uno strano incontro in spiaggia
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Giocata del 29/03/2020 dalle 16:10 alle 18:31 nella chat "Spiaggia"
La disperazione l'ha travolta completamente, distrutto l'unico rapporto di vera amicizia che la piccola abbia mai avuto nella sua vita. La frustrazione per non aver potuto aiutare sua madre, il rimpianto per non aver potuto parlare con lei un ultima volta la divorano e la devastano. Ha un solo modo per sfogare tutta quell'immensa rabbia e dolore che ha accumulato in quel giorno, ha trovato un posto appartato al parco per esprimere tutta il suo immenso cordoglio tramite la propria musica. Sulla sabbia asciutta, tra il rumore delle onde, si fa largo la splendida luce solare che trasuda dai meandri delle nuvole sparse; barlume malato di caldo che lentamente si nobilita verso la primavera, da quell'inverno freddo che attanaglia il mondo con la sua morsa gelata. Una giornata comunque mite, senza pioggia alcuna, cominciando il loro decorso verso la rinascita dello splendente Apollo e il dissiparsi delle tenebre sul mondo. Tuttavia una coltre di nebbia circonda il luogo con la sua morsa e ostruisce lo sguardo a chiunque si trovi a passare. Per non restare rinchiusa con i suoi pensieri, per non essere trasportata dalla disperazione, la piccola Uchiha ha deciso di stazionarsi nuovamente sotto l'ombra di una volta arborea su quella fine spiaggia che si eleva per pochi metri verso l'alto, per lasciarsi trasportare da soavi note musicali; le proprie dita cercano i fili dello strumento e, sinuosamente, li pizzicano con leggiadria magistrale. Si trova inginocchiata sotto un grande arbusto, forse un pino marittimo che protegge con i suoi aghi la grande vegetazione che si staglia sull'isola, circondata dai minuscoli frammenti della fatica della natura sul quale poggiano le proprie gambe, con il sedere accomodato sui talloni. Davanti a sé, poggiato sulle sottili cosce, si trova un tradizionale Shamisen che emette dei suoni malinconici, un doloroso requiem che non cessa ad ogni movimento delle proprie mani e, magistralmente, cercano di emanare quella melodia carica di una disperazione atavica, quasi come se un sentimento di puro dolore estatico possa sprigionarsi dalla figura minuta e pervadere il luogo trasportato dalle onde sonore. Queste si propagano nell'etere raggiungendo in un attimo tutti coloro che possono udirlo, che sono coscienti della presenza di qualcuno che le suona e che si innalza verso le più alte vette della passione. Non è null'altro che una ragazza, molto fine e dall'aspetto curato ed elegante, indossa infatti un leggero kimono candido che si apre dietro la schiena e davanti al petto a mostrare un colore rosso sanguigno. Lo stesso colore che cinge, con quella lunga fasciatura, il ventre per più volte, un tessuto che stringe l'abito e lo tiene fermo e che, infine, si appunta dietro la schiena a formare una sorta di grande cuscinetto. Nel folto di lunghi codini biondi, che cadono ai lati della figura, si confondono ad appuntarli, su entrambi i lati, dei grandi campanellini dorati che, quando ella muove il capo, producono un suono sordo unendosi alla dolcezza delle note prodotte, quasi usasse un secondo strumento supplementare [Drin - Drin]. Infine, come coronamento dell'edificio, i piedini, avvolti da due calzari di seta leggera, calzano un paio di Geta alti, così da farla apparire una figura quasi trascendente e antica. Un'espressione spenta, con profonde borse sotto le palpebre, senza un velo di trucco e le cavità oculari gonfie per il pianto. Pare persa in quel mare di suoni che la trasportano via da quel luogo, è lì ovviamente, ma completamente rapita dalla melodia che sta suonando, completamente travolta dalla disperazione per la perdita subita. Il terreno viene percepito dalla piccola ragazzina con chiarezza, un contatto estremamente vero con la terra, un connubio messo sul tappeto magnifico dei versi che vuole raccontare qualcosa che tocchi, che possa far condividere quel sentimento in modo anche molto metafisico, con gli animi delle creature che l'ascoltano. Per il momento questi sono gli animali della spiaggia, dal più minuto insetto al predatore del mare, ma anche la flora che la circonda non manca, per quanto non può evitarlo data l'immobilità della scena, di vibrare al ritmo delle corde della piccola suonatrice. Figura che non manca di mettere alla prova le proprie facoltà, non per coloro che possono ascoltarla, ma solo per sé stessa, esclusivamente per una sfogo interiore e uno stordimento dell'animo che, d'improvviso, sembra prendere il volo sognante, spiando il ritratto che pare essere immortalato ove lei, nella scena centrale, è immortalata mentre muove le dita e i polpastrelli sulla tastiera dello strumento e tutto ciò che la circonda sembra unire, in un connubio perfetto l'arte della musica, in un impulso dionisiaco la vita con l'arte. [Equipaggiamento: Porta kuni e shuriken X2; Portaoggetti X1: Tonico recupero Chakra Speciale X1; Tonico recupero Chakra X10; Fumogeno X1; Fuda con tronchetto da sostituzione con carte bomba X5; Carte Bomba X5; Bombe luce X2]. [spiaggia] non è niente altro che una forma deforme, laggiù in fondo, tratteggiata da mano delicata sullo sfondo opaco della spiaggia velata dalla nebbia. È fra le sue magli infatti, che il giovanotto inizia a delinearsi come se esse aprissero lentamente il loro sipario, dapprima come una tinta cupa che annerisce la caligine e, poco dopo, come una linea allungata e sottile che aumenta il suo volume con lo scorrere dei secondi – è evidente che si avvicina! Se Usagi guardasse in quella direzione, vedrebbe tutto questo scorrere avanti ai suoi occhi in non troppo tempo, in fondo la nebbia persiste bassa ma non è densa al punto da mostrare qualche metro o poco altro: lo nasconde gelosamente all'inizio, ma poi cede e la sagoma del ragazzetto inizia a dipingersi per quello che è e niente altro; lo fa quando si trova a circa una quarantina di metri circa verso mezzogiorno rispetto quell'albero sotto al quale Usagi riposa e rimugina, suona e riflette. Il Deshi della Foglia proveniva da lontano e, forse, è stata la musica stessa ad essergli guida ed esca assieme e non è poi così difficile intuire che sia proprio Lei il suo obiettivo: lo si intuisce da come, per pochi istanti, il giovanotto che agita la bruma marittima si fermi alcuni momenti quasi fosse indeciso sulla direzione da prendere e come, poco dopo, scelga di muoversi proprio in direzione della Genin, virando appena la propria traiettoria e iniziando a scostare gli ultimi fragili drappeggi della nebbia. Non fa nulla per essere silenzioso, ma è un giovanotto di giovanissima età, scalzo, che cammina sulla sabbia, immerso nelle note musicali a rivaleggiare con lo sciabordio delle onde. Lo Shamisen, già di per sé, si presenta come uno degli strumenti dal suono più triste che si possa udire, naturalmente una brava suonatrice come la piccola che si esercita ogni giorno, forse più di quanto non faccia con le arti ninja, potrebbe anche trarre un'enorme piacere da quel suono, ma non in quella circostanza. Solo un giorno è passato da quella scena che ancora le ritorna alla mente con sconcertante realtà, la morte della madre l'ha devastata e non riesce ancora a sorridere, il suo bel riso, quello che trasporta tutti nel mondo delle favole e li travolge con la sua energia ormai è solo un ricordo per chi non la intende. Ormai la bella parvenza dei mondi di sogno lascia il posto ad una tragedia ellenica che si dipana nei meandri e nello sfogar delle onde marittime. Una scena dolorosa viene rappresenta soltanto da Usagi che non cessa per un momento di far vibrare le corde, a miracolar mostrare quasi il presupposto di tutta l'immagine che si palesa davanti all'osservatore che voglia lentamente apprestarsi a raggiungere l'albero divino sotto il quale avviene quella sorta di magica esistenza, dolorosissima realtà empirica che l'è stata stravolta in pochissimi istanti, in un tempo incredibilmente breve, un istante nel quale i grandi occhi rossi si sono posati sulla macabra grafica che l'è stata posta come un mortifero regalo. Oltre alla rappresentazione visiva e la composizione del totale compianto, la musica che si ode sembra parlare, muoversi con un energia quasi magnetica nell'aria, supera i nodosi rami degli alberi e si propaga nell'immensità; note che parlano di nostalgia, un cantico che pare spezzare l'incanto di ogni cuore afflitto da letargia e che è stato ferito e dilaniato da qualsiasi cosa. In quell'assonanza musicale, la piccola cerca comunque di immergere tutta sé stessa, concentrata nell'esecuzione certo, ma è qualcosa di più profondo e spirituale che la muove, ciò è anche dimostrato dal corpo e dai suoi movimenti, sembra suonare lo strumento con ogni molecola o atomo che possiede, il busto si muove in modo circolare come a seguitare le note dello spartito, in un crescendo e un calando quando questo si facesse suono. Urlano i suoni, urla la mente e urla lo spirito. Le grandi iridi sono semichiuse, come se volesse essere totalmente in balia del suo componimento o dell'animo che sta scaturendo da lei, da quell'energetica psichica che non cessa mai di propagarsi, tuttavia si possono tranquillamente notare, tra le fessure delle ciglia folte e argentate, un vermiglio acceso, quasi risplendessero di luce propria. Ferma il capo solo quando nota l'avvicinare di una figura oltre la nebbia, per quanto la propagazione sonora non cessi e si sente sfogare ciò che di più marcio possa esistere nel mondo, come se volesse portare a termine il lavoro e che nessuna presenza possa impedirglielo. Le labbra sottili si dischiudono per far fuoriuscire un lungo sospiro, come se l'anima d'improvviso volesse prendere il volo. Si unisce intanto un suono sempre nuovo e crescente, quanto più spesso e più a lungo la riflessione degli ascoltatori si occupa di questo, come se il componimento stesse per raggiungere la sua giusta conclusione. Così continua, imperterrita, priva di alcun barlume di felicità, dando sfogo alle dita che toccano i tasti dello strumento con forza, tanto che vuole sfogare la sua irrequietezza. Intanto il territorio musicale comincia a prendere una virata, seppur leggera, sempre più acuta, via via che avanza il motivo i bassi diventano sempre più sparsi e radi, mentre gli acuti si fanno frequenti e indomabili, muovono i toni come il passo costante di un cavallo che si trasforma lentamente in un trotto e poi in un galoppante sentimento di dolore dalle malinconiche forme. In quello che si può udire c'è una nota discordante, un basso la minore viene percepito come uno spettro in tutta la canzone, un dolore forse mai lasciato o una prigionia mai spezzata, ciò può esser noto ad un ascoltatore attento. Infine, come a chiudere un'orchestra cacofonica, un'ultima nota viene fatta vibrare, acuta e continua, che corona il termine dello spartito. Solo allora abbassa le mani sulle cosce e i polmoni si dispiegano causando un profondo respiro, come si fosse liberata da una fatica incredibile o semplicemente uno sfogo istintivo che si conclude con una sonata al di sopra della spuma marittima. Solo in quel momento le palpebre si schiudono posando i vermigli loculi, che adesso si notano chiari e distinti, sulla presenza maschile che l'ha richiamata alla realtà durante la melodia ma che non è riuscita a scalfirla in quella tradizionale e antichissima arte. Tuttavia non emette un flebile suono, le labbra restano serrate, portando lo sguardo a rimirare le corde dello strumento. <Chi sei?> Domanda rivolta a quel ragazzo, a quella figura evanescente che dalla nebbia si è avvicinato a lei. [Stesso Equipaggiamento]. [spiaggia] si ferma nuovamente, ma questa volta si trova ad una ventina di metri scarsi e sta palesemente guardando in direzione di Usagi, come se avesse finalmente trovato ciò che andava cercando poc'anzi con quel suo girovagare silente sulla spiaggia, fra le nebbie di questa primavera che stenta a decollare veramente. È un ragazzetto imberbe, alto non più di un metro e cinquanta – probabilmente anche meno – secco come il virgulto appena piantato e con una zazzera di capelli scompigliati e neri come lo è la notte senza luna trapuntata di stelle; tiene dei calzari fra le mani, come se li avesse tolti per poter godere del delicato solletichino della sabbia sotto la pianta dei piedi e sono i sandali che è tipico vedere addosso ai Ninja, quelli in pelle e gomma che lasciano scoperto la punta dei piedi ed i talloni. Non sembra avere con sé equipaggiamenti particolari, da quella posizione la Genin potrà dedurre l'assenza di zaini e anche di scarselle particolari sia in vita che sugli arti; non sembra indossare nemmeno un copri-fronte – ne sul capo dove sarebbe giusto andasse, né altrove come invece molti usano portare – e quegli stivaletti che tiene nelle mani, uno per arto, potrebbero essere l'unico vero e proprio indizio per accomunarlo alla carriera militare. Rimane quindi fermo a lungo, ascoltando le note di quella particolare melodia quasi godesse del suo cammino, osservando con vivo interesse la ragazza che va generandola; quasi temesse di disturbare, permane muto perlomeno sino a quando non è Lei, per prima, a rompere la triste quiete del luogo. <scusa, non volevo interromperti!> ha voce limpida rotta da una nota di colpevole sentimento. Sgrana gli occhioni, che da quella distanza sono comunque chiarissimi, troppo chiari per essere accomunati a qualsiasi altro occhio, e arretra di mezzo passo, il capo stesso che arretra di quel poco spazio come temesse di venire colpito da chissà quale reazione. [Spiaggia] Lascia naturalmente che l'astante sconosciuto ragazzo si culli con la propria musica, forse sarebbe stata compiaciuta, in altre situazioni, di quell'attenzione mostrata, attualmente non riesce a fare altro che a muovere le dita e far prendere forma al tormento, al compianto, al lamento di quell'arte, intendendo del suo stesso stato d'animo, ad avere coscienza della nuda e dura realtà. Solo quando termina e prende parola, cerca di prestare attenzione al ragazzo che le si trova davanti. I grandi occhioni rossi si fiondano ad analizzarne la figura, le sottili fattezze e il suo vestiario. <Non l'hai fatto. No no no...> Scuote leggermente il capo, impedendo comunque che i campanellini sul proprio codino sinistro suonino, come a volersi stazionare in un tacito cordoglio. Sembra leggermente più viva, anche per via delle parole che pronuncia, ma la ferita è ancora aperta e le labbra non riescono ancora ad incantare in un sorriso. <Ma non posso fare a meno di notare...> E porta nuovamente il capo verso il basso, mentre le dita sfiorano e solcano i crini di quello strumento nostalgico ancora avvolto tra le sottili braccia. <Che hai mancato di rispondere alla mia domanda.> Nel riportare nuovamente lo sguardo su di lui nota come cominci ad indietreggiare lentamente, cosa che le impone a inclinare il capo verso destra, con una movenza quasi impercettibile. <Non ti mangio mica.> Inarca le sopracciglia accigliata, sfarfallando pesantemente le grandi palpebre [Stesso equipaggiamento]. [spiaggia] acquista presto un nuovo equilibrio, dopo quel mezzo passo che lo ha allontanato da Usagi quasi dovesse scansarne fisicamente l'accusa e rimane in silenzio ad ascoltare le sue parole senza guardarsi attorno se non un istante solo, con un'occhiata fuggente che taglia la nebbia di netto e di traverso, da sinistra verso destra con una sventagliata rapida utile forse a controllare l'area, magari invece solo a combattere un moto di timidezza interiore – ardimento che si denota forse anche sulle sue gote, imporporate ora da un vago rossore forse intangibile per la Genin. Indossa brache a pinocchietto ed una maglia a manica lunga: entrambi gli indumenti sono di una stoffa sufficientemente pesante da risultare adatti al movimento piuttosto che alla staticità, vestiti insomma che fanno della praticità e della comodità la loro prima arma rispetto eleganza e bellezza. Di colore grigio scuro, come d'un fumo torbido di miasmi soffocanti, Usagi può averli visti addosso ad altri colleghi, magari addirittura come base di un equipaggiamento più mirato rispetto le volontà del singolo. <io sono Harai!> esclama, ancora con quel timbro cristallino che accende la quiete del luogo di una nota fresca e arzilla, forse un poco fastidiosa. Non avrà più di tredici anni, probabilmente meno, quel giovinotto dalla pelle chiara che sembra preda di emozioni agitate come potrebbe esserlo il mare che si prepara alla burrasca. [Spiaggia] Lo guarda attentamente, sondando con estrema caparbietà il ragazzo che le si palesa davanti, tra i fumi nebbiosi che li circondano, mentre le sue parole sembrano ridestarlo da una letargia atavica e paura del prossimo. Almeno a lei appare leggermente intimorito dalla propria presenza, non capendo come possa, una ragazzina così carina, incutere tale timidezza. Ciò le impone ad inalare molta aria all'interno delle piccole narici, mentre il petto si gonfia in modo titanico; a quel punto un profondo sospiro malinconico viene gettato nell'aria torbida, velo della natura matrigna che li circonda. Quindi, spostando le braccia verso destra, prova a poggiare il delicato strumento alla propria sinistra, sul terreno sabbioso che li circonda. <Piacere di fare la tua conoscenza Harai-Chin...> Si sottolinea sempre l'utilizzo di quei suoi appellativi strani che affibbia ad ogni persona di cui conosce il nome. Lo sguardo della ragazza comunque appare molto stanco, gli occhi gonfi e con grandi solchi al di sotto venati di viola, denotando uno scarso sonno e stanchezza. <Il mio nome è Usagi-Chan.> Muove lentamente la gamba destra in avanti, sollevando il bacino verso l'alto, così che il rispettivo piede possa piantarsi saldamente al suolo e far perno sulla rispettiva leva per sollevarsi in una corretta posizione dritta, completamente in piedi, sfoggiando quell'abito dalla sconcertante dicotomia da quello indossato dall'altro ragazzo. <Cosa sei venuto a fare alla spiaggia?> Una domanda semplice, che denota soltanto interesse. Quindi, come principiale movenza, le braccia si muovono velocemente davanti al corpo, piegate verso l’interno a circa trenta centimetri dal petto, proprio all’altezza del principiale organo palpitante, mentre le mani cercano un congiungimento estremamente preciso. Volendo emulare l’esatta posizione che l’è stata insegnata durante la prima lezione da allieva che ha sostenuto all’accademia, ricordando e avendo memorizzato ogni singola cosa insegnatale, tenta di dirigere le dita verso l’alto così da chiudere verso l’interno le ultime due della mandritta e appoggiando le opposte su queste; i polpastrelli dell’indice e del medio della prima verrebbero uniti all’altezza dell’intersezione tra la falangina e la falangetta della seconda, ed in pollici misti in quell’unione d’intenti che le permetterebbero, con minuzia, di simboleggiare il simbolo delle Capra. Non manca di riprodurlo fedelmente ed in modo del tutto impeccabile, essenziale principio di tutto quello che può fare. Se infatti tutto fosse andato alla perfezione, se il posizionamento non fosse fallito, passerebbe velocemente alla successiva fase e comincerebbe a riprodurre quell’energia trascendentale, condizione senza la quale non ci potrebbe essere alcun richiamo, che unisce le due principali nel proprio organismo. Allora è proprio la componente mentale la primaria forma di rappresentazione sulla quale ella cercherebbe di far perno, una concentrazione assoluta alla quale si aggiungerebbe, per il successo dell’esercitazione, l’immaginazione propria. Quest’ultima rappresenterebbe, cercando di non farsi distrarre dal alcun movimento esterno intorno a sé, in modo del tutto naturale, data la facoltà innata insita in ogni essere vivente, le due cose che rappresentano, per lei, l’energia fisica e psichica. Il suo mortale infermo, attristo e stanco, assoggettato dalle fatiche di tutti i giorni, richiama l’immagine del cibo e dei dolci che lei tanto ama, cioccolata, cannella e ogni altra cosa bella; intanto la sua parte migliore, che s’erge a cura dell’anima, affliggendo il corpo con crudeli pesti, richiamerebbe il gioco degli orsetti di peluche e dei cavallucci a dondolo che tanto le piacciono e le stimolano la fantasia. Dovrebbe quindi essere scontata l’unione così accesa tra le due forze in perenne scorrimento, come fiumi di diversi fluidi, nel proprio corpo che, sfociando per trovare pace all’altezza del ventre, inciderebbero in un’unione sintetica. Una chiara dialettica tra corpo e anima in quelle energie così enfatizzate che comincerebbero ed essere, in quel determinato posto, centrifugate in un vortice profondo, così come il panettiere unisce l’acqua e la farina per dar vita alla pasta, così ella cercherebbe di unire le due energie per far trasudare dal corpo e da tutti i pori di fuga della propria pelle. Per le sole persone che possano mirare quel sublime spettacolo, il chakra della piccola verrebbe rappresentato come fasci di rosata energia che defluirebbero dalla pelle, creando una bellissima opera d’arte della quale lei è la protagonista indiscussa. Il motivo è puramente analitico, ovviamente non teme che l'altro possa nuocerla, ma sicuramente trova giusto prendere le dovute precauzioni [Chakra On] [Stesso equipaggiamento]. [spiaggia] rimane in silenzio, fermo in quel limbo statico fra il volere fare ed il voler non fare. È un ragazzino fragile all'apparenza, con quella magrezza figlia dell'età di cui è foriero e non dovuta a qualche stento o alla mancanza di sonno. Il suo viso è placido e i lineamenti ancora ingentiliti dalla fanciullesca ingenuità tanto che non le sarà difficile intuire come essi non abbiano ancora incassato i colpi della vita, dell'esperienza, della morte. <piacere di conoscerti, piccola Usagi.> replica andando a rilassare parzialmente la tensione muscolare, scostando il peso in avanti sino a guadagnare quella spanna che aveva perso poco prima sull'assalto vocale della ragazza. <beh, mi stavo allenando e poi..> parla con voce nitida, simpaticamente acuta come solo quella di un piccolo ragazzino potrebbe essere, ma quando la vede muoversi, quando la vede stendere quelle due dita avanti al volto e ricercare un momento di serenità interiore, ebbene, qualcosa s'agita dentro di lui come di una vampa che s'accende feroce e improvvisa. Lo si evince da come sgrani gli occhi, quegli occhi chiari, densi di una pallida malinconia, e da come, seppur per pochi istanti, trattenga il respiro dentro al corpo, imprigionando l'aria nei polmoni per rilasciarla solamente una manciata di attimi dopo, quando cioè la razionalità subentra alla sorpresa e alle emozioni. È facile comprenderlo: il ragazzetto lascia andare i propri stivaletti e in un lampo – un lampo per lui che è un Deschi, giovanissimo ed inesperto – tenta di assumere una posizione difensiva consona a chi, evidentemente, di arti marziali se ne intende: tutto parte dalla torsione in senso orario delle anche e del busto. La gamba sinistra dunque sopravanza la gemella, che funge da perno, e mentre quest'ultima flette vistosamente la giuntura del ginocchio, la prima arraffa terreno in avanti, spazzando la sabbia con secca decisione, andando quindi ad offrire il fianco mancino alla Genin. Il torso ed il busto ovviamente seguono quel movimento, e in maniera fluida e pulita lo trasmettono alle spalle: da loro, le braccia frustano l'aria con una precisione degna di nota, per un così giovane pargolo. Il braccio sinistro è in avanti, leggermente flesso, mentre il braccio destro piega completamente il gomito, si da avvicinare a la mano corrispettiva al petto. In quel palpito stende le dita delle mani, lasciando solamente i pollici a chiudersi sui palmi, che vengono mostrati a colei che fino a poco prima suonava lo strumento musicale e, ora, accende il proprio corpo dell'energia misteriosa definita come Chakra. <fffff> è un sibilo sommesso, come d'uno strale scoccato da una cerbottana che si porta via tutta la serena innocenza di quel musetto simpatico; rimane simpatico, perché è certamente buffo, ma ora è solamente determinazione quella che si può leggergli addosso. Una determinazione figlia di un addestramento severo ed austero, dopotutto. Ne ascolta le parole e, essendo venuta a conoscenza del motivo per il quale è giunto sino alla spiaggia, inclina il capo verso le proprie parti dritte, mentre cerca di centrifugare l'energia metafisica che risale a pervadere tutto il proprio corpo. Non può fare a meno di notare, mentre si prepara con grazia, quello scatto del ragazzo che si mette in posizione difensiva. Fa un leggero cenno di assenso con il capo, mostrando solo con quello un'assenso alle sue movenze. In teoria non tutti possono vedere il chakra che scorre nel corpo di una persona, ci sono davvero pochi individui dotati di una capacità tale da poter individuare le scie energetiche che sfilano dalle persone o dagli oggetti pregni di questo potere. La piccola è proprio una di queste e non si fa per nulla scrupolo a far defluire una minima quantità di quella forza, presente attualmente all'interno del ventre, verso l'alto come una serpe velenosa che striscia e si insinua in ogni sua viscera, in ogni suo organo, invadendo di prepotenza gli tsubo semplici per invadere quelli dei propri occhi diabolici. Maledette iridi rossicce che si tingono di una luce pericolosamente vermiglia, una diabolica forza che si palesa in entrambe le iridi come un cerchio nero all'interno della pupilla, macchiata a sua volta da una piccola forma astratta, orpello maledetto di segreti sgraziati e privi di pietà. Un solo ed unico tomoe a scoccare la mezza ora nei bulbi oculari, un unica forma che le concede un potere incredibile. Tutto il mondo si tingerebbe di un colore spaziale, diverso da ciò che avrebbe mai potuto vedere privata di quel potere, ogni linea di chakra sarebbe visibile, chiara e distinta al proprio sguardo, tanto da farle comprendere l'assenza di qualsivoglia impasto da parte del giovane che le si trova davanti. Un profondo sospiro esce dalle proprie labbra, mentre, più tranquillizzata, abbassa le braccia per portarle dietro la schiena e qui, con una dolce carezza, si intrecciano e si abbracciano teneramente. <Posizione di difesa...> Un leggero cenno d'assenso con il capo. <Ma non hai nemmeno impastato il chakra. No no no.> Scuote leggermente il capo enfatizzando le proprie parole con ogni singolo gesto del corpo. Non è ancora tornata in forma smagliante, ma sicuramente adesso riesce ad avere più controllo di sé, comincia nuovamente a vivere e a riprendere la gioia di farlo. <Sei privo di difese e una tecnica ben assestata basterebbe per sconfiggerti. Immagino che tu sia un allievo dell'accademia.> Inclina il capo verso destra con sguardo incuriosito. [Chakra On 29/30][Tentativo Sharingan][Stesso equipaggiamento]. [spiaggia] rimane in quella posizione da battaglia che gli conferisce un'immagine sicuramente plastica e severa, come di una scultura ancora un poco grezza a cui manca la sagomatura finale della mano sapiente del maestro; nonostante tutto sembra essere perfettamente consapevole di cosa va a fare, tant'è che il fisico secco e nervoso risponde con pronta scioltezza alle sue volontà. Non si cura dei sandali che sono finiti a terra, mantiene gli occhi piantati sulla ragazza ad indicare la piena concentrazione su di lei e null'altro. Alza appena il tallone destro, di quel nonnulla che gli vorrebbe conferire la massima reattività in caso di azione – perlomeno per le sue capacità – con i muscoli che vibrano per quell'inevitabile tensione che è corretto scorra nelle fibre di chi si appresta ad agire, a difendersi, a combattere. Tace, le attenzioni tutte sulla ragazza di fronte a lei e ai suoi gesti, anche se in particolare sembra prediligere le anche e le spalle, promotori naturali e incipit di qualsiasi movimento. È infatti lì che ristagna prevalentemente il suo sguardo, ma non può non accorgersi di quel cambiamento che gli occhi di lei subiscono quando il Chakra fluisce in loro. Rimane interdetto, è evidente: per un momento l'incrollabile determinazione che lo aveva contraddistinto crolla sotto i ricordi e i racconti del potere racchiuso in quelle pupille stranissime. L'espressione tradisce quello stato emotivo, quella difficoltà, quel timore che gli monta dentro. È solo con le parole di Lei che sembra scuotersi, che sembra riguadagnare un momento di lucidità: corruga nuovamente lo sguardo, serra le labbra a dipingere una linea pallida di buffa convinzione. <e allora?> domanda, tutto concentrato a registrare qualsiasi azione da parte della ragazza – che, a sua volta, potrà accorgersi di come Egli ora non la guardi più negli occhi, come rifugga, inutilmente, il contatto diretto con il suo antico potere. Lo fissa attentamente, guardandone ogni singola movenza, ogni brivido e parsimoniosa attenzione dei suoi arti, ne studia la sua determinazione e ciò che lui stesso le mostra con il suo corpo. Soprattutto non può fare a meno di notare quella sorte di emotività che trasuda copiosa dal suo sguardo e, successivamente, nel costante tentativo di evitare i propri occhi diabolici, maledetta ricompensa di uno scambio indesiderato, obbligata alla perdita di un'amata persona in cambio di quel nefasto potere. Proprio in quegli occhi pittati di vermiglio e oscuro colore, nel quale si cela la percezione più sublime delle forze psicofisiche, che lei non cessa mai di far defluire il Chakra proprio per sorreggerne il mantenimento e perseguire nel dargli potere e forza dominante. <Conosci lo Sharingan a quanto vedo...> Comincia a dondolare con il capo a destra e a manca, mentre gli occhi non si staccano da quelli di lui. <E allora niente, permetti che prenda anche io le mie precauzioni, certo non mi posso fidare di chiunque mi si avvicini. Non trovi?> Una domanda semplice e circostanziale. <Ho attivato il potere oculare solo per essere sicura che non avessi nulla che potesse nuocermi. Ma non credo che tu sia un ragazzo molto loquace. No no no.> Scuote il capo leggermente, eseguendo quei chiari segni di diniego che portano i lunghi codini argentati ad ondeggiare pigramente come le pacate onde dell'oceano. <Vuoi davvero allenarti?> Domanda con tono incuriosito. <Se ci tieni, posso metterti alla prova.> Socchiude le iridi, lasciando comunque trapelare quel malefico sguardo, interessata grandemente alla sua risposta [Chakra On 28/30][Sharingan attivo][Stesso equipaggiamento]. [spiaggia] affonda maggiormente il piede sinistro nel terreno, schiacciandone la sabbia fine e chiara che gli si infila fra le dita sfuggendo alla pressione, finendo per coprirne parzialmente la pelle. Con il tallone desto ancora sollevato di quel dito dal suolo, potrebbe essere pronto a scattare, ad agire, ma nella realtà rimane fermo in quella posizione difensiva – che è figlia di uno stile decisamente particolare, antico, intenso – e, forse, quel brevissimo quanto insignificante movimento non è altro che uno scarico di tensione, come se faticasse a rimanere lì immobile di fronte a colei che è Genin e che ha già risvegliato il potere oculare dei suoi occhi. <io mi stavo allenando da me!> ruggisce, per quanto possibile, con quel timbro vocale fresco come lo è l'acqua alla sorgiva. <tu suonavi, non ti ho mica minacciata!> ha il braccio mancino steso in avanti, il gomito leggermente flesso, la mano a mostrare il palmo all'avversaria ipotetica con il pollice ripiegato all'interno, le piccole dita stese ed unite a formare un unico fronte, come se potesse essere quella la barriera da interporre fra lui e Lei. Anche la mano destra è speculare a quella posizione, il polso adagiato delicatamente vicino al costato, appena sotto alla linea del petto. <e poi, e poi, non ho il permesso di allenarmi con gli sconosciuti!> Fa un nuovo profondo sospiro, mentre scioglie l'intreccio delle braccia dietro la schiena e le lascia cadere lungo i fianchi con serenità. <Ma che tipetto...> Increspa le sopracciglia con dissenso ed esasperazione, mentre cerca di flettere le leva inferiori e recuperare, con il solo braccio dritto e la rispettiva mano, il proprio strumento musicale. <Di questi tempi mi aspetto che chiunque mi possa attaccare...> Si solleva nuovamente in posizione eretta. <Anche un semplice ragazzo della mia età.> Chiaramente dopo che un dio, o presunto tale, abbia fatto la sua comparsa lei cercherebbe sempre di mantenersi in uno stato d'allerta molto elevato. <Puoi comunque stare calmo, anche perché non ho intenzione di attaccarti, se l'avessi fatto...> E lo guarda dalla testa ai piedi, prima di tornare nuovamente sul volto. <Credo fortemente che non avresti avuto la benché minima speranza.> Alza il braccio manco, quello libero dalla morsa dello strumento, per sventolare la rispettiva meno davanti al volto. <Non hai il permesso? E ti serve un permesso scritto per allenarti con gli sconosciuti? Credi che un'assassino si facci scrupoli che tu non abbia il tuo permesso?> Stringe le mani con rabbia, come se le fosse nuovamente arrivata alla mente la scena tragica a cui è stata sottoposta la settimana prima. <Io sono una bambina, ma non credo che tu sia da meno.> Intanto il chakra non cessa di defluire all'interno dei bulbi oculari, donandole continuamente potere e imprimendo nelle iridi la forza diabolica di cui è maestra [Chakra On 27/30][Sharingan attivato][Stesso equipaggiamento].ò [spiaggia] è agitato, ovviamente, ma nonostante tutto sembra ancora in grado di mantenere un controllo posato su quella che è la respirazione; parla a voce alta, ma inspira dal naso arraffando l'aria salmastra con una parvenza di tranquillità e, l'altra potrà certamente osservarlo, non è il petto a gonfiarsi prevalentemente ma l'addome, sintomo di una conoscenza puntuale di quella che è la respirazione profonda, base per qualsiasi attività fisica e, in particolare, di qualsiasi arti marziale. Chiuso in quella posizione plastica che tanto ricorda la coda dello scorpione arcuata e vibrante pronta a saettare con il suo aculeo verso l'avversario, tace ed ascolta la ragazza continuando a seguirla con tutte le attenzioni di cui è capace, provando ad evitare di guardare direttamente negli occhi la medesima – anche se, si sa, non è certo una questione semplice, questa. <certo che mi serve il permesso! Se voglio diventare un ninja grande come mio padre non posso disubbidirgli!>. È evidente che, un giovanotto come lui, non comprenda i discorsi della ragazza o, perlomeno, non la segua fino al cuore dei suoi discorsi. Sicuramente però, quelle parole servono ad allentare la tensione fra i due, almeno dalla sua parte: abbassa il tallone, piega maggiormente il gomito mancino ritirando a sé la mano che era stata posta in avanti rispetto al corpo. Lascia che le proprie mani si possano rilassare con grazia, non avendo nulla contro quel ragazzo che le si trova davanti, cerca soltanto di compiere un titanico sospiro per far defluire meno adrenalina nei nervi e scioglierli dalla loro tensione. Lei mira sempre a puntare lo sguardo in quello di lui, non serve ovviamente per mantenere un contatto visivo per un arcano motivo, ma semplicemente per sostenere le sue espressioni del volto, così da mostrarsi sicura di sé, al contrario naturalmente del comportamento del ragazzo che le si trova di fronte. <Capisco...> Fa un cenno d'assenso con il capo con il volto che trasuda un grande scetticismo. <Certo, continua a seguire le orme di tuo padre e diventa una brava marionetta. Si si si.> Fa diversi cenni d'assenso con il capo, facendo trasparire con l'espressività facciale tutta l'ironia di cui è capace, tirando le labbra verso l'interno e inarcando le sopracciglia tragicamente. Cerca comunque di posizionare lo strumento musicale sulla dritta spalla, tramite l'apposita tracolla, mentre scuote lentamente il capo. <Io vado a casa, ho finito di suonare per oggi. Ciao ciao ciao Harai-Chin.> Alza il braccio manco per sventolare nell'etere la manina e, volgendo il corpo verso destra, comincia a camminare lentamente in quella direzione scomparendo tra le nebbia del posto [END]. [spiaggia] si rilassa, infine. Con una calma intesa e con movimenti guardinghi, come se fosse pronto a reagire a tornare sul chi va là, pian piano riassume una posizione discreta, diritta, seppur non faccia nulla per avvicinarsi a colei che gli è di fronte – anzi, la guarda ancora, la controlla, non la perde di vista un solo secondo, con quella profonda dicotomia sull'evitare il suo sguardo. Mentre stende la gamba destra, il ragazzo richiama la gamba sinistra più vicino al proprio baricentro e lascia cadere le braccia lungo i fianchi, andando a distribuire il peso su entrambi i piedi, come farebbe una persona qualsiasi: torna quindi in piedi, sulla sabbia chiara, con il mare che schiaffeggia la riva e la nebbia che non cede un colore o un contorno. <m-ma! Ferma!> esclama, un mezzo passo che, finalmente, viene mosso in avanti. Ma lei va, senza fermarsi, senza permettergli alcuna replica, nascosta presto dal sipario di bruma. Decide di appropriarsi nuovamente delle proprie calzature e lo fa con cautela: piega le ginocchia per abbassarsi, piega il busto leggermente in avanti per accomodare il movimento delle braccia, che si stendono ad allungare le mani verso i sandali. Riesce così ad arraffarli dal terreno, tornando su ritto in piedi, con quel musetto contrito in un'espressione che ha il sapore di dubbio, curiosità e perplessità assieme. E' così che, a sua volta, s'incammina. Via.