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con Tenshi, Yosai

16:09 Yosai:
 Il gelido, freddo, umido sudario che avvolge quel posto non lo infastidisce più. Quella nebbia è diventata un’amica capace di regalare un abbraccio nel quale nascondersi ed è li che sta. Nascosto nel grigio, protetto dal canto del mare, i cui contorni sono impossibili da definire. Si staglia in tutta la sua altezza sul bagnasciuga, il gigante spezzato. La figura imponente è avvolta, interamente nella stoffa d’un elegante kimono nero che ne nasconde le linee marcate e definite, per quanto resti visibile l’imponenza della figura. Sulla schiena cucito in oro il simbolo degli Akimichi. Sulla parte sinistra del petto, sopra l cuore, un pugno stilizzato in grigio. È la prima volta che indossa un indumento del genere. Le maniche sono lunghe fino a metà dell’avambraccio che ne fuoriesce, definito e dipinto dagli ampi d’inchiostro tratti nero-rossastri che s’infilano negli indumenti tatuando invisibili disegni sulla pelle. Lo scollo a V lascia intravedere il taglio tra i pettorali definiti e lascia libero il collo taurino. Le ampie falde del chimono arrivano fino a poco sotto il ginocchio, lasciando intravedere ampi pantaloni neri sotto di essi che s’infilano nelle rosse fasciature che stringono la gamba da sotto il polpaccio fino alle dita del piede. Fasciature da combattimento, non da ospedale. il volto dai tratti definiti, decorato con le solite cicatrici, una lungo l’occhio sinistro, l’altra per orizzontale sulla fronte, rimane perso nel niente. I folti capelli son lasciati liberi eccezion fatta per le ciocche più impertinenti, racchiuse in un piccolo codino appoggiato sugli altri capelli. Non è solo il kimono ad esser cambiato. I tratti del viso si son fatti più affilati, quasi spigolosi, la carnagione s’è schiarita e ha perso di tono. Un alone grigio scuro circonda le iridi che di oceanico non hanno che un vago ricordo. Un piatto azzurro scuro tendente al grigio le dipinge. Occhi spenti. Gli avambracci sono coperti quasi per intero da graffi, contusioni, sporco e sangue incrostrato. Le nocche sono sbucciate quasi per intero su ambo le mani. Non è niente di grave ma son segni. Immobile la figura, come una colonna nella nebbia. Sembra non stia neanche respirando.

16:32 Tenshi:
  [Pineta] Kiri. Un posto nuovo, tutto da visitare. E sarebbe pure contenta di visitare tutti i luoghi di quel paese, se non fosse che ha altro da fare. Allenarsi. Allenarsi. E, di nuovo, allenarsi. Forse avrebbe preferito non spostarsi mai da Chumoku. Avrebbe preferito vivere lì, sospesa, mentre la storia continuava a scriversi da sola. Avrebbe preferito essere solo una spettatrice della tragedia che stava per compiersi. Di quella guerra che avrebbe seminato, sicuramente, vittime. Ma non può sottrarsi a quella responsabilità che ha deciso di portare sulle spalle quasi quattro anni fa, ormai, quando ha deciso di diventare una kunoichi. Sapeva che vivere nel mondo ninja non era facile. Ma da piccola aveva un obiettivo ben preciso in mente: salvare il suo popolo. Salvare la sua gente. In quei quattro anni non c'era mai riuscita. E la speranza di portare a compimento quella missione personale, adesso, è quasi sparita. La verità è che ha paura. Può cercare di mostrarsi forte agli occhi degli altri, ma sa bene che, la sera, tornata da Onosuke, piangerà tra le sue braccia. E adesso si trova lì. A combattere la sua prima vera battaglia. Non si tratta delle missioncine di basso livello assegnate a Konoha. Qui si tratta di tutt'altro. Quella è una guerra. E la rosata non ha idea di chi ne uscirà vincitore. Cosa potrebbero fare dei semplici genin in quella situazione, se non stare a guardare? Deve diventare più forte. Sempre più forte. Per il suo bene. Per non morire in quel mondo folle. Ma anche per il bene degli altri. Per il bene delle persone che ama. Quelle persone che tanto vorrebbe proteggere. Deve esserne all'altezza. Un lungo respiro accompagna questi pensieri. I lunghi capelli rosa vengono soffiati leggermente da una brezza fresca, mentre la rosata percorre gli ultimi metri della pineta, in direzione della spiaggia. Gli occhi cerulei, attenti, si muovono da un punto all'altro. Ha paura di essere osservata. Seguita da chissà cosa. O chissà chi. Ha paura che quell'essere possa spuntare nuovamente, dal nulla e senza un motivo ben preciso. Kiri è un campo di battaglia. In qualunque luogo di quel paese, sarebbe potuto nascere uno scontro. Sul capo è legato, a mo' di fascia, il coprifronte nero con la placca metallica che riporta l'incisione del simbolo della Foglia. Indossa una felpa rosa chiaro corta, che lascia intravedere una parte del ventre. Dei pantaloni verde militare larghi, con delle grandi tasche su entrambi i lati, in direzione delle ginocchia, coprono le esili gambe. Essi si stringono sulle caviglie, con degli elastici neri. Sulla coscia destra tiene legate delle fasce elastiche bianche, che reggono il portakunai nero. Ai piedi porta delle scarpe di tela nere, mentre al polso tiene legato il bracciale rosso che le ha regalato Onosuke. Qualche altro passo verso l'uscita della pineta, per poi fermarsi e portare entrambe le mani al petto. Ha bisogno di sentirsi sicura. Ha bisogno di sentirsi viva. Esse verrebbero congiunte e mosse a formare il sigillo della Capra. Nella sua mente, immaginerebbe due sfere: una blu, l'altra rossa. La prima, all'altezza del capo, è ricolma di ricordi. E' ricolma di emozioni, positive ma anche negative. E' piena di amore. Quell'amore che la lega così fortemente all'Aburame e quell'affetto che prova per ogni persona che ha incontrato. Ma anche di odio. Di rabbia. Quella rabbia furente che sente scorrere dentro, ogni minuto della sua vita, da quando quell'essere era apparso. Questa sfera simboleggerebbe la sua forza spirituale. La seconda sfera, quella rossa, si troverebbe all'altezza del ventre. Essa porta con sé tutte le debolezze della rosata. Tutte le volte in cui lei non è stata abbastanza. Tutte le volte in cui avrebbe avuto bisogno di più forza. Essa, infatti, rappresenterebbe la forza fisica. Quella forza che, spesso, le manca. E comincerebbe a far ruotare entrambe le sfere, dapprima sul loro asse, per poi spingerle con forza verso il petto. Qui, esse, come un turbine, verrebbero attratte l'una dall'altra e si congiungerebbero, formando un'unica sfera, luminosa e pulsante di vita: quella del Chakra. Se il richiamo fosse andato a buon fine, quel soffio vitale invaderebbe ogni singola cellula del corpo della genin. Un altro respiro, mentre assapora il piacere della vita che le scorre dentro. E scioglierebbe il sigillo della Capra. Ormai è arrivata alla fine della pineta e, davanti a lei, si estende la spiaggia. Una spiaggia grigia, velata di nebbia. E, al centro di essa, una figura. Una figura quasi inebriata da quel velo che confonde. Una figura familiare alla Senjuu. Può riconoscerla. E' una figura possente, alta e fatta di muscoli. Può riconoscere quel colore particolare di capelli, nero con leggere sfumature rosse. Può riconoscere quei tatuaggi sugli avambracci. Inclina la testa quando nota qualcosa che il ragazzo non aveva mai indossato in quelle volte in cui i due si erano visti: un kimono con il simbolo del clan Akimichi stampato sulla schiena. Quindi Yosai è un Akimichi. Forse, quella, è una delle poche cose che sa di lui. Ed inizia a camminare, accorciando la distanza che separa i due genin. E solo adesso nota dei partcolari che poco prima non aveva notato: lividi, graffi e sangue percorrono le parti visibili della sua pelle. E si affretterebbe, aumentando la velocità dei propri passi. Cosa è successo? Perché si trova in quello stato? Adesso, si trova ad un metro dietro di lui. Lui che è fermo, immobile, perso nei propri pensieri. Altri due passi in avanti, mentre la mano destra viene poggiato sull'avambraccio sinistro del ragazzo. Il capo si sporgerebbe a guardare il viso di lui. C'è qualcosa di diverso. I tratti del viso appaiono più spigolosi, il colore degli occhi è spento. < Yosai? > direbbe semplicemente. [Tentativo richiamo del Chakra][Chakra 30/30][equip: 3xshuriken - 3xkunai -1xcarta bomba]

16:59 Yosai:
 Ovviamente alla descrizione s’aggiunge il coprifronte, cucito su un’elegante drappo di stoffa rosso vermiglio a chiudere il chimono all’altezza della vita. Le labbra sottili sono impossibili da distinguere rispetto al pallore del viso, se non per le screpolature che le tagliano di tanto in tanto. La ascolta arrivare, ma non la sente. Percepisce il tocco dell’altra, ma non lo sente. Sente il calore della pelle di lei e il leggero pizzicore che si prova quando si toccano le ferite vive, che arriva dalle escoriazioni e dai tagli che coprono la pelle dell’avambraccio infilandosi nel chimono. A guardarlo così, non sembra ci sia nulla rimasto sano in lui. È un maestoso essere spezzato. Un involucro di stoffa muscoli e ossa senza niente dentro. Non sembra ci sia vita nel corpo che si staglia davanti a lei. È fredda la pelle ferita che lei toccherà. Ed è proprio quel tocco che sembra destarlo. Come se si fosse ricordato che deve simulare i movimenti del respiro per sembrare vivo, il gigante gonfia leggermente il torace. Un respiro flebile, delicato, mentre abbassa lo sguardo tinto d’acqua morta e contornato di scuro verso di lei, un gesto lento. Come se pesasse il capo. Cerca le iridi cerulee di lei, senza intermediari, patetica imitazione di ciò che è sempre stato abituato a fare: guardare le persone negli occhi. Emozione contro emozione, anima contro anima. Eppure niente comunica quello sguardo. Schiude le labbra che paiono quasi incollate <Tenshi-chan> mormora. Un gorgoglio torbido. La voce sembra arrugginita, scricchiolante. È la prima persona che conosce a vedere sull’isola. Anzi la seconda, la prima è morta con lui, sulle sue spalle. Eppure non c’è gioia in quello sguardo, e non sarebbe contento neanche se nulla fosse accaduto, di vederla li sul fronte. Quando il leggero pizzicore che avverte dalle escoriazioni sotto al tocco di lei diventa fastidio, istintivamente irrigidisce il braccio e, lentamente, lo tira indietro fino a privarsi di quel contatto. Accompagna quel movimento ad una torsione completa del corpo, che lo porterebbe a trovarsi esattamente di fronte a lei. Cerca piano di chiudere le mani in pugno, ma le sbucciature sulle nocche bruciano a qualsiasi movimento. Sono i danni di una persona che ha colpito qualcosa, quelli, e in effetti non c’è più niente di sano nella sua tenda, ma questo non può saperlo nessuno. Lo sguardo rimane in quello della rosata, inerte, impassibile per lunghi attimi di silenzio <come…mai da queste parti?> chiederebbe rauco, come se si fosse ricordato che effettivamente non sono più sulla loro isola, che è strano vederla li. Abbozza un sorriso, ma niente emerge sul volto se non lievissimo movimento delle labbra screpolate. Ricordati di sorridere, ricordati di sembrare contento. Ricordati di sembrare normale

17:29 Tenshi:
 Sotto le dita di lei, scorrono, silenziose, ferite di chi ha appena combattuto una battaglia. La pelle è fredda e quasi rigida. Lo sguardo cerulei si abbassa ad osservare le contusioni ed i tagli e le ferite. Per qualche secondo, egli sembra non accorgersi della presenza di lei. Come se fosse lontano, in un posto in cui nessuno può trovarlo. Né vederlo. Né sentirlo. Di lui è rimasto solo un involucro coperto di sangue e graffi. I suoi pensieri sono altrove. Le ali che aveva appena spiegato, si erano spezzate. E qualcosa attira l'attenzione di lui, che inizia a prendere respiro. Abbassando lo sguardo, cerca quello ceruleo della rosata. Gli occhi oceanici sono sbiaditi, grigi, contornati di scuro. Quella luce che la genin aveva trovato in essi adesso è scomparsa. E la destrorsa, che era stata appena poggiata sul braccio del ragazzo, comincerebbe a tremare, fissando quel grigiore. Quel colore cupo e pallido che le mette in corpo una strana ansia. Quella freddezza che non le fa trovare il coraggio di pronunciare parola. Il gigante è stato spezzato. I suoi occhi non sembrano comunicare nessuna emozione. Sono stati svuotati. Sono stati privati dell'allegria di sempre. Il nome di lei viene mormorato, con voce quasi spezzata. I muscoli del braccio di lui si irrigidiscono pian piano al contatto con la mano di lei. E, lentamente, il contatto viene spezzato. Il braccio viene allontanato. Lo sente distante. E non sa cosa dire. Perché lei non è mai stata brava con le parole. Perché ha paura di combinare guai. Perché, in realtà, ha paura di sapere. Sapere cosa abbia ridotto così una persona come lui. Una persona che, all'apparenza, sembrerebbe non mostrare nessun punto debole, se non la sua purezza d'animo. E lui volta il proprio busto verso di lei, ritrovandosi adesso di fronte. La Senjuu ritira, con un movimento automatico, la destrorsa, portando il braccio lungo il fianco. Entrambe le mani vengono strette in due pugni. Stringe. Stringe. Fino a fare male. E distoglie lo sguardo. E' questo che significa essere in guerra? Essere annichiliti, svuotati da ogni cosa. Da ogni emozione. Da ogni speranza. Lo sguardo ceruleo si poggia in un punto indefinito tra la sabbia, mentre gli incisivi superiori mordono il labbro inferiore. Cerca di parlare, il gigante dalle ali spezzate, cercando di mostrare la propria disinvoltura che, probabilmente, in quel momento, lo ha completamente abbandonato. < Potrei farti la stessa domanda... Ma so già la risposta. La sappiamo entrambi > le parole taglienti vengono fuori dalle labbra di lei come se fossero lame. Sono in guerra. Quello è l'unico posto in cui entrambi possono stare in quel momento. Perché devono combattere. Per il bene comune. E non importa se saranno carne da macello. Loro sono ninja e sapevano già a cosa sarebbero andati in contro. E gli occhi cerulei si alzerebbero, spostandosi nuovamente sul viso di Yosai. In quel viso, si abbozza un sorriso. Un sorriso forzato, innaturale. Privo di tutto ciò che un sorriso deve avere per essere tale. < Fammi vedere quelle ferite > si limiterebbe a dire. Nient'altro. Perché ha paura di sentire la verità. [Chakra on][equip lo stesso]

17:56 Yosai:
 Quelle parole rimbombano nell’ampio spazio vuoto dentro di lui, la musicalità della voce di lei si perde nel silenzio di tomba. La osserva riporre la mano che cercava quel contatto, la osserva chiudere le mani in pugno, abbassare lo sguardo. La osserva senza vederla. La sente parlare. La sente senza ascoltarla. Le parole di lei l’avrebbero fatto arrabbiare, avrebbe alzato la voce, le avrebbe sbraitato addosso il suo dolore facendole capire che no, non lo sanno entrambi, lui non lo sa, perché lei è su quella spiaggia, e lei non lo sa perché lui è lì, poi le avrebbe vomitato addosso il racconto di due giorni fa, piangendo. Ma niente di tutto questo avviene. Non c’è ira, non c’è dolore. Non c’è spazio per questo, perché in quel corpo morto è rimasto il rimpianto. Un denso, concentrato accumulo di rimpianto cucito a forma di stemma Akimichi pesa sulle sue spalle. Schiacciato da quel peso, il cuore ha smesso di battere. Questo succede a darsi la colpa di tutto. Succede che potresti non essere sufficientemente forte per sollevare certe montagne, e se ne sta li, inerme, davanti a lei, completamente schiacciato. Proprio nel punto in cui lei sta guardando, sotto di loro, distogliendo lo sguardo, potrà cadere una goccia a bagnare la sabbia. Eppure non piove. Perché non è il cielo, a piangere. Un po' più in basso c’è il volto del gigante, sfregiato ma non dalle cicatrici. Quanto da due segni lucidi sulla pelle chiara, a tagliare gli zigomi scavati, una lacrima rimane li, sotto al mento, pronta a cadere. L’espressione del viso però non è mutata, come se non si stesse accorgendo del pianto <Perché sei qui, Tenshi-chan?> spinge faticosamente fuori la voce roca e spezzata, piatta nel tono se non per una lieve inflessione della domanda. Non può parlare di se. Se c’è qualcuno incapace di usare le parole al livello della Senjuu è proprio il gigante spezzato, e l’indicibile non può essere detto volontariamente. L’unica cosa che si limita a fare l’Akimichi è tentare di rimettersi una maschera di normalità che è caduta in frantumi. Solleva lentamente la grossa mano mancina, con un gesto lento e meccanico, come un argano che lentamente tira su un pezzo di ferro. Qualora lei glie lo permetterebbe porterebbe arriverebbe fin quasi al viso di lei, vivo e frizzante, anche se non di emozioni positive. Un semplice tentativo di sfiorarne la pelle con l’esterno del dito indice. Un gesto tanto delicato da essere quasi impercettibile, se non per il freddo e la ruvidezza della pelle. Un gesto troppo delicato per lui, che è l’irruenza fatta persona. Potrà notarlo lei, qualora consentisse quel gesto, che anche le dita e il palmo della mano sono tagliati e feriti. Ferite non gravi, non profonde, ma completamente ignorate dal gigante, che lascerebbe ricadere lentamente la mano subito dopo il gesto. Perché quel gesto? <Onosuke… è con te?> mormora poco dopo. Come fa a conoscere l’Aburame? Beh questo lei non può saperlo. Frammenti di una vita passata porterebbero il gigante ad odiare il genin e la sua aderenza agli ordini. Andrebbe a cercarlo per vomitargli la sua ira e per chiedergli se avrebbe il coraggio di fermarlo dalla sua decisione di andare a cercare il Demone Rosso, ma nulla di questo è presente in lui. Non adesso. L’unica cosa che potrà notare è una leggera inflessione preoccupata nel tono, qualcosa che solo un’orecchio attento noterebbe. Preoccupato per lei.

18:30 Tenshi:
 Non è mai stata brava con gli altri. Ha sempre cercato di aiutare come più poteva, ma invano. Ormai ha capito che a parole non è un granché. L'unica cosa che le riesce bene è esprimersi con i propri gesti. Ma anche quelli, oggi, sembrano tradirla. Perché lei non capisce. Non ha idea del dolore che Yosai porta dentro. Può vedere solo quel corpo pieno di ferite e quegli occhi spenti. Sente che, pian piano, quel filo che li lega si tende. Si tende ancora. Quasi si spezza. Perché nessuno dei due è bravo con le parole. Perché loro sono gli opposti, ma contemporaneamente sono così simili. Non sa cosa dirgli. E' come se non volesse accettare il dolore altrui. Come se non volesse accettare che lui, quel gigante buono, sempre solare, ha perso abbia perso tutto ciò che lo caratterizzava. Come se non volesse accettare le sofferenze che quel mondo reca con sé. E li stringe, quei pugni, fino a piantarsi le unghie sulla pelle, ignorandone il dolore. Ed in quel punto definito, che adesso sta guardando, ecco arrivare delle gocce. No, non sono gocce di pioggia. Se ne accorge alzando lo sguardo verso quel viso dai tratti affilati. Sono lacrime. Come può fare lei a fermarle? Non ne è capace. Non lo è stata mai. Cosa può fare per lui in quel momento? Eppure, lui la precede, prendendo nuovamente parola. < I-io... > una pausa, mentre lo sguardo ceruleo si sofferma su quelle lacrime che rigano il volto di lui < volevo... volevo allenarmi nella pineta >. Ecco tutto. Voleva sfogare la sua rabbia. Voleva usare la sua innata, una delle poche cose che la fa star bene. Che non le fa perdere la lucidità in quel mondo caotico. Sì, perché quel mondo non è altro che caos. Come un vortice, che ti porta sempre più giù. Più giù. Più giù. E ti trascina nel sottosuolo, senza darti la possibilità di prendere respiro. E non si può fare altro che lasciarsi trasportare. Perché il mondo fa sempre ciò che vuole. E gli umani sono stupidi insetti che si uccidono a vicenda. E lascia che lui avvicini la sua mancina al volto di lei. Una mano colma di esperienze. Una mano che, forse, quelle esperienze non avrebbe mai voluto viverle. E si lascia sfiorare, in un movimento che è fin troppo delicato per lui. Lo sa bene la rosata che la delicatezza non è il suo forte. La sua pelle fredda e ruvida viene nuovamente a contatto con quella calda di lei. E lei non fa niente per evitarlo. Resta lì, a guardarlo. A cercare di capire perché del ragazzo sia rimasto solo un involucro senza emozioni. E ricadrebbe lungo il fianco di lui, come se avesse paura di toccarla. Cosa significa per lui quel gesto? Quel gesto così delicato ed innaturale? < Y-yosai, perché sei qui? > chiederebbe, con voce tremante, prima che lui le ponga un'altra domanda. Il tono di lei è insicuro. Quasi spaventato da ciò che egli potrebbe rispondere. Il tono di lui è preoccupato. Può sentirlo. Quella leggera inflessione l'aveva già sentita quella volta al parco, quando, dal nulla, era spuntato quell'essere. Ma adesso cosa lo preoccupa? < Onosuke è all'accampamento >. Lo guarderebbe, ancora, quel viso aguzzo, bagnato dalle lacrime. Come fa a sapere di Onosuke? Lei non glielo aveva mai detto. < Yosai, cosa sono quelle ferite? >. Il tono della voce è aspro e tagliente. Quasi arrabbiato. Sì, lo sente quell'odio che le scorre dentro. Ci si potrebbe chiedere: con chi è arrabbiata? Beh... con quel mondo marcio. [Chakra on]

19:10 Yosai:
 E come non compatire la povera Tenshi, che sull’isola di Chumoku ha trovato un compagno di missioni e di periferia e a Kiri si ritrova tra le mani un cadavere. Perché questo ha davanti, un cadavere. Un cadavere che non mangia e non beve da giorni, portando i segni del digiuno sul viso scavato e scolorito. Un cadavere che si scorda anche di respirare, un cadavere che non si rende conto che sta piangendo. E cosa consente a quel cadavere di stare in piedi, dritto sui suoi due metri? L’unica cosa che ha: la sua forza di volontà. Una volontà ferrea che, abbandonata a se stessa, prova a ricalcare con quel corpo mosso come un burattino i tratti d’una vita normale, senza una mente a renderla colorata, senza un cuore a farla vibrare. Non annuisce, non sorride, <gli alberi sanno comprendere> si limita a mormorare. Voltando il capo con il collo fino a poter guardare gli alberi, guardandoli senza vederli. Torna su di lei con lo sguardo solo quando sente quel nome, e di nuovo schiude le labbra il gigante spezzato senza toccarla questa volta. S’è reso conto di averla scossa con il tocco precedente e non correrà lo stesso sbaglio, lascia le mani morte lungo i fianchi, lentamente gonfia il torace, come se il respiro gli provocasse dolore <Sii sincera… nel parlargli, Tenshi chan.> mormora stanco <non lasciar andare i momenti con lui> eccolo li, patetica, banale, comune reazione. Eppure questo sta facendo. Nell’alveo vuoto del suo cuore ha trovato abbastanza affetto da esprimerle da chiederle di non fare i suoi stessi errori, come se questo cambiasse le cose, come se questo potesse aiutare lui o peggio lei, che, ignara di tutto, già è tanto se non l’ha preso per pazzo. Alla domanda sulle sue motivazioni non risponde, ma quando lei si interessa alle sue ferite percepisce quel tono arrabbiato e su quel volto sfregiato dal digiuno compare per la prima volta l’ombra di un’espressione, l’ombra dello stupore. Perché dev’essere colpa sua, come ogni cosa, no? Alza le mani piegando gli avambracci fino a portarle all’altezza del plesso solare, le osserva e sente sulla pelle cadere altre due gocce <i..io> balbetta si. Lui che è l’opposto di lei balbetta esattamente come lei. Come si esprime il dolore? Come si fa? Il modo che conosceva l’ha usato, ha colpito tutto ciò che aveva intorno, distruggendo la sua tenda e non potendo avventarsi contro i superiori s’è avventato contro gli alberi di quella stessa pineta. Non ha fatto altro a dirla tutta, Sono ferite di colpi inferti, non ricevuti. L’occhio del medico che è nella rosata potrà capirlo, si è inferto quel dolore da solo, nel tentativo di sfogare qualcosa di tremendamente più grande. Altre due lacrime centrano i palmi delle mani, infilandosi in quelle abrasioni, ma sul viso non c’è disperazione, non c’è espressione alcuna <io volevo far vedere a mio padre che ero degno…> non la guarda, si guarda le mani, ma non guarda neanche quelle, altre immagini scorro difronte a quegli occhi, e non le guarda perché le sente nell’anima <… che ero degno del mio ritorno in famiglia…> quella stessa famiglia di cui adesso si è fregiato gli abiti, cucendo il loro stemma... il SUO stemma, sulla schiena. Un’ondata di dolore lo scuote, traducendosi in un brivido che gli irrigidisce il corpo, e per la prima volta da quando lei è arrivata, chiude un attimo le palpebre lasciando scorrere altre lacrime. Ha scalfito la superfice del non dicibile, del non esprimibile, le labbra schiuse <…> niente esce. Schiude le iridi di nuovo, il lucido delle lacrime dona a quel colore una parvenza di vita, ma non è niente in confronto al vivo color dell’oceano baluginante di emozioni e sentimenti e capace di inondare il suo interlocutore. Sembra quasi voler chiudere quella porta aperta e per istinto si ricollega all’ultima domanda di lei <…mi sono allenato anche io> con quanta violenza hai inferto quei pugni? Quanto dolore volevi infliggere? Quanto dolore volevi infliggerti?

19:44 Tenshi:
 Dolore. Dolore è ciò che la rosata non comprende di lui oggi. Perché lo rifiuta. Perché non sopporta di vederlo così. Si è sempre chiesta perché il dolore debba esistere. E poi ha trovato la propria risposta. Il bene non può esistere senza male. Perché gli opposti, da sempre, sono complementari. E si attraggono gli uni verso gli altri. Perché senza l'altro non possono esistere. Così lontani, ma così vicini, legati dalla loro semplice esistenza. Quel dolore gli sfregia la pelle, consumandola. Gli stringe il cuore, stringendolo in una morsa. Ma lei non lo sa. Non può saperlo. Perché non lo comprende. Non ha mai compreso nessuno. Sono sempre stati gli altri a comprendere lei. A decifrare le sue parole spezzate. A capire quei gesti meccanici che ha sempre fatto senza rendersene conto. Ed adesso la difficoltà negli occhi della rosata è quasi tangibile. Così come quell'odio, che la divora da dentro e che cresce guardando Yosai ridotto in quello stato. Il ragazzo non esprime nessuna emozione. E' apatico, automatico nei movimenti. Come se stesse cercando di comportarsi normalmente, senza riuscirci. Come se non volesse far vedere quel dolore a lei. O, addirittura, come se non riuscisse ad esternarlo. < Hai ragione... sanno comprendere più delle persone > quasi sussurra. Perché lei, in quel momento non è in grado di comprenderlo. E vorrebbe farlo, ma la paura di sapere la blocca. Ed il filo che li tiene legati si tende sempre di più. E si volterebbe anche lei verso la pineta. Verso quel luogo in cui voleva semplicemente sfogare la sua rabbia. In quel luogo in cui voleva migliorarsi. Voleva crescere. E torna a guardare lui, mentre quel torace si alza lentamente, quasi come se il respiro bruciasse. E la sua frase, quel consiglio che Yosai sente di dare alla rosata, accende qualcosa dentro di lei. Avrà trascurato qualcuno? Cosa è successo? Ed i dubbi, dentro di lei, crescono sempre di più, senza trovare risposte. Forse dovrebbe sforzarsi. Forse dovrebbe cercare di trovare le parole giuste. Quelle parole che lei non sa usare. Quelle parole che potrebbero farlo stare peggio di così. E lei non vuole fare guai. Deve sforzarsi. Deve lottare con sé stessa. < Tu... hai lasciato andare i momenti con qualcuno? > chiederebbe, con il cuore in gola. Ancora una volta, ha paura della risposta che il ragazzo potrebbe darle. E poi, sul suo volto, compare un'espressione. E' stupito. Quasi di stucco. Sono state le parole di lei, quelle riguardo le sue ferite. Forse era stata troppo dura. Ma non era arrabbiata con lui. Non potrebbe mai esserlo. Perché lui è la persona più pure che abbia conosciuto. Può vedere chiaramente quanto il suo cuore risplenda di una luce chiara. Una luce che adesso sembra essersi affievolita. E quelle ferite, sono ferite di guerra. Una guerra con sé stesso. Piano, la rosata distende i palmi delle mani. L'espressione si rattrista. E poi, arriva la conferma. Voleva far vedere a suo padre che era degno del suo ritorno in famiglia. La frase è interamente al passato. Qualcosa sarà sicuramente andato storto. Deve curare le sue ferite. E no, non quelle fisiche. Perché il dolore fisico il ragazzo non sembra neanche sentirlo. Come si curano le ferite dell'anima? Ha paura di parlare. Ha paura di fargli del male. Non risponde alle sue parole. Semplicemente, fa due passi verso di lui. Allargherebbe le braccia e circonderebbe la sua vita, se lui glielo permettesse. Il viso verrebbe poggiato sul ventre di lui. Non è in grado di usare le parole. Tutto ciò che le rimane sono solo i gesti. Vuole fargli sentire la sua presenza. Sa che magari potrebbe non servire a molto, perché il vuoto che Yosai sente dentro è incolmabile. Ma può fidarsi di lei. Perché quel filo che li lega, si tende, ma non si spezza. [Chakra on]

20:19 Yosai:
 Quella domanda arriva come un pugno nello stomaco ad interrompergli quel pianto privo di emozione. Quella domanda lo riduce in frantumi, un coltello che penetra dentro tessuti ormai tanto feriti da esser diventati polvere. Si rende conto, improvvisamente, che quella che ha davanti è l’unica persona che le abbia chiesto qualcosa. Non ha visto nessuno, non ha sentito nessuno, la salma è stata riportata a Konoha per i funerali e nient’altro. Quello è il fronte di una guerra. Non c’è spazio per queste cose. Eppure lei, quella che ai suoi occhi è una bambina anche se non si passano più di qualche anno, lei ha trovato il modo e lo spazio per lui, schiude le labbra, ma ancora niente. è lei a trasformare quel filo in fune e a legarlo con un abbraccio. Niente di lui è cambiato esteticamente apparte il colore e le scavature sul volto, potrà sentire i muscoli duri sotto kimono elegante, eppure son muscoli inerti. Non può vederlo, lei, ma sgrana lo sguardo in un’espressione stupita lui, rimanendo li, con le mani aperte e lei dentro. Ed è la sua forza di volontà, l’unica a bruciare in quel corpo, a corrergli incontro. Appoggia le mani sulla schiena di lei e stringe, stringe prima delicatamente, poi, quando il dolore, trasportato dal sollievo di quell’abbraccio, inizia a rifarsi vivo, sempre più intensamente. Piove sul capo di lei, ritmicamente. Ormai è incapace di arrestarsi <Si…> mormora con la voce che ora, oltre che rauca e flebile, si fa spezzata dal pianto, dalla sofferenza che finalmente gli devasta l’espressione apatica sul viso. Digrigna i denti nel tentativo di non lasciarsi andare alla violenza, di nuovo <L’ho odiato Tenshi, sempre> le toglie il nomignolo, non è importante adesso <L’ho odiato da bambino, perché faceva il ninja e non c’era mai…> un tremito lo scuote, irrigidendogli i muscoli, e stringe l’abbraccio quasi fosse lei il gigante, e lui il bambino spezzato <l’ho odiato da ragazzo per l’esilio che mi ha imposto…> chiude gli occhi, nella vana speranza che questo gesto possa impedirgli di ripercorrere quelle immagini. Come andare avanti < Non gli ho mostrato altro che odio, Tenshi, mentre lui si è preso cura di me con tutto se stesso per tutta la vita> ancora un violento singulto lo scuote e la stringe <e quando ho capito quanto gli dovevo, quando ho capito chi era…> Diglielo! Non ci riesce, il bambino spezzato. L’indicibile altrimenti non sarebbe tale. Lascia andare le braccia, di nuovo lungo i fianchi, stringendo, come unico gesto, le mani in pugno. Riaprendo le ferite sulle nocche, i denti ancora stretti tra loro. Solleva i palmi feriti per passarli con forza sul viso, quando li abbassa non c’è traccia di emozione, se non il fatto che l’alone intorno agli occhi, color grigio scuro, s’è arrossato. <Mi è morto tra le braccia> rigurgita quella frase a pugni stretti e a denti stretti. Puntando lo sguardo sulla testa rosata della genin. Non si rende conto del fardello che ha condiviso, non è capace di vedere quanto profondo sia l’abisso sul quale ha concesso alla rosata di sporgersi, così come lei non sa che quell’abisso immenso è più profondo di così.

20:43 Tenshi:
 Lei, che non è mai stata brava con le parole, ha fatto breccia nel cuore di quel gigante spezzato. Ha tirato fuori quel dolore che Yosai si portava dietro da giorni, senza mangiare, senza dormire. Come se quella fosse la pena per i suoi sbagli. La conseguenza dei suoi errori. Sotto le dita di lei, si fanno spazio i muscoli della schiena di lui, quasi immobili, quasi estranei a quella situazione. Lei non nota il cambiamento dell'espressione dell'Akimichi, perché il suo volto è nascosto tra il kimono di lui. Le mani di lui restano ferme per qualche secondo. Come se ancora non avesse realizzato appieno ciò che sta accadendo. Però poi la sente. La sente quella trasformazione del ragazzo, che adesso porta le braccia attorno alla piccola genin, stringendola. E' una stretta delicata, dapprima, che pian piano cambia e diventa sempre più forte. E le sente quelle lacrime che le bagnano il capo rosato, come pioggia in una giornata scura d'inverno. Scura, come il cuore del ragazzo, dilaniato da un dolore, da un vuoto che non può essere colmato. Un dolore che, a poco a poco, viene fuori, assieme ad ogni lacrima versata. Quel corpo, che prima era simile ad un involucro, adesso si riempie di emozioni. Quelle parole, che prima erano solo di circostanza, adesso sono vive. E' come se la potesse vedere quella vita, chiara, che scorre all'interno di ogni parola pronunciata. Quel bisogno di amore. Un amore che lui non è mai riuscito a dare. Ma che adesso tira fuori, come un uragano in tempesta. Ed urlano i suoi sentimenti, può sentirli. Perché, alla fine, nessuno dei due è bravo con le parole. Ma riescono a leggersi dentro. Riescono a scorgere chiaramente quelle emozioni nascoste. Eppure, si conoscono da così poco. Ma loro hanno quel filo. Quel filo che adesso si è trasformato in una corda. Spessa. Una corda che lega uno strambo duo. Una corda che appartiene solo a loro due. E, forse, mai nessuno potrà capire il loro rapporto. Mai nessuno potrà capire come due persone così riescano a comprendersi. Ma, forse, è proprio per questo che riescono a capirsi: perché sono strani. Perché sono opposti, ma complementari. Perché contrari, ma uguali. Le parole di lui sono come un climax crescente, che mette sempre più in risalto il suo dolore. E culmina, nella sua ultima frase, che lo porta ad abbassare nuovamente le braccia lungo i fianchi, lasciando la presa su di lei. Lei che, adesso, spalanca gli occhi. Questo è ciò che porta Yosai dentro. Una morte. La morte di una persona a cui non aveva mai mostrato il suo bene. A cui non aveva mai mostrato quel lato dolce che lei aveva potuto vedere. A cui, forse, aveva solo mostrato quei pugni, che adesso il ragazzo stringe, provocandone la riapertura delle ferite. E lei non lascia andare la presa. Lo stringe, lo stringe ancor più forte di prima, come se non volesse lasciarlo andare. E non trova le parole. Non le ha mai trovate. E gli occhi si riempiono di lacrime, mentre comincia a scorgere quel vuoto che l'Akimichi ha dentro. Quel masso che si porta sulle spalle. Che lo schiaccia. E lo spezza. < Forse gli bastava volerti bene > mormorerebbe, con il viso sul kimono di lui, mentre due lacrime vengono giù dagli occhi cerulei, bagnando la veste del ragazzo. < Forse anche lui si è pentito delle sue scelte >. Non sa quanto queste parole possano aiutarlo. Sa solo che fa male. Sa solo che quel masso adesso lo trasporta anche lei. Non è più solo. < Ma sono sicura che adesso lui è accanto a te >. Non sa nemmeno di chi il ragazzo stia parlando. Forse un tutore. Forse un genitore. Ma quelle parole vengono fuori senza neanche pensarci. Come se qualcuno gliele stesse suggerendo. < Sono sicura che puoi chiedergli ancora scusa >. E basta. Non aggiungerebbe nient'altro, mentre le mani continuano a fare pressione sulla schiena di lui. E mentre le lacrime continuano a scendere da quegli occhi cerulei. [Chakra on]

21:37 Yosai:
 Rimane lì sciolto da lei mentre lei è legata a lui, rimane li su quell’orlo del baratro nel quale lei stessa gli impedisce di cadere. Il gigante spezzato, il bambino sfregiato, tenuto soltanto da quell’abbraccio che gli impedisce di cadere verso l’oblio. Famiglia. Rimane immobile mentre il dolore torna a ruggire in quel corpo vuoto. L’unico segno che la sua sfera emotiva esiste ancora, è proprio quel dolore, non esattamente la migliore delle prospettive per un ninja, che senza la giusta guida potrebbe cedere alla tentazione di perseguire obbiettivi personali ed annegare in un mare di odio e violenza. Da questo lo salva lei, a quel dolore si lega l’affetto che ha verso quella che ingenuamente considera una bambina, ma che per la seconda volta si dimostra molto più forte di lui. Percepisce l’umido sull’addome scolpito, proprio sotto al petto. Sgrana lo sguardo, lei sta piangendo per lui… nessuno l’aveva mai fatto Istintivamente risolleva le braccia, poggiando una mano sulla schiena affusolata, pesante ma benevola, nel tentativo d’esser delicata, e l’altra sul capo, ad infilare le dita nei capelli rosa di lei. È il volto a rimanere deturpato in quell’espressione <Non sono stato in grado di portarlo in salvo…> mormora con la voce rotta nel pianto <ho provato a scappare con lui in spalla ma… mi è morto tra le braccia> ripete. L’ha già detto <ho trasportato il corpo morto di mio padre per...> per quanto? Non può dirlo <quando l’ho lasciato alle guardi dell’accampamento avevo il suo sangue addosso… non lo laverò mai via> si è lavato tante volte, ma quel sangue gli ha inondato la coscienza. Quando gli arrivano le parole di lei annuisce, stringendola più forte, ma senza farle male <vorrei, Tenshi, davvero> mormora. Vorrebbe vederlo li vicino a se, poterlo abbracciare una prima ed ultima volta. Vorrebbe sentirlo, vorrebbe scusarsi <Ho provato rabbia e odio per il demone che me l’ha portato via davanti agli occhi, per me stesso, per non essere stato all’altezza, per non avergli mai detto niente di ciò che provo… l’unico modo che conosco per scusarmi con lui è vendicarlo… ma non ne sono capace!> esclama. Cercando di darsi un contegno, di non apparire il solito frignone. Qualora lei lo permettesse, una carezza scenderebbe dal capo sulla nuca, per poi risalire con la mano <perché piangi per me, Tenshi?> chiederebbe con voce spossata <come fai ad essere sempre così forte per me?> è la terza volta, quella, e i denti gli si serrano quasi da soli <non sono abbastanza> non lo è stato per suo padre, non lo è per la Senjuu, non abbastanza per nessuno. Solo un cumulo di cocci rotti che va rimesso insieme

16:10 Tenshi:
 E stringe. Stringe più forte che può quel corpo appena tornato in vita. Stringe per fargli capire che lei è lì e che non se ne andrà. Né adesso, né mai. Stringe per non farlo cadere di nuovo in quel buio nel quale si era perso. Stringe perché, in fondo, anche lei ha bisogno di lui. Ha bisogno del suo sorriso e della sua spensieratezza. Ha bisogno dei suoi occhi color oceano. Ha bisogno dei suoi scarabocchi sul suo taccuino. Ha bisogno di lui per sopportare quei giorni grigi. Ha bisogno di lui per poter affrontare la guerra. Perché ormai lui è un tassello del suo puzzle. E quel puzzle non sarebbe completo senza di lui. Sente le sue mani che si appoggiano di nuovo su di lei, una sulla schiena, l'altra sul capo. Le lacrime continuano a bagnare il kimono dell'altro, mentre entrambi tirano fuori il proprio dolore. Un dolore che unisce. Un dolore che permette A Yosai di non crollare. Un dolore a cui lui adesso si appiglia per non scomparire. E lo lascia parlare, ancora. Lo ascolta, senza interromperlo. Lasciando che lui si liberi da ciò che si porta dentro. Da ciò che lo sta schiacciando e non gli permette di tornare a galla. < Credo che lui sappia già che alla fine gli hai voluto bene > mormorerebbe, carezzandogli la schiena con la mancina. Adesso, sa che la prima vittima di quella guerra appena iniziata è il padre dell'Akimichi. Un padre che forse gli aveva dimostrato il proprio affetto nel modo sbagliato. Un padre che lui aveva sempre odiato. Un padre che lui ha scoperto di amare quando ormai era troppo tardi. E lui la stringe, ancor più forte, quasi per dirle di non lasciarlo andare in quel momento. < Altrimenti, non avresti mai cercato di portarlo in salvo >. Il viso verrebbe alzato, mentre lo sguardo pieno di lacrime cerca quello di lui. Tra le lacrime di lei, un sorriso. Un sorriso tenue. < Arriverà il momento in cui tuo padre potrà essere vendicato. Ed io ti prometto che, in questo lungo viaggio, ti sosterrò sempre > senza mai farlo cadere. E, qualora cadesse, sarebbe disposta a rialzarlo solo con le proprie forze. Sul suo viso, il sorriso permane. Quel sorriso è un bagliore di luce in quella giornata ricolma di nebbia. Perché lei è capace di comunicare solo attraverso i propri gesti e le viene difficile farlo a parole. E lascia che lui le ponga quelle domande, continuando a guardarlo mentre le lacrime scendono giù dagli occhi di lei. < Perché noi siamo simili > è tutto ciò che risponderebbe, ad esntrambe le domande. Tenshi e Yosai. Così lontani, ma così vicini. [Chakra on][equip lo stesso]

16:30 Yosai:
 Lo sguardo si sgrana, spalancandosi, le prima parole della rosata scavano tanto a fondo nella sua anima distrutta da trovare il germoglio seppellito sotto quelle macerie. Le ultime parole del padre, seppellite in un mare di disperazione “tu sei il mio orgoglio” smette di respirare, potrà sentirlo lei, schiudendo le labbra, esterrefatto “tu sarai la stella che illuminerà le notti senza luna” ed è proprio la rosata a piantare quel seme nel profondo di quell’anima. Un seme di una luminosità tale da infrangere la catatonia nel quale, per protezione, si è avvolto. <io…> che dire? Come si descrivono le illuminazioni? Non si può <si> mormora semplicemente. Si ha ragione lei. Si lo sapeva, l’ha capito. Un’ondata di dolore di nuovo l’attanaglia al pensiero di cosa sarebbe successo se solo l’avesse capito prima. Ma con i se non si fa la storia, e il passato non cambia. Mai. C’è un presente da apprezzare e un futuro da costruire. Così abbassa lo sguardo verso di lei che emerge dal tessuto del chimono. Alza lentamente le mani solide e tutt’altro che delicate, per poggiarle ai lati del viso di lei, passando le prime falangi dei pollici sulle guance, sotto gli occhi, ad asciugare quelle lacrime. <vale lo stesso per me.> è l’unica cosa che può dire. Regalandole un sorriso. Un sorriso diverso, dolce. <so che hai già la tua colonna portante ma… mi troverai. Quando ne avrai bisogno, mi troverai> e non prima. Perché prima ci sono gli altri, ma dietro, alle spalle di quella piccola rosata dal sorriso tenero, si staglierà sempre l’ombra di un gigante rinato. Come con i bambini, a spaventare chiunque le si pari davanti. Ed è li che, senza volerlo, rivela che conosce la sua colonna. Ecco perché la domanda iniziale sull’Aburame. L’ha conosciuto. Ha saggiato le sue convinzioni, l’ha ammonito sull’importanza di restarle vicino. La percepisce, la paura di lei, se ne fa carico come lei si è caricata il suo dolore. Una condivisione di fardelli, per viaggiare tutti e due più leggeri. <si> sono simili, commenta osservando quell’ovale che, con il permesso di lei, sarebbe racchiuso nelle sue ampie mani <e siamo inarrestabili> c’è coppia più affiatata? Chissà.

16:59 Tenshi:
 Resta lì, abbracciata a lui, come se quello che ha tra le mani fosse qualcosa di preziosissimo. Qualcosa da proteggere, che altrimenti si romperebbe. Yosai è un tesoro trovato quel giorno al parco. Sembra passata un'eternità da allora. Non per la quantità di tempo in sé, ma per tutto ciò che, nel frattempo, era accaduto. In quello stesso pomeriggio in cui si erano conosciuti, il filo del destino li aveva legati insieme. Ed è stato proprio in quel giorno che i due si erano resi conto di aver appena trovato qualcosa di importante. Qualcosa per cui vale la pena combattere. Molto più di una semplice amicizia. Quello, è l'amore di una famiglia. Si dice che i fratelli non si scelgano, ma si accettano per ciò che sono. E questo, è ciò che è capitato ai due genin. Non si sono mai scelti. Piuttosto, è stato il caso a sceglierli. E, subito, si sono accettati. Subito, hanno teso la propria mano l'uno verso l'altra. E l'hanno presa. E l'hanno stretta. E l'hanno custodita. Perché in quel mondo grigio, c'è bisogno di due come loro. In quel mondo grigio c'è bisogno di qualcuno che riesca a farti tornare il sorriso. E lui, che adesso smette di respirare, ha trovato qualcosa di nuovo dentro di sé. Un nuovo seme è germogliato nel suo cuore, sentendo le parole di lei. Il ragazzo non sa bene cosa dire, non sa bene cosa rispondere. Ma nel suo cuore sa già di essere stato l'orgoglio del padre. Sa già di esserlo stato fino all'ultimo minuto. Fino all'ultimo respiro. Le sue grandi mani, vengono poggiate sul viso di lei, bagnato dalle lacrime. E, piano, esse si arrestano a quel tocco. Gli occhi cerulei incontrano quelli color oceano di lui. E le loro labbra si distendono in un sorriso reciproco. Si distendono davanti a quella nuova consapevolezza. Non saranno mai soli. Si sosterranno a vicenda. Lei potrà contare su di lui, come conta adesso su Onosuke. < Io ho bisogno di entrambi nella mia vita >. Onosuke è il suo primo amore. Yosai suo fratello. E loro sono le colonne portanti della sua vita. Colonne che, per caso, hanno deciso di sorreggerla. E di stare al suo fianco. Ed anche lei sarà la loro colonna portante. Piccola e fragile, ma con un cuore grande. E quel cuore così grande può vederlo anche nell'amico che ha di fronte. E quella paura che da giorni la accompagna, improvvisamente si divide a metà. Lui se ne carica, come lei ha fatto con il suo dolore. Ed il mondo, in quel momento, sembra meno grigio del solito. Sì, loro sono inarrestabili. E le mani di lei verrebbero sollevate, per essere portate su quelle di lui, ancora poggiate sul viso della rosata. < Ti voglio bene >. Ed un altro sorriso le incornicerebbe il volto. [Chakra on][equip lo stesso]

17:16 Yosai:
 Eccoli la, due fratelli per caso, dal caso uniti e dalla volontà consolidati in una struttura unica. Annuisce, tentando con quel sorriso, di infonderle tranquillità nello stesso modo in cui c’è arrivata lei <ci sarò> non garantisce per nessuno, se non per se stesso. Chi può dirlo quanto lontano potrebbero esser spinti dalla vita. Saprà come tornare da lei nel momento del bisogno. Non è mai riuscito a stringere un saldo rapporto con il villaggio, questo è vero. A sua vita particolare non lo porterà mai a desiderare il bene di chiunque. Selezionerà sempre con cura le persone a cui tenere. E ne ha trovata una proprio lì. In guerra, dove tutto muore, qualcosa nasce. <anche io> le risponde ricambiando quel sorriso e tirando le labbra fino a snudare la bianca dentatura. Approfitta che l’altra abbia sciolto l’abbraccio per fare un passo indietro e allora, solo all’ora, un ringhio sordo, cupo, viscerale, sale alle orecchie di entrambi. Allarga lo sguardo dalla sorpresa il gigante sfregiato. Che cosa sarà mai quel verso bestiale? Proviene esattamente da davanti alla rosata. È lo stomaco del ragazzo che, rimasto contratto per giorni, si stà rilassando, ed è completamente vuoto <ho fame> mormora con sguardo colpevole. Pessimo. Decisamente pessimo. Ma realizza solo in quel momento di aver mangiato niente e bevuto forse anche meno. Le guance smunte e il colorito cadaverico lo testimoniano <mi…accompagneresti?> e perché mai? Perché non ha le forze e qualora dovesse svenire almeno c’è un ninja medico con lui… una sorella dai capelli rosa.

17:31 Tenshi:
 Lei che non era mai riuscita a rapportarsi con gli altri, adesso ha accanto delle persone speciali. Lui, che non aveva mai avuto un buon rapporto con il proprio villaggio, adesso ha deciso di prendersi cura di una sua compaesana. E di quel periodo, così buio, i due sapranno portarsi qualcosa dentro: il bene che si vogliono. E quelle parole dette in riva al mare, in una giornata grigia. Un fiore è appena nato in quel terreno arido. In una guerra in cui nessuno è sicuro di ciò che accadrà, lei ha trovato la propria sicurezza: quel fratello incontrato per caso, resterà al suo fianco. Quella famiglia si tenderà sempre la mano a vicenda. Il sorriso si distende ancora, mentre qualcosa turba quel momento di serenità che i due sono riusciti a raggiungere. Quasi un ringhio quel rumore che sembra provenire dallo stomaco dell'Akimichi. La rosata fa uno sbuffo divertito, quasi a voler sopperire una risata. Finalmente, il gigante spezzato è tornato a vivere. E la sua fame ne è la dimostrazione. Egli non cadrà più. E, qualora cadesse, avrebbe una colonna a sostenerlo. Una colonna piccola e rosa. Ma forte a tal punto da rialzarlo. Allungherebbe la propria mano destra, la genin, nel tentativo di acchiappare quella di Yosai. < Offro io oggi > E, se fosse riuscita ad acchiappare la sua mano, lo trascinerebbe con forza verso il ristorante più vicino. Lei non lo lascerà mai più solo. [END]

Yosai incontra Tenshi poco dopo la morte del padre. La rosata riesce a trovare il modo di farlo aprire, sfogando con lui le sue paure. Dalla condivisione i due escono consapevoli di aver trovato una persona su cui poter contare.

Un ringraziamento a Tenshi per la caparbietà con cui ha accettato di portare avanti questa role, cominciata troppo tempo fa (<3) e per aver sopportato la giocata "full of feels" e poco movimentata (<3 <3)