideri e soprattutto entrambi le parti, i nodi di quel legame? Non lo sà, è tutt'ora perplesso, ha parlato ed agito d'istinto nel voler versare quell'elisir sulle proprie cicatrici interiori < Mh mh.. > sono due brevi mugolii d'assenso a quella sua prima parola, profondi e sinceri, come se volesse far intendere che va tutto bene ed ha capito, ma in realtà no, sarà tutto il contrario, per quanto ora sì, stia andando tutto bene, fissandosi sul momento più che sul resto, andando poi a sentir quel di lei proseguire e lo sfociare in un sorriso. Lui che la guarda e si scosta appena, le rosse puntante sul viso pallido della Special si ammorbidiscono, il taglio si fà appena più dolce ed un flebile sorriso, meno dipinto di malinconia, si pone su quelle labbra serrate in quell'andar poi a far cadere nuovamente la cenere che nel frattempo si era accumulata < Ed il bello è che lo dici sorridendo. > il tono è falsamente divertito, o meglio, lo è ma è un risuonar cupo, lui la odierà e non ha l'esclusiva di farlo, potrà farsi odiare da chiunque ella voglia, ma il suo, quel suo sentimento perverso e caotico. Volge lo sguardo verso la notte che si tinge nuovamente dei colori del giorno, si scosta voltandosi in direzione del punto nel quale andrò sorgendo il sole tra ancora qualche ora, sospira andando a sentire la voce di lei che si perde tra le radici e gli alberi, lui che la guarda solo c on la coda dell'occhio, mette la sigaretta tra le labbra, socchiude lo sguardo e si aggiusta la cravatta, aggiustando poi anche l'elastico dei capelli in quell'andar a prender nuovamente le distanze, a risollevare quella barriera di filo spinato, quel muro di rovi < Non ho di certo intenzione di guardarla con te, ti ho già concesso abbastanza del mio tempo, avrai anche da fare, no? > stizzito, non lo fà effettivamente apposta, o meglio non è un modo forzato ed eccessivamente intenzionale il suo, sembra essere tornato in se stesso con quel riaggiustarsi dell'immagine, con quel riappiattirsi dell'espressione e il volgersi dall'altro lato, non un saluto, non un'ulteriore sguardo, non una parola di troppo, si incammina dal lato opposto lasciandola alle sue spalle <{ Siete così.. contorti. }> commenta Eiji con un'espressione che ha un che di vago ed impreciso, non sapendo quale espressione, che aggettivo attribuire a quel loro legame, andando a ricever in risposta un vago sogghigno del Corvino che fuma nuovamente, e lascia che il fumo si porti via le sue parole < Senti chi parla. > dice in quello sprofondare nuovamente nella solitudine, meno buia in quel tornar del tutto in contatto con lui, pungolanti frecciatine e sarcasmo indomito, un rapporto altrettanto intricato, armato allo stesso tempo di un lumino, una piccola torcia che emana una flebile e calda luce arancione, in grado forse di guidarlo lungo quel cammino fuori dall'oscurità, o di condurlo anche lei, passo dopo passo, sempre più verso la perdizione. { e - n - d }