Un'incontro bagnato
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Giocata del 22/03/2020 dalle 09:43 alle 17:44 nella chat "Spiaggia"
[Spiaggia] È tranquilla la spiaggia, a quell’ora, con quella nebbia, chi si avventurerebbe? Qualcuno a quanto pare. Sembra a tutti gli effetti uno scoglio che emerge dal bagnasciuga, li piantato in riva al mare. Le gambe forgiate nel ferro sono nascoste dai morbidi pantaloni d’un chimono. Solo le rade folate di vento permettono al tessuto di aderire ai muscoli, mostrandone i lineamenti. Pantaloni neri che s’immergono nei piedi nudi ma coperti entrambi da una fasciatura rossa che li copre dalla base delle dita fin sotto al polpaccio squadrato. Il cavallo dei pantaloni arriva fino a metà coscia, e la fascia elastica li tiene fermi poco sotto l’osso delle anche, da dove parte la profonda forma a V del torso che dalla vita si allarga verso l’alto fino alla larghezza delle spalle. Torso che è coperto invece da una maglia bianche in tessuto elastico tanto aderente da fargli da seconda pelle, levigando di poco le forme dei muscoli che avvolge. Una maglia in tutto e per tutto simile a quella che ha sporcato di sangue qualche giorno prima, ma questa volta le maniche sono assente, mentre il collo dell’indumento arriva a coprire fino al pomo d’adamo del deshi di konoha. I capelli scuri, lunghi fin oltre le spalle, sono sciolti, liberi di danzare al vento, quando capita. Il volto affilato, dai lineamenti definiti, decorato dalle solite cicatrici che conosciamo e impreziosito dai due zaffiri profondi, rimane con lo sguardo piantato davanti a se. È rivolto con la larga schiena verso l’ingresso della spiaggia, e il volto verso il mare. Le braccia definite e decorate da tratti nero-rossastri sulla pelle, sono tranquille lungo i fianchi, anche se comunque abbastanza separate dal corpo, per via dello spessore delle spalle e dei muscoli della schiena. Decide lui di disturbare l’avambraccio mancino, sollevandolo fino a portare la mano a infilarsi nei capelli per toglierli dal viso, un viso dipinto in un’espressione diversa dal solito, sembra quasi un po' interdetto…<come diavolo era? Non me lo ricordo mai> mormora tra se, continuando a interrogare il mare. [∞ Spiaggia] E’ domenica, una giornata come le altre in casa Nakamura. La casa vuota se non per quei pochi inservienti dediti alla pulizia degli spazi. Yuukino si era levata all’alba con la voglia matta di riprovare ad andare in spiaggia: inutile dirlo che appena guardato fuori dalla finestra si sia trasformata in voglia matta di immolarsi sull’altare del dio della nebbia con la richiesta di lasciare quelle terre per almeno un secolo. Nonostante ciò, si trova comunque lì, in spiaggia. I piedi nudi affondano nella sabbia dopo aver riposto le scarpe col tacco in una tracolla appoggiata alla spalla sinistra. Questa mattina, la kusana, indossa un suo solito kimono color nero. Nella parte superiore abbiamo le maniche che si fermano all’avambraccio chiudendosi in un tessuto semitrasparente che crea come delle squame una sopra l’altra; sul busto invece si apre a V a destra bianco, a sinistra nero e bordato di rosso: i tre colori si fondono insieme nella cintura in vita color viola. Al di sotto di quest’ultima, invece, il kimono si apre in un enorme spacco fino all’altezza delle sue caviglie, ossute e magre. I capelli neri e corvini ricadono sciolti sulle spalle e lungo la schiena fino ai glutei mentre la frangia si spacca in due incorniciando il sottile viso in egual misura su ambo i lati: spiccano, in mezzo alle ciocche, i soliti orecchini a forma di serpente, in oro. Il passo della giovane si fa via via più lento mentre in mezzo all’umida nebbia biancastra nota una figura che, seppur di spalle, è del tutto familiare: quella stazza non è riconducibile se non ad una persona in particolare, Yosai. Arriva giusto in tempo per le parole dell’uomo e, qualora questi non l’abbia sentita arrivare, andrebbe a rispondergli <Cosa non ricordi?>. L’intento: quello di spaventarlo, ovviamente, per ricambiare quanto successo alla prima volta che si sono conosciuti. [Spiaggia] Il sole sembra una palla grigia in mezzo ad un cielo ancor più grigio, il mare è appena più di un rumore, una grossa entità semovente che sposta avanti e indietro quella che sembra quasi più melma che acqua. Ma è bello comunque essere li. È parecchio vicino al margine delle onde in realtà, i piedi fasciati di rosso affondano nella sabbia umida, sembra stia riflettendo, con neanche poco sforzo in realtà. Non s’avvede, ovviamente, quando la giovane fa la sua comparsa, e non sente il suo avvicinarsi, il profumo di lei se lo porta via il vento, purtroppo. Gli basta la prima sillaba di quella domanda che gli viene posta da tergo per farlo scattare all’istante. Immediatamente allarga lo sguardo e d’istinto affossa la testa nel collo taurino, mentre le gambe scolpite si flettono il tanto che basta per poter scattare in avanti con un balzo che assomiglia più a quello di una grossa pantera che di un uomo, nel tentativo di allontanarsi il più possibile da quella fonte di rumore, che ovviamente poteva essere qualsiasi cosa. E se, in quel balzo, davanti ci fosse stato proprio il mare? Non ha il tempo di rendersene conto che si trova immerso fino al polpaccio nell’acqua. Si volta di scatto. Di tre quarti, cercando con gli zaffiri la fonte di quel rumore <ma che cazz…> potrà accorgersi lei che la furia omicida dello sguardo si scioglie come neve al sole quando la vede. Non è abituato agli scherzi. Affatto, e su questo la sta aiutando lei. Le regala un sorriso, il tempo di rendersi conto che questa cosa è già successa all’inverso. Di nuovo alza la mancina per infilare le dita in mezzo ai capelli e toglierli dagli occhi. Si lascia andare ad una risata musicale, prima di cercare di nuovo gli zaffiri di lei <avrei dovuto saperlo che sarebbe arrivata la vendetta!> esclama tornando ad avvicinarsi a lei, ha le fasciature dei piedi completamente zuppe, che si riempiranno di sabbia tempo zero, ma non sembra importargli sta cercando qualcosa di più importante. Cerca gli zaffiri gemelli dei suoi nei quali immergersi <stai attenta, prima o poi smetterà di importarmi dei tuoi eleganti chimono e ti farò fare un bel bagno> ammette. In tono quasi complice. D’altronde stanno conoscendosi, sta capendo qualcosa di lei ogni volta che si vedono. Annuendo col capo. Si, con i vestiti che si attaccano alle forme. Reprime un brivido lungo la schiena. Qualora lei glie lo permettesse, istintivamente fermerebbe il suo incedere ad una distanza da lei inferiore alla prima volta che si sono visti. È ovvio, si stanno conoscendo. Rimane lì davanti a lei, dritto come un tronco, largo… troppo. Con le onde che gli lambiscono i piedi, ammorbidendo la sabbia al di sotto e facendolo impercettibilmente affondare. Il bagnasciuga inoltre dovrebbe essere leggermente in discesa. Questo dovrebbe diminuire la differenza d’altezza tra i due, che per fortuna non è eccessiva <Ti stavo pensando… in realtà> di nuovo quelle linee rosse sulle gote. È sincero, esposto, e questo gli provoca una certa sensazione di vergogna. Quelle gote di quel colore le ha viste solo lei. Ma perché la stava pensando? Troppi motivi ci sarebbero per pensare la deshi di kusa. Due in particolare, belli grossi. Ma non sono quelli. [Spiaggia] La spiaggia è vuota come la prima volta in cui i due si sono conosciuti e come allora la nebbia li avvolge completamente mentre il sole, seppur coperto è lontano, riesce a riscaldare quei lembi di pelle scoperta come l’ampia fonte, il petto, gli avambraci. A quanto pare quell’arrivo imprevisto e silenzioso sortisce l’effetto sperato e l’altro reagisce con uno spavento proprio come la kusana al primo incontro: ma questa volta l’altro non rischia di perdere il controllo avendo un istinto di sopravvivenza meglio sopportato dalla fisicità. Quella reazione la diverte comunque perché, se non altro, si è dovuto bagnare per ‘proteggersi’ da quella sorpresa <Vendetta?> domanda quindi con un tono da finta tonta mentre si porta l’indice della sinistra, allungato rispetto alla mano chiusa a pugno, sul labbro inferiore. <Non so di cosa tu stia parlando… volevo solo salutati!>, sì certo ti crediamo tutti che non ci sia stato, almeno per un istante, della malizia dietro a quel gesto. La minaccia di lui poi la diverte ancor di più e scostando quella mano dalla bocca andrebbe a portarla poco sopra il seno, toccando con i polpastrelli delle dita, ora aperte, la propria pelle candida e tiepida mostrando il dorso all’altro <Oh no, ti prego> andrebbe a dire con un finto sguardo impaurito e supplichevole <Non bagnarmi il kimono, è l’unico che mi è rimasto> logicamente scherza, come sua abitudine; lo fa senza sapere se quello di fronte sia fuoco o acqua. Non le importa. Ma ecco che la distanza tra i due viene accorciata dall’altro, coraggioso nelle sue movenze. La kusana dal canto suo non fa nulla per scansarsi sebbene in altre situazioni sarebbe stata la cosa che avrebbe fatto per prima. Non ama che il proprio spazio personale venga invaso da estranei ma quel konohiano non pare sia considerabile più tale. <Stai bene, da bagnato> andrebbe a dire per cercare di smorzare quel leggero filo di imbarazzo che poteva crearsi di lì a poco. Ma l’attenzione della mora viene ora richiesta da un’altra esternazione <Mh?> drizza le orecchie e spalanca un po’ gli occhi dalle iridi blu profondo <Mi stavi…> breve pausa per razionalizzare quanto appena udito <…pensando?> come se fosse un’eresia farlo. [Spiaggia] La osserva, sorride, eccola li, capace di riallacciare quella tensione che li lega sin dall’inizio in un attimo lei, con uno sguardo, un sorriso, una parola, una domanda. Lo provoca. Stende le labbra sottili incastrandone un angolo nello zigomo sinistro, deformando quel taglio perfetto che è la cicatrice <si, certo> mormora ricambiando quel sorrisetto, ci crede tantissimo che non ci sia stato niente di premeditato, gli occhi del color dell’oceano s’immergono in quelli di lei e a quell’ennesima preoccupazione gonfia il grosso torace, schiudendo le labbra e tirando un grosso sospiro che dovrebbe investirla con un sapor di menta. Quegli scherzi esasperano la sua resistenza, e lei lo sa, infila il labbro inferiore tra i denti, mordendolo, senza fare uscire il sangue ma con vigore, mentre l’avambraccio della mancina si alza, con le dita delle mani irrigidite e semiflesse, quasi come fossero gli artigli di una bestia, la alzerebbe verso il volto di lei. Un gesto che, per quanto sia rivelazione palese di un impeto di desiderio, è pacato e le permetterebbe di spostarsi in qualsiasi momento. Si fermerebbe solo a pochi millimetri dal viso di lei, come per afferrarlo, ma non lo fa. Ancora una volta non la tocca, tornando ad abbassare la mano <mi farai impazzire> e lo sa, lei, lo sa bene. A quella risposta accompagnerebbe un movimento verso la sua sinistra, destra di lei, ad affiancarla, ma rivolo nella direzione opposta, schiena al mare. Ascolta quel complimento, e ormai nella sua mente, ogni parola lo provoca, così tenterebbe un movimento repentino, il più veloce possibile. Con un movimento rotatorio proverebbe a voltarsi su se stesso, in modo da rimanere al fianco di lei, ma averla di fronte, fatto questo semplicemente proverebbe a flettere le gambe in uno squat profondo, per poi allargare le braccia di ferro e avventarsi su di lei, all’altezza delle gambe, stringendola tra le braccia all’altezza delle ginocchia, fatto questo tenterebbe di sollevarla, drizzando le gambe usate come molle. Questo movimento, qualora lei lo consentisse, le provocherebbe ovviamente una perdita di equilibrio, ma, trovandosi tra le sue braccia dovrebbe finire seduta tra i muscoli duri e definiti del trapezio e della spalla destra di lui. <vediamo quanto stai bene tu da bagnata> commenta voltandosi verso li mare e cominciando a cammina con lei, qualora il tutto fosse andato a buon fine, seduta sulla spalla, con le braccia ben strette intorno alle sue gambe. Non le fa toccare ancora l’acqua, per adesso si bagna solo lui, fino alle ginocchia, ma sta avanzando verso l’acqua più alta. [Spiaggia] Ma chi ci crede che lei abbia intenzioni pure e mai mosse da malizia? Non ci crederebbe nemmeno un bambino di 3 anni, figuriamoci l’Akimichi che, per quanto possa sembrare una montagna, all’interno vi è una mente pensante e ben definita che sicuramente ha colto quel carattere un po’ pepato della deshi. Lei, nonostante ciò, continua imperterrita nel proprio gioco. Un gioco che le sta piacendo. Osserva quel braccio e quella mano avvicinarsi al proprio viso e, in circostanze diverse con persone diverse, probabilmente si sarebbe scansata ancor prima che quel gesto accorciasse così tanto le distanze ed invece ora, socchiude solo un po’ gli occhi pronta a sentire il tocco di lui: ma non arriva. Allora riapre gli occhi puntando le proprie iridi oceano in quelle di lui, speculari. Alle parole dell’altro il pensiero della kusana è che forse, sotto sotto, è ciò che capita anche a lei; soltanto non lo dà a vedere. Forse quel suo essere maliziosa è un gioco che sta tramutando la propria essenza diventando un bisogno. <Mi piacciono le persone folli> sarebbe quindi la risposta della Nakamura. Anche qui, un altro complimento celato, come tutti quelli che gli ha rivolto dall’inizio. Non si espone, rimane sempre piuttosto fredda nell’esternare le proprie emozioni, quelle vere. Gli occhi lo seguono e la mente non comprende quello che l’altro sta per fare fino a che non sente le proprie ginocchia unite da quelle braccia, decisamente forti. A quel mancato contatto dei propri piedi con la sabbia soffice ecco che va a spalancare gli occhi. Improvvisamente apre la bocca inspirando di colpo grosse quantità di ossigeno come di chi sta per tuffarsi in acqua. Le braccia si allontanano, involontariamente, dal corpo mentre i palmi puntano verso l’alto nel tentativo, quasi goffo, di non perdere l’equilibrio perché se è vero che le ginocchia sono al sicuro, non si può dire lo stesso del busto che rimane dritto solo per lo sforzo al quale i muscoli della schiena della deshi sono sottoposti. Subito dopo , sempre d’istinto, la giovane andrebbe a portare le mani sulla testa dell’altro affondando le dita affusolate nelle ciocche scure cercando il contatto con il cranio ricoperto dalla cute per trovare una base di appoggio. <Ma…ma> non riesce a dire niente mentre cerca in tutti i modi di appoggiarsi alla testa di lui con una delicatezza quasi tenera. Piegherebbe anche un po’ il busto per evitare di cadere all’indietro: non sarebbe il massimo da quell’altezza. <Dove stai andando?> chiede con un tono di voce un po’ spezzato mentre con la coda dell’occhio andrebbe a guardare in direzione dell’acqua mentre si appiccica sempre di più all’altro, andando ora con il seno, quasi ad appoggiarsi al lato del di lui capo. [Spiaggia] Lunghe e lente falcate vengono mosse nell’acqua scura. Sente l’acqua alzarsi e coinvolgere il polpaccio, il ginocchio, la coscia. È fredda, diavolo se è fredda, sarà stata una buona idea? Non se lo chiede. Ha spento il cervello, come spesso gli capita quando sta con lei. È pura potenza in quel momento, senza ragionamenti. Che sia un bene un male dovrà essere lei a deciderlo, e in caso a mitigarlo. Inspiegabilmente quel complimento gli fa gonfiare il petto. Quasi un moto d’orgoglio. Non ha risposto nemmeno alla domanda sul perché stesse pensando proprio a lei, ci sono cose più importanti da fare in questo momento. A quella domanda si gode il tono sorpreso di lei, che gli suscita un’altra risata, questa volta volontariamente dal tono macchinoso e malefico <ora vedrai> che? Non lo sa neanche lui dove sta andando! Si gonde le dita affusolate sui capelli <mmh> ha la testa e i capelli particolarmente sensibili e quel mugugno è più simile alle fusa di un leone che ad altro. Ancora una volta le gote si tingono di rosso, sperando di non esser sentito. Odia che vengano scoperti i suoi punti deboli. Ma a farlo arrossire sono ben altre ragioni, poco dopo, due ragioni grosse e morbide che gli avvolgono parte del cranio. S’irrigidisce sotto di lei, ma non sanguina. Sta crescendo! Sente l’acqua all’altezza del punto vita. Con le gambe completamente immerse, e a quel punto si ferma, le gambe unite <attenzioneeee> musicale, divertito, prolungato, unisce le gambe per poi sbilanciarsi verso dietro, facendo crollare quella torre umana in direzione della costa, quindi alle spalle dei due. Ovviamente si premurerebbe, a contatto con l’acqua, di lasciare le gambe della deshi, in modo che sia libera di muoversi. L’acqua dovrebbe consentire ai due di emergere senza troppi problemi. Espira prima di immergersi, tutta l’aria, in modo da non risalire subito, dando a lei il tempo di togliersi e soprattutto concedendosi qualche minuto li, qualche decina di centimetri sotto l’acqua, immerso nel niente. A cercare quella mente che non trova, scoprirla spenta e sorridere, spensierato come ogni volta che è con lei, con il capo avvolto nella massa scura e fluttuante dei capelli. [Spiaggia] La kusana purtroppo sta capendo quel che sta succedendo e soprattutto quale sarà l’evoluzione di tutta quella scena e non può non sussultare e sentire dentro un’ansia. L’acqua: quel elemento con cui condivide amore e odio. Quel elemento importante per la vita e soprattutto per la pulizia del viso (?) ma allo stesso tempo temuto. Ha paura che egli si spinga fino a punti dove sia praticamente impossibile toccare coi piedi e lì morire; oh ma come siamo tragici. Yuukino vs acqua: una battaglia persa, dalla deshi ovviamente. <Ora vedrai che?> l’ansia si scioglie quando riprende contatto di sé e si riscopre, nuovamente, tenuta da lui. Le braccia di lui attorno alle proprie ginocchia, la spalla sotto al proprio sedere e la testa tra le braccia, nelle mani, sotto al seno. Insomma, la kusana sembra proprio una cozza su uno scoglio e come proporzioni ci siamo quasi. Ma ecco che l’acqua raggiunge anche i suoi piedini, nudi. <AH!> si lascia sfuggire un gridolino a quel contatto inaspettato <Yosai…> andrebbe poi a pronunciare col tono di voce tipico che potrebbe avere una madre di fronte al figlio che sta giocando con un vaso molto pericoloso ed è lì lì per farlo scivolare a terra ma si ferma solo per poter sfidare, a sguardi, la madre mentre pensa ‘pregami, madre, se no, lo faccio, oh sì che lo faccio! Vedrai come si spacca!’. <Yosai… non…> piano, cauta. Cerca un contatto. Cerca di fare breccia nel cervello di lui cercando disperatamente qualcosa da barattare pur di non ritrovarsi zuppa dalla testa ai piedi ma niente. Non solo non smette di avanzare fino a farle arrivare l’acqua chissà dove, ma addirittura accorcia quegli attimi gettandosi direttamente tra le onde dell’acqua salata. Lei perde il contatto con la sua testa probabilmente trascinandosi dietro qualche filo di quei lunghi capelli, gambe all’aria, braccia che cercano appoggi che non esistono e si schiantano contro la spuma del mare. Occhi che improvvisamente si chiudono, una rapidissima boccata d’aria è l’unica cosa che ha tempo di fare prima di essere avvolta dall’acqua completamente. Quanto è alta? Non lo sa! Tocca il fondo? Difficilmente dirlo in posizione orizzontale. Perciò inizia ad agitare le braccia in preda al panico e mentre la faccia riprende contatto con l’aria, uscendo dall’acqua lancerebbe un grido come di chi sta per morire <AIUTO!>. Sta annegando. A pochi centimetri dal fondo, che non sente, lei sta annegando. Eppure basterebbe portarsi in posizione verticale per comprendere che non c'è alcun pericolo. Eppure l'acqua è fredda... ma lei sta ANNEGANDO. Che brutta fine: neanche vent'anni compiuti. [Spiaggia] In preda agli istinti predatori più beceri prende di nuovo quei moniti come scherzi provocanti, e con maggior vigoria si lascerebbe cadere all’indietro. Ma in quel vuoto che lo avvolge, sotto il pelo dell’acqua, quella eco lontana di quel grido di aiuto gli arriva come una freccia nel cervello. Quello non è un tono scherzoso. Come aiuto?! Ma non sa nuotare?! Spalanca lo sguardo oceanico sott’acqua, noncurante del sale. Di scatto, con un colpo di reni e una torsione del busto , tenta di girarsi con il petto verso il fondale, per portare le gambe verso il suolo, piegate, per darsi uno slancio verso l’avanti, dove si trova lei. Accompagnerebbe allo slancio iniziale il battito dei piedi sott’acqua, dandosi l’impulso ad avanzare. Allungherebbe persino un braccio, allargando la mano finchè non la sente. Non dovrebbe essere troppo distante. Qualora la trovasse tenterebbe di afferrare qualsiasi cosa trovasse di lei per tirarla a se e cingerla in un abbraccio all’altezza della vita. Per poi piantare di nuovo le leve sul fondo del mare e sollevarsi. Non sono andati molto a largo, l’acqua non dovrebbe essere più alta di un metro e mezzo, forse poco più. Qualora fosse riuscito ad emergere con lei stretta in un abbraccio quasi normale, se non fosse che stanno in mezzo al se la terrebbe li, tra le braccia, noncurante delle sue forme stavolta le mani allargate la stringono, con tutto quello che ha, quasi a cercare di infonderle sicurezza, cercando di non farle male. <ma.. tu non sai nuotare?> mormora piano rendendosi conto ora che stà ansimando, ma non per lo sforzo, ma per il terrore, ha lo sguardo sgranato e la stringe. Potrà sentirlo lei, il cuore di lui martellare poderoso contro il suo petto. L’adrenalina in corpo gli provoca un tremito. Stava per combinare un disastro. [Spiaggia] Sta affogando. Ormai il destino suo è segnato. Non c’è nulla da fare. Una vita stupenda, piena di sfarzi, che si chiude lì nel morso freddo dell’acqua che incurante la ricopre da tutte le posizioni: a destra, sinistra, sopra e sotto. Lei sbatte i palmi contro la superficie liquida in un gesto che, da fuori sembrerebbe semplicemente un’oca afferrata per le piume da un granchio che cerca semplicemente di liberarsene. Qualcosa la afferra: niente. Come se non bastasse pure un qualche tenebroso animale dal fondale marino ha sentito l’odore della paura ed ha deciso che lei sarebbe stato il perfetto pasto: un misto di carni e ansie. Il suo corpo che ha curato così bene e così a lungo non solo rimarrà disperso per sempre ma verrà lacerato, spezzato, ingerito. Diventerà le feci di un mostro marino. La trascina: ormai la fine è vicina. Nemmeno una preghiera può più salvarla. Viene afferrata con forza e trascinata contro una roccia, una roccia che si muove, respira, come se avesse un cuore. Le sembra pure di sentirne il battito o forse sono i colpi di lingua: forse sta per essere digerita da quel mostro. In quella gestualità andrebbe a lanciare le braccia attorno al collo di Yosai spingendo il proprio petto contro il suo. Forse così non potrà essere ingerita. Salva. Salvata da una roccia. Le gambe andrebbero a raddrizzarsi ed i piedi toccare il fondo sabbioso, freddo. Acqua, acqua ovunque. Capelli zuppi. Occhi chiusi, serrati. Viso affondato in mezzo ai pettorali dell’Akimichi, possenti, che si alzano e abbassano in un ritmo incessante scandito dal battito cardiaco. Solo allora realizza. L’acqua è bassissima. Le arriva a malapena al seno. Il respiro è affannoso ma per un attimo si blocca. Smette di inspirare ossigeno mentre si stringe ancor di più a lui ora scorrendo il viso di lato. La guancia ancora appoggiata al petto di lui ma gli occhi si aprono, guardando verso il fianco destro di lei, sinistro di lui. La mano sinistra stringe il polso della destra che si apre fino a sentire completamente la nuca di lui. Poi d’improvviso ricomincia a respirare con affanno <Yosai…> pronuncia il suo nome mentre cerca di ricomporsi. Poi ecco che si staccherebbe d’improvviso da quella stretta se le fosse permesso, quanto basta per piegare un po’ indietro il busto per poter riuscire a posare il proprio sguardo blu oceano in quello di lui. <Ehm…> tra una boccata d’aria e l’altra cerca di assumere un viso quanto più composto possibile; cerca di dissimulare quella reazione impulsiva. <Io… sì, no era…> cerca una scusa, cerca una scusa. Muoviti. <… volevo solo metterti alla prova> come? Ma cosa significa? Nemmeno lei lo sa. Dovrà necessariamente trovare un modo per sviluppare quella scusa e renderla plausibile. Ma quei muscoli, quel respiro, quella preoccupazione. Quel viso severo e dolcemente preoccupato. La bloccano. Il cervello non riesce a pianificare alcunché. Nemmeno il freddo dell’acqua è percepito dalla deshi, non ancora. [Spiaggia] Ha rischiato di perderla, per un gesto sconsiderato del quale può incolpare solo se stesso ha rischiato di perderla. È allora che la sente. Un’emozione forte. Un uragano. Ha perso delle persone nella sua vita e dio solo sa se troverà mai la forza di raccontarlo. Ma della perdita di una sola persona ha provato un terrore maggiore rispetto a quello che gli scuote i muscoli in violenti tremiti in quel momento. Non è l’acqua a provocare la pelle d’oca che ricopre ogni centimetro del suo corpo. La stringe come se non avesse qualcosa di più caro da stringere. Al limite dal farle male, ma senza arrivare a tanto. Violento si, nocivo no. Quando lei cerca spazio per poterlo guardare lui srotola le braccia che scorrono sul corpo affusolato di lei come due serpi, lasciandola libera e tornando composte ai fianchi del busto. Si sente chiamare. Ma quando lei cercherà il suo sguardo, lo troverà spento, come se non stesse ascoltando. Le dà giusto il tempo di balbettare. E mentre lei lo fa serra la mascella lasciando saettare il muscolo sull’osso, che ne indurisce i lineamenti. In un impeto lascia scattare il braccio mancino, come un serpente, di nuovo, ma all’attacco stavolta. Le spire, nerborute, definite e dipinte, si stendono verso il viso di lei, la mano aperta, le dita come tante zanne. È un gesto repentino, diverso da quelli che dedica alla deishi di solito, e qualora andasse a segno completerebbe quella presa sul volto di lei che non ha voluto completare quando erano ancora in spiaggia. Il viso di lei si ritroverebbe chiuso tra il pollice su una guancia, e le altre dita sull’altra, coinvolgendo anche lo zigomo e la mascella. Lascerebbe la bocca libera da quella presa. Lo sguardo è radicalmente diverso dagli altri. Nello zaffiro balena qualcosa, una fiamma di imperitura energia. Passione, ma non necessariamente verso di lei, non solo, passione pura e senza scopo. Una forza violenta. Ineluttabile le dita, se lei non si tirasse indietro, affonderebbero nella pelle del volto di lei, violente, senza graffiare o ferire in alcun modo <sarai sempre libera di fare qualsiasi cosa tu voglia, Yuukino…> la voce è profonda, lo sguardo la cerca, quasi a forzarla a rimanere li dentro, come se potesse scrutarla <ma non farmi mai preoccupare.> Perentorio, e non le lascerebbe il tempo di finire. Qualora lei non si fosse divincolata dalla presa sul volto lui brucerebbe le distanze, tirandola a se e contemporaneamente andandole incontro. Tenterebbe di alzarle il capo quel tanto che basta da incontrare il suo abbassato verso di lei, viso contro viso, labbra contro labbra. Premerebbe le labbra contro quelle di lei, se lei glie lo permettesse, cingendola alla vita con il braccio libero per tirarla su e stringerla a se. Un bacio dato come se volesse trasmettere a lei tutta la violenza del sentimento che l’ha investito. Un bacio dato con tutta la passione e la potenza di cui è capace. Gli occhi chiusi, serrati, come se avesse solo quel gesto per esprimere tutto. Ammesso che sia il modo giusto. Ammesso che lei sappia farselo andare bene. [Spiaggia - Mare] Del freddo dell’acqua nessuna cellula di quel corpo si accorge e molto probabilmente soltanto quando l’adrenalina si sarà assopita che la kusana percepirà tutto ciò che ora sta ignorando. Dopo essere caduta in preda al panico e aver lasciato che questo costruisca nella propria mente immagini di morte ora è un sentimento di orgoglio quel che predomina il suo cuore, la sua forza vitale. Un orgoglio che si è messo di mezzo e che difficilmente lascerà che la Nakamura esprima ciò che davvero l’ha impossessata pochi attimi prima. Lì, di fronte a lui, in balia di quelle onde fredde non poterebbe che osservare il viso diventare sempre più cupo, come il cielo prima della tempesta che si diventa via via più oscuro e in silenzio prepara tuoni e saette da lanciare contro la terra. Quell’immagine, degna di quella appena vissuta, la bloccherebbe ancor di più: piedi attaccati al fondale marino che sembrano altrove, mani che ora scorrono attorno al proprio corpo trasportate dal moto ondulatorio del mare, sospese grazie al sale che rende quel liquido più denso. Alle parole dell’altro riuscirebbe giusto a mormorare <S… scusami> ma altro non riuscirebbe a fare perché le dita dell’altro andrebbero ad afferrarle il viso. D’istinto Yuukino alza le proprie di braccia ed andrebbe ad avvolgere con le dita di entrambe le mani l’avambraccio dell’Akimichi come di chi cerca di indebolire un attacco diretto. Un attacco che arriva pochi istanti dopo, ma non come l’avrebbe potuto immaginare. Le labbra dell’altro sulle proprie. Occhi della deshi che si spalancano. Acqua che non si cura di loro e continua ad ondeggiare mentre li avvolge e scansa allo stesso tempo. Tutte quelle emozioni improvvise l’arrovellano d’improvviso. La forza delle braccia par scomparire mentre chiude gli occhi abbandonandosi a quell’espressione di, sentimenti? Passione? Da essi, a solcarne il viso, due strisce, lacrime che potrebbero anche confondersi con l’acqua che fino a poco tempo prima l’aveva avviluppata se non fosse per la forma dritta fino al mento e da lì, a gocciolare sulla pelle dell’altro. Si abbandona così a quella risposta dell’Akimichi ma anche alla propria paura, alla paura di quel liquido che tutt’ora li avvolge. [Spiaggia] Ce l’ha tra le braccia le braccia lunghe la avvolgono come serpi, lasciando finire le mani a stringere i fianchi opposti di lei dopo aver compiuto il giro della schiena, la stringe il quel vortice di muscoli e segni dell’inchiostro, si comprime sul volto di lei, come a volerle far capire che s’è reso conto di quanto ci tenga a lei. La solleva dal fondo marino e se la porta via, camminando lentamente ma a lunghe falcate verso la riva, evitando il corpo di lei. Quasi a volerla salvare, o a volersi salvare lui dal pericolo di perderla. Chissà se quell’esperienza abbia reso, alla fine di tutto, il mare un po' più piacevole per lei per lei e un po' più spaventoso per lui. Ha i capelli scuri completamente spinti all’indietro scaldato solo dal corpo di lei, ma potrebbe sentirlo lei, il respiro di lui farsi meno affannoso, e lentamente tranquillizzarlo, come se il contatto con le labbra morbide di lei abbia fatto svanire la paura, rasserenando il cielo dentro di lui. Non è bravo a manifestare le sue emozioni. Non lo è mai stato, e così lo fa in maniera rozza, violenta, ma completa, imperiosa, senza remore. Dovrebbero essere arrivati ad avere l’acqua alle caviglie quando sente improvvisamente del calore sulla pelle lentamente questa volta, e con tutta la delicatezza di cui è capace, scenderebbe con le spalle stondate fino a farle toccare di nuovo terra con i piedi. Fatto questo, se lei glie lo consentirebbe, di nuovo srotolerebbe le braccia, lasciandola libera. Il tocco sulle labbra di lei si farebbe lentamente, ma progressivamente meno violento e più delicato, sempre più delicato, fino ad un attimo di indugio, quasi non volesse staccarsi da lei, come se volesse imprimere il sapore e la morbidezza di quelle labbra nella mente, prima di staccarsi. Raddrizzerebbe quindi le braccia, tornando alla sua altezza normale. Uno sguardo dispiaciuto sul viso, mentre cerca quello di lei, tenterebbe di alzare la mancina verso di lei con le dita e il palmo posizionati come la metà di una coppa, cercando il viso di lei. Un gesto lento questa volta, dal quale lei avrebbe tutto il tempo di scostarsi, un gesto delicato <scusami Yuuki… non…> non volevi? Si morde il labbro inferiore. Non può dirlo, ogni gesto che ha fatto, nel momento in cui l’ha fatto, voleva farlo con tutto se stesso <non sapevo che…> no, non lo sapeva effettivamente. Di colpo le parole gli vengono meno, cerca gli occhi blu di lei, cercando di trasmettere con quel tocco sulla guancia che stà tentando e con lo sguardo quello che le parole non possono arrivare a dire. [Spiaggia - Mare] Nebbia, acqua. Onde. Odore di sale. Profumo di menta. Profumo di rosa. Onde. Sabbia bagnata sotto ai piedi. Occhi chiusi, stretti come a non volersi aprire; gli occhi di chi sogna e non vuole svegliarsi per paura che tutto svanisca. Un contatto forte quello che lega i due deshi. Le braccia di lei riacquistano vigore e si lanciano intorno al collo di lui con le mani intrufolate in mezzo alle ciocche bagnate, dita che scivolano fino a raggiungerne la base, sulla nuca. Unghie che si appoggiano dolcemente in un movimento lento, involontario. Espressione della incuranza di ciò che può accadere attorno. Nebbia, freddo. Acqua. Elementi che danzano intorno cercando di attirare l’attenzione, di ricordare la propria esistenza ai sensi della kusana ma lei niente, non li vuole sentire, non li vuole ascoltare, non li vuol vedere perché ha gli occhi chiusi. Le labbra appoggiate su quelle di lui, arricciate. Di nuovo quelle braccia, forti come rami di un albero che l’avvolgono. Schiena di lei che si inarca per permettere che tale gestualità sia facilitata, specialmente con tutto quel tessuto del kimono bagnato che pesa, scivola sul corpo di lei. Scollatura che diventa più vistosa, braccia più pesanti. Di nuovo non ha contatto con il fondale marino ma questa volta in maniera diversa, tra le braccia dell’Akimichi che sembra portarla in salvo non solo dalle onde ma anche dalle sue paure con la stessa delicatezza e premura che si ha con un fiore in porcellana, delicato che non puoi semplicemente trasportare. 
Quel contatto che poteva essere durato un secondo o mille anni però si interrompe e lei può tornare a sentire la sabbia, bagnata, sotto ai piedi. Gli occhi possono tornare a vedere: blu come l’oceano ed ora anche più vividi grazie alle lacrime che ne lucidano la superficie. Osserva il rammarico dell’altro ma d’altronde, non poteva sapere e no, non è ciò che lei vuole. Lui ha sempre avuto una certa intraprendenza ed ora è la kusana a farla propria. Ne approfitta della mano dell’altro in avvicinamento verso il proprio viso per alzare la propria e porla al posto del viso; usa la mano esattamente opposta a quella di lui. Sembrerebbe volerlo fermare da quella carezza ed invece, se fosse riuscita a bloccarlo alzerebbe l’altra mano per poggiarla sopra ed avere lei la ‘precedenza’ in quei tocchi. <Ehi…> cercherebbe l’attenzione di lui mentre tenterebbe di scovare la voce più ferma possibile tirando una boccata d’aria per ricacciare indietro le lacrime e assumere un viso quanto più deciso possibile sebbene con quelle ciocche bagnate che incorniciano il viso sembrerebbe più un pulcino che una mamma chioccia. <Ascoltami> continua laddove fosse riuscita a cogliere l’attenzione dell’altro ed iniziando a carezzare/massaggiare la mano enorme dell’altro <Non potevi sapere! Sono io che ho perso la cognizione di dove mi trovassi perciò non voglio vedere quello sguardo, non voglio sentire queste parole… non da te Yosai!> sembra quasi un rimprovero ma lei vuole solo che l’Akimichi sia quello di sempre e non vuole diventare il suo peso, il suo crucio <Dovrebbe far ridere una stupida che crede di annegare in una pozzanghera, non paura> effettivamente. Sebbene solo lei possa sapere la paura che ha provato da fuori questo è quello che potrebbe percepirsi. Una folle che ha paura del nulla. [Spiaggia] È lei a venire incontro, a fare, e lui la lascia fare, prendendosi quei tocchi, percependone l’effetto benefico dritto nel cuore e nel cervello. Sarà perche obbiettivamente non è mai stato toccato in quel modo da una donna. Le sue esperienze in merito sono… non proprio edificanti, a potrà di nuovo notare quella linea rossa, sottile, sugli zigomi scolpiti dell’altro. Quando lei lo chiama risponde all’istante, saettando con i due zaffiri dentro i suoi, vivi e lucidi, ci nuoterebbe dentro se potesse. La ascolta. E quando gli arriva quel rimprovero d’istinto assottiglia lo sguardo blu aggrottando le sopracciglia, in un’espressione imbronciata, non li sopporta gli ordini. Ma la voce di lei, melodica e soave si fa spazio penetrando quella corazza. Distende di nuovo la fronte e per la prima volta accetta quell’ordine. Annuisce piano facendo ondulare i capelli. Ascolta poi le parole dell’altra, conclusive. Parole che lo portano a riflettere. Per un grido di aiuto di una persona che presto si sarebbe resa conto che tocca tu sei andato nel panico, ti sei incazzato con lei e poi l’hai pure baciata. Potrà osservare, lei, le gote dell’uomo diventare sempre più rosse. D’istinto alza la mano libera per infilarla tra i capelli, sulla nuca, come fa ogni volta che si sente in difetto <hem…> imbarazzo. Imbarazzo che gli provoca una risata sonora e musicale, ma non tanto per quanto sia successo a lei, quanto per come ha reagito lui <hai ragione> commenta piano dopo, infilando il labbro inferiore tra i denti, per poi distenderlo in un sorriso pieno, solare, a dentatura snudata <un’idiota> ammette piano lasciando, se lei glie lo permettesse, la guancia e le mani di lei, per distaccarsi un poco da lei, lo sguardo esce dalle due piscine sul viso di lei e scende, sulle gote, la linea della mascella, il collo, le clavicole, le forme dei seni chiaramente evidenti adesso, evidenziate dalle stoffe appicciate al corpo, i fianchi piccoli, le gambe lunghe. Uno sguardo privo di imbarazzo, ma carico d’altro <sai che…stai bene, bagnata?> la punzecchia con le stesse parole che gli ha rivolto poco prima. Sembra passato un secolo da allora. La osserva, divertito. [Spiaggia - Mare] Lì, con i piedi infossati nella sabbia, vicino ad un’enorme piscina naturale, tutto sembra rientrare alla normalità come se ciò che hanno appena vissuto fosse stato solo un’immagine della loro mente che ha proiettato le loro peggiori paure in un colpo solo. Due anime stremate, due fisici bagnati, avvolti da quel tessuto zuppo che gocciola, che crea piccoli rivoli di acqua fredda che diventa ancor più gelata ad ogni centimetro percorso sulla pelle fino a raggiungere terra. Lo lascia fare, lascia che si allontani e prova del sollievo quando finalmente tutta quella tensione si scioglie in una risata di imbarazzo. Sono entrambi ormai lontani dalle loro paure e lei può tornare a respirare come qualcuno che è sopravvissuto al proprio incubo riscoprendosi più forte e viva rispetto a prima. <Certo che ho ragione> direbbe con un tono divertito prima di lasciarsi contagiare dalla risata e scoppiare a ridere anche lei socchiudendo gli occhi e lasciando che quel contatto con le loro mani, la loro pelle, si sciolga. Porterebbe così quelle dita a incrociarsi sotto al seno come nel sigillo della scimmia ignara che lo sia, come di un riflesso, eco di un lontano passato dove quelle mani hanno memoria più di quanto non ne abbia la mente <Siamo due idioti> lo corregge tra un colpo di risata e l’altro prima di tornare lentamente a ricomporsi lasciando che i sussulti di divertimento si facciano sempre più silenziosi trasformandosi ora in un sorriso ampio. Lo osserva mentre la squadra dalla testa ai piedi, come a mettere a nudo ogni porzione di quel fisico atletico ma magro, con forme generose, sensuali ma che sembrano essere nei punti giusti. Al complimento dell’altro ecco che andrebbe ad alzare un sopracciglio, meravigliata e compiaciuta di quanto tutti quei sentimenti negativi si siano sciolti come sale nell’acqua lasciando solo più il ricordo salmastro della propria presenza. Accoglie quelle parole mentre assume un’espressione maliziosa, la tipica, classica che la rappresenta in tutto per tutto e, se lui la lasciasse fare, cercherebbe di avvicinarsi di un passo a lui, tagliando nuovamente quella distanza per poi alzare il braccio destro ed appoggiare l’indice sul retto dell’addome, quello appena sotto al torace seguendolo con lo sguardo prima di alzare nuovamente il viso cercando le iridi gemelle e dire, stavolta con un tono più sensuale <Mai quanto te…> [Spiaggia] Sospira, rassegnato. Nel sentir nascere in lui nuovi impulsi nei confronti di lei. Continuerà a provarli all’infinito, in quel momento ne è sicuro, come è sicuro che quello non sia il luogo appropriato per certe cose. Potrà notarlo lei, avendolo fatto allontanare. La maglia senza maniche a collo alto, già perfettamente aderente al corpo definito di lui, adesso ne mostra nel dettaglio le forme dei muscoli ma non solo. Qualcosa di celato agli occhi. Qualcosa di nuovo. Dalla spalla sinistra di lui, dipinta sui muscoli scolpiti, fa capolino il collo di un’aquila, con il volto e il becco distesi lungo il petto. Quei segni sulle braccia nude, ad un occhio attento, prendono la forma delle ali dell’aquila, il corpo si snoda coprendo tutta l’imponente schiena dell’Akimichi, ma la schiena lei non può vederla. Ma un dettaglio atroce emerge grazie all’acqua, come l’inchiostro simpatico grazie all’apposita luce. Il volto dell’aquila è sfreggiato da un’enorme cicatrice che, parte proprio dal becco dell’aquila, sul pettorale sinistro e scende in obliquo fino al fianco destro. Non un taglio netto, come le cicatrici che ha sul volto. Un profondo segno scuro, largo nel suo punto più ampio più di cinque centimetri. Qualcosa che parla del passato. Qualcosa che urla dolore. Un dolore che sul volto dell’altro non compare. Seppellito da tempo, ma sempre presente. Lui ride invece, al dire di lei. Giustamente lei ha sempre ragione. È una cosa che probabilmente dovrà imparare il prima possibile. Al suo secondo dire si lascia il sorriso disteso sulle labbra<d’altronde…> chi si somiglia si piglia, ci sarebbe da dire, ma lo lascia in sospeso, piegando di lato il capo un poco. Infila le spesse dita di entrambe le mani nei capelli, raccogliendoli all’indietro e strizzandoli, sentendo l’acqua gelida lungo la schiena. Ma a quel dire di lei, l’ultimo, sgrana lo sguardo, stupito, la osserva, lascia che il senso della vista si appaghi, lo può percepire lei, lascivo. Ma c’è un problema: con questo freddo anche un palo di ferro farebbe fatica a rimaner dritto. Il sorriso si sposta sull’angolo sinistro delle labbra, malizioso anche il suo ma in maniera più inesperta, impacciata, gonfia di nuovo il torace tendendo il tessuto della maglia, un sospiro, mentre di nuovo incede piano verso di lei, bruciando lentamente la distanza tra dii loro, se lei glie lo permettesse, poggerebbe piano il braccio contro il suo, per poi lasciarlo intrecciarsi con quello di lei, le dita della mano s’aprono, quasi a far posto a quelle affuso late di lei che, qualora accettasse quel gesto, andrebbe a intrecciare con le sue. L’ha già presa per mano, ma quello è un gesto diverso <qua serve una coperta, e del thè caldo> commenta ponendosi al suo fianco, quello che li unisce con quella mano intrecciata, ammesso che sia andato tutto a buon fine, volto verso l’uscita dalla spiaggia, ancora non si muove, la cerca di nuovo, cerca quel viso. Insaziabile. [Spiaggia - Mare] Nel cercare quei muscoli, sotto i pettorali, alla giovane deshi non può sfuggire quella enorme cicatrice. La curiosità di sapere di più su quel segno, oltre che sul tatuaggio, si fa viva in lei: ma non è quello il luogo né il tempo giusto per dispiegare certi misteri. Ne avrà occasione, di certo, in futuro. Interrompere quei momenti con curiosità non inerenti non è proprio da lei e poi, la curiosità non è sospetta soltanto quando arriva lentamente. Le informazioni cruciali vanno dosate a piccoli sorsi. Poi la gestualità di lui che vuole mettersi di fianco a lei, lo lascia fare e non distoglie la propria mano; la osserva solo. Sposta lo sguardo proprio in quel punto dove lo loro dita si intrecciano come se fossero paglia: oddio, quelle di Yuukino, s’intende, perché della di lui mano si può dire tutto tranne quello. Abbozza un sorriso a quel che pare essere un invito dell’uomo e lei alza le spalle, toglie lo sguardo dalle mani per tornare ad osservare l’Akimichi. Sposta le labbra verso un lato del viso ed assume un’espressione pensosa. <Sì credo sia una buona idea salvo che non vogliamo morire qui, assiderati.> torna per un attimo lucida, calcolatrice. Taglia corto senza perdersi in immagini poetiche: di freddi si muore e non è di certo una probabilità da non considerare visto il luogo. <E poi> breve pausa mentre cercherebbe di tenergli il passo, seguendolo al fianco <Al the non si può mai dire di no, almeno, io non posso dire di no> e l’ha potuto imparare bene l’altro quanto la Nakamura sia una bevitrice di the incallita: è la sua linfa vitale, la sua fonte di pensieri positivi, come di chi ha passato la vita a berlo in mancanza d’altro ma non è quello il caso. Lei di the, nella sua vita, ne ha bevuti di molteplici, da tutte le zone del mondo. [Spiaggia] Lei si concede, e lui ne sorride, quasi fosse quella stretta di mano il motivo di tutta la felicità del mondo. non distoglie lo sguardo, mai. Si sta godendo il momento. Chissà quante volte ricapiterà di poter essere felici per delle dita che si incontrano. Stanno diventando grandi, lo stanno diventando insieme, le loro strade, con le persone di tutti i villaggi incastrati su quell’isola, camminano parallele, ma non sarà sempre così, dovrà parlarle di tante cose, e tante ne avrà da chiedere, ma in fondo sì, non è questo il momento. E questi pensieri restano completamente irraggiungibili dalla parte razionale della sua mente, che giace spenta consentendogli di godersi il momento. La ascolta, annuisce, stringe piano le dita intrecciate alle sue, vorrebbe scaldarla, ma per farlo dovrebbe privarla del kimono, e per quanto solo l’idea inneschi istinti selvaggi, non è il momento nemmeno per quello, s’incamminerebbe, adeguandosi al passo di lei, impacciato quasi. Palesemente inesperto di certe cose, che non sono poi così naturali. <immaginavo> che non potesse fare a meno del thè. Non l’ha proposto a caso, è tonto, non stupido. Con la mano libera andrebbe darsi una sonora pacca sull’addome, che s’infrangerebbe sui muscoli producendo più il suono di una mano che sbatte contro un tavolo che altro. <se riuscissimo a trovare un chiosco, io avrei anche bisogno di uno spuntino> ghigna, affamato. Conosciamo anche i suoi spuntini, ormai. Sarebbe lui, stavolta, nell’incedere, ad avvicinarsi a lei, quasi bisognoso della tranquillità che infonde, se la tiene per se e per se soltanto. E con lei s’incamminerebbe [end] [Spiaggia - Mare] Ora, che tutti quei sentimenti intensi si stanno assopendo ecco che qualcos’altro richiede la propria attenzione: il fisico. La gracilità della donna si sente anche in quelle occasioni dove basta un po’ di acqua fredda di mare per farla sentire come se l’avessero richiusa dentro un frigorifero per ore. Inizia a tremare: non perché lo vuole ma non ne può fare a meno. Il corpo esige calore ed i muscoli vibrano intensamente nel disperato tentativo di sopperire a quel bisogno. Lei cerca di nasconderlo ma sicuramente sarà visibile così come le labbra: che da rosse stanno diventando leggermente più scure tendendo al violaceo. Quanto alla gestualità dell’altro, lei andrebbe a sorridere, contrastando i tremolii <Spuntino numero?> oh di certo non sarà il primo, forse neanche il secondo vista l’ora. Se funziona come la colazione, dovremmo aver già raggiungo un numero considerevole di pasti per quella giornata. <Io ho solo bisogno di calore…> andrebbe ad aggiungere cercando di contenere quanto possibile il freddo. La mano di lui, sicuramente più calda, è un’ottima fonte ma servirebbero mille mani a coprire ogni parte del corpo e no, non è proprio quello il luogo né il momento. Meglio affidarsi ad una bevanda calda, ad un luogo caldo, luci, candele, voci. Meglio rientrare in città dove sicuramente ci sarà un luogo ideale ad accoglierli e concedere loro di avere momenti un po’ più tranquilli senza il rischio di uccidersi, annegare, sanguinare… E per fortuna non sono ancora in grado di uccidere… non ancora. [END]