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con Yosai

21:55 Yosai:
  [Spiaggia] Non c’è verso di scampare a quel gelido, grigio sudario che avvolge l’isola in maniera permanente. E lui lo attraversa, come un tronco semovente, come se gli alberi potessero davvero viaggiare per il mondo e gli Ent a pascolarli. Si staglia la sua figura contro le luci della città in lontananza. Niente se non un alone luminoso che s’unisce con l’alone argentato della luna che si diffonde attraverso il vapore della nebbia, a far da cornice al placido rumore del mare. Scuro come pece, ondeggia e rumoreggia sulla sabbia, come un’entità viva, che canta per loro. È li che s’affaccia il gigante sfreggiato. Non può accarezzarla lui quella nebbia, e non ne ha intenzione, è lei ad allontanarsi facendogli largo, come chiunque. Le gambe nerborute son coperte da ampi, neri, morbidi pantaloni d’un chimono, che s’appendono alle creste eliache con un elastico e nascondono le forme delle gambe tra le pieghe. S’immergono in una rossa fasciatura che copre le caviglie fino all’altezza del polpaccio squadrato, arrivando fino alle dita scoperte. Il torso spesso è coperto da una canotta in tessuto tecnico aderente ai muscoli che guizzano sotto di essa, senza maniche e con il collo alto fino oltre il pomo d’adamo del giovane. Le nude spalle stondate e le braccia definite riflettono la luce fioca della luna grazie alla pelle lucida di sudore. Sinuosi giochi di luce si disegnano sugli arti superiori quando la luce s’insinua sul profilo dei muscoli, rivelando spessi tratti nero-rossastri che gli dipingono per intero le braccia finendo per infilarsi nella maglia. Il collo taurino sostiene un volto dai contorni affilati, definiti, squadrati, naso dritto, barbetta ispida. La pelle non eccessivamente pallida del viso è decorata da due profonde cicatrici che si stagliano perfettamente evidenti. La prima parte dalla parte sinistra della fronte e scende dritta fino ad infilarsi nello zigomo, salvando l’occhio, la seconda procede in orizzontale sulla fronte, come il taglio che fanno sul coprifronte dei mukenin, ma sulla carne viva. Viso incorniciato dai folti capelli scuri che, se lasciati liberi, arriverebbero fin oltre le spalle, ma che vengono raccolti in un cipollotto di fortuna. Se ci fosse il sole si potrebbero vedere riflessi rossastri tra di essi, ma non è un privilegio possibile su quest’isola. Ad illuminare la figura due zaffiri blu splendenti dell’argento della luna compongono il suo sguardo. Le labbra sottili sono schiuse alla ricerca di aria, il torace potente s’alza e s’abbassa ritmico. Viene da un allenamento e ne starebbe per cominciare un altro, se non fosse che si ferma ad osservare ciò che la nebbia gli rivela. Una donna. Una bambina o poco più ai suoi occhi in realtà. Il sopracciglio sinistro s’inarca modificando leggermente la forma della cicatrice. Il capo s’inclina di lato, leggermente, curioso, come fanno i cani. Cucciolone. Rallenta il passo e la sua intenzione sarebbe di fermarsi un’istante li, a guardare quell’espressione di serenità, solo un po', tanto per capire cos’è, come si raggiunge, ma niente. Il destino è infame e gli fa poggiare il piede su uno sfortunato ramo secco, nemmeno tanto piccolo, che sotto il peso del gigante si fracassa con un sonoro “CRACK”. Merda.

22:35 Yosai:
  [Spiaggia] Serra i denti, nel vedere quell’idillio infrangere. Riesce scorgere a stento il sigillo della capra mentre viene sciolto, la osserva muoversi, e istintivamente si prepara, come un grosso felino, arretrando un pelo il baricentro e indietreggiando leggermente con la gamba mancina, appoggiandoci il peso, all’aggressione verbale per aver rotto qualcosa di bello, di importante. Pronto a scattare di rimando, aggredendo a sua volta. Eppure niente di tutto questo accade. Osserva la figura nella sua interezza. Elegante, sinuosa, sembra una creatura diretta emanazione del mare, ma soprattutto è priva di coprifronte. Ispira dal naso come un toro, tranquillizzandosi. Odia i coprifronte e l’autorità che si portano dietro. Quando lei fosse girata del tutto verso di lui non esiterebbe ad inondare con quell’oceano impetuoso nel suo sguardo i rubini di lei, abbracciandone ogni imperfezione e dettaglio. Non ne trova aggressività, non eccessiva paura. La voce attraversa i timpani con gentilezza, e lui si raddrizza da quel movimento quasi impercettibile di poco prima. E fatto questo prende coraggio, avanza, stende le labbra sottili in un sorriso che snuda la bianca dentatura a riflettere l’argento della luna, alza l’avambraccio sinistro, sinuosi serpenti si muovono sui deltoidi, bicipite e tricipite, fino all’avambraccio, serpenti sottopelle, d’accaio, temprati per ogni movimento, pronti <chiedo scusa> commenta piano <io… credo potresti essermi utile solo se potessi osservarti in quello stato per altri tre giorni> forse neanche quello gli basterebbe. Passi decisi e sicuri sulla sabbia che si sposta sotto ai piedi, facendolo affondare. Fino ad arrivare ad una ragionevole distanza da lei, mentre si sposta, come un predatore, non schioda lo sguardo da quei rubini, non è da predatore l’espressione sorridente, tuttavia <ero qui per…> allenarti, come sempre, trova qualcosa di più interessante, di corsa! <guardare… la luna> con la nebbia? Pessima scusa <e quando ti ho vista ho percepito…> occhio, l’offesa è dietro l’angolo <una grande calma> conclude. Ha il capo piegato verso il basso, per poterla guardare negli occhi, <mi chiamo Yosai> si presenta per primo e accompagna quella presentazione ad un gesto, che probabilmente esprime meglio delle parole. Porta il piede destro a incrociarsi dietro al sinistro, piantato per terra, e da li piegherebbe le le leve inferiori, finendo in breve tempo a schiantare con un tonfo attutito i glutei sulla sabbia. Seduto, a gambe incrociate, davanti a lei. No. Non ci sono mezzi termini <sei una Ninja?> chiede, stavolta alzando lo sguardo e cercando il viso di lei che, in controluce, appare completamente nero.

23:22 Yosai:
  [Spiaggia] Ascolta di nuovo le parole di lei assottiglia lo sguardo, bambole? Sbatte un paio di volte le palpebre, perplesso. Non imbarazzo si percepisce in nel fare di lui, non per queste cose. Una genuina ingenuità. Sembra non esser mai stato cosciente che le parole possano avere, a seconda di tante variabili, significati diversi da quelli che lui medesimo attribuisce loro. Non se ne esce. Quindi semplicemente non comprende l’allusione. Ascolta la voce di lei quando parla del globo d’argento nascosto dalle nuvole. E d’istinto sposta lo sguardo blu a cercarlo. Nulla se non un pallido alone <già> mormora piano. <non ho ancora imparato a parlarci> si fa quasi più serio, assottigliando le labbra, tenendo lo sguardo su quella nuvola argentata dietro la quale si nasconde la luna <non in un modo diverso dal dedicarle tutto quello che ho, quando mi alleno> commenta, lasciando per un attimo il freno dei sentimenti, quelli veri. Al dire di lei il sorriso torna presente e sottile sul volto <ci vengo spesso> conferma <se non mi vedi vuol dire che stò imparando ad essere un buon ninja> infila l’angolo sinistro delle labbra nello zigomo, in un sorrisetto sbilenco. Annuisce, quel mare fa compagnia in quel mondo grigio che è quell’isola, silenzioso compagno, melodioso amico. <No…> mormora semplicemente senza aggiungere di più, se non un lungo sospiro esalato dalle narici. No non disturba e no non vuole rimanere solo. E si, ci è venuto da solo. Ma quel no è dovuto ad una consapevolezza che ha raggiunto con lei, non ad un’intenzione precedente. La ascolta, comprendendo che lei non ha intenzione di raggiungerlo seduta, , gli basta un po' di forza sulle leve inferiori per alzarsi, di nuovo, in tutta la sua statura, dritto come un tronco al suo dire sulla sua gentilezza lascia cadere il silenzio per il tempo che basta ad un’onda di cantare <mi fa piacere che tu veda questo in me> ripete le parole di lei, e per un attimo quelle cicatrici baluginano di un riflesso tetro. Segni evidenti che quanto meno non c’è solo quella gentilezza in lui. Le iridi blu cercano quelle di lei, ancora il sorriso che rimane placido su quel volto <è un piacere mio> si limita a rispondere piegando di poco il capo in un cenno cortese. Alla proposta di le semplicemente allarga piede sinistro, ruotando il busto in quella direzione e aprendo un corridoio tra le spalle larghe di lui e il mare, lasciando che sia lei a compiere i primi passi e affiancandovisi, qualora lei lo consentisse <certo> a coronamento del gesto. Lo sguardo s’allarga un poco al dire di lei <anche io!> risponde rapido, senza riflettere e forse con troppa enfasi. Quasi avesse bisogno di rispondere. Si sforza di allargare l’ampio torace e di esalare un altro sospiro < in questi ultimi giorni è difficile per me trovare il modo di…pensare> confesserebbe poco dopo, con tono basso e quasi ringhiato fuori dai denti, cadenzando le ampie falcate in modo da non costringere lei ad accelerare il passo. <questo ho ammirato prima> quasi a tentar di chiarire. La capacità di concentrazione.

00:33 Yosai:
  [Spiaggia] La posizione di fianco a lei lo porta spesso a distogliere lo sguardo dai rubini di lei per dedicarsi ora al mare, ora al cielo, ora ai suoi piedi, ma mantiene il volto inclinato di tre quarti verso di lei. Rimane distante da lei a sufficienza da frapporre le spalle stondate tra il volto e la figura di lei, e per questo è costretto a mantenere il torso di qualche grado verso di lei le mani rimangono tranquille lungo i fianchi, ben distanti dal corpo a causa della larghezza dei dorsali. Le mani sempre semichiuse, come artigli pronti ad esser sguainati, ma ora è tranquillo. Si inerpica in quella conversazione sulla comunicazione trascendentale con tutto se stesso, la ascolta, assottiglia lo sguardo… probabilmente si sentirebbe la puzza di bruciato del suo cervello se si sforzasse ancora un po'. Ma passato il giusto tempo di elaborazione, schiude le labbra sottili e risponde <no…> ancora quella negazione, ma sta volta aspetta solo per formulare bene il concetto <io non mi lamento del modo in cui comunico ciò che ho da comunicare> scuote il capo <è l’unico modo che ho per comunicare. Ho imparato tempo fa che con i gesti ci si fraintende molto meno.> e lo si vede da come è impacciato nel cercare le parole. <mi lamento quando lei non mi risponde> che è diverso, almeno in una sfumatura. È davvero così diverso? Sbatte un attimo le palpebre controllando in testa che quello che ha detto sia giusto, strecciando il cervello ingarbugliato. Si è giusto. Al dire di lei successivo annuisce <ecco>, ecco che <se me lo assicuri tu sto più tranquillo> perché lui ci ha pianto alla luna, le ha strillato ciò che prova in tutti i modi, eppure la solitudine non l’ha mai abbandonato. Ed è una sensazione che gli rimarrà appiccicata addosso come quella nebbia. Ma non lo dice, tutto rimane chiuso in un baleno di luce nei suoi occhi. Accompagna quella frase ad un sorriso. Ascolta il suo dire sul tasto dolente e le scuse preventive, passa rapido la lingua sulle labbra dolenti, snudando la dentatura in un sorriso pieno, <Chiha, il giorno in cui toccherai un tasto dolente con me non avrai bisogno di chiedermelo, ed è molto probabile che le scuse debbano essere più convincenti di cosi>. Commenta schietto, cercando quei rubini di tre quarti, dal lato sfregiato <sono dove voglio essere, con chi voglio essere, non ho tasti da premere> commenta semplicemente alzando le spalle possenti. E quando lei chiede se per caso ha errato nel considerarlo buono quel sorriso s’allarga <non saprei, le sensazioni sono le tue, per come la vedo non ne esistono di giuste o sbagliate, sono sensazioni> commenta <potresti aver sbagliato nella stessa misura in cui potrei aver sbagliato io descrivendoti la calma che mi ispiri> ancora una volta una scrollata di spalle, quasi a mandar via quei pensieri. <penso sarei in manicomio se mi fossi soffermato a pensare se ogni volta che provavo una sensazione questa fosse giusta oppure fossi in errore> una locomotiva su un binario, sempre avanti, senza svolte, questo lascia pensare a guardarlo. Il successivo dire di lei però uccide all’istante qualsiasi traccia della felicità e della spensieratezza precedentemente trovate. Il piede mancino proteso nel passo affonda, e li inchioda. Volta il capo verso di lei lentamente snocciolando millimetro dopo millimetro un’espressione truce che la trapassa senza remore <Non stai dicendo che sono troppo grosso vero?>. lentamente le mani si serrano in pugno affondando le dita nella sua stessa carne. Eccolo, Chiha, un tasto che non devi toccare con lui. Ad onor del vero il successivo dire di lei non suona molto bene nelle orecchie del gigante che, su questa cosa c’è da dirlo, fatica a distinguere la cattiveria dalla buona fede. L’unica cosa che salva la Deshi dal doverlo calmare a suon di botte è quella ridacchiata. Li lo sguardo truce lievemente si mitiga, inarcando piano il capo. Deve solo capire se sta ridendo di lui o vuole ridere con lui. DI lui, CON lui. Le parole sono infide, come i serpenti, e lui adesso è schivo, sull’attenti come un grosso felino braccato dai fantasmi che si ritrova nel cervello. Lascia cadere gli altri argomenti di conversazioni, per ora.

01:27 Yosai:
  [Spiaggia] Arrivano quasi come echi, le parole di lei, confuse e indistinte, rese tali da un impeto d’ira completamente immotivata ma scatenata dalle parole di lei. E aspetta, aspetta di vedere quello sguardo abbassarsi e la parola di scusa che cercava. Che fatica a parole. È a posteriore che percepisce per cosa se l’è presa. Non può farci tanto. Certe cose lo toccano nel vivo, per qualche insondabile motivo. Assottiglia le labbra, rilassando ogni arto del corpo. Eppure non si muove. Difficile smuoverlo. Eppure la curiosità s’avventa su di lui, e di nuovo piega il capo da un lato, come fa quando è curioso. Le arriva piano la voce di lei. Ma gli arriva. Gonfia il petto di nuovo, esalando un pesante nuovo, lunghissimo sospiro. Riuscirà mai a trovare le parole giuste? < Le ho finite le lezioni> le risponde ad alta voce. Quel sospiro sembra avergli aggiunto anni di età sul viso. Distoglie lo sguardo dalla figura di lei <c’è un passo importante da compiere e sento di non avere la giusta serenità per affrontarlo> fanno effetto probabilmente più a lui che a lei quelle parole. E da quando serve serenità per affrontare le cose? Basta l’allenamento, basta crescere. Basta diventare più forti. E invece no. Serve la mente libera. Lentamente porta le iridi blu al mare al quale appartengono < Si, è vero, sbaglierò linguaggi e sbaglierò domande… ammesso che sia sempre necessario fare domande>, di nuovo un pesante sospiro. È un’ammissione importante che stà facendo alla Deshi. Ammesso che lei lo stia ancora ascoltando <ma maledizione quando ti ho vista sulla riva ho pensato che nemmeno se fosse riapparso in cielo quell’essere con tutte le sue castronerie sul chakra avresti mosso un ciglio> Maledetto sia lui e il sonno che non riesce più a prendere come si deve da quel giorno. granitica serenità. Questo ha visto. Questo ha ammirato. Questo ha invidiato. Sente i denti serrarsi. Irato con se stesso per aver detto tanto di se, e per il fallimento che stà spiegando a Chiha. Sta parlando più chiaro possibile. Esposto, nudo come un verme <ne ho voluta un po', di quella pace> si costringe ad ammettere. Probabilmente è l’unica cosa che gli manca. Avere uno spazio dove la brama di migliorare, la paura di fallire, lo stimolo a crescere, la voglia di fare, tutto quanto venga tenuto fuori. <Non lo so cosa tu non sia capace a fare, ma in questo mi sembri brava> commenta spostando di nuovo lo sguardo sulla Deshi, ammesso che lei abbia deciso di fermarsi.

02:17 Yosai:
  [Spiaggia] Non cerca subito la figura di lei, ma quando lei torna a parlare e gli risponde, solo allora lascerebbe quegli zaffiri liberi di cacciarla. Uno sguardo sinceramente interessato. E lei ricorda l’ultima lazione. E di colpo gli torna alla mente la sua di ultima lezione. Il velo dei ricordi si spalanca davanti agli occhi, che non la guardano più, saettando da una parte all’altra del suo ricordo. Il sadico davanti a lui, la sua consistenza simile al cemento, la sua forza inarrestabile. E poi ricorda ogni cicatrice del suo corpo squarciarsi di nuovo come se fosse stata appena inferta, quel genjutsu terribile, e di nuovo la voce del sadico, la promessa che si son scambiati, il fardello di quell’aspettativa. <Si> mugugna mentre il corpo viene visibilmente scosso da un brivido che gli trapassa la schiena <decisamente sfiancante> si trovano. Chiude gli occhi un lungo secondo, chiudendo il velo del ricordo che come altro pensiero gli affolla la mente. Assottiglia le labbra al dire di lei, riducendole a fessura <Siamo della stessa classe?> le chiede tornando a cercarla con lo sguardo, curioso il tono <ti ricorderei sicuramente> ama i dettagli, e poi un tipino del genere non sarebbe capace di scordartelo. Almeno a qualche lezione dovrebbero essersi incontrati. Scrolla le spalle al dire di lei. Un semplice gesto. Non è interessato alle tempistiche, adesso ha pensieri più assillanti a fare da tappo. Ascolta la successiva domanda di lei. Perché dici che non ce la farai? <perché non do il meglio di me quando penso troppo. Ultimamente sto pensando troppo> sembra un povero mentecatto, e forse per questo si sente in dovere di specificare <ho bisogno di poter liberare la mente e di concentrarla sui miei obbiettivi, senza altri fardelli ad appesantirla> ne è convinto. Così supererà l’esame. Alla successiva frase torna a guardarla. Parla con sicurezza, come fa? Si, probabilmente piano piano si sta convincendo <sai fare da tramite? Chiederebbe <affinchè io possa ascoltare?> concluderebbe la domanda. L’altro “altarino” si fa però più interessante del previsto, allarga lo sguardo, visibilmente stupito, annuendo <si>. Si parla proprio di lui. Lei lo ha incontrato? Ne è stata addirittura ferita? La ascolta. Ecco un’altra cosa che condivide. Ferite incurabili perché invisibili. <mi dispiace> sarebbe solo in grado di mormorare con lo sguardo dispiaciuto che per un attimo si discosta da lei. Non sente il bisogno di raccontare i suoi trascorri con quell’essere pallido. Annuisce alle parole della Deshi. Lo avrà capito, lei, fidarsi non è proprio una cosa facile per lui, eppure finisce per bruciare la distanza con lei, finirgli di fronte e sprofondare di nuovo a terra con un tonfo attutito dalla sabbia <Ci sto> potrà leggergliela in quello sguardo, in quel cenno del capo, la voglia di provare. Di mettercela tutta.

02:56 Yosai:
  [Spiaggia] Continua a tenere quella voce nei timpani, senza chiuderla fuori, inarca un sopracciglio al dire di lei, di nuovo inclinando leggermente il capo da un lato del collo, ma no, non fa altre domande, le informazioni che lei fornisce sanno parlare anche di quelle che non fornisce. Rilassarsi…fosse facile. All’inizio delle sue parole fatica. Reagisce come un’animale selvatico davanti all’uomo con la fetta di prosciutto. Se tieni la fetta in mano l’animale rimarrà a una certa distanza ad attendere senza avvicinarsi, se la tiri verso di lui la divorerà all’istante. Ecco lei offre la fetta di prosciutto della giusta tranquillità, e lui è lì, a camminare metaforicamente avanti e indietro in attesa di riceverla. Ringraziando il cielo ha anche la ragione, che lo aiuta a comprendere che deve avvicinarsi anche lui. Deve fare qualcosa. Annuisce all’inizio obbiettivamente senza troppa convinzione. <due volte, a distanza di due giorni l’una dall’altra, sempre nello stesso posto dov’è apparso la prima volta> risponde, anche lui sforzandosi di non farsi rabbuiare da quei pensieri e di non lasciarsi prendere dall’ira. Si ritrova quindi li seduto davanti a lei. Pronto a quel passo, per farsi aiutare a raggiungere ciò che più desidera. Ed è così che quando lei lo chiede, solleva i pesanti avambracci per poggiare le manone sulle sue. Per quanto faccia piano potrà sentirlo il peso dell’irruenza di lui. Sembra divorarlo a grossi bocconi quel calore, di lei, quasi a volerlo rubare. Eppure gli arriva, e d’istinto, prima di continuare, chiude le palpebre, nascondendo al mondo i suoi occhi. Ascolta le sue istruzioni. Crea il tuo spazio personale, dove niente può toccarsi, caccia via le aspettative, le promesse, ciò che succederà non è un problema. Potrà percepirlo lei, le prime inspirate ed espirate sono ampie e violente, come se cercasse aria con tutto se stesso e la spingesse fuori con altrettanta foga. Non perché si sforzi, ma perché è così che respira, che ragiona, che viva. Lentamente per. I successivi sono progressivamente più calmi. Probabilmente non riesce a rientrare nei secondi prescritti. Ha un torace molto ampio da riempire in effetti, ma il terzo potrà percepirlo più calmo. Anche lo sguardo che, sotto le palpebre, saetta a destra e a manca, in preda a ricordi e pensieri, lentamente si placa e s’arresta e di colpo si trova li, sulla riva, sulla linea dell’orizzonte a cercare la luna con il silenzio che progressivamente si genera in quello spazio suo. E di nessun altro. Solo la voce di lei, per ora.

03:14 Yosai:
  [Spiaggia] Tre respiri nei quali combatte con se stesso, arrivando quasi a contrarre fisicamente i muscoli, per tenersi libero un pezzo della mente. Anche le espressioni variano, a seconda della pesantezza di ciò che deve scacciare, ma gli fa bene stare li, da solo con se stesso. Riapre piano gli occhi. S’appoggia quasi di più quando la sente scappar via, ma ovviamente non ferma il gesto, sollevando le sue mani e osservandole, tiepide del suo tepore. Di certo non deve essere stata la stessa cosa essere accompagnati dal profumo di rosa di lei, rispetto a quello pungente, di pino, di lui. Ma in questo momento non può soffermarsi su questo, uno sguardo a quelle sue mani, quasi fossero vettori di un potere magico trasferito <ci voleva la compagnia giusta> mormora senza staccare lo sguardo dai palmi. Curioso di provare da solo. Lei s’è già alzata <l’ho incontrato al parco. Entrambe le volte ha squarciato il cielo per entrare e per uscire. Ero con Tenshi-chan la prima volta, con Mekura-sama la seconda> un’informazione il più completa possibile, quasi una sorta di ringraziamento, mentre la cerca con lo sguardo <penso…> si ci pensa <penso che rimarrò qui, a cercare il mio spazio> ecco. Si. Magari riuscirà pure a crearselo <grazie…> dovrebbe fare in modo a farsi sentire prima di vederla allontanarsi. Non la lascerebbe con lo sguardo fino a perderla, prima di tornare di nuovo a guardarsi le mani e quindi a poggiarle sulle ginocchia. <ricominciamo> mormora, chiudendo gli occhi. [end]

La spiaggia è sempre più affollata, e quella sera Montagna e Brezza Marina fanno il loro primo incontro